Contro corteo antifascista sabato 3 novembre da Campo San
Giacomo h 15:00
Sabato 3
novembre un corteo antifascista si svilupperà lungo le strade triestine in
risposta alla manifestazione di CasaPound.
Cent’anni
dopo la conquista di Trieste da parte del regno italico borghese, alla vigilia
dei festeggiamenti istituzionali che ricordano l’entrata in vigore
dell’armistizio di Villa Giusti e che vedranno per l’occasione la presenza di
Mattarella nel capoluogo regionale, i neofascisti, sfilando per le vie centrali
della città ottengono simbolicamente l’ouverture delle celebrazioni.
La marcia
casapoundista potrà così dispiegare tutti gli afflati nazionalisti e
irredentisti che volteggiano nei meandri mefitici degli ambienti reazionari
caratterizzandosi così come una sorta di cappello introduttivo alle
celebrazioni del 4 novembre.
L’esaltazione
interventista della guerra imperialista del ’15-’18 si combinerà con la
rivendicazione dell’italianità delle terre istro-dalmate assegnate all’allora
Jugoslavia rivoluzionaria dal trattato di Parigi dopo la sconfitta del fascismo
nel ’45. Ed infatti i neofascisti hanno già annunciato la traduzione operativa
di questa rivendicazione ideale: l’organizzazione di un concerto
dichiaratamente irredentista a Rijeka (Fiume) come proseguimento del corteo di
sabato.
IL FASCISMO
E TRIESTE
Al macello
proletario e contadino causato dalla prima deflagrazione mondiale delle
contraddizioni interimperialistiche, nelle terre friulano-giuliane,
multilinguistiche e multinazionali, si sono aggiunte la distruzione di interi
paesi e lo sfollamento forzoso di intere popolazioni. Questi fatti hanno
rafforzato l’odio popolare verso le classi dominanti per una guerra subita e
che ha deciso la collocazione politica dei popoli al tavolino dei potenti.
Ancora di più se si pensa alle concessioni che il governo imperiale austriaco
era disposto a fare ancora nel maggio 1915 pur di garantirsi la neutralità
dell’Italia: cessione del trentino, del gradiscano e del cormonese ed
elevazione di Trieste a “città libera”. Ma la prima guerra mondiale, con i suoi
sovrapprofitti, era l’occasione che permise al capitale finanziario italiano di
consolidarsi: dall’ascesa del gruppo Fiat all’ascesa della Banca d’Italia da
istituto privato a banca centrale pubblica. Inoltre il crollo dell’esercito
austro-ungarico permise al governo imperialista italiano, con le truppe
operative già pronte in loco, l’annessione dei territori occidentali della
Slovenia in esecuzione (ma andando anche oltre) del patto di Londra.
Terra
nazionalmente composita, senza soluzione di continuità nei confini naturali,
con la presenza di un forte movimento socialista prodotto da una classe operaia
e contadina multinazionali, il litorale orientale fu teatro fin dal 1919 del
aspetto più aggressivo del fascismo come corollario dell’omogeneizzazione
forzosa italiana operata dalle autorità civili subentrate a quelle militari
nell’amministrazione delle “terre redente”. A Trieste si sviluppò per primo lo squadrismo
urbano. Episodi salienti dell’inizio del fascismo triestino furono l’incendio
dell’Hotel Balkan del 13 luglio 1920, centro culturale della comunità di lingua
slovena e, sempre nello stesso anno, la devastazione della sede del quotidiano
locale socialista Il Lavoratore il 14 ottobre. Successivamente si aggiungeranno
le pesanti conseguenze delle leggi razziali sulla folta comunità ebraica
triestina.
Dopo l’8
settembre ’43 Trieste divenne la capitale della zona di operazioni Adriatisches
Küstenland, territorio giuridicamente annesso al Terzo Reich e l’apparato
politico-amministrativo fascista fu inglobato direttamente nel dispositivo
repressivo dell’occupazione nazista. Luoghi sinistri della repressione della
resistenza a Trieste come la sede dell’Ispettorato Speciale per la
Venezia-Giulia in via Bellosguardo - denominata “Villa triste” per le torture
inflitte agli antifascisti - o il campo di sterminio della Risiera di San Sabba
sono diventati simboli esemplari di repressione nazifascista nell’immaginario
di ogni memoria resistente.
