Di Federico Bacchiocchi – Unità di
Classe Maggio/Giugno 2020
L’epidemia
da coronavirus, lo stato di emergenza sanitaria e il suo trascinamento su una
profonda crisi economica dovuta alle misure di isolamento sociale contro il
contagio virale, costituiscono un grande banco di prova per le capacità di
risposta della classe lavoratrice, a partire dalle sue organizzazioni
politiche e soprattutto sindacali.
Il padronato
ha già sciorinato la sua ricetta. La crisi compromette in gran parte i profitti
del settore maggioritario del capitalismo italiano. Non tutto: alcuni comparti
al contrario vedono un grande aumento dei profitti dovuti proprio ai
provvedimenti sanitari. È il caso del commercio alimentare, di quello
elettronico, del commercio online (Amazon), della logistica. Tuttavia,
sicuramente la crisi colpisce al cuore i settori strategici del capitalismo
italiano: automobile, moda e lusso, turismo, solo per fare degli esempi.
Il
neopresidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha espresso il suo mandato al
governo: deroghe sistematiche alla contrattazione collettiva nazionale su
mansioni, orari, ferie e turni, defiscalizzazione ulteriore dei profitti, ad
esempio la cancellazione dell’IRAP, credito bancario alle imprese garantito
dallo Stato, ossia dall’erario pubblico, abbattimento della cosiddetta
burocrazia, da intendersi in molti casi con l’abolizione del normale controllo
di legalità.
Confindustria
è coerente: bisogna fare ogni sacrificio, per quanto straordinario, per
ricostruire le normali condizioni del profitto capitalistico, dell’arricchimento
del padronato, con buona pace della classe lavoratrice attanagliata
dell’aumento del tasso di sfruttamento, dal dimagrimento salariale, da un’ondata
di massiccia disoccupazione e sottoccupazione, dall’ulteriore perdita di
diritti (il diritto di sciopero e di manifestazione), da nuovi tagli a sanità,
scuola e servizi sociali. Un’autentica tempesta perfetta.
In altri
scritti abbiamo già denunciato la complicità della burocrazia dei maggiori
sindacati, CGIL, CISL e UIL, nello spianare la strada a questo progetto (“Liquidità
alle imprese!”, raccomanda Landini). La pantomima andata in scena sul
Protocollo di Intesa sulla sicurezza delle condizioni di lavoro firmato a
marzo, con il corollario della scandalosa autocertificazione delle aziende, che
senza garanzie sanitarie hanno potuto continuare la loro attività, e
addirittura lo squallido sotterfugio del silenzio-assenso, è servita solamente
ad ingannare le lavoratrici e i lavoratori, a cominciare da quelli iscritti a
questi sindacati, e metterli nelle condizioni di accettare i nuovi sacrifici
imposti dalla ricostruzione capitalista post epidemia.
Qui vogliamo
occuparci di quella parte di avanguardia di classe che si riconosce nel
composito mondo del sindacalismo di base e classista.
In questo
mondo alberga con buona approssimazione l’avanguardia più combattiva della
classe lavoratrice italiana, con l’eccezione di alcuni settori, come quello
dell’industria automobilistica e metalmeccanica ad esempio, dove è scarsamente
radicata, mentre il ruolo più conflittuale è sostenuto dall’Opposizione CGIL.
Com’è del
tutto ovvio, la crisi sanitaria ha investito questo settore sconvolgendone la
normale attività sindacale. I sindacati di base, o conflittuali, si presentavano
ai nastri di partenza dell’emergenza epidemica non proprio in condizioni di
forza e sviluppo. Tutt’altro. Sono da tempo ormai attraversati da tendenze
all’autoreferenzialità e al settarismo di organizzazione, il che comporta una
serie di frammentazioni, rari tentativi di unione, spesso poi falliti e dunque
nuove separazioni. Praticamente tutte le organizzazioni sono attraversate da
questi processi che, al di là di ogni possibile valutazione di legittimità,
obbiettivamente indeboliscono questo settore d’avanguardia nel suo complesso e
soprattutto ne limitano la capacità di presa sulla massa delle lavoratrici e
dei lavoratori, sindacalizzati o meno.
Le ragioni
politiche ed ideologiche di vecchia data che giustificano tale frammentazione,
ragioni di cui non è nell'economia di questo articolo discutere la
legittimità, pur ritenendo di avere solidi argomenti per farlo, militano
evidentemente contro la possibile unità d’azione tra queste forze. In
condizioni normali ciò basta a costituire un danno per la capacità di
costruire vertenze sostenute dalla forza dell’unità di lavoratrici e lavoratori
nei diversi settori. In condizioni straordinarie, come l'attuale crisi
sistemica indotta dall'emergenza sanitaria, ne favoriscono il più completo
disarmo a fronte dell'attacco padronale.
