POST IN EVIDENZA

venerdì 30 novembre 2018

MANIFESTAZIONE REGIONALE CONTRO IL CPR DI VIA CORELLI ED IL DECRETO SICUREZZA

Sabato, 1 Dicembre 2018 alle ore 14,30 - Milano Piazzale Piola (M2 Piola - filobus 90-91 bus 62) Milano



Il Pcl Lombardo aderisce alla manifestazione ed invita i propri iscritti e simpatizzanti a partecipare. L'appuntamento è a partire dalle 14,30 in piazzale Piola angolo via Pacini.

giovedì 29 novembre 2018

ALLA RADICE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE



Dopo il 25 Novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, il governo ha approvato il DDL “Codice Rosso “, una corsia preferenziale per le denunce, indagini più rapide sui casi di violenza alle donne e l'obbligo per i pm di ascoltare le vittime entro tre giorni. 
Se da un lato, molti identificano la donna come soggetto intrinsecamente fragile, dall'altro, all'interno di questa cornice, bisogna anche smascherare la natura di classe che risiede alla radice della violenza sulle donne.
La prima violenza subita dalla donna nel sistema capitalista risponde alla subordinazione sociale cui è da sempre sottoposta: il lavoro precario e sottopagato, l'insicurezza di un orario di lavoro stabile, la cura dei figli, del marito magari disoccupato, degli anziani della famiglia che non avendo una copertura previdenziale colpiscono duplicemente la donna, sfruttata sul lavoro da un lato e costretta ad occuparsi alle mancanze dello Stato sociale dall’altro.
il capitalismo, in questa fase del suo sviluppo, ha spinto la donna sfruttata sotto il giogo dell'oppressione patriarcale, individuando in quest’ultimo come un valido alleato allo sfruttamento dell'intera classe lavoratrice.
La violenza di genere, come ogni prodotto del capitalismo, potrà essere estirpata attraverso una nuova organizzazione, dove le donne e gli uomini saranno nelle medesime condizioni,  con l'unità di classe, per la costruzione di una società dove lavoratrici, lavoratori e la maggioranza della società, hanno diritto a decidere del proprio futuro, senza doversi affidare a sfruttatori, speculatori, parassiti.
Un governo dei lavoratori e delle lavoratrici è l'unico governo che può garantire queste condizioni. Per questo è l'unica vera alternativa.


PCL Pavia

mercoledì 28 novembre 2018

IL PASSO DEL GAMBERO DEL GOVERNO TRUFFA



Il 27 settembre, esattamente due mesi fa, il vicepremier Luigi Di Maio annunciava l'«abolizione della povertà» dai balconi di Palazzo Chigi, mentre il suo sodale-concorrente Matteo Salvini prometteva l'abolizione della Legge Fornero, opponendo alla UE il fatidico, e già sentito, “me ne frego”.

Due mesi dopo, il contrordine. Dopo la bocciatura della Commissione Europea, dopo l'impennata dei tassi di interesse sui titoli di Stato combinata con la diserzione delle aste, dopo le pressioni del capitale finanziario e di Confindustria, il governo SalviMaio pone all'ordine del giorno la “rimodulazione” della manovra economica. Il termine è aulico, la sostanza inequivoca: "quota 100" e reddito di cittadinanza saranno entrambe oggetto di revisione.
Intendiamoci, né la Lega né il M5S possono ammainare di colpo le rispettive bandiere, tanto più alla vigilia delle elezioni europee. La confezione d'immagine sarà dunque il più possibile salvaguardata. Ma sotto la confezione, il contenuto della merce sarà ulteriormente svuotato e impoverito, nella direzione richiesta dal capitale finanziario. Il gambero allunga il suo passo, naturalmente all'indietro.


C'ERA UNA VOLTA L'ABOLIZIONE DELLA FORNERO

L'abolizione della famigerata legge Fornero è durata solamente per la campagna elettorale. Già il contratto di governo trasformava l'abolizione della Fornero in "quota 100" (somma dell'età anagrafica e contributiva). Poi la stessa “quota 100” ha visto l'introduzione del vincolo dei 38 anni di contributi, ciò che inevitabilmente alza la quota richiesta per centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici, con una forte penalizzazione delle donne; e inoltre comporta un'inevitabile riduzione dell'assegno, per via dei minori contributi, per tutti coloro che andranno in pensione anticipatamente rispetto ai 67 anni (il tetto della pensione di vecchiaia stabilito dalla Fornero che resta intatto).

Ora il nuovo negoziato con la Commissione Europea trascina una nuova corsa al ribasso. Da un lato si rinvia l'entrata in vigore della riforma e si dilatano i tempi di accesso al pensionamento (le cosiddette finestre, tre mesi nel settore privato, sei nel settore pubblico) con l'obiettivo dichiarato di ridurre la spesa. Dall'altro, si mira a ridurre ulteriormente la platea degli interessati, allungando sino a cinque anni il divieto di cumulo con altre fonti di reddito. Lo scopo complessivo dell'operazione è rivelato dal quotidiano di Confindustria: «traghettare da quota 100 ai 41 anni per tutti per il 2023, quando oltre il 65% dei nuovi pensionati avranno un calcolo misto (retributivo più contributivo) e il coefficiente di trasformazione del montante in pensione a 62 anni sarà più penalizzante rendendo naturale il contenimento delle future uscite» (27 novembre). Detto in linguaggio più semplice, si punta a ridurre il ricorso alla pensione anticipata attraverso la deterrenza della “naturale” riduzione degli assegni. In altri termini, una riforma che doveva “abolire” la Fornero punta a spingere i lavoratori il più possibile a “scegliere” di andare in pensione all'età di vecchiaia prevista dalla Fornero. Mentre, in ogni caso, i giovani d'oggi restano condannati dalla riforma a un immutato destino: chi mai maturerà 38 anni di contributi, col precariato dilagante, e a quanto ammonterà una futura pensione interamente contributiva?


SI CHIAMAVA REDDITO DI CITTADINANZA

Non va diversamente col cosiddetto reddito di cittadinanza.

Nel 2013 il M5S presentava una proposta di legge che prevedeva di stanziare 17 miliardi l'anno a favore di 9 milioni di poveri, attraverso un reddito minimo di 780 euro al mese. Il famoso contratto di governo recepiva questa proposta di legge, aggiungendovi la pensione di cittadinanza per i pensionati poveri.
Poi il disegno di legge di bilancio presentato dal governo, ed oggi all'esame della Camera, ha dimezzato al piede di partenza la proposta di legge originaria: i fondi stanziati passano da 17 a 9 miliardi, la platea dei destinatari passa da 9 milioni a 5 milioni. Più precisamente, in base all'indicatore della ricchezza familiare (Isee), assunto come parametro di riferimento della povertà assoluta, si tratterebbe di 1.800.000 famiglie cui destinare mediamente 370 euro al mese.
La riduzione di cifra e platea si è combinata non a caso con una progressiva moltiplicazione di vincoli: obbligo di otto ore settimanali di lavoro gratuito presso il comune, obbligo di partecipazione a corsi di formazione, obbligo di accettazione, entro il limite di tre, delle offerte di lavoro (anche precarie, e dalla seconda offerta senza limiti distanza geografica dalla residenza), esclusione degli stranieri con meno di cinque anni di residenza. Di fatto, un incentivo al lavoro precario, nella logica della concorrenza al ribasso dei salari.

Ora il negoziato con la UE, combinato con le pressioni di Lega e Confindustria, comporta un ulteriore passo indietro. Da un lato si sposta in avanti la data di partenza del reddito (di tre mesi, probabilmente) e si parla di una sua durata sperimentale di 18 mensilità. Dall'altro, si trasforma il reddito in un incentivo per l'impresa o per l'agenzia interinale che assume il disoccupato: tre mensilità intascate dall'impresa o dall'agenzia (Di Maio), o addirittura l'intera corresponsione all'impresa dei sussidi previsti (proposta di Armando Siri, Lega). Così, dopo i 18 miliardi di sgravi contributivi regalati da Renzi per tre anni alle imprese, queste verrebbero a intascare in tutto o in parte la posta equivalente del reddito “di cittadinanza”. È l'ennesima forma di assistenza alle imprese nel nome della lotta alla povertà. Il Sole 24 Ore del 27 marzo plaude alla nuova offerta: “Reddito di cittadinanza, sgravi alle aziende”, titola festoso. Così il presidente di 4.Manager Stefano Cuzzilla: «Se confermato è un cambio di passo positivo a favore delle politiche attive che auspichiamo siano ulteriormente incentivate». I padroni sentono l'inconfondibile profumo dei soldi, e non si sbagliano.


