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domenica 29 aprile 2018

RIVENDICHIAMO LE RAGIONI DEL LAVORO



Il Primo Maggio di quest'anno ricorre in un contesto nuovo.
Il voto del 4 Marzo ha sancito la marginalizzazione della sinistra politica, mentre la crisi verticale del renzismo e del Partito Democratico è stata capitalizzata dalle diverse forme di populismo reazionario: la Lega di Salvini, che si candida oggi a partito leader del centrodestra e dal Movimento 5 Stelle, che ambisce a conquistare un ruolo centrale nel futuro assetto istituzionale e si offre come perno per il capitale. A due mesi dalle elezioni, la perdurante assenza di un governo non è solo il risultato di una pessima legge elettorale, ma è la conferma di una crisi istituzionale che ha investito l'Italia a partire dal voto del referendum del 4 Dicembre 2016  e aperto la crisi politica di Renzi. Lo stesso padronato italiano oggi saggia il terreno del M5S come interlocutore e gli apre le porte della propria disponibilità politica. Non è un caso che tra le varie possibili alchimie di governo, l'ipotesi di una soluzione M5S-PD sia quella più spalleggiata dai grandi giornali della stampa borghese, dal padronato stesso e anche da Mattarella. Con il PD nel ruolo di sostanziale “garante” di fronte a possibile esuberanze “giovanili” di Di Maio e del M5S. Dopo una campagna elettorale segnata dalla xenofobia, dal dilagare di un senso comune reazionario e dal silenziamento scientifico nei canali di comunicazione di massa delle ragioni del mondo del lavoro, rivendichiamo il Primo Maggio, simbolo dell'unità di classe internazionale dei lavoratori contro lo sfruttamento del capitale, per rilanciare le ragioni di un progetto rivoluzionario, di una prospettiva anticapitalista che sappia tenere insieme in questa nuova fase la necessità di sostenere e difendere anche la più elementare rivendicazione dei lavoratori e delle lavoratrici e la loro incompatibilità di fatto con la realtà del capitalismo, portando in ogni lotta, in ogni vertenza, la coscienza che solo una rottura anticapitalista può invertire il senso di marcia che stiamo affrontando, solo la costruzione di una direzione rivoluzionaria del movimento operaio può interrompere il terribile piano inclinato lungo cui stiamo scivolando verso la reazione sociale, verso la barbarie.

LE MENZOGNE ED IL FALLIMENTO DEL RIFORMISMO

Con la fine dell'Unione Sovietica ed il crollo del muro di Berlino le sirene del padronato avevano annunciato un'epoca di ricchezza e benessere. Dopo trent'anni di quelle promesse rimane solo la polvere. Montagne di miliardi regalate alle banche fanno da contraltare ad anni di politiche di austerità, di taglio alla spesa sociale, di restrizioni, di sacrifici imposti sempre e solo sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici e delle classi subalterne. Si ficcano direttamente le mani in tasca alla maggioranza della popolazione per finanziare un permanente soccorso pubblico al capitalismo in crisi, alla finanza, agli speculatori. In questi trent'anni ciò che il proletariato italiano ha avuto è stato: l'attacco ai suoi salari, il taglio dei diritti sindacali, la distruzione dello stato sociale l'allungamento dell'orario di lavoro ad ogni livello, su scala settimanale, mensile, annuale e persino di vita con l'aumento indiscriminato dell'età pensionabile. A fianco di tutto questo, la crisi del capitalismo rilancia su tutto il mondo venti di guerra. La competizione in crescita tra Stati Uniti e Cina per la spartizione dei mercati mondiali rilancia la corsa agli armamenti, mentre il Medio Oriente è una polveriera pronta a scoppiare, compresso tra interessi imperialistici, di potenze mondiali o regionali che si contendono le grandi rotte del petrolio, la spartizione di zone di influenza, il controllo dei porti e delle rotte. Il massacro senza fine contribuisce a migrazioni di massa e lo stesso capitale che da un lato bombarda e massacra intere popolazioni, nell'Unione Europea “premio nobel per la pace” arma fascisti e razzisti come squadracce contro gli stessi uomini e donne in fuga da miseria e distruzione, seminando odio e xenofobia.
Questo è l'unico “progresso” che il capitalismo è riuscito a dare in questi trent'anni: miseria, regressione e barbarie.

UNIRE GLI SFRUTTATI CONTRO IL CAPITALE

La classe lavoratrice ha subito in larga parte del mondo un pesante arretramento in questi ultimi decenni come conseguenza delle ripetute sconfitte. Il sistematico tradimento dei partiti e delle burocrazie che avrebbero dovuto rappresentarla ha disperso, indebolito o sabotato le sue lotte di resistenza e ha permesso disarticolazioni e passi indietro, trascinando un arretramento pesante della coscienza di classe in significativi settori di massa. Nel nostro stesso paese, la cronicizzazione della disoccupazione, la frantumazione delle condizioni di lavoro, l'elevazione a norma del precariato,  lo sfondamento dei cosiddetti “minijobs”, il sabotaggio dei contratti nazionali hanno prodotto non solo un indebolimento sostanziale della classe, ma anche una sua dispersione molecolarizzata su tutto il territorio. A fronte di tutto ciò la classe operaia rimane l'unica forza che ha la possibilità concreta di costruire una società nuova. Può farlo solo se si pone alla testa di tutte le domande di liberazione. I lavoratori salariati nel mondo sono ormai largamente più di due miliardi, una vera e propria potenza mondiale. Le espressioni di resistenza sociale continuano a percorrere tutto il globo, dalle lotte del proletariato cinese a quelle per il salario minimo negli Stati Uniti, fino, nella stessa Europa in questi settimane la lotta dei ferrotranvieri sta unendo intorno a altri settori di salariati e del mondo studentesco e giovanile francese. In Italia la forza di sedici milioni di salariati è rimasta ingabbiata in questi anni dalla dispersione delle lotte e dal guinzaglio della burocrazia sindacale: delle burocrazie sindacali, che rafforzano sempre più la loro compromissione e complicità con il padronato e i governi, in una prospettiva corporativa finalizzata a impedire qualsiasi forma di espressione della reale volontà dei lavoratori e delle lavoratrici. Il via libera alla Fornero, la rinuncia alla lotta sull'articolo 18 e contro il JobsAct e la dispersione dell'opposizione di massa alla “Buona Scuola” non hanno solamente rappresentato un vero e proprio tradimento, una svendita delle ragioni del lavoro al padronato, ma hanno anche precluso la possibilità che intorno a quelle lotte si saldassero altri importanti settori sociali, a partire dalle masse di disoccupati e sottoccupati che non a caso hanno votato in massa il M5S, aggrappandosi alla promessa del reddito di cittadinanza come illusoria fuga dalla povertà. In controtendenza con tutto ciò è necessario dare al movimento dei lavoratori un programma all'altezza della situazione a partire dal rilancio della rivendicazione della riduzione progressiva dell'orario di lavoro a parità di salario. Rivendicazione centrale per poter unire le lotte di resistenza dei lavoratori alle aspirazioni dei disoccupati e alle lotte del nuovo precariato. Un programma che miri a mettere nelle mani di chi lavora le leve della società, espropriando la grande industria e le banche, liberando enormi risorse abolendo il debito pubblico. Ricostruendo e allargando le protezioni sociali. Finalizzando l'intera economia ai bisogni di tutti, non al profitto di pochi. Solo un governo dei lavoratori, basato sulla loro organizzazione e la loro forza, può realizzare queste misure. L'unica alternativa a questo progetto è la barbarie in corso.

