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sabato 9 maggio 2020

IN PIENA PANDEMIA GLI IMPERIALISMI SI CONTENDONO L'EGEMONIA SUL MONDO

Lo Stato canaglia USA vuole sbarrare il passo alle mire della Cina




La nuova crisi mondiale innescata dalla pandemia radicalizza la competizione tra gli imperialismi.
L'imperialismo USA, il principale Stato canaglia del pianeta, cerca di rimontare le posizioni perdute nell'ultimo decennio rilanciando una vera guerra fredda contro la potenza cinese. La linea di scontro con la Cina rappresenta dal 2008 il baricentro della politica estera USA. La lunga stagione di Obama ha avuto questo segno. Il nuovo corso ipernazionalista dell'"America first" l'ha al tempo stesso ereditato e rilanciato con una postura più aggressiva e spregiudicata. La guerra dei dazi dell'ultimo biennio ha la Cina come primo bersaglio. E non si tratta di una competizione commerciale, ma del riflesso commerciale di una competizione globale per l'egemonia sul mondo; una competizione che si gioca senza risparmio di colpi sul terreno dell'industria pesante, delle nuove tecnologie, della spartizione di materie prime e zone di influenza in tutti i continenti, nessuno escluso.


L'IMPERIALISMO USA VERSO UNA NUOVA GUERRA FREDDA CONTRO LA CINA

Oggi, come nel 2008, la nuova grande crisi versa molta benzina nel motore dello scontro interimperialista.

La Cina ha rapidamente superato il trauma dell'epidemia in casa propria cercando di capitalizzare le difficoltà dell'amministrazione americana e le sue contraddizioni con gli imperialismi europei: da qui una politica internazionale degli aiuti sanitari proiettata in particolare verso l'Europa per allargare le proprie relazioni politico-diplomatiche, espandere la Nuova Via della Seta, indebolire la rendita di posizione americana. Ma l'imperialismo USA contrattacca su tutta la linea a difesa dei propri presidi. Chiama a raccolta i propri alleati della NATO, mobilita la comunità di intelligence dei paesi anglofoni (USA, Canada, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda), denuncia la responsabilità della Cina per aver causato l'innesco della pandemia e averla nascosta al mondo. E arriva sino a ventilare atti diplomatici estremi, come la richiesta alla Cina di una riparazione economica per i danni subiti o addirittura la (improbabile) minaccia di non pagare alla Cina gli interessi sul debito americano che Pechino in larga parte detiene.

Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo, in particolare, “rivela” una operazione congiunta di Cina e Russia per dividere gli USA dai suoi naturali alleati in Europa, e dichiara alla stampa europea che la «Difesa degli USA e i ministeri della Difesa di tutti i nostri alleati continuano a tenere alta la guardia all'esterno» contro i nemici dell'Occidente. «Si tratti delle navi cinesi che cercano di compromettere la libertà di navigazione, gli apparecchi russi che mettono alla prova il nostro spazio aereo, o le imbarcazioni iraniane che provano a interdire i trasporti marittimi, noi dobbiamo essere pronti a reagire ad ogni minaccia» (La Stampa, 4 maggio). La stampa borghese italiana concede intere paginate a questi deliri militaristi, non senza l'impulso di nuovi direttori di testata (Molinari a Repubblica) scelti sulla base alla più inossidabile ortodossia atlantista (e sionista). Anche così FCA ha onorato i propri interessi in America.

Siamo davanti a «una crisi internazionale dalle conseguenze difficili da prevedere ma che obbligherà ogni Stato – inclusa l'Italia che ha pagato uno dei prezzi di vite più alto – a prendere posizione» dichiara solennemente, nel suo primo editoriale, il nuovo direttore di Repubblica (4 maggio). Straordinario. Il massacro della Val Seriana, o la strage nelle residenze sanitarie assistenziali, vengono messe sul conto della Cina da quegli stessi padroni del vapore che hanno impedito le zone rosse per incassare profitti. La verità, come sempre, è la prima vittima delle guerre, anche di quelle diplomatiche.

Il rifiuto e la denuncia di queste manovre del “nostro” campo imperialista è il primo dovere di ogni avanguardia, a maggior ragione di ogni comunista.


LA CINA E IL DEBITO ESTERO AFRICANO DI FRONTE ALLA PANDEMIA

Questo non significa affatto beatificare gli imperialismi rivali, presentandoli come alfieri del progresso o addirittura come “socialisti”. Una rappresentazione, questa, sponsorizzata da organizzazioni campiste che civettano con ambienti nazionalisti e cercano il loro plauso (come il PC di Rizzo, recentemente convertitosi alla Cina). Sono rappresentazioni grottesche prive di ogni rapporto con la realtà, e soprattutto con i principi di classe più elementari, quelli che muovono sempre dall'interesse del movimento operaio e delle masse oppresse del mondo. Se l'imperialismo USA è storicamente il loro principale oppressore, possiamo ignorare oggi il volto imperialistico della Cina?

Africa 2020. Un continente oggi minacciato dalla pandemia e colpito dalla recessione, la prima in un quarto di secolo. Il debito pubblico degli stati africani verso i paesi imperialisti ammonta complessivamente a 540 miliardi di dollari. Una cifra stratosferica per il continente, tanto più considerando gli altissimi tassi d'interesse sul debito, sino al 15%. Roba da usura, al punto che il grosso delle risorse oggi spese dagli stati africani è riservato al pagamento del debito e dei relativi interessi: ciò che falcidia gli investimenti sociali in sanità, istruzione, servizi. Se la pandemia minaccia un macello in Africa è anche per le conseguenze sociali della politica di rapina degli imperialismi.

Una coalizione di stati africani ha oggi formalmente chiesto presso il Fondo Monetario Internazionale la cancellazione del debito estero. Una rivendicazione progressiva, anche se negoziale. Una rivendicazione inedita sospinta dall'emergenza sanitaria. Qual è il punto? Il punto è che è la Cina il principale detentore del debito pubblico africano, per la cifra di 145 miliardi di dollari. E cinesi sono i tassi di interesse più alti. Non a caso è stata finora la Cina il paese più resistente alla richiesta di cancellazione del debito dell'Africa. La Francia ad esempio si copre dietro la Cina per chiedere la semplice sospensione temporanea del pagamento del debito africano, rifiutando la sua cancellazione. Naturalmente non è escluso che nella partita apertasi con gli USA l'imperialismo cinese decida di allentare il cappio al collo del debito africano per consolidare politicamente la propria area di influenza. Ma l'usuraio resterebbe tale anche se fosse indotto a una magnanimità interessata, perché la stessa magnanimità sarebbe funzionale alla continuità del dominio.

Questa politica ha una sua base materiale: diecimila aziende cinesi in Africa, al 90% private, concentrate nell'accaparramento delle materie prime e nello sfruttamento di manodopera a basso costo. Non senza l'importazione in Cina di centinaia di migliaia di lavoratori africani, oggetto in qualche caso di reazioni xenofobe perché accusati di aver portato il virus (come recentemente nella città cinese di Guangzhou).

Tutto il mondo è capitale, come abbiamo detto più volte. Anche in Cina, anche in Africa.
Nella lotta contro l'imperialismo di casa nostra non abbelliremo mai l'imperialismo altrui. Perché l'unica alternativa la può costruire la classe operaia di tutti i continenti nella prospettiva di un altro ordine del mondo. Che o sarà socialista o non sarà.

Partito Comunista dei Lavoratori

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