UN GOVERNO DEI CAPITALISTI COL CONSENSO (SINORA) DELLE LORO VITTIME

Vedremo in corso d'opera lo sbocco del negoziato con la Commissione Europea e all'interno dello stesso governo. Ma la direzione di marcia è tracciata. Il “governo del cambiamento” è la finzione scenica di un governo truffa. Si cambia tutto per non cambiare nulla. Si continua a detassare le imprese, mentre i salariati reggono sulle proprie spalle l'80% del carico fiscale. Si continua a pagare il debito pubblico alle banche, con tassi di interesse oltretutto in crescita, riducendo a elemosina le concessioni sociali.
Siamo in presenza di un governo dei capitalisti con sembianze mutate. Un governo che continua a ingrassare i padroni col consenso (sinora) delle sue vittime. Fino a quando?


Partito Comunista dei Lavoratori

domenica 25 novembre 2018

SOLIDARIETÀ A RI-MAFLOW E AL COMPAGNO MASSIMO LETTIERI

Ordine del giorno del Comitato Centrale del PCL





Il Comitato Centrale del Partito Comunista dei Lavoratori esprime la totale solidarietà ai compagni dell'occupazione dello stabile dell'ex fabbrica metalmeccanica Maflow, di Trezzano sul Naviglio.
Se lo Stato e la magistratura hanno messo in mostra fin da subito la propria sudditanza alle logiche del mercato e agli interessi del capitale, opponendo ogni sorta di ostacolo possibile al progetto e allo sforzo dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolte, fino all'arresto vessatorio del presidente della neonata cooperativa Massimo Lettieri – cui va tutta la nostra solidarietà e vicinanza, oggi questo attacco viene spinto fino alla minaccia di sgombero dello stabile in data 28 novembre 2018.
Il Comitato Centrale del PCL si impegna a sostenere attivamente la resistenza allo sgombero e ribadisce la propria solidarietà all'occupazione e al compagno Massimo Lettieri, così come a tutte le altre occupazioni e resistenze alle dismissioni industriali. Invitiamo a sostenere economicamente l'attività colpita dalle misure giudiziarie finalizzate a stroncare gli sforzi dei lavoratori e delle lavoratrici.
Vengano processati ed arrestati i padroni, che hanno delocalizzato e costretto alla fame e all'occupazione i lavoratori e le lavoratrici, requisendo loro proprietà e beni al fine di finanziare la ripresa di un'attività produttiva.
Venga nazionalizzato sotto il controllo dei lavoratori e delle lavoratrici tutto il progetto, al fine di regolarizzare e fornire dei finanziamenti e permessi necessari l'attività lavorativa.
Venga immediatamente liberato e vengano fatte decadere immediatamente tutte le accuse nei confronti del compagno Massimo Lettieri.

Partito Comunista dei Lavoratori

venerdì 23 novembre 2018

NESSUNO SI ASPETTAVA L'INQUISIZIONE SPAGNOLA! IL 24 NOVEMBRE TUTTE E TUTTI IN PIAZZA!



Testo del volantino che verrà distribuito al corteo di Non Una di Meno
Nessuno si aspettava l'inquisizione spagnola. Eppure le politiche clericali, familiste e discriminatorie del governo giallo-verde nei confronti delle donne, dei minori, così come delle persone LGBT evidenziano il trionfo del peggior oscurantismo religioso.
Dall'attacco alla salute sessuale delle donne e alla 194 alla nuova santificazione della famiglia patriarcale e nazionalpopolare attraverso i “premi di maternità” dal retrogusto fascista, passando per la delegittimazione dei centri antiviolenza e dei consultori, ma anche attraverso il Disegno di legge Pillon, che concepisce i figli come “proprietà” dei genitori e non come soggetti di diritto, e che castiga le donne che vogliono abbandonare i (tanti) mariti violenti o comunque le scoraggia – anche attraverso il ricatto economico – dal desiderio di iniziare una nuova vita, rendendo l'esperienza della separazione e del divorzio macchinosa, economicamente dispendiosa e dolorosa.

Dopo anni di denunce e battaglie per far emergere la realtà della violenza domestica, e dopo altrettante mobilitazioni portate avanti per costruire gli strumenti di difesa e di autonomia delle donne e dei minori, è evidente che la politica del governo giallo-verde è quella di spazzare via le conquiste del movimento femminista e di far tornare a essere la violenza maschile sulle donne e sui figli un affare privato, di cui non si deve parlare, non si deve sapere, e che comunque non può divenire un “pretesto” per mettere in discussione l'istituto familiare e la subalternità femminile alla famiglia.

Questo perché la sacra famiglia è innanzitutto un supplente di quel welfare che lo Stato non intende più garantire alle classi popolari e lavoratrici per poter abbassare le tasse ai capitalisti e pagare il debito delle banche, ma è anche il terreno della costruzione dell'egemonia della Chiesa cattolica, ossia della più grande monarchia assoluta esistente al mondo, corresponsabile di genocidi nella lunga storia dell'umanità, alleata dei regimi fascisti (da Mussolini a Franco a Pinochet), coinvolta su scala planetaria nella pratica o copertura della pedofilia criminale sino alle più alte sfere; quella che ha il coraggio di chiamare assassine le donne che interrompono la propria gravidanza, e sicari i medici che le aiutano.

Le sfide che hanno di fronte a sé le donne e tutti i soggetti oppressi della società sono grandi. Per questo è necessaria la costruzione di un fronte vasto che unifichi il movimento delle donne, la rete dei centri antiviolenza, tutte le associazioni democratiche e antifasciste, le organizzazioni dei lavoratori e delle lavoratrici per costruire un'opposizione a questo governo e alle sue politiche reazionarie.
Ma è anche necessario prendere atto che non ci sarà alcuna liberazione delle donne che non preveda la messa in discussione dei privilegi politici ed economici della Chiesa cattolica in Italia come nel mondo: per questo rivendichiamo l’abolizione unilaterale del Concordato fra Vaticano e Stato, l’esproprio senza indennizzo di tutte le grandi proprietà immobiliari ecclesiastiche, e in definitiva l’abolizione di tutti i privilegi fiscali, giuridici, normativi, assicurati alla Chiesa cattolica, a partire dalla truffa dell’8 per mille e dall’insegnamento religioso confessionale nella scuola pubblica.