COSTRUIRE IL PARTITO DELLA RIVOLUZIONE

Tutta l'esperienza degli ultimi trent'anni ha rinnovato un punto ineliminabile: non è sufficiente un movimento di lotta, pur radicale. I movimenti di lotta possono essere sconfitti, come accaduto ai lavoratori francesi contro la Loi Travail o ai lavoratori italiani contro Marchionne, o possono realizzare imprese che sembravano impensabili, come la cacciata di un regime terribile come in Tunisia ed in Egitto solo pochi anni fa. Ma senza una coscienza politica, senza una direzione politica alternativa, anche le lotte più generose e straordinarie sono destinate alla sconfitta. E' la lezione di questi anni.
Non è sufficiente dunque definire un programma all'altezza dei compiti storici della classe lavoratrice, è necessario dare a questo programma un partito. Un partito della rivoluzione, che sappia unire intorno a quel programma  gli strati più coscienti della classe operaia, che si radichi in ogni lotta, che sappia ricondurre queste lotte ad una più generale prospettiva di rivoluzione sociale, che sappia ricondurre queste lotte alla prospettiva del governo dei lavoratori e delle lavoratrici.

La lotta per la costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori è la lotta per la costruzione di questo progetto, su scala nazionale e su scala internazionale, per un partito mondiale della rivoluzione.

giovedì 26 aprile 2018

AI LAVORATORI CHE HANNO VOTATO 5 STELLE



L'avevamo detto (contro corrente) per anni:
“Il M5S è un partito padronale”. Non siamo stati creduti. Ora parlano i fatti.

Certo, sappiamo bene che in molti avete votato M5S il 4 Marzo.

Chi in contrapposizione ai “vecchi partiti” che vi hanno levato l'articolo 18 e hanno portato la pensione a 70 anni. Chi per sfiducia verso una sinistra irriconoscibile che è stata complice di questa rapina. Chi in ogni caso prendendo per buone le promesse solenni di Luigi di Maio: “Basta alleanze con i partiti della casta, al centro un programma di svolta”.

Ma due mesi dopo? Non si è ancora formato il governo, e di quelle false promesse non è rimasto nulla. Anzi, tutto appare capovolto. Di Maio è disposto ad allearsi con ogni partito della “casta” (dal xenofobo Salvini a Matteo Renzi) pur di guidare il governo. Il programma è stato riformulato (oltretutto in modo truffaldino) per rassicurare i poteri forti. E ora Confindustria, banchieri e giornali benedicono il M5S e chiedono al PD di sostenerlo, così come fanno l'Unione Europea e gli ambienti Nato. Insomma: tutti i vostri avversari di classe degli ultimi 30 anni, quelli che hanno riempito il proprio portafoglio svuotando il vostro, salgono sul carro del vincitore.

Cosa significa? Significa che i padroni hanno cambiato cavallo per restare in sella. Loro hanno capito per tempo (e da tempo) che il M5S è una carta spendibile per i propri interessi. Hanno capito che dietro il fumo delle promesse sociali acchiappa voti (i vostri) su Fornero e “reddito di cittadinanza”, c'era un programma reale di segno opposto: nuova riduzione delle tasse per i profitti, continuità del pagamento del debito alle banche, rispetto dell'Unione Europea dei capitalisti, tutela della Nato (bombardamenti inclusi). Le successive limature del programma servono solo evidenziarlo. La verità è che i vostri voti vengono portati in dote ai poteri forti, contro di voi.

LAVORATORI, LAVORATRICI, APRITE GLI OCCHI E ALZATE LA TESTA! NON FATEVI FREGARE UN'ALTRA VOLTA!

E' ora di preparare una mobilitazione unitaria, radicale, di massa che ponga al centro del confronto pubblico le rivendicazioni essenziali dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati:

-Ripristino dell'articolo 18 e cancellazione di tutte le leggi vergogna di precarizzazione del lavoro.

-Via la Legge Fornero, si vada in pensione a 60 anni o con 35 anni di lavoro.
-Si riduca l'orario generale di lavoro a 32 ore pagate 40.

-Per un salario dignitoso ai disoccupati che cercano lavoro, finanziandolo col taglio ai trasferimenti pubblici ai padroni e con la tassazione dei grandi profitti, rendite, patrimoni.

Solo un'azione di lotta generale può unire gli sfruttati attorno a queste rivendicazioni e aprire dal basso una pagina nuova.

Ma una lotta seria per queste rivendicazioni riconduce al nodo di fondo. Il capitalismo ha fallito. Non serve a nulla cambiare l'amministratore delegato del capitale, illudendosi ogni volta che possa difendere il lavoro. E' necessaria un'altra società, libera dai padroni e dallo sfruttamento, dove siano finalmente i lavoratori a comandare. E' necessario un governo dei lavoratori e delle lavoratrici. L'unico che può abolire il debito pubblico verso le banche e nazionalizzarle, l'unico che può espropriare le aziende che licenziano.

