Lo Stato
canaglia USA vuole sbarrare il passo alle mire della Cina
La nuova
crisi mondiale innescata dalla pandemia radicalizza la competizione tra gli
imperialismi.
L'imperialismo
USA, il principale Stato canaglia del pianeta, cerca di rimontare le posizioni
perdute nell'ultimo decennio rilanciando una vera guerra fredda contro la
potenza cinese. La linea di scontro con la Cina rappresenta dal 2008 il
baricentro della politica estera USA. La lunga stagione di Obama ha avuto
questo segno. Il nuovo corso ipernazionalista dell'"America first"
l'ha al tempo stesso ereditato e rilanciato con una postura più aggressiva e
spregiudicata. La guerra dei dazi dell'ultimo biennio ha la Cina come primo
bersaglio. E non si tratta di una competizione commerciale, ma del riflesso
commerciale di una competizione globale per l'egemonia sul mondo; una
competizione che si gioca senza risparmio di colpi sul terreno dell'industria
pesante, delle nuove tecnologie, della spartizione di materie prime e zone di
influenza in tutti i continenti, nessuno escluso.
L'IMPERIALISMO
USA VERSO UNA NUOVA GUERRA FREDDA CONTRO LA CINA
Oggi, come
nel 2008, la nuova grande crisi versa molta benzina nel motore dello scontro
interimperialista.
La Cina ha
rapidamente superato il trauma dell'epidemia in casa propria cercando di
capitalizzare le difficoltà dell'amministrazione americana e le sue
contraddizioni con gli imperialismi europei: da qui una politica internazionale
degli aiuti sanitari proiettata in particolare verso l'Europa per allargare le
proprie relazioni politico-diplomatiche, espandere la Nuova Via della Seta,
indebolire la rendita di posizione americana. Ma l'imperialismo USA
contrattacca su tutta la linea a difesa dei propri presidi. Chiama a raccolta i
propri alleati della NATO, mobilita la comunità di intelligence dei paesi
anglofoni (USA, Canada, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda), denuncia la
responsabilità della Cina per aver causato l'innesco della pandemia e averla
nascosta al mondo. E arriva sino a ventilare atti diplomatici estremi, come la
richiesta alla Cina di una riparazione economica per i danni subiti o
addirittura la (improbabile) minaccia di non pagare alla Cina gli interessi sul
debito americano che Pechino in larga parte detiene.
Il
Segretario di Stato americano Mike Pompeo, in particolare, “rivela” una
operazione congiunta di Cina e Russia per dividere gli USA dai suoi naturali
alleati in Europa, e dichiara alla stampa europea che la «Difesa degli USA e i
ministeri della Difesa di tutti i nostri alleati continuano a tenere alta la
guardia all'esterno» contro i nemici dell'Occidente. «Si tratti delle navi
cinesi che cercano di compromettere la libertà di navigazione, gli apparecchi
russi che mettono alla prova il nostro spazio aereo, o le imbarcazioni iraniane
che provano a interdire i trasporti marittimi, noi dobbiamo essere pronti a
reagire ad ogni minaccia» (La Stampa, 4 maggio). La stampa borghese italiana
concede intere paginate a questi deliri militaristi, non senza l'impulso di
nuovi direttori di testata (Molinari a Repubblica) scelti sulla base alla più
inossidabile ortodossia atlantista (e sionista). Anche così FCA ha onorato i
propri interessi in America.
Siamo
davanti a «una crisi internazionale dalle conseguenze difficili da prevedere ma
che obbligherà ogni Stato – inclusa l'Italia che ha pagato uno dei prezzi di
vite più alto – a prendere posizione» dichiara solennemente, nel suo primo
editoriale, il nuovo direttore di Repubblica (4 maggio). Straordinario. Il
massacro della Val Seriana, o la strage nelle residenze sanitarie assistenziali,
vengono messe sul conto della Cina da quegli stessi padroni del vapore che
hanno impedito le zone rosse per incassare profitti. La verità, come sempre, è
la prima vittima delle guerre, anche di quelle diplomatiche.
Il rifiuto e
la denuncia di queste manovre del “nostro” campo imperialista è il primo dovere
di ogni avanguardia, a maggior ragione di ogni comunista.
LA CINA E IL
DEBITO ESTERO AFRICANO DI FRONTE ALLA PANDEMIA
Questo non
significa affatto beatificare gli imperialismi rivali, presentandoli come
alfieri del progresso o addirittura come “socialisti”. Una rappresentazione,
questa, sponsorizzata da organizzazioni campiste che civettano con ambienti
nazionalisti e cercano il loro plauso (come il PC di Rizzo, recentemente
convertitosi alla Cina). Sono rappresentazioni grottesche prive di ogni
rapporto con la realtà, e soprattutto con i principi di classe più elementari,
quelli che muovono sempre dall'interesse del movimento operaio e delle masse
oppresse del mondo. Se l'imperialismo USA è storicamente il loro principale
oppressore, possiamo ignorare oggi il volto imperialistico della Cina?
Africa 2020.
Un continente oggi minacciato dalla pandemia e colpito dalla recessione, la
prima in un quarto di secolo. Il debito pubblico degli stati africani verso i
paesi imperialisti ammonta complessivamente a 540 miliardi di dollari. Una
cifra stratosferica per il continente, tanto più considerando gli altissimi
tassi d'interesse sul debito, sino al 15%. Roba da usura, al punto che il
grosso delle risorse oggi spese dagli stati africani è riservato al pagamento
del debito e dei relativi interessi: ciò che falcidia gli investimenti sociali
in sanità, istruzione, servizi. Se la pandemia minaccia un macello in Africa è
anche per le conseguenze sociali della politica di rapina degli imperialismi.
Una
coalizione di stati africani ha oggi formalmente chiesto presso il Fondo
Monetario Internazionale la cancellazione del debito estero. Una rivendicazione
progressiva, anche se negoziale. Una rivendicazione inedita sospinta
dall'emergenza sanitaria. Qual è il punto? Il punto è che è la Cina il
principale detentore del debito pubblico africano, per la cifra di 145 miliardi
di dollari. E cinesi sono i tassi di interesse più alti. Non a caso è stata
finora la Cina il paese più resistente alla richiesta di cancellazione del
debito dell'Africa. La Francia ad esempio si copre dietro la Cina per chiedere
la semplice sospensione temporanea del pagamento del debito africano,
rifiutando la sua cancellazione. Naturalmente non è escluso che nella partita
apertasi con gli USA l'imperialismo cinese decida di allentare il cappio al
collo del debito africano per consolidare politicamente la propria area di
influenza. Ma l'usuraio resterebbe tale anche se fosse indotto a una magnanimità
interessata, perché la stessa magnanimità sarebbe funzionale alla continuità
del dominio.
Questa
politica ha una sua base materiale: diecimila aziende cinesi in Africa, al 90%
private, concentrate nell'accaparramento delle materie prime e nello
sfruttamento di manodopera a basso costo. Non senza l'importazione in Cina di
centinaia di migliaia di lavoratori africani, oggetto in qualche caso di
reazioni xenofobe perché accusati di aver portato il virus (come recentemente
nella città cinese di Guangzhou).
Tutto il
mondo è capitale, come abbiamo detto più volte. Anche in Cina, anche in Africa.
Nella lotta
contro l'imperialismo di casa nostra non abbelliremo mai l'imperialismo altrui.
Perché l'unica alternativa la può costruire la classe operaia di tutti i
continenti nella prospettiva di un altro ordine del mondo. Che o sarà
socialista o non sarà.
Partito
Comunista dei Lavoratori
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