Partito comunista dei lavoratori - sezione di Roma

mercoledì 21 novembre 2018

I DELITTI CONTRO I LAVORATORI CONTINUANO A RESTARE IMPUNITI



I governi cambiano e si susseguono, ma gli operai continuano a essere sfruttati e a morire come prima, più di prima, perché nella democrazia borghese, sono solo forza lavoro da usare quando l'industria tira e da licenziare quando non servono più a valorizzare il capitale.
Pur di aumentare i profitti, i padroni risparmiano anche i pochi centesimi sulle misure di sicurezza, sostenuti in questo da leggi che tutelano la proprietà privata dei mezzi di produzione. Anche nei pochi casi in cui sono inquisiti, se la cavano monetizzando la morte, la salute e la vita umana degli sfruttati.
In ogni caso, i loro delitti contro i lavoratori continuano a restare impuniti.
Le vittime del profitto e della brutalità del sistema capitalista sono considerati incidenti di percorso, danni ed effetti collaterali considerati "normali" al di sotto di una certa soglia. I padroni e i mass-media da loro controllati chiamano i morti sul lavoro "morti bianche", come se i lavoratori  fossero morti per caso, cioè alla disattenzione degli operai stessi.
Ogni anno oltre mille persone muoiono sul posto di lavoro, altre decine di migliaia per malattie professionali, più di 4mila solo per malattie legate all'amianto.
Tuttavia se i morti per malattia professionale sono invisibili agli occhi della popolazione, quelli sul lavoro generano comunque un moto di indignazione, rabbia e, raramente,  mobilitazione nelle fabbriche, nei cantieri, nelle campagne, nei luoghi di lavoro.
Lo stesso non avviene per tutti i morti causati dal profitto.
Per esempio con la privatizzazione di una serie di servizi, primi fra tutti la sanità, la salute  della popolazione più povera è molto diminuita in quanto impossibilitata a curarsi al di là delle chiacchiere dei governi che, oltretutto,  hanno aumentato l'età pensionabile cianciando di un'aumentata aspettativa di vita.
Tutto questo avviene senza alcuna reazione perché questi morti nessuno li vede.
I morti per il profitto non sono il frutto di una disgrazia ma una scelta cosciente del capitalismo.
Certo non possiamo aspettare che il capitalismo crolli da solo. Dobbiamo creare pratiche unitarie di lotta su tematiche e obiettivi anticapitalisti rimettendo al centro il soggetto rivoluzionario, il proletariato.
Solo un'azione di lotta generale può unire gli sfruttati, aprire dal basso una pagina nuova.
Non serve a nulla cambiare l'amministratore delegato del capitale, illudendosi ogni volta che possa difendere il lavoro. E' necessaria un'altra società, libera dai padroni e dallo sfruttamento, dove siano finalmente i lavoratori a comandare.


PCL Pavia 

venerdì 16 novembre 2018

DISTINGUERE TRA BIECA PROPAGANDA E REALTÀ


Il governo Lega e M5S, una volta al potere, ha tolto giù la maschera e si rimangia tutte le promesse della campagna elettorale trovando una giustificazione per tutto pur di non perdere il consenso dell'elettorato. 

La caratteristica di questo governo populista, repressivo, oppressivo, di attacco all'emancipazione femminile e ai diritti civili è quella di strumentalizzare le percezioni delle persone impaurite, farle proprie e trasformarle in misure reazionarie.

Il governo giallo/verde porta avanti una visione e una politica nazionalista per affermare una supremazia nazionale contro ogni ipotesi di solidarietà tra popoli. Si propongono ai capitalisti come quelli capaci di superare le contraddizioni con l'uso della forza, del bastone, senza mediazioni con il movimento operaio per garantire il sistema capitalista. 
Il decreto sicurezza, per esempio, non è rivolto solo contro gli stranieri, che comunque hanno la peggio, ma intende colpire le lotte con eventuali blocchi stradali e ferroviari di studenti, dei senza casa e degli operai che riiniziano a dare segnali di insofferenza allo stato di cose presenti.
Fabbriche in mano agli stranieri che chiudono, imprese italiane che delocalizzano alla ricerca di sempre maggiori profitti. Le cose certe sono quelle che abbiamo visto con il cedimento sulle necessità del capitale con l'Ilva di Taranto, il gasdotto Tap pugliese e con la riattivazione dei voucher. Altro che governo del cambiamento! 

Lega e M5S proseguono la linea salva banche e dei condoni, dei loro predecessori. Lasciano campo libero alle formazioni fasciste, più che mai funzionali al sistema, alla repressione e allo spargimento della paura. 

Dall'altra parte il PD, dopo la sua fallimentare politica riformista che ha spianato la strada alla deriva populista, è passato ad una sorta di "opposizione",  insieme a Forza Italia, entrambi concentrati sulla propria “conservazione”. 

Occorre, dunque, distinguere tra bieca propaganda e realtà e, di conseguenza, mobilitarsi e organizzarsi per respingere le misure contro il movimento operaio e la parte più debole e sfruttata che devono essere il perno della difesa dei propri interessi di classe nella prospettiva di una società socialista che pensi veramente ai bisogni della maggioranza.

PCL sezione di Pavia

giovedì 15 novembre 2018

16 NOVEMBRE: SECONDA MOBILITAZIONE STUDENTESCA

Da Milano (Largo Cairoli h9) a Roma, da Torino a Venezia, da Firenze a Cagliari, da Bologna a Messina



La scuola e i problemi degli studenti sono ai margini del dibattito pubblico, sommersi da una campagna elettorale infinita che da mesi riempie le pagine dei giornali, pianificando la maggior confusione possibile attorno ad ogni tema. Eppure sono sempre più evidenti le contraddizioni di un'istruzione classista e piegata al profitto.

Dietro alla propaganda asfissiante c'è la realtà delle scelte politiche, quelle che contano davvero per la condizione degli studenti. Il capitolo dedicato all'istruzione nella nota di aggiornamento al DEF mette nero su bianco la continuità rispetto alle politiche sull'istruzione dei precedenti governi. Nessun intervento concreto sulle questioni che gli studenti vivono ogni giorno, dalle barriere economiche per un accesso reale al diritto allo studio alla sicurezza dell'edilizia scolastica. Non a caso i pilastri della Buona Scuola non vengono messi in discussione, anzi il governo ha avuto la massima cura nel rassicurare l'UE garantendo il rispetto degli obiettivi europei sulla scuola.

Se il comportamento di un governo si misura con le leggi e i provvedimenti, questa è la realtà che smonta tutte le menzogne della propaganda. Il cambiamento deve passare dalla messa in discussione della scuola di classe voluta dai padroni e dall'Unione Europea e costruita dai governi. Senza un'inversione di rotta ci sono soltanto prese in giro per gli studenti e misure peggiorative.

Domani, 16 novembre, tornano nelle piazze di tutta Italia per dare forza alla protesta mostrando la realtà che vivono ogni giorno, fatta di sfruttamento in alternanza, scuole che crollano e costi altissimi per studiare.
Una protesta per un'istruzione diversa che sia modellata sui reali bisogni dei giovani, una protesta per togliere la maschera a un governo che finge di cambiare e lascia tutto come prima.

PCL sezione di Pavia

mercoledì 14 novembre 2018

LE RUSPE A CINQUE STELLE DI SALVINI



Il ministro degli Interni e la sindaca di Roma si disputano il controllo dell'Urbe ma si accordano contro i migranti. Le ruspe di questa mattina contro il Baobab di Roma, con centinaia di migranti gettati su una strada, hanno avuto l'imprimatur di entrambi. “Nessuno spazio di illegalità sarà più tollerato”, ha tuonato via facebook il ruspante Matteo Salvini. Una concezione della legalità a proprio uso e consumo. I suoi amici fascisti di CasaPound, sostenitori dichiarati del suo governo, possono tranquillamente continuare ad occupare interi palazzi nel centro di Roma a due passi da stazione Termini, ma gli immigrati non possono disporre neppure di tende di fortuna. Neppure gli immigrati “regolari”, già coperti dalla protezione umanitaria, che ora il Decreto sicurezza espelle dagli SPRAR, e che avevano trovato in questi giorni un rifugio proprio presso il Baobab. Tutti in strada, si arrangi chi può, nel nome della legge e dell'ordine. Lo stesso ordine che offre condoni su condoni ai grandi evasori fiscali; lo stesso che benedice il licenziamento di una lavoratrice Ikea, dopo vent'anni di lavoro, colpevole di aver violato la “disciplina aziendale” per provvedere al proprio figlio disabile.
Quest'ordine non è riformabile. È un mondo capovolto che si appoggia sulla testa. Solo una rivoluzione può rimetterlo in piedi.


Partito Comunista dei Lavoratori

martedì 13 novembre 2018

ALTERNATIVA RIVOLUZIONARIA E DI CLASSE.