Lavoratori e lavoratrici, c'è solo un partito di cui vi potete fidare. Quello che lotta per questo programma di rivoluzione. Quello che non ha da difendere altri interessi che i vostri.

Per questo costruiamo il Partito Comunista dei Lavoratori

martedì 24 aprile 2018

LE LEGGI RAZZIALI DEL FASCISMO

di Piero Nobili
Partito Comunista dei Lavoratori





Ottanta anni fa in Italia venivano promulgate le leggi razziali. Prima con la pubblicazione del "Manifesto della razza", una specie di decalogo del buon ariano redatto da un gruppo di accademici, e poi con un decreto varato dal Gran Consiglio del fascismo che stabilisce i comportamenti da tenersi nei confronti degli ebrei, l'Italia fascista rende esecutiva una legislazione anti ebraica.
La stampa del regime apre subito una campagna anti semitica. Esce la rivista "La difesa della razza", diretta da Telesio Interlandi, che ha come segretario di redazione Giorgio Almirante, colui che nel secondo dopoguerra sarà per lungo tempo il segretario del M.S.I.
Per la penisola vengono organizzate conferenze che esaltano l'idea della "supremazia della razza ariana", che plaudono alla romanità cattolica è fascista, baluardo della civiltà contro ebraismo e bolscevismo.
Sull'argomento vengono interpellati zoologi ed esperti di craniometria, mentre il pregiudizio del confronti dei cittadini di origine ebraica cresce a dismisura. Sul finire del 1938 la legislazione in materia viene meglio precisata: Sono impediti i matrimoni misti, e gli ebrei sono banditi dalla vita pubblica, dalle scuole, non possono esercitare le professioni liberali, non possono avere domestici ariani, e via dicendo.
Negli anni a seguire saranno quasi 180 i provvedimenti razziali adottati dal fascismo. Uno degli ultimi obbligava al lavoro coatto gli ebrei. Solo l'ingresso dell'Italia in guerra, frena la decisione di Mussolini di allontanare tutti i cittadini di origine ebraica dall'Italia. Questi reietti rimangono bloccati in un paese che non li vuole.
Con le leggi razziali il regime configura due tipi di cittadinanza: una piena e una oltremodo limitata. In questo modo vengono poste le basi della successiva estensione anche all'Italia della pratica nazista della deportazione di massa nei campi di sterminio. Nel 1938, la "politica della razza" imposta da Mussolini viene accolta senza particolari clamori. Molti elementi vi contribuiscono: In primo luogo il conformismo e l'assuefazione verso un regime dittatoriale ormai consolidato. Assai timido è l'atteggiamento della Chiesa cattolica che non incoraggia in alcun modo prese di posizioni critiche. In una certa misura, nella società pesano anche gli stereotipi anti ebraici da secoli instillati dall'educazione religiosa per cui gli ebrei restano il "popolo deicida".
Basti pensare,che ancora in quel tempo la Liturgia della Settimana Santa iniziava con "Oremus pro perfidis judeis" (preghiamo per i perfidi giudei).

L'IDEOLOGIA RAZZISTA

La responsabilità della persecuzione razziale ricade anche sulla casa regnante dei Savoia. I regi decreti firmati da Vittorio Emanuele III,la solerzia applicativa delle leggi da parte degli apparati pubblici legati alla corona, ben lungi dal dimostrare un presunto cedimento del Re soldato, rilevano invece una profonda compromissione della monarchia con il fascismo. A maggior ragione nel 1938, quando con l'approssimarsi della guerra, tra la dinastia sabauda e il fascio littorio si sviluppa una dinamica di rinegoziazione dei rispettivi ambiti di potere, in previsione dei possibili benefici che l'imperialismo italiano avrebbe potuto trarre dal conflitto che si andava preparando. Le leggi razziali di Mussolini rappresentano la quintessenza del suo progetto gerarchico, razzista e oppressivo. Come un ininterrotto filo nero macchiato di sangue, esso si dipana per tutto il ventennio: prima la distruzione delle organizzazioni del movimento operaio, con migliaia di militanti di sinistra uccisi e incarcerati nella "più spietata guerra civile e anti proletaria" come la definì Gramsci, poi lo sviluppo delle politiche  razziali in Africa durante gli anni dell'impero, ed infine la persecuzione degli ebrei.
Secondo una corrente storiografica molto in voga, la base di tale scelta è da ricercare nell'accordo tra Germania e Italia in cui l'Italia accettava la politica del nazismo e la sua concezione razziale. Secondo Renzo De Felice (che pone il fascismo fuori dal cono d'ombra dell'olocausto), l'antisemitismo era troppo importante per l'ideologia nazista perché non dovesse essere accettata da un alleato che volesse essere tale.
È Mussolini voleva essere alleato di Hitler, convinto di poter godere dei vantaggi garantiti dalle espansionismo nazista. In realtà l'ideologia razzista è fin dall'inizio connaturata al fascismo. Già nel 1921, Mussolini sottolinea con enfasi la necessità di essere orgogliosi della nostra razza italica. Sempre in quegli anni, Giovanni Preziosi parlava di complotto o coalizione "ebraico- massonica- plutocratica che congiurava contro la nazione". Il razzismo fascista è essenzialmente un razzismo biologico, ossia basato su quella concezione pseudo-scientifica secondo la quale l'umanità è divisa in razze, il cui diverso valore biologico (oltre che storico e culturale) giustifica l' inevitabile dominio di alcune sulle altre. Le leggi razziali del 1938, non sono un errore, un incidente di percorso, come accredita invece quella vulgata, revisionismo storico, che sostiene la falsa idea che il fascismo, fosse in fin dei conti una dittatura bonaria che si sarebbe macchiata di un'unica colpa: l'avere introdotto nel 1938 una legislazione anti ebraica.
Lo stesso Berlusconi, pochi anni fa in occasione della giornata della Memoria sostenne lo stesso concetto: per tanti versi Mussolini aveva fatto bene ma il fatto delle leggi razziali è stata la peggiore colpa.
Anche Roberta Lombardi, esponente di primo piano del M5S ha recentemente convalidato questa tesi dicendo che l'ideologia fascista "prima che degenerasse, aveva una dimensione nazionale di comunità attinta a piene mani dal socialismo, un altissimo senso dello Stato e la tutela della famiglia.