E
nell’immediato secondo dopoguerra ancora è Trieste a diventare l’epicentro
della strategia irredentista del governo democristiano contro gli effetti del
trattato di Parigi del febbraio 1947, con la gestione politica dei flussi degli
esuli optanti provenienti dall’Istria, Dalmazia e Fiume anche come bonifica
nazionale della città al fine di ridurre il peso dell’elemento sloveno, con la
protezione agli scampati fascisti responsabili di crimini di guerra in
Jugoslavia, con la creazione del martirologio italico degli “infoibamenti” da
parte dei barbari “slavocomunisti” attingendo cifre e resoconti direttamente
dall’ufficio propaganda della X Mas in Istria alcuni dirigenti del quale, nel
1946, furono impiegati dalla Croce Rossa Internazionale (con beneplacito del
governo della coalizione del CLN) per curare gli archivi dei dispersi. E’ per
opera di un deputato triestino ex missino che nasce la legge istitutiva del
“Giorno del Ricordo”, non a caso divenuto un viatico per un medaglificio
fascista anche in forza alla “conciliazione nazionale” santificata dall’asse
Violante-Fini. E ancora Trieste, per la sua posizione geo-politica, fu crocevia
di attività connesse con la strategia della tensione, che vanno dalla presenza
di Ordine Nuovo e l’attentato dimostrativo ad una scuola slovena nell’ottobre
’69 al dirottamento del Fokker presso l’aereoporto regionale di Ronchi dei
Legionari nel 1972 da parte dell’ordinovista Ivano Boccaccio, evento legato
all’attentato di Peteano e che si incrocia con la vicenda Gladio e i suoi
depositi nascosti nel Friuli Venezia-Giulia.
La marcia di
Casapound, nell’epoca attuale, si inserisce nel periodo reazionario del governo
giallo-verde che a Trieste trova interpreti “creativi” nella giunta del sindaco
Dipiazza, autentico rappresentante della borghesia più retriva, a partire dal
suo vice, il leghista Paolo Polidori, utilizzato come punta di lancia nella
canea anti-immigrati quale arma di distrazione di massa e di educazione
politica nazional-corporativa; cioè quell’educazione ideologica interclassista
dell’“azienda Italia”, del “tutti uniti dietro alla classe capitalista per
tenere botta nell’economia mondiale”.
Emblematici
gli episodi del saluto fascista di Dipiazza nel comizio elettorale di Forza Nuova
lo scorso marzo; i rastrellamenti dei migranti presenti sulle Rive da parte di
Polidori; il consigliere comunale di FN Fabio Tuiach, di maggioranza, che
schernisce Stefano Cucchi nel giorno della confessione ufficiale del suo
omicidio; l’avversione della giunta comunale verso la mostra sulle leggi
razziali del ’38 allestita da studenti; la campagna Lega-FN contro l’educazione
al riconoscimento del pluralismo sessuale nelle scuole. Ma la peristalsi
reazionaria della giunta Dipiazza trova diretta continuità nel governo
regionale del leghista Fedriga, nella sua militarizzazione dei confini, nel
taglio dei finanziamenti per i progetti di accoglienza ed integrazione,
nell’assunzione in sede regionale del modello di quote di apartheid scolastico
varato dalla leghista Cisint, sindaca di Monfalcone, per le scuole
dell’infanzia.
In questo
quadro si inserisce la legittimazione istituzionale della marcia casapoundista.
IL FRONTE
ANTIFASCISTA
La
tradizione antifascista triestina ha prodotto la costituzione della rete
Trieste antifascista-antirazzista che ha organizzato il controcorteo che
partirà da Campo San Giacomo lo stesso giorno del corteo neofascista. Questo
raggruppamento ampio promosso inizialmente da ambienti scolastici (UDS, Cobas
Scuola, FLC-CGIL) ha permesso di avviare un processo mobilitante che ha
travalicato i confini statali.