Il grande capitale ha bisogno del populismo, specie quello di destra, per impedire che la protesta sociale si rivolga contro il suo sistema e per aggredire la classe operaia.
Anche se non si fa dirigere da esso, il capitale si serve del populismo, gli prepara il terreno, perché ha serie difficoltà a mantenere la sua dittatura con i vecchi metodi, i vecchi partiti, i vecchi uomini.
Si scontra con i dirigenti populisti, piccolo borghesi, quando questi demagoghi vogliono attuare un controllo sulla vita economica, quando si spingono oltre il quadro delle compatibilità espresse dall’oligarchia.
La piccola borghesia populista non può avere una politica indipendente dal capitale e non può risolvere i problemi creati, appunto, dal capitalismo.
Con il populismo al potere lo Stato non perde la sua natura di classe; lo sfruttamento non diminuisce, ma aumenta; la pressione sulla classe operaia cresce senza sosta; le conquiste e i diritti degli operai e delle loro organizzazioni sono un bersaglio costante.
Davanti alla crescita del populismo e del fascismo, il lavoro per lo sviluppo della politica di fronte unico proletario è necessario per opporre alla demagogia populista la propaganda comunista, sviluppata in maniera semplice e comprensibile per gli operai e i giovani proletari, le donne, la povera gente.
L’alternativa da costruire al nazional-populismo è quella rivoluzionaria e di classe.
Ogni passo in avanti in questo senso da forza all’organizzazione della classe operaia, dal suo essere classe indipendente, dal suo costituirsi in Partito distinto e contrapposto a tutti i partiti delle classi proprietarie.


Partito Comunista dei Lavoratori – sezione di Pavia

domenica 11 novembre 2018

ROMA: 10 NOVEMBRE

Intervento del compagno Marco Ferrando, portavoce nazionale del PCL. Contro il governo, per il più ampio fronte unitario di classe e di massa! Contro le frontiere dei capitalisti, per un'alternativa socialista, per il potere dei lavoratori!


 

venerdì 9 novembre 2018

LA CONDIZIONE ODIERNA D'ARRETRATEZZA



Sono passati centouno anni dalla rivoluzione bolscevica e il movimento operaio è ai minimi storici.
In particolare in Italia i dati sulle ultime elezioni politiche ci forniscono un quadro in cui la gran parte delle masse popolari ha votato e continua ad aver fiducia di Lega e Movimento 5 Stelle.
Lo scollamento tra la sinistra partitica e le masse è sempre più evidente, così come è evidente chi, a vario titolo, vorrebbe intestarsi il vuoto politico ed elettorale lasciato a sinistra da un Partito Democratico sempre più debole.
Necessita uno sguardo retrospettivo per imboccare la strada corretta.
Sarebbe il caso di chiedersi dunque: come riuscirono i Bolscevichi a costruire il rapporto con le masse e come le conquistarono?

“…fino a che questo governo sarà sottomesso all'influenza della borghesia, il nostro compito potrà consistere soltanto nello spiegare alle masse in modo paziente, sistematico, perseverante, conforme ai loro bisogni pratici, agli errori della loro tattica. Fino a che saremo in minoranza, svolgeremo un'opera di critica e di spiegazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai Soviet dei deputati operai, perché le masse possano liberarsi dei loro errori sulla base dell'esperienza.”( V. Lenin "Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale (Tesi d'Aprile)". Scritto il 4 e 5 (17 e 18) aprile 1917 Pubblicato il 7 (20) aprile 1917 nella Pravda n° 26)

In queste parole si evidenzia il lavoro politico dei bolscevichi.
Essi non tentarono l'avventura ma si posero da subito la necessità di conquistare la maggioranza della classe operaia, non dicendo ciò che le masse volevano sentirsi dire, ma con un lavoro "paziente" di "spiegazione degli errori".
La posizione espressa dai bolscevichi dunque non aveva nulla di semplice. Partiva da un'analisi che richiedeva la comprensione degli interessi di classe, poneva le classi popolari di fronte ad una grande sfida e non illusero, anzi, mettevano le classi popolari di fronte anche all'ipotesi peggiore.
Questa opera di sincerità fu premiata e, a mano a mano che le parole dei bolscevichi si realizzavano nella realtà, il loro consenso e la loro autorevolezza crebbero.

Nel presente queste riflessioni sono assolutamente attuali.
Le forze politiche che oggi pongono l'obiettivo di attuare delle riforme nell'ambito di questo sistema, soffrono dello stesso offuscamento di prospettiva contro cui tuonava Lenin, poiché non tengono conto dello scontro tra le classi e dei rapporti di forza esistenti.

La condizione odierna d'arretratezza è colpa anche di chi ha abdicato al proprio ruolo d'avanguardia assumendo posizioni riformiste, mischiandosi in ampie coalizioni elettorali alla ricerca di un più ampio consenso seguendo la logica che di fronte ad una condizione arretrata suggerisce "compagni arretriamo".
La storia della Rivoluzione d'Ottobre ci insegna l'esatto contrario. Persino in una situazione rivoluzionaria, quando le masse spingevano verso sinistra, i bolscevichi tennero fede al proprio compito.

Partito Comunista dei Lavoratori
Pavia “sez. “Tiziano Bagarolo”

giovedì 8 novembre 2018

SANTI PRIVILEGI, GOVERNO GENUFLESSO



La Corte di Giustizia Europea ha sentenziato che lo Stato italiano dovrà recuperare enormi arretrati sulla vecchia imposta comunale relativa ai beni ecclesiastici (scuole, cliniche, alberghi, strutture turistiche...). Qualcosa che oscilla tra i 4 e i 5 miliardi.

Si tratta di privilegi scandalosi, garantiti dai famigerati Concordati e soprattutto codificati da tutti i governi capitalistici, gli stessi che in questi decenni hanno imposto ai lavoratori lacrime e sangue con la benedizione del clero. Il governo Amato, nel mentre picconava pensioni e risparmi, decretava l'esenzione fiscale per i beni del clero (1992). Il governo Berlusconi, che tagliava otto miliardi alla scuola pubblica, confermava la loro esenzione totale (2005). Il governo Prodi (Rifondazione Comunista inclusa) sanciva che l'esenzione avrebbe riguardato solo “gli edifici adibiti ad attività non esclusivamente commerciali” (2007), laddove l'avverbio “esclusivamente” serviva alla Chiesa per mantenere l'esenzione per una miriade di proprietà finalizzate al lucro ma provviste di una cappella. Una truffa. Oggi le scuole cattoliche di ogni ordine e grado (8800) che hanno rette inferiori ai settemila euro sono esentate da IMU e TARI. Lo stesso vale per le strutture sanitarie assistenziali cattoliche (ambulatori, ospedali, case di cura...) che sono convenzionate con la struttura sanitaria nazionale. Per non parlare degli alberghi ecclesiastici (uno su quattro a Roma) che al 50% non versano un euro di IMU. Si potrebbe continuare.

E ora? Ora assistiamo all'imbarazzato mutismo di tutti gli attori politici di fronte alla sentenza europea. Per applicare la sentenza della Corte Europea sarebbe necessaria una legge. Ma chi vuole intestarsi questa legge, o anche solo la sua proposta? Nessuno.

I vecchi partiti liberali di centrosinistra e centrodestra, organicamente legati al capitale, e dunque anche al Vaticano, se ne guardano bene. Il loro europeismo si arresta di fronte alla Chiesa. I nuovi partiti borghesi populisti oggi al governo fanno lo stesso. Altro che “governo del cambiamento”! Il M5S ha pubblicamente dichiarato che ha da tempo archiviato la pratica (“se ne occupava in passato il senatore Perilli, che ora non sta trattando alcun provvedimento inerente alla sentenza”). Come dire un conto l'opposizione, un conto il governo. La Lega ha dichiarato che la sentenza europea è un'operazione “contro l'Italia, perché sanno benissimo che non potremo chiedere alla Chiesa quelle cifre”. Del resto, chi poteva attendersi il contrario? Il premier Conte ardente fedele di Padre Pio; Di Maio reverente verso le lacrime di San Gennaro; Salvini impugnatore di crocifissi durante i comizi, potrebbero mai entrare in collisione con la Chiesa? Non si tratta peraltro di convinzioni individuali, religiose o meno. Si tratta dei legami materiali tra il capitale finanziario con cui i partiti borghesi - di ogni colore - governano e il fiorente capitalismo ecclesiastico che del capitale finanziario internazionale è parte integrante e inseparabile.