UN PUNTO DI ARRIVO

Le leggi razziali del 1938, rappresentano dunque un punto di arrivo, e non di partenza.
La politica di vera e propria discriminazione razziale introdotta nelle colonie africane assoggettati al regime lo dimostra. Le popolazioni indigene cadute sotto il dominio dell'Italia fascista subiscono ogni sorta di violenza. "Non c'è città o villaggio, in Etiopia, dove non siano state rizzate delle forche", scrive lo storico del colonialismo italiano Angelo del Boca. Mussolini riprende la tradizione della prima fase dell'espansione coloniale italiana, accentuando la metodica spietatezza, già presente nel periodo antecedente: la deportazione di intere popolazioni e la loro segregazione in campi di concentramento diventa la norma, mentre l'uso intensivo delle armi chimiche per le uccisioni di massa, rappresenta plasticamente la brutalità del regime. Inoltre, prima del 1938, nelle colonie viene introdotta una normativa razzista che legittima la repressione dei dominati. In questo modo, viene sancita la superiorità dell'italiano nei confronti dei sudditi africani, e il diritto a segregare, discriminare e punire. Un vero e proprio apartheid che precede e prepara le norme antisemite promulgate nel 1938. In questa riduzione a esseri inferiori dei colonizzati va segnalata la condizione delle donne che subiscono "una segregazione nella segregazione". Considerate alla stregua di animali,il regime favorirà la consuetudine da parte degli ufficiali di prendere con sé una donna locale come domestica o schiava sessuale.
Il cosiddetto "madamato" sarà uno dei grani della corona del rosario fatta di massacri, stupri e schiavitù Imposta dal fascismo in Etiopia. Come scriveva Leon Trotsky proprio in quel periodo: "la sola caratteristica del fascismo che non sia mascherata, è la volontà di potenza, di dominio, saccheggio. Il fascismo è una soluzione chimicamente pura dell'imperialismo". In un frangente storico in cui il fascismo viene "normalizzato", e dalla pancia del paese affiorano pulsioni di estrema destra è utile e necessario coltivare la memoria storica di ciò che è venuto. Una memoria storica da trasmettere ai più giovani, se si  vuole controbattere con efficacia a quella narrazione neofascista, che oggi utilizzando svariate declinazioni e sfumature, si sta riproponendo con forza.

lunedì 23 aprile 2018

È USCITO IL NUMERO 2 APRILE/MAGGIO DEL GIORNALE COMUNISTA DEI LAVORATORI 'UNITÀ DI CLASSE"



OPPOSIZIONI RIVOLUZIONARIA DI CLASSE ANTIFASCISTA
editoriale di Michele Terra

IL TERREMOTO DEL 4 MARZO: UNO SCENARIO NUOVO
di Marco Ferrando

EMBRAGO E NON SOLO: LOCALIZZAZIONE UN AFFARE A SENSO UNICO PER IL PADRONE
di Vincenzo Cimmino

CROCIATE BIOLOGICHE E INTERESSI ECONOMICI: UN COCKTAIL MORTALE PER I CONSUMATORI
di Rossana Aluigi

LA POPOLAZIONE CURDA DI AFRIN E DEL NORD DELLA SIRIA SACRIFICATA AGLI INTERESSI DEGLI IMPERIALISMI
di Ruggero Rognoni

L'INIZIO DELLA PRIMAVERA CALDA FRANCESE
di Marta Positò

LA "RIDUZIONE" D'ORARIO DI LAVORO IN GERMANIA
di Stefano D'Intinosante

IL GIOVANE KARL MARX
di Cristian Briozzo

LE LEGGI RAZZIALI DEL FASCISMO

di Piero Nobili

giovedì 19 aprile 2018

POLARIZZAZIONE D'AVANGUARDIA E POLITICA DI MASSA

L'indirizzo del PCL nel nuovo scenario politico





Il 4 marzo ha segnato uno sconvolgimento profondo del quadro italiano. La crisi di consenso delle politiche dominanti e la crisi parallela del movimento operaio - combinandosi e sommandosi nei lunghi anni della grande crisi - hanno prodotto una risultante storica: da un lato il crollo del centro borghese in tutte le sue varianti (PD e Forza Italia), dall'altro la capitalizzazione a destra di questo crollo (M5S e Lega).

Al Nord (ma anche in aree crescenti del centro Italia) il capitalismo dei distretti ha trovato il proprio riferimento nella Flat tax della Lega, che ha costruito attorno a sé un blocco sociale vasto che coinvolge partite Iva colpite dalla crisi ma anche significativi settori di classe operaia industriale spesso dirottati contro gli immigrati e attratti dalla promessa dell'abolizione della Legge Fornero.
Al Sud ha sfondato il M5S con cifre da autentico plebiscito. Un M5S molto legato alla piccola borghesia delle libere professioni, che ha guadagnato la testa dei disoccupati e della popolazione povera del Mezzogiorno attorno alla bandiera del reddito di cittadinanza, ma che ha raggruppato anche la larga maggioranza del lavoro salariato dell'industria, e settori crescenti del pubblico impiego.
Nessuno dei due vincitori (M5S e Lega) è espressione diretta e organica dell'establishment. Entrambi coinvolgono nel loro insieme l'ampia maggioranza del proletariato italiano, e asfaltano la sinistra politica.


UNA CESURA PROFONDA COL PASSATO

Questo scenario segna una cesura profonda col passato.
Il vecchio bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra che aveva incardinato la Seconda Repubblica è deceduto dopo lunga agonia. Ma al tempo stesso un nuovo equilibrio non è ancora nato, né si delinea. Né il centrodestra né il M5S appaiono in grado di comporre una propria maggioranza parlamentare, mentre una loro collaborazione di governo (pur ricercata) fatica a trovare uno sbocco.

Il M5S si offre alla borghesia italiana (e internazionale) come nuovo architrave della Terza Repubblica. Ma il suo spazio di manovra politico è limitato dalla combinazione di due rigidità difficilmente aggirabili: la necessità di guidare il governo, l'impossibilità di imbarcare Berlusconi. Dal canto suo, la Lega di Salvini non può scaricare Berlusconi se non amputando la propria forza negoziale e mettendo a rischio l'eredità dei suoi voti. Da qui la prolungata paralisi politica.