Ma più in
generale, nella risposta all’attività neofascista e alla sua raggiunta
agibilità istituzionale, si impone una riflessione profonda sulla struttura
materialistica dei rapporti sociali (cioè a partire da quelli economici) e
della loro natura classista. E da questa impostazione ricavare, oggettivamente,
la determinazione di quel blocco sociale che, per sua stessa natura, è
portatore dell’eradicazione delle basi materiali del fenomeno fascista: un
blocco sociale anticapitalistico strutturato attorno alla classe operaia e
lavoratrice (a partire dalla classe operaia della grande produzione).
La fiducia
riposta sulla prefettura di proibire il corteo casapoundista, richiesta
derubricata poi nella speranza (altrettanto disattesa) di impedire ai fascisti
l’accesso alle vie centrali, rappresenta un po’ lo specchio della questione.
L’arco
dell’opposizione antifascista si dispiega oggi dalle posizioni della borghesia
liberale che informa la politica del PD - sul cui ruolo e responsabilità dello
stato di cose presenti non c’è bisogno di aggiungere nulla - agli idealismi
della democrazia piccolo-borghese (Anpi, intellettualità di ambiti accademici e
scolastici, LeU) e delle illusioni riformiste-socialdemocratiche vecchie e
nuove (CGIL, PRC, PaP, parte dei sindacati di base, realtà associative e di
movimento ecc.).
Per
acquisire quel necessario salto qualitativo politico e organizzativo per
contrastare lo sfondamento di massa di orientamenti reazionari e neofascisti,
bisogna avere chiari alcuni aspetti.
Le
organizzazioni fasciste sono il reparto avanzato della borghesia per la sua
guerra civile al movimento organizzato dei lavoratori e a tutte le resistenze
popolari alla politica del capitale.
Per tale
motivo di fondo, materialistico, anche in periodi avidi di grandi lotte di
massa non ci può essere una contrapposizione totale e durevole tra la forma di
difesa statale dell’ordinamento sociale capitalistico (“democratica”) e le
propaggini dell’attività di gruppi fascisti, specie se è possibile far digerire
nella legalità democratica (borghese) tali attività. Oggi i gruppi fascisti
stanno già avviandosi al salto di qualità della loro ragion d’essere: da
strumento armato della canea anti-immigrati (funzionale a dividere la
forza-lavoro e sviare il campo popolare verso un’impostazione nazionalista) a
dispositivo per gli assalti diretti contro sedi sindacali e picchetti di
sciopero. Occorre rilanciare l’idea della democrazia proletaria come
contro-potere politico al governo economico e statale della borghesia, per
promuovere una piattaforma generale, unificante, di classe, partendo dalla
costruzione (e loro progressivo raggruppamento) di organismi autorganizzati
funzionali alle resistenze sociali sul posto di lavoro e sul territorio. In
piena rottura con la partitocrazia della governabilità capitalistica. Ricorrere
allo sciopero anche nella battaglia antifascista. Organizzare sul piano
politico e sindacale le popolazioni migranti. Affrontare seriamente la
questione dell’autodifesa dei cortei antifascisti e più in generale
l’autodifesa popolare dal consolidamento organizzativo dello squadrismo. Ridare
base operaia e popolare (cioè antiborghese) all’antifascismo.
Bisogna
avere le idee chiare sin da ora che, in caso di sviluppo di una lotta di classe
capace di mettere a rischio il blocco corporativo nazional-economico, che è la base
dell’attuale governabilità dell’accumulazione capitalista, e tanto più a fronte
della persistenza della crisi da sovrapproduzione, il ricorso della classe
dominante ad un utilizzo più sistematico di strutture fasciste sarebbe
inevitabile.
Partito Comunista dei Lavoratori -
nucleo isontino