La sentenza europea può forse servire a Bruxelles nel negoziato in corso col governo italiano sulle politiche di bilancio. Di certo non servirà per incassare i soldi evasi dalla Chiesa.

La verità è che solo la classe lavoratrice può porre nel proprio programma la totale abolizione dei privilegi clericali, perché è l'unica classe che può rovesciare il capitale, e dunque il capitalismo ecclesiastico. Partiti borghesi e populisti stanno tutti dall'altra parte della barricata, compreso il governo “del popolo”, più che mai genuflesso all'Altare.

Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 7 novembre 2018

IL NOSTRO 7 NOVEMBRE



Organizzazioni e partiti che hanno rimosso dal proprio programma la Rivoluzione d'ottobre le riservano generalmente ogni 7 novembre una dedica rituale e retorica spesso infarcita di falsificazioni storiche. Per noi vale esattamente l'opposto. Noi cerchiamo di far vivere la Rivoluzione d'ottobre nella nostra politica di ogni giorno, immettendo la tensione verso il fine in ogni battaglia quotidiana: sul terreno sindacale, femminile, studentesco, antirazzista, antifascista, internazionalista. Perché solo il rovesciamento dello Stato borghese, la conquista proletaria del potere, il governo dei lavoratori e delle lavoratrici, possono dare prospettiva a tutte le rivendicazioni e ragioni delle masse oppresse e sfruttate. Oggi come un secolo fa.

Il 7 novembre non è dunque per noi una memoria ma un programma. È a questo programma che vogliamo riservare una memoria.

È una memoria particolare. Riguarda la pulsione internazionale della rivoluzione bolscevica, il suo concepirsi come inizio della rivoluzione mondiale e in funzione di essa. È questo l'aspetto del bolscevismo che più è stato rimosso. Anche per questo ci pare importante rievocarlo.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Il primo atto dell'insurrezione bolscevica di novembre consistette nell'ordine impartito a tutti i comitati di compagnia e di reggimento e di armata sul fronte russo di dare inizio alla fraternizzazione con i tedeschi, di concludere immediati trattati di armistizio provvisorio con le unità militari schierate sull'altro lato del fronte.

La notte dell'8 novembre, al Congresso dei Soviet, Lenin lesse il decreto per la pace:

«Nell'indirizzare questa proposta di pace ai governi e ai popoli di tutti i paesi belligeranti, il governo operaio e contadino di Russia si rivolge in particolare agli operai coscienti delle tre nazioni più progredite dell'umanità [...]: alll'Inghilterra, alla Francia, alla Germania. Gli operai di questi paesi hanno reso i più grandi servigi alla causa del progresso e del socialismo: il movimento cartista in Inghilterra, le rivoluzioni portate avanti in successione dal proletariato francese, l'eroica lotta in Germania contro le leggi eccezionali antisocialiste e il lavoro lungo e ostinato [...] per la creazione di organizzazioni proletarie. [...] Questi esempi ci danno la garanzia che gli operai di questi paesi comprenderanno il loro compito, che consiste nel liberare l'umanità dagli orrori della guerra. Questi stessi operai ci aiuteranno nella nostra lotta per la pace e per la liberazione di tutte le classi lavoratrici dalla schiavitù e dallo sfruttamento nel mondo intero.»

Parallelamente fu lanciato un appello ai soldati tedeschi, stampato in milioni di copie, e non soltanto fatto passare clandestinamente da una parte all'altra del fronte, ma lanciato dagli aeroplani sul territorio della Germania:

«Soldati, fratelli, il 25 ottobre (secondo il vecchio calendario) gli operai e i soldati di San Pietroburgo hanno rovesciato il governo imperialista di Kerenskij e consegnato tutto il potere nelle mani dei soviet dei delegati degli operai, dei soldati, dei contadini. Il nuovo governo [...] ha avuto la fiducia del Congresso panrusso dei soviet. [...] Il nostro programma [...] comprende un'offerta di pace democratica immediata [...], il passaggio senza indennizzo di tutta la terra ai contadini [...], il controllo operaio sulla produzione e le attività industriali [...] Consideriamo nostro compito rivolgerci a voi in particolare in quanto appartenete a un paese che si trova alla testa della coalizione imperialista contro la Russia su un fronte tanto esteso.
Soldati, fratelli, vi chiediamo di schierarvi dalla parte del socialismo con tutte le vostre forze nella lotta per una pace immediata, perché questo è l'unico mezzo per assicurare una pace equa e duratura alle classi lavoratrici di tutti i paesi, e per sanare le ferite che l'attuale guerra criminale, la più criminale della storia, ha inflitto all'umanità.
»

Questo proclama fu accompagnato dall'”Appello alle masse lavoratrici e sfruttate di tutti i paesi”, tradotto in tutte le lingue.

Centinaia di migliaia di prigionieri e disertori tedeschi presentarono domanda di cittadinanza - immediatamente accolta - alla nuova Repubblica sovietica. A migliaia si arruolarono nell'Armata Rossa. Saranno i prigionieri tedeschi e austriaci a opporre la più efficace resistenza agli eserciti imperiali di Germania e Austria che avanzavano in Russia dopo Brest-Litovsk. Il primo maggio 1918, mentre assisteva alla parata a Mosca, l'ambasciatore tedesco, Conte Von Mirbach, trasalì alla vista di una compagnia di soldati tedeschi in marcia con le truppe sovietiche, sotto striscioni rossi coperti di scritte rivoluzionarie nella propria lingua.

Il governo tedesco, scandalizzato, ammonì il potere dei soviet che la propaganda rivoluzionaria costituiva una violazione dell'armistizio e dei negoziati di pace. Ma il governo dei soviet che pure aveva un drammatico bisogno di una pace immediata e per questo trattava, approvò il 23 dicembre la seguente risoluzione:

«In considerazione del fatto che il potere sovietico è basato sul principio della solidarietà internazionale del proletariato e sulla fratellanza dei lavoratori di tutte le nazioni, e che la lotta contro la guerra e contro l'imperialismo può avere successo solo se condotta su scala internazionale, il Consiglio dei Commissari del Popolo ritiene necessario venire in aiuto della corrente della sinistra internazionale del movimento operaio di tutti i paesi, con tutti i mezzi possibili, incluso lo stanziamento di fondi, indipendentemente dal fatto che tali paesi siano in guerra con la Russia o siano ad essa alleati o si dichiarano neutrali. A questo scopo il Consiglio dei Commissari del Popolo decide lo stanziamento della somma di due milioni di rubli [...] per le necessità del movimento operaio internazionale.»

L'Internazionale Comunista sarà costituita nel 1919 al servizio della rivoluzione mondiale, in continuità col programma della rivoluzione d'Ottobre.

Lo stalinismo distruggerà il bolscevismo e l'Internazionale, proprio perché rinnegherà il suo programma. Anche per questo la vera memoria dell'Ottobre è patrimonio del marxismo rivoluzionario, non di altri.


Partito Comunista dei Lavoratori

DISSESTO IDROGEOLOGICO, DECINE DI MORTI. UN SOLO RESPONSABILE: IL PROFITTO



Gli eventi che si sono abbattuti sull'Italia negli ultimi giorni non sono solo “naturali”. Non lo sono i cambiamenti climatici planetari, legati al lungo ciclo delle energie fossili, che oggi si riversano con mareggiate anomale sulle coste liguri, con venti mai visti sulle montagne del bellunese, con straripamenti più intensi e frequenti di fiumi e torrenti. Non lo sono soprattutto le decine di morti che questi eventi hanno prodotto.

“Ogni volta dobbiamo lamentare con le stesse parole le stesse tragedie”, recita ipocrita la stampa borghese. Qualche intervista, qualche inchiesta, la rituale invocazione al governo di turno di misure risolutive. E il governo di turno annuncia ogni volta mirabolanti investimenti, riorganizzazione della protezione civile, rigore ambientale. Un mare di chiacchiere, in attesa della tragedia successiva.