Senza entrare in previsioni di dettaglio, si impongono in ogni caso due osservazioni di fondo.
La prima è che difficilmente si prospetta una soluzione di legislatura. Le elezioni politiche anticipate (prima o dopo) sembrano inscritte nel risultato del 4 marzo.
La seconda è che l'Italia è l'unico paese imperialista nel concerto europeo nel quale la soluzione di governo è di fatto affidata a forze “populiste”, esterne al centro politico borghese.
Non sono aspetti irrilevanti, perché misurano una contraddizione evidente: la valenza di destra del voto del 4 marzo rafforza il padronato e la sua offensiva sui luoghi di lavoro, ma la borghesia accentua parallelamente la propria crisi di direzione sul piano politico. E l'accentua nel momento stesso in cui lo scenario mondiale sottolinea gli elementi di fragilità del capitalismo italiano (prossimo esaurimento del Quantitative Easing della BCE, ristrettezza dei margini negoziali di manovra sul terreno delle politiche di bilancio e della crisi bancaria, rischi connessi alla guerra commerciale tra blocchi imperialisti per un paese esportatore come l'Italia...).


L'INCOGNITA M5S NELLA TERZA REPUBBLICA

A tutto questo si aggiunge un'incognita che va al di là della soluzione contingente della crisi politica. Il M5S è in grado di reggere sulle proprie spalle le responsabilità di pilastro della Terza Repubblica? Sicuramente è determinato a rivendicare quel ruolo, al prezzo del più grottesco trasformismo. Ma è attrezzato a reggere gli oneri enormi che l'esercizio di quel ruolo comporta?
È possibile. È possibile che la funzione plasmi l'organo in tempi più accelerati di quanto si pensi. Ma non sarà facile, per ragioni diverse tra loro combinate.

Il M5S non ha una classe dirigente sperimentata nell'amministrazione dello Stato borghese. Le difficoltà registrate nella giunta comunale di Roma sono solo una pallida anticipazione dei problemi ben più complessi che si presenterebbero su scala nazionale. Certo, il M5S può fare (ha già fatto e farà) una vasta campagna acquisti nel libero mercato delle professionalità di governo, imbarcando sul carro del vincitore la folta fila degli aspiranti al ruolo, più o meno improvvisati. Ma come conciliare l'acquisizione di forze esterne con la continuità della disciplina di setta, sotto il comando della Casaleggio Associati?

La seconda incognita, ben più rilevante, riguarda la tenuta del blocco sociale del M5S, nelle sue enormi contraddizioni. Il voto per il M5S del 4 marzo non è la fotocopia del 2013. Non solo, com'è ovvio, per le sue proporzioni, ma anche per il suo significato. Il 25% del 2013 esprimeva principalmente il segno del “vaffa”, del rifiuto dei vecchi partiti. Il 32% del 2018 esprime anche e soprattutto un'attesa, seppure passiva, di cambiamento sociale. Lo sfondamento del reddito di cittadinanza nella popolazione povera del Sud ha questo segno. Si può rispondere a quella domanda, fosse pure in modo distorto, dentro la camicia di forza di una crisi capitalistica irrisolta, e dentro spazi negoziali delle politiche di bilancio in sede UE resi più difficili dallo scenario interno tedesco (crescita dell'opposizione populista alla Merkel) e dagli equilibri europei (fronda rigorista a guida olandese)?

Fare la DC della Terza Repubblica è naturalmente un'ambizione legittima. Ma la DC prosperò non a caso nella stagione del boom, quando la prosperità capitalista offriva ampi margini di spesa clientelare e redistributiva. Fare la DC nell'epoca delle vacche magre è assai più difficile. Tanto più se le bandiere elettorali acchiappavoti (via il Jobs Act! via la Fornero! reddito di cittadinanza!) convivono con le promesse solenni fatte al capitale finanziario in termini di riduzione delle tasse sui profitti, eliminazione dell'Irap, abbattimento di 40 punti percentuali del debito pubblico sul Pil. Le stesse promesse che hanno lastricato la via dell'apertura padronale al M5S, proprio per questo difficilmente rimovibili, ancor più in presenza dell'agguerrita concorrenza salviniana (Flat tax, ecc.).

Tutto lascia credere dunque che un coinvolgimento di governo del M5S metterebbe a dura prova la tenuta del M5S e della sua base sociale. Ma attenzione. Chi pensa che queste difficoltà annunciate andranno di per sé a beneficio della sinistra politica e della sua ripresa rovescia l'ordine dei fattori. Solo una ripresa del movimento operaio sul terreno della lotta di classe può consentire una capitalizzazione a sinistra della crisi possibile del M5S. In caso contrario, in un quadro immutato di ripiegamento delle lotte di massa, una crisi del M5S potrebbe trovare a destra - a determinate condizioni - il proprio sbocco. Persino in una nuova ascesa del salvinismo (e, a rimorchio, di organizzazioni fasciste). Il crollo di consenso del renzismo, in un quadro di prolungata passività sociale, è precipitato a destra, non a sinistra. Perché la stessa dinamica non potrebbe ripetersi col M5S?

Non esiste dunque una dinamica oggettiva delle cose che di per sé possa risolvere i problemi dell'orientamento soggettivo della classe operaia e della sua avanguardia. Affrontare la questione della direzione della classe e del rapporto con la classe è tanto più nel nuovo scenario una questione centrale.
Su questo il Comitato Centrale del nostro partito ha impegnato la propria riflessione, definendo un orientamento generale di azione e proposta politica che approfondirà nella prossima fase.


CLASSE E POPOLO

La prima questione che si pone all'avanguardia di classe è la propria autonomia politica dal populismo, in tutte le sue varianti e declinazioni.

Autonomia politica dal populismo significa più cose.
Innanzitutto una chiara e inequivoca contrapposizione al Movimento 5 Stelle. Il PCL ha fatto su questo versante una battaglia politica di lungo corso, in aperta controtendenza rispetto agli orientamenti ammiccanti verso il grillismo di settori significativi della sinistra riformista e centrista, o addirittura alle politiche di aperto sostegno politico ed elettorale al M5S anche da parte di forze d'avanguardia. A maggior ragione consideriamo fondamentale questa battaglia nel nuovo scenario politico.