Ma la
coscienza del pericolo di essere travolti si sta facendo strada, seppure a
fatica, nel corpo militante e in taluni casi nei quadri dirigenti di queste
organizzazioni. Perciò sono state promosse iniziative e messi in cantiere
processi che tentano di dare un risposta.
In tutte
pesa l'inerzia della linea politico-sindacale seguita in precedenza.
In questo
quadro si collocano iniziative come lo sciopero generale indetto da USB il 25
marzo 2020 sul tema delle condizioni di sicurezza sul lavoro non garantite dal
Protocollo d'Intesa tra Governo, Confindustria e CGIL, CISL e UIL. Uno sciopero
giusto ma proclamato con modalità autocentrate, se non settarie, in ogni caso
senza il coinvolgimento delle altre organizzazioni sindacali. Probabilmente
ciò ha fruttato un incasso di visibilità per USB, ma non ha giovato
all'incisività e alla riuscita dello sciopero.
Altre
organizzazioni non sono arrivate ad indire lo sciopero generale, limitandosi,
come la CUB, a mettere a disposizione delle lavoratrici e dei lavoratori dei
pacchetti di ore di sciopero sempre a tutela delle proprie condizioni di sicurezza
dal contagio.
Il Si Cobas
a sua volta ha promosso scioperi nel settore della logistica e tentato perfino
picchetti, da ultimo nelle giornate del 31 aprile e 1° maggio, colpiti dalla
repressione poliziesca.
Un quadro
composito di iniziative, dunque, ma senza una linea unitaria.
La
constatazione dell'insufficienza delle proprie forze prese singolarmente si è
infine fatta strada tra gli attivisti e alcune organizzazioni hanno cercato di
aprire percorsi che tenessero conto di questa istanza.
Così il Si
Cobas ha promosso il patto d'azione tra diverse forze politiche, sindacali e
sociali, attraverso una serie di assemblee di impronta unitaria e la ricaduta
su un programma vertenziale avanzato di difesa integrale di salari,
occupazione, diritti, sanità e servizi sociali, finanziati da una patrimoniale
straordinaria e dal drastico taglio delle spese militari.
Questo
percorso, di cui il PCL è partecipe, segna, a nostro parere, uno sviluppo
nella tradizionale azione politica e sindacale del Si Cobas, segnato spesso da
elementi di forte autocentratura, e determina molto positivamente una
possibile svolta nel quadro frammentato dell'intervento del sindacalismo di
base e di classe.
L'impegno
alla costruzione di un'Assemblea nazionale dei delegati e delle delegate
aperto a tutte le lavoratrici e i lavoratori combattivi, di tutti i settori ed
indipendentemente dall'appartenenza di sigla, ribadisce ancora di più, se
possibile, la concretezza della strada presa verso la dimensione di massa
dell'unità d'azione.
Su un
binario parallelo è collocato il percorso dell'Assemblea degli Autoconvocati,
sostenuta da militanti di varie organizzazioni politiche e sindacali, a cui
anche i compagni del PCL stanno dando il loro apporto. Il segno unitario è il
tratto prevalente dell'Assemblea, che si è già riunita più volte con modalità
telematiche.
Per questo
la nostra indicazione è quella di intrecciare i percorsi, nella logica
dell'intervento che ci caratterizza, teso a coniugare unità e radicalità di
proposta in funzione di una prospettiva rivoluzionaria.
Infine,
anche l’iniziativa di piazza ha conosciuto un importante momento unitario.
È il caso
della manifestazione “Per una fase 2 delle lotte”, promossa congiuntamente
dal SGB, ADL Cobas e Si Cobas l'8 maggio davanti alla Regione Emilia- Romagna,
con l'intento di segnare la fine del lockdown delle manifestazioni di piazza
per sostenere le rivendicazioni di difesa e rilancio dello stato sociale, del
diritto alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, della difesa del
salario, della tassazione patrimoniale e dello stop alle opere inutili. Sono
state programmate altre iniziative nel frattempo.
Su questa
stessa pagina ospitiamo l’articolo del compagno Massimo Betti, dirigente di
SGB, che descrive bene i contenuti e gli obbiettivi della manifestazione,
nonché dei possibili nuovi sviluppi.
Insomma, siamo
di fronte ad azioni ancora limitate per seguito ed incisività, che raccolgono
una parte ancora minoritaria dell'avanguardia di classe e indubbiamente sono
ancora molto al di sotto di ciò che sarebbe necessario. Tuttavia, sono germogli
preziosi di unità d'azione tra forze diverse del sindacalismo di classe, al
servizio della ripresa delle mobilitazione e della costruzione difficile ma
possibile del più ampio fronte unico della classe lavoratrice: il solo modo per
resistere all'attacco padronale, alla crisi capitalistica e alla sua
catastrofe. Se non ora, quando?
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