La verità è che queste tragedie hanno un solo responsabile: la società capitalista, la dittatura del profitto. La stessa che ha minato il Ponte Morandi, la stessa che dissesta il territorio italiano.

Il suolo italiano è divorato dalla speculazione edilizia come nessun altro paese. Otto metri quadri al secondo con una demografia zero. Senza edilizia popolare ma con sette milioni di appartamenti sfitti. L'abusivismo che inghiotte intere regioni (Campania, Sicilia) è legato a questa realtà. Si delega ai comuni l'onere del risanamento nello stesso momento in cui li si priva con i Patti di Stabilità delle risorse minime necessarie. I comuni (tutti) ricorrono all'urbanistica contrattata per incassare gli oneri di urbanizzazione, e così si affidano ai costruttori che dettano loro piani regolatori a immagine e somiglianza dei propri interessi. Lo stesso vale per la manutenzione dei fiumi, spesso assegnata alle Province. La Legge Delrio e l'abolizione delle Province ha cancellato l'intera manutenzione dei fiumi minori, quelli più incustoditi, privi di argini, causa spesso dei maggiori disastri. Mentre il taglio delle spese operato da ogni legge finanziaria ha colpito anche la Protezione Civile e ha cancellato di fatto il Corpo Forestale incorporandolo ai Carabinieri (decreto legislativo del 19 agosto 2016). Il fatto che il “governo del cambiamento” abbia affidato a un ex ufficiale dei carabinieri, Sergio Costa, il ministero dell'ambiente è il risvolto grottesco di questa politica, per nulla “cambiata”.

Peraltro proprio la Legge di stabilità del governo SalviMaio ne è la conferma. Riassetto idrogeologico, messa in sicurezza antisismica di edifici pubblici e privati, bonifiche ambientali, sono capitoli assenti. Il ministro degli interni attribuisce addirittura la colpa dei disastri all'«ambientalismo da salotto», mentre allarga la maglia dei condoni e taglia ai comuni un altro miliardo, in linea con le finanziarie precedenti. Sarebbe questo il “cambiamento”?

Il ministro dell'ambiente annuncia ora trafelato che sarà destinato alla messa in sicurezza del territorio un miliardo di euro in tre anni. Ma è il nulla: il nulla rispetto al disastro, il nulla a maggior ragione per il risanamento. Che sia il nulla lo conferma involontariamente lo stesso Salvini quando dichiara che per il riassetto idrogeologico sarebbero necessari 40 miliardi, cifra in realtà molto sottostimata. Ma soprattutto lo conferma il Politecnico di Milano, che ha studiato seriamente la materia: per la sola messa in sicurezza degli edifici in muratura servirebbero 36 miliardi; per intervenire sulle strutture in calcestruzzo armato realizzate prima del 1971 il costo salirebbe a 46 miliardi, 56 comprendendo gli edifici in cemento armato; se il lavoro fosse esteso a tutti i comuni si arriverebbe alla cifra di 870 miliardi.

La questione è in realtà strutturale e interroga la natura stessa della società capitalista.

Andiamo al sodo. Perché si tagliano i fondi ai comuni, si taglia sulla Protezione Civile, si elimina il Corpo Forestale, non si destina nulla per il risanamento ambientale? Perché si continuano ad abbassare le tasse sui profitti, come avviene ovunque sul mercato mondiale in omaggio alla concorrenza spietata tra gli Stati capitalisti (all'interno della stessa UE) per attrarre gli investimenti privati. Perché si continua a pagare l'enorme debito pubblico alle banche (prevalentemente italiane) e alle grandi compagnie di assicurazione che hanno investito nei titoli di Stato, e che incassano di soli interessi tra i 70 e gli 80 miliardi ogni anno. Sono peraltro le stesse ragioni per cui si tagliano le spese per la scuola, per la sanità, per i servizi sociali. Oggi come ieri. "Prima gli italiani" significa prima i capitalisti e le banche italiane, poi tutto il resto. E il resto possono essere solo elemosine, per di più centellinate col contagocce.

La verità è che per rimettere in sesto il territorio occorrono risorse enormi che il capitalismo reale non può reperire. Occorre abolire il debito pubblico verso le banche e una tassazione progressiva dei grandi patrimoni, rendite, profitti, finanziando un grande piano di opere sociali e lavori pubblici, che potrebbe dare lavoro a milioni di disoccupati, immigrati inclusi. Occorre nazionalizzare la grande industria edilizia e le industrie a questa collegate, come l'industria del cemento, che è in mano alla criminalità. Occorre un controllo pubblico sulle leve fondamentali della produzione e del credito, a partire dalla nazionalizzazione delle banche. Senza queste misure si resta in attesa della prossima tragedia, e dell'ennesimo coro della pubblica ipocrisia.

Ma sono misure che solo un governo dei lavoratori può prendere, e solo una rivoluzione può realizzare.


Partito Comunista dei Lavoratori

martedì 6 novembre 2018

10 NOVEMBRE MANIFESTAZIONE NAZIONALE



È il momento di reagire, mobilitarsi e unirsi contro gli attacchi del governo, a cui Minniti ha aperto la strada, contro l’escalation razzista e il decreto Salvini che attacca la libertà di tutte e tutti.
– Per il ritiro immediato del Decreto immigrazione e sicurezza varato dal governo. NO al disegno di legge Pillon.
– Accoglienza e regolarizzazione per tutti e tutte.
– Solidarietà e libertà per Mimmo Lucano! Giù le mani da Riace e dalle ONG.
– Contro l’esclusione sociale.
– No ai respingimenti, alle espulsioni, agli sgomberi.
– Contro il razzismo dilagante, la minaccia fascista, la violenza sulle donne, l’omofobia e ogni tipo di discriminazione.


Il Partito Comunista dei Lavoratori parteciperà  alla manifestazione.

lunedì 5 novembre 2018

C'È DEL MARCIO IN VATICANO. NEL SILENZIO DI TUTTI



La triste vicenda di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori, due ragazze sequestrate e sparite nel lontano 1983, è tornato alle cronache in questi giorni a seguito del ritrovamento di scheletri ed ossa sotto il pavimento di un palazzo del Vaticano. Al di là degli accertamenti in corso, che avranno (?) i loro sviluppi, va denunciato il retroterra della vicenda, infinitamente più grande. Una vicenda che coinvolge lo IOR - Istitutoo per le Opere di Religione, la grande banca della Chiesa - con i suoi traffici e relazioni criminali.

Tutti i grandi scandali finanziari italiani hanno coinvolto direttamente lo IOR. Non è un caso. Lo IOR non è una banca qualsiasi. Gli accordi tra il Vaticano e lo Stato italiano consentono allo IOR una operatività di banca offshore, fuori da ogni controllo. Lo IOR assicura assoluta impunità. L'articolo 11 dei Patti Lateranensi afferma infatti: “Gli enti centrali della Chiesa Cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano”. I dirigenti dello IOR non possono dunque essere né indagati né arrestati, né processati in Italia. Lo IOR non può essere perquisito, i telefoni non possono essere intercettati, i dipendenti nemmeno interrogati. Se un qualsiasi altro Stato avvia una rogatoria allo Stato vaticano, la “Santa Sede” non è neppure tenuta a rispondere, perché il Vaticano è l'unico paese in Europa a non aver mai firmato alcuna convenzione giudiziaria con gli altri Paesi del continente. A ciò si aggiunge che i conti dello IOR non possono essere soggetti a tassazione, come sancito dall'articolo 2 dello Statuto della banca.
Un paradiso fiscale dichiaratamente fuori legge. L'unico Paradiso reale che la Chiesa può garantire.