Autonomia politica verso il grillismo implica intanto una netta collocazione di opposizione e demarcazione politica. L'esatto contrario della politica oggi seguita da Liberi e Uguali (Grasso) e della stessa Sinistra Italiana (Fratoianni). Che, non contenti della vecchia subalternità verso il PD e il centrosinistra, sbandierata nella stessa campagna elettorale, mimano oggi un'apertura parlamentare al M5S iscrivendosi in modo patetico al futuribile governo Di Maio. È il tentativo disperato di scampare al proprio naufragio provando a rientrare nel gioco politico parlamentare dalla porta di servizio. Una politica non solo suicida per chi la conduce ma disastrosa per il movimento operaio.

Ma autonomia dal populismo è una questione più ampia, che va ben al di là dell'opposizione al M5S. Investe la cultura profonda della sinistra politica e della sua avanguardia.
Il rimpiazzo della classe lavoratrice con il “popolo” ha marciato in questi anni in ambienti diversi della stessa avanguardia. Ha investito settori dell'avanguardia sindacale; ha conosciuto rivestimenti culturali e razionalizzazioni teoriche soprattutto da parte del sovranismo di sinistra (Formenti); ha trovato una sua traduzione nell'esperienza in corso di Potere al Popolo, e nei suoi riferimenti internazionali emergenti (Mélenchon). Oggi l'appello congiunto di Francia Ribelle, Podemos, Bloco de Esquerda “Per una rivoluzione democratica in Europa” (Dichiarazione di Lisbona), nel nome della “sovranità del popolo”, “al servizio del popolo”, ripropone e rilancia lo stesso canovaccio in vista delle elezioni europee.

Il PCL contrasta alla radice questa cultura, e propone a tutte le avanguardie di classe, ovunque collocate, una battaglia comune su questo versante.

Non siamo economicisti, siamo comunisti. Sappiamo che la costruzione di un blocco sociale alternativo deve coinvolgere tutte le domande ed istanze delle masse oppresse, anche non direttamente classiste (sociali, di genere, democratiche, ambientaliste...). Istanze che riguardano non solo il proletariato, ma una più ampia massa di popolo. Ma il punto decisivo è quale classe prende la testa del “popolo” e quale traduzione dà alle sue istanze. Perché il popolo come soggetto indistinto al di sopra delle classi e della loro lotta non esiste nel mondo reale, esiste solo nella metafisica borghese. Nel mondo reale o è la classe dei lavoratori salariati che egemonizza la massa popolare nella dinamica della propria lotta (in funzione, per parte nostra, di una prospettiva anticapitalista), oppure sono e saranno le forze di altre classi a subordinare il popolo al capitale, dissolvendo in esso la classe operaia come massa anonima e atomizzata. Questo è il bivio.


POPULISMO DI SINISTRA E SOVRANISMO. PER UNA POLARIZZAZIONE CLASSISTA NELL'AVANGUARDIA

Questa duplice subordinazione - della classe al “popolo”, e del “popolo” al capitale - può certo avvenire in forme diverse.
Può avvenire in forme reazionarie, come rivela la marea del populismo di destra (lepenismo, salvinismo...), in chiave prevalentemente anti-immigrati. Può avvenire in forme ibride che combinano posture progressiste e vocazione reazionaria, come nel caso del populismo digitale anti-casta a 5 Stelle. Ma può anche avvenire in forme democratiche, come recita il populismo di sinistra di Podemos e Mélenchon, che rimpiazza i confini tra sinistra e destra nel nome della contrapposizione tra oligarchia e popolo, ed espelle la bandiera rossa dalle proprie manifestazioni.

Questo populismo di sinistra non è solo una mistificazione teorica, è un fenomeno politico. Può a volte registrare in forma distorta dinamiche sociali progressive (Podemos è stato anche un sottoprodotto degli indignados, Mélenchon ha anche capitalizzato sul piano elettorale la primavera di lotta del 2016). E tuttavia le subordina alla cultura interclassista del senso comune dominante, che a sua volta contribuisce a nutrire.

In Italia il populismo di sinistra ha allargato il proprio spazio politico - non a caso - grazie alla combinazione di due fattori: un riflusso prolungato del movimento operaio che non ha paragoni tra i paesi imperialisti dell'Unione Europea e il crollo parallelo di Rifondazione Comunista.
Rifiuto dei partiti, demonizzazione della politica nel nome della società civile, sostituzione della classe con la "cittadinanza" progressista o antagonista - in definitiva con il “popolo” - hanno trovato qui la propria radice, col contributo operoso dei dirigenti in disarmo di Rifondazione (blocco giustizialista con Di Pietro, lista civica con Ingroia, lista Tsipras con Barbara Spinelli). Potere al Popolo è l'ultima variante, con declinazione sociale e di sinistra, di questo spartito. Il Fatto Quotidiano, il giornale oggi più diffuso a sinistra, ne è invece la declinazione moderata, pro-grillina e manettara.

Questo spartito del populismo progressista, nelle sue varie forme, non è innocente. È stato al tempo stesso effetto e concausa dello smottamento ulteriore della sinistra politica e dello sfondamento populista anche in settori di avanguardia. La breccia aperta a sinistra dalla tematica del sovranismo è in questo senso emblematica.

Populismo e sovranismo si tengono insieme, anche quando declinati in chiave progressista. Quando si dissolve la classe nel popolo, la bandiera del popolo diventa quella della nazione. E se la nazione è imperialista diventa quella del proprio imperialismo e del proprio Stato. Podemos ha contrapposto la “sovranità democratica” della Spagna al diritto di autodeterminazione della Catalogna. Francia Ribelle di Mélenchon rivendica la proprietà francese della Guyana con tanto di sventolio del tricolore e della tradizione nazionale. Potere al Popolo ha una cifra diversa, ma si richiama pubblicamente a Mélenchon, e ospita al proprio interno le posizioni dichiaratamente sovraniste di Eurostop, che nel dicembre 2016 protestava davanti all'ambasciata tedesca rivendicando la sovranità mutilata dell'Italia.
Resta in ogni caso un fatto abnorme: l'esistenza stessa dell'imperialismo italiano viene rimossa proprio negli anni in cui l'Italia compete con l'imperialismo tedesco nei Balcani e sgomita con l'imperialismo francese in Nord Africa. In compenso, l'economista Bagnai, reverito per anni in tanti i convegni come icona del sovranismo di sinistra (contro i pregiudizi ideologici dei trotskisti), è finito deputato di Salvini. E rivendica, a buon ragione, la continuità dei propri argomenti, candidandosi a un ruolo di cerniera verso M5S e... “sinistra”, nel nome dell'"interesse nazionale" dell'Italia.

