Con il
decreto rilancio Confindustria va di nuovo all'incasso
«Con il
Presidente di Confindustria Carlo Bonomi ci siamo confrontati spesso». Le parole
del ministro Patuanelli danno la chiave di lettura del "decreto
rilancio", un decreto scritto in larga misura da Confindustria. Per le
imprese una pioggia di miliardi, per il resto spiccioli e avanzi.
CONFINDUSTRIA
VA ALL'INCASSO
Gli
industriali ottengono di tutto e a mani basse. Innanzitutto viene soppressa
l'IRAP per la tranche di giugno. Quattro miliardi regalati a tutte le imprese
che stanno dentro un fatturato di 250 milioni. In piena emergenza sanitaria si
amputa la principale base fiscale d'appoggio della sanità pubblica. Uno
scandalo. Aggravato dal fatto che la regalia riguarda indistintamente tutte le
imprese, anche quelle – non poche – che si sono arricchite in questi mesi di
crisi (farmaceutico, digitale, parte dell'alimentare...). Confindustria ha
ottenuto un acconto (il 40% del gettito IRAP), ora chiede che la prossima Legge
di stabilità cancelli integralmente la tassa.
A questo si
aggiungono il credito d'imposta del 60% per le imprese sotto i 5 milioni,
contributi a fondo perduto in base al volume del fatturato, una detrazione del
30% per gli aumenti di capitale dai 5 ai 50 milioni, altri 6 miliardi di
risorse pubbliche per le PMI sotto i 250 dipendenti attraverso il fondo
pubblico Invitalia, chiamato a comprare i titoli di debito delle aziende in
questione, da ripagare in sei anni.
Attenzione:
“Se le aziende manterranno i livelli occupazionali il rimborso del debito
avverrà senza interessi”. Dunque il decreto già annuncia di fatto la prossima
fine del blocco dei licenziamenti. Se licenziare o meno lo deciderà il padrone
in base alle proprie convenienze. E non c'è l'articolo 18 a fare barriera.
Il governo
non dimentica certo le grandi imprese, sopra la soglia dei 250 milioni di
fatturato. Qui opera la Cassa Depositi e Prestiti, opportunamente rimpinguata
con un volume patrimoniale a regime di 50 miliardi. La Cassa provvede alla
ricapitalizzazione delle grandi aziende in difficoltà attraverso l'acquisto
diretto di pacchetti azionari, ma restando al di fuori del consiglio di
amministrazione aziendale per non violare il recinto della proprietà. Insomma,
un puro soccorso assistenziale ai capitalisti coi soldi di tutti, cioè dei
lavoratori.
«Per le
imprese intanto ci sono oltre 20 miliardi in questo decreto. La cosa più
importante ora è agire sulla fiducia: lo Stato deve lasciare libere le
imprese», dichiara orgoglioso il ministro Patuanelli (La Repubblica, 14
maggio). Non sappiamo se i capitalisti ricambino la fiducia. Ma certo la
fiducia del governo verso i capitalisti non poteva essere più incondizionata di
così. Una pioggia di miliardi a tutti.
“Dobbiamo
salvare le imprese” recita il credo generale. Ma se per salvare i capitalisti
sono necessarie, ancora una volta, immense risorse pubbliche, perché non
nazionalizzare le aziende e porle sotto controllo operaio? Sarebbe ad un tempo
una misura di risparmio e di razionalità sociale. La vera lotta agli sprechi
che piace tanto a Confindustria avrebbe finalmente una traduzione vera.
GLI AVANZI
PER I LAVORATORI E LE LAVORATRICI
La verità è
che fuori da questa soluzione anticapitalista e rivoluzionaria c'è posto solo
per le elemosine, come mostra bene il resto del decreto. Avanzi, scarti,
frattaglie, tra mille paletti e restrizioni. Le briciole che cadono dal tavolo
dei padroni.
Una cassa
integrazione centellinata per non sforare i limiti di spesa. Nessuna soluzione
per i moltissimi cassaintegrati in deroga che non hanno visto ancora un
centesimo e che non sanno come campare. L'anticipo del 40% della cassa da parte
dell'INPS per le domande prossime, il resto “attendere”.
Quanto al
reddito di emergenza di ultima istanza rimane una miseria di 400 euro, un obolo
penoso di carità, meno di un miliardo di euro.
Infine la
regolarizzazione sbandierata dei lavoratori irregolari taglia fuori l'edilizia
e la logistica, centinaia di migliaia di sfruttati, i due terzi della platea
potenziale, mentre il terzo beneficiato (braccianti, colf, pescatori) ottiene
una precaria regolarizzazione a tempo, alla quale per di più può accedere solo
chi sopravvive al setaccio di mille condizioni. Un decreto fatto non per i
lavoratori e i loro diritti, ma per Coldiretti e Confagricoltura, che cercano
braccia, non persone.
Le
burocrazie sindacali sembra non abbiano nulla da dire, anche se non hanno
toccato palla. Si accontentano di fare da tappeto per gli incontri fra Bonomi e
governo.
Costruire
una iniziativa indipendente di classe e di massa attorno ad una piattaforma
indipendente è più che mai una esigenza centrale e prioritaria.
Partito
Comunista dei Lavoratori
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