Che c'entra tutto questo con criminalità e delitti? C'entra eccome. La totale opacità dello IOR, per usare un eufemismo, ha fatto della Banca vaticana la principale lavanderia di denaro sporco. Qui sono passati i grandi scandali, dallo scandalo Eninmont al crack Ambrosiano. Qui sono passati i delitti, dall'avvelenamento di Sindona all'impiccagione di Calvi. Qui, guarda caso, investiva il proprio denaro la famigerata banda della Magliana, che dominava Roma negli anni '80 (rapine, racket, sequestri, omicidi). Ecco il punto. Il capo della banda criminale della Magliana era un certo Renato De Pedis, il boss dei boss. La pratica corrente prevedeva che De Pedis investisse i denari del crimine presso lo IOR in cambio di un altissimo tasso di interesse, sino al 20%. Lo IOR incassava e restituiva, come in una normale bisca. Solo che il crack imprevisto del Banco Ambrosiano, banca “cattolica” in sinergia con lo IOR, buttò all'aria nel 1983 tanta parte dei soldi investiti da De Pedis. Ne seguì un duro contrasto, in cui De Pedis pretese dallo IOR la restituzione del malloppo (interessi inclusi). Secondo la testimonianza di Sabrina Morandi, amante di De Pedis, il rapimento di Emanuela Orlandi, cittadina del Vaticano, da parte della banda della Magliana fece parte parte della “trattativa” tra la banda e lo IOR. La ragazza sarebbe stata assassinata, a negoziato concluso, perché testimone scomodo e imbarazzante per tutti. In compenso il bandito De Pedis può riposare in pace presso la Basilica di Sant'Apollinare assieme a principi, santi e cardinali di prim'ordine. Evidentemente nell'accordo la degna sepoltura era inclusa. La Chiesa, si sa, è misericordiosa con i peccatori, soprattutto se sono suoi clienti, anche se criminali.

Una vicenda di cronaca nera getta dunque un fascio di luce sulla realtà della Chiesa. Un settore del capitalismo in formato ecclesiastico che proprio per questo coinvolge la Chiesa in tutto il peggio che il capitale dispensa, inclusi i delitti. Impressiona il silenzio su questa realtà non solo dei borghesi liberali alla Scalfari, incantati da Papa Francesco, ma anche e soprattutto di quelle sinistre cosiddette radicali che hanno cercato più volte nel nuovo papato una propria legittimazione, salvo trovarsi di fronte alla denuncia papale dell'aborto quale genocidio nazista. È l'ennesima conferma che solo una sinistra anticapitalista e rivoluzionaria può essere coerentemente anticlericale e laica, e chiamare le cose con il loro nome.


Partito Comunista dei Lavoratori

sabato 3 novembre 2018

CATTIVA COSCIENZA - SILENZIO MEDIATICO - GUERRA DIMENTICATA - MORTA DI FAME AMAL, BIMBA SIMBOLO DELLA TRAGEDIA IN YEMEN



Il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) ha lanciato l'ennesimo allarme sulla situazione "catastrofica" nello Yemen dopo quasi tre anni di aggressione da parte dell'Arabia Saudita e dei suoi alleati.

La guerra lanciata illegalmente dal regime dell'Arabia Saudita nel marzo 2015, con il via libera dagli Stati Uniti e dai suoi alleati,  contro il paese più povero del mondo arabo ha portato alla "peggiore crisi umanitaria.

La Croce Rossa ha evidenziato che attualmente ci sono circa 22 milioni di persone nello Yemen che hanno bisogno di aiuto per sopravvivere e molti altri milioni che soffrono per la carestia.

Due milioni di bambini yemeniti non possono andare scuola, più di 2.500 scuole non possono essere utilizzate  dal momento che due terzi  presentano danni di varia natura dovuti al bombardamento del regime di Al Saud e dei suoi alleati; Il 27% sono chiuse e il 7% è utilizzato per scopi militari o come rifugio per gli sfollati.
Il quotidiano britannico 'The Independent' ha evidenziato che il bilancio delle vittime (circa 56.000 tra civili e combattenti, tra gennaio 2016 e ottobre 2018 )  nello Yemen supera di cinque volte quello stimato dalle Nazioni Unite (ONU).
La ONG Oxfam ha chiesto agli Stati Uniti ed ai paesi europei di frenare la vendita di armi all'Arabia Saudita, dato che, come evidenziato, un civile yemenita muore circa ogni tre ore.

E’ una delle guerre meno mediatiche degli ultimi anni, quella che dal 2015 insanguina lo Yemen. Una guerra civile atroce, che in tre anni è costata la vita a decine di migliaia di persone, molte delle quali civili, e che ha causato milioni di sfollati, epidemie, crisi alimentari e devastazione.
Il ruolo principale lo detiene certamente l’Arabia Saudita, che spesso in questi tre anni ha colpito duramente centri abitati e logistici causando molte vittime civili.

Ricordiamo che l’Arabia Saudita è un importante cliente delle aziende italiane che producono armi, e forse questa “CATTIVA COSCIENZA” è tra le cause del SILENZIO MEDIATICO che avvolge questa GUERRA DIMENTICATA.

venerdì 2 novembre 2018

A TRIESTE CASAPOUND APRE LE CELEBRAZIONI DI MATTARELLA

Contro corteo antifascista sabato 3 novembre da Campo San Giacomo h 15:00



Sabato 3 novembre un corteo antifascista si svilupperà lungo le strade triestine in risposta alla manifestazione di CasaPound.
Cent’anni dopo la conquista di Trieste da parte del regno italico borghese, alla vigilia dei festeggiamenti istituzionali che ricordano l’entrata in vigore dell’armistizio di Villa Giusti e che vedranno per l’occasione la presenza di Mattarella nel capoluogo regionale, i neofascisti, sfilando per le vie centrali della città ottengono simbolicamente l’ouverture delle celebrazioni.
La marcia casapoundista potrà così dispiegare tutti gli afflati nazionalisti e irredentisti che volteggiano nei meandri mefitici degli ambienti reazionari caratterizzandosi così come una sorta di cappello introduttivo alle celebrazioni del 4 novembre.
L’esaltazione interventista della guerra imperialista del ’15-’18 si combinerà con la rivendicazione dell’italianità delle terre istro-dalmate assegnate all’allora Jugoslavia rivoluzionaria dal trattato di Parigi dopo la sconfitta del fascismo nel ’45. Ed infatti i neofascisti hanno già annunciato la traduzione operativa di questa rivendicazione ideale: l’organizzazione di un concerto dichiaratamente irredentista a Rijeka (Fiume) come proseguimento del corteo di sabato.


IL FASCISMO E TRIESTE

Al macello proletario e contadino causato dalla prima deflagrazione mondiale delle contraddizioni interimperialistiche, nelle terre friulano-giuliane, multilinguistiche e multinazionali, si sono aggiunte la distruzione di interi paesi e lo sfollamento forzoso di intere popolazioni. Questi fatti hanno rafforzato l’odio popolare verso le classi dominanti per una guerra subita e che ha deciso la collocazione politica dei popoli al tavolino dei potenti. Ancora di più se si pensa alle concessioni che il governo imperiale austriaco era disposto a fare ancora nel maggio 1915 pur di garantirsi la neutralità dell’Italia: cessione del trentino, del gradiscano e del cormonese ed elevazione di Trieste a “città libera”. Ma la prima guerra mondiale, con i suoi sovrapprofitti, era l’occasione che permise al capitale finanziario italiano di consolidarsi: dall’ascesa del gruppo Fiat all’ascesa della Banca d’Italia da istituto privato a banca centrale pubblica. Inoltre il crollo dell’esercito austro-ungarico permise al governo imperialista italiano, con le truppe operative già pronte in loco, l’annessione dei territori occidentali della Slovenia in esecuzione (ma andando anche oltre) del patto di Londra.