Questo mixage di populismo e sovranismo, con i suoi risvolti trasformisti più o meno grotteschi, plasma immaginari e riflessi condizionati diffusi.
È significativo che oggi in Italia persino nel senso comune di estrema sinistra la rappresentazione dell'Italia “schiava di Bruxelles” e della Germania sia spesso più popolare e comprensibile di quella che contrappone operai e padroni. La lotta dei metalmeccanici tedeschi è passata non a caso sotto silenzio. Parallelamente, la fascinazione esercitata dal putinismo in chiave anti-USA - dentro la rappresentazione campista del mondo - è la rimozione non solo della sua realtà reazionaria (e neoimperialista) ma anche delle difficili lotte controcorrente dei proletari russi. Nei fatti la sussunzione indistinta dei salariati nel popolo diventa una linea di frattura silenziosa con i salariati degli altri paesi e con altri popoli oppressi, in subordine al proprio imperialismo o a quello altrui.

L'influenza populista a sinistra pervade peraltro altri terreni, non meno insidiosi. La tesi dell'”immigrazione clandestina” come progetto del capitale globale (Diego Fusaro), l'idea dell'arretratezza della battaglia antifascista (Marco Rizzo) a fronte della centralità della contrapposizione a Bruxelles, l'idea dei diritti civili di omosessuali e transessuali come diritti “borghesi” contrapposti ai diritti sociali (ancora Marco Rizzo), sono tra loro sicuramente diverse, e hanno spazi diversi di diffusione a sinistra, ma hanno tutte una superficie contigua col pensiero corrente dominante, oggi arato da ideologie populiste regressive. Ed hanno aperto a sinistra brecce impensabili dieci anni fa.

La verità è che il superamento della distinzione tra destra e sinistra, caro alle peggiori ideologie reazionarie, diventa la forma ideologica di penetrazione delle categorie della destra nel campo della sinistra e della sua stessa avanguardia. Il populismo di sinistra ne è il veicolo. Più o meno mediato, più o meno inconsapevole, ma non casuale.

Per questa ragione la battaglia classista antipopulista, nel campo stesso dell'avanguardia della classe lavoratrice e dei movimenti sociali, assume una valenza politica centrale. È una battaglia controcorrente per lo sviluppo della coscienza. Segna una prima linea di demarcazione e di raggruppamento che il PCL perseguirà con coerenza. Una linea di polarizzazione classista, anticapitalista, internazionalista, che ricercherà possibili unità d'azione su questo fronte con altre organizzazioni classiste, e che interverrà sulle contraddizioni di Potere al Popolo in un rapporto di interlocuzione aperta con i settori di avanguardia che questo raccoglie.


AVANGUARDIA E MASSA. POPOLO DELLA SINISTRA E POPOLO PENTASTELLATO

La seconda questione che si pone all'avanguardia di classe è quella della proiezione di massa e della proposta di massa.

La rigorosa delimitazione dell'avanguardia da ogni declinazione di populismo non deve significare avanguardismo. Al contrario. Ha senso solo in funzione della più ampia proiezione verso la maggioranza della classe e degli oppressi al fine di sviluppare loro azione di massa e la loro coscienza politica.

Nei dieci anni del grande riflusso del movimento operaio italiano si è allargata la divaricazione tra l'avanguardia e la massa. Tra le decine di migliaia di militanti e attivisti della classe lavoratrice e dei movimenti sociali che in forme diverse preservano una linea di resistenza e conflitto, e la grande massa dei 17 milioni di salariati. In parte (e soprattutto) è una divaricazione fisiologica trascinata dalla dinamica di passivizzazione, ma in parte è stata ed è l'effetto di una cultura minoritaria dei gruppi dirigenti dell'avanguardia (sindacali e politici) che si è sovrapposta a quella dinamica oggettiva e l'ha approfondita: si tratta della propensione all'autorappresenzazione dell'avanguardia come massa, del proprio sciopero di sigla come sciopero “generale”, del proprio movimento o manifestazione come “il” movimento di massa. La gioia ostentata dai dirigenti del Potere al Popolo dopo l'1% dei voti, sullo sfondo dello sfondamento salviniano e grillino, è in fondo un riflesso della stessa cultura.

Questa cultura dell'autorecinzione non è un'espressione di radicalità ma di moderazione. Confessa non solo la rinuncia alla prospettiva di rivoluzione - che è di massa o non è - ma la stessa rinuncia ad una svolta della lotta di classe, a favore del ripiegamento nella propria nicchia (più o meno) “antagonista” in funzione della conservazione del proprio spazio. Una logica tanto più negativa in un quadro di riflusso del movimento di massa e di arretramento profondo della coscienza di classe.

Il PCL esprime un indirizzo di segno opposto, di azione e proposta.
La funzione dell'avanguardia non è quella di separarsi dalla massa, ma di sviluppare la sua coscienza, elevare il livello della sua azione, conquistarne in prospettiva la direzione. Quanto più la massa arretra tanto più è importante preservare ogni possibile spazio e canale di relazione con la massa per contrastare quell'arretramento e creare le condizioni di una ripresa. Così è sempre stato nella storia migliore del movimento operaio, così è oggi in Italia.