Terra nazionalmente composita, senza soluzione di continuità nei confini naturali, con la presenza di un forte movimento socialista prodotto da una classe operaia e contadina multinazionali, il litorale orientale fu teatro fin dal 1919 del aspetto più aggressivo del fascismo come corollario dell’omogeneizzazione forzosa italiana operata dalle autorità civili subentrate a quelle militari nell’amministrazione delle “terre redente”. A Trieste si sviluppò per primo lo squadrismo urbano. Episodi salienti dell’inizio del fascismo triestino furono l’incendio dell’Hotel Balkan del 13 luglio 1920, centro culturale della comunità di lingua slovena e, sempre nello stesso anno, la devastazione della sede del quotidiano locale socialista Il Lavoratore il 14 ottobre. Successivamente si aggiungeranno le pesanti conseguenze delle leggi razziali sulla folta comunità ebraica triestina.
Dopo l’8 settembre ’43 Trieste divenne la capitale della zona di operazioni Adriatisches Küstenland, territorio giuridicamente annesso al Terzo Reich e l’apparato politico-amministrativo fascista fu inglobato direttamente nel dispositivo repressivo dell’occupazione nazista. Luoghi sinistri della repressione della resistenza a Trieste come la sede dell’Ispettorato Speciale per la Venezia-Giulia in via Bellosguardo - denominata “Villa triste” per le torture inflitte agli antifascisti - o il campo di sterminio della Risiera di San Sabba sono diventati simboli esemplari di repressione nazifascista nell’immaginario di ogni memoria resistente.

E nell’immediato secondo dopoguerra ancora è Trieste a diventare l’epicentro della strategia irredentista del governo democristiano contro gli effetti del trattato di Parigi del febbraio 1947, con la gestione politica dei flussi degli esuli optanti provenienti dall’Istria, Dalmazia e Fiume anche come bonifica nazionale della città al fine di ridurre il peso dell’elemento sloveno, con la protezione agli scampati fascisti responsabili di crimini di guerra in Jugoslavia, con la creazione del martirologio italico degli “infoibamenti” da parte dei barbari “slavocomunisti” attingendo cifre e resoconti direttamente dall’ufficio propaganda della X Mas in Istria alcuni dirigenti del quale, nel 1946, furono impiegati dalla Croce Rossa Internazionale (con beneplacito del governo della coalizione del CLN) per curare gli archivi dei dispersi. E’ per opera di un deputato triestino ex missino che nasce la legge istitutiva del “Giorno del Ricordo”, non a caso divenuto un viatico per un medaglificio fascista anche in forza alla “conciliazione nazionale” santificata dall’asse Violante-Fini. E ancora Trieste, per la sua posizione geo-politica, fu crocevia di attività connesse con la strategia della tensione, che vanno dalla presenza di Ordine Nuovo e l’attentato dimostrativo ad una scuola slovena nell’ottobre ’69 al dirottamento del Fokker presso l’aereoporto regionale di Ronchi dei Legionari nel 1972 da parte dell’ordinovista Ivano Boccaccio, evento legato all’attentato di Peteano e che si incrocia con la vicenda Gladio e i suoi depositi nascosti nel Friuli Venezia-Giulia.

La marcia di Casapound, nell’epoca attuale, si inserisce nel periodo reazionario del governo giallo-verde che a Trieste trova interpreti “creativi” nella giunta del sindaco Dipiazza, autentico rappresentante della borghesia più retriva, a partire dal suo vice, il leghista Paolo Polidori, utilizzato come punta di lancia nella canea anti-immigrati quale arma di distrazione di massa e di educazione politica nazional-corporativa; cioè quell’educazione ideologica interclassista dell’“azienda Italia”, del “tutti uniti dietro alla classe capitalista per tenere botta nell’economia mondiale”.
Emblematici gli episodi del saluto fascista di Dipiazza nel comizio elettorale di Forza Nuova lo scorso marzo; i rastrellamenti dei migranti presenti sulle Rive da parte di Polidori; il consigliere comunale di FN Fabio Tuiach, di maggioranza, che schernisce Stefano Cucchi nel giorno della confessione ufficiale del suo omicidio; l’avversione della giunta comunale verso la mostra sulle leggi razziali del ’38 allestita da studenti; la campagna Lega-FN contro l’educazione al riconoscimento del pluralismo sessuale nelle scuole. Ma la peristalsi reazionaria della giunta Dipiazza trova diretta continuità nel governo regionale del leghista Fedriga, nella sua militarizzazione dei confini, nel taglio dei finanziamenti per i progetti di accoglienza ed integrazione, nell’assunzione in sede regionale del modello di quote di apartheid scolastico varato dalla leghista Cisint, sindaca di Monfalcone, per le scuole dell’infanzia.
In questo quadro si inserisce la legittimazione istituzionale della marcia casapoundista.


IL FRONTE ANTIFASCISTA

La tradizione antifascista triestina ha prodotto la costituzione della rete Trieste antifascista-antirazzista che ha organizzato il controcorteo che partirà da Campo San Giacomo lo stesso giorno del corteo neofascista. Questo raggruppamento ampio promosso inizialmente da ambienti scolastici (UDS, Cobas Scuola, FLC-CGIL) ha permesso di avviare un processo mobilitante che ha travalicato i confini statali.
Ma più in generale, nella risposta all’attività neofascista e alla sua raggiunta agibilità istituzionale, si impone una riflessione profonda sulla struttura materialistica dei rapporti sociali (cioè a partire da quelli economici) e della loro natura classista. E da questa impostazione ricavare, oggettivamente, la determinazione di quel blocco sociale che, per sua stessa natura, è portatore dell’eradicazione delle basi materiali del fenomeno fascista: un blocco sociale anticapitalistico strutturato attorno alla classe operaia e lavoratrice (a partire dalla classe operaia della grande produzione).
La fiducia riposta sulla prefettura di proibire il corteo casapoundista, richiesta derubricata poi nella speranza (altrettanto disattesa) di impedire ai fascisti l’accesso alle vie centrali, rappresenta un po’ lo specchio della questione.

L’arco dell’opposizione antifascista si dispiega oggi dalle posizioni della borghesia liberale che informa la politica del PD - sul cui ruolo e responsabilità dello stato di cose presenti non c’è bisogno di aggiungere nulla - agli idealismi della democrazia piccolo-borghese (Anpi, intellettualità di ambiti accademici e scolastici, LeU) e delle illusioni riformiste-socialdemocratiche vecchie e nuove (CGIL, PRC, PaP, parte dei sindacati di base, realtà associative e di movimento ecc.).

Per acquisire quel necessario salto qualitativo politico e organizzativo per contrastare lo sfondamento di massa di orientamenti reazionari e neofascisti, bisogna avere chiari alcuni aspetti.
Le organizzazioni fasciste sono il reparto avanzato della borghesia per la sua guerra civile al movimento organizzato dei lavoratori e a tutte le resistenze popolari alla politica del capitale.
Per tale motivo di fondo, materialistico, anche in periodi avidi di grandi lotte di massa non ci può essere una contrapposizione totale e durevole tra la forma di difesa statale dell’ordinamento sociale capitalistico (“democratica”) e le propaggini dell’attività di gruppi fascisti, specie se è possibile far digerire nella legalità democratica (borghese) tali attività. Oggi i gruppi fascisti stanno già avviandosi al salto di qualità della loro ragion d’essere: da strumento armato della canea anti-immigrati (funzionale a dividere la forza-lavoro e sviare il campo popolare verso un’impostazione nazionalista) a dispositivo per gli assalti diretti contro sedi sindacali e picchetti di sciopero. Occorre rilanciare l’idea della democrazia proletaria come contro-potere politico al governo economico e statale della borghesia, per promuovere una piattaforma generale, unificante, di classe, partendo dalla costruzione (e loro progressivo raggruppamento) di organismi autorganizzati funzionali alle resistenze sociali sul posto di lavoro e sul territorio. In piena rottura con la partitocrazia della governabilità capitalistica. Ricorrere allo sciopero anche nella battaglia antifascista. Organizzare sul piano politico e sindacale le popolazioni migranti. Affrontare seriamente la questione dell’autodifesa dei cortei antifascisti e più in generale l’autodifesa popolare dal consolidamento organizzativo dello squadrismo. Ridare base operaia e popolare (cioè antiborghese) all’antifascismo.
Bisogna avere le idee chiare sin da ora che, in caso di sviluppo di una lotta di classe capace di mettere a rischio il blocco corporativo nazional-economico, che è la base dell’attuale governabilità dell’accumulazione capitalista, e tanto più a fronte della persistenza della crisi da sovrapproduzione, il ricorso della classe dominante ad un utilizzo più sistematico di strutture fasciste sarebbe inevitabile.

Partito Comunista dei Lavoratori - nucleo isontino