Rapportarsi alla massa significa partire innanzitutto dalla sua realtà.
La massa non è una dimensione uniforme ma stratificata. Non solo per condizioni sociali, ma per livelli di coscienza, esperienza, sentimenti, tradizioni. Ciò vale per la massa dei salariati come vale più in generale per le masse oppresse.
Su questo terreno assistiamo in Italia a modificazioni profonde, che il voto del 4 marzo ha registrato. Il popolo della sinistra (quello, per intenderci, che vive una relazione soggettiva, in forme diverse, con la tradizione del movimento operaio) non è scomparso. Nel milione e mezzo di voti riportato dalle liste della sinistra c'è un lascito importante di quella storia. Ma per la prima volta nella storia d'Italia la sinistra politica nel suo insieme scende sotto il 5% dei voti. È un dato unico tra i paesi imperialisti della UE. Misura il ripiegamento del popolo della sinistra in un bacino di avanguardia, sia pure di massa, mentre la grande maggioranza della massa, a partire dai proletari stessi, si rivolge a partiti populisti, soprattutto (ma non solo) al M5S.
Di più. Attorno al M5S è confluito elettoralmente un settore importante dello stesso vecchio popolo della sinistra che, disarmato dall'irriconoscibilità e dalle compromissioni della sinistra, ha cercato e cerca nel M5S un'alternativa, in non pochi casi “una sinistra vera”. Non è certo questo un fatto positivo, non riflette affatto una radicalizzazione nei comportamenti sociali, semmai spesso una passivizzazione ulteriore. Ma resta un fatto. Un fatto da assumere nell'orientamento dell'avanguardia: l'avanguardia di classe, politica e sindacale, non può oggi sviluppare una battaglia di massa nella stessa classe operaia senza parlare alla base di massa del M5S.

In altri termini, nello stesso momento in cui s'impone la più netta opposizione e denuncia controcorrente della realtà del M5S, è necessario tracciare un canale di comunicazione con la base di massa che l'ha votato. Ciò che pone anche un problema di innovazione di linguaggio e comunicazione, non per adattarsi alla rappresentazione populista, ma per combatterla e sradicarla.


LA SELEZIONE DELLE PAROLE D'ORDINE. DISARTICOLARE I BLOCCHI SOCIALI POPULISTI PER UN FRONTE UNICO DI MASSA

Rapportarsi alla massa significa selezionare le parole d'ordine.
La battaglia anticapitalista per il governo dei lavoratori resta l'asse centrale della propaganda rivoluzionaria, cui il PCL riconduce in ultima analisi ogni intervento di massa, assieme alla propaganda, ad essa connessa, delle rivendicazioni transitorie. Ma l'intervento di massa non si riduce alla propaganda (centrale) della rivoluzione sociale. È necessario tracciare un piano di rivendicazioni immediate che traducano e introducano quel programma sapendo parlare e comunicare alla massa e al suo immaginario. Un piano di rivendicazioni che sappiano entrare nelle stesse contraddizioni dei blocchi sociali reazionari col fine di portarle a rottura in funzione di un blocco sociale alternativo.

I poli populisti hanno sfondato nella classe lavoratrice brandendo non solo la clava anti-immigrati o anti-casta, ma anche obiettivi di ampio richiamo sociale, alcuni persino formalmente “classisti”. L'abolizione della Legge Fornero è stata il chiavistello della Lega in settori consistenti della classe operaia del Nord. Il cosiddetto reddito di cittadinanza (reddito minimo a 780 euro) è stata la bandiera del plebiscito grillino presso i disoccupati e la popolazione povera del Meridione. Sia la Lega che il M5S hanno formalmente sventolato nel proprio programma l'abolizione del Jobs Act. Il M5S ha addirittura rivendicato nel proprio programma (poi sbianchettato) la riduzione dell'orario di lavoro. Insomma: per coinvolgere le classi subalterne nei proprio blocco reazionario, i partiti populisti hanno dovuto “legittimare” rivendicazioni progressive, per quanto distorte, facendone bandiera del proprio successo e innescando perciò stesso una aspettativa, per quanto passiva. Al tempo stesso, è del tutto evidente che nessun partito dominante può attuare realmente quelle misure, a partire dal M5S. È una contraddizione potenzialmente esplosiva.

Entrare allora in questa contraddizione da un versante di classe è centrale nel nuovo scenario politico. Non si tratta di alimentare l'aspettativa di massa nei partiti populisti, ma di far leva (anche) su quell'aspettativa ai fini del rilancio di un movimento autonomo di classe e di massa, fuori e contro di essi.

La rivendicazione dell'abrogazione del Jobs Act, e dunque del ripristino dell'articolo 18, può essere rilanciata su basi indipendenti e ricondotta alla parola d'ordine della cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro.
La parola d'ordine dell'abolizione della legge Fornero (con pensione a 60 anni o 35 anni di lavoro) può essere ripresa e collegata alla rivendicazione della riduzione generale dell'orario di lavoro a 32 ore a parità di paga.
La rivendicazione del reddito minimo (che nella versione a 5 Stelle è strumento di generalizzazione del lavoro precario e sottopagato) può essere trasformata nella parola d'ordine di un vero salario dignitoso per i disoccupati.
Ogni bandiera sociale sollevata strumentalmente dai populisti come strumento di raggiro va ripulita e piegata contro la politica reale e i programmi reali dei populisti. E attorno a queste bandiere va rivendicata una vertenza generale unificante dell'intera classe lavoratrice, della massa dei lavoratori precari e dei disoccupati, preparando le premesse di movimenti reali di lotta. Perché ad esempio non provare a lavorare nel Sud a un movimento reale di disoccupati attorno all'obiettivo di un salario dignitoso, con la creazione e il coordinamento di specifici comitati?

Non si tratta di chiedere al M5S (e tanto meno alla Lega) di mantener fede alle promesse, ciò che significherebbe spacciare per buone quelle promesse, avallare gli equivoci, coprire le illusioni. Si tratta di fare esattamente l'opposto: usare (anche) quelle promesse per denunciare la realtà dell'inganno populista, ricomporre l'unità tra gli sfruttati che il populismo vuole divisi (tra Nord e Sud, tra occupati e disoccupati), preparare il terreno di una svolta di lotta generale, unitaria e di massa, che è e resta la dimensione di lotta necessaria per incidere sui rapporti di forza complessivi, e ricomporre un blocco sociale alternativo.


LA NUOVA IMPORTANZA DELLA BATTAGLIA IN CGIL CONTRO LA BUROCRAZIA SINDACALE

Rapportarsi alla massa significa battersi per una linea di classe in ogni organizzazione di massa.
Dentro il lungo ripiegamento del movimento operaio e la disgregazione della sinistra politica, la CGIL è rimasta di fatto l'unica organizzazione di massa dei lavoratori salariati. La battaglia di classe e anticapitalista all'interno della CGIL ha un'importanza maggiore di ieri.

La burocrazia dirigente della CGIL è la principale responsabile della disfatta del movimento operaio negli anni della grande crisi, e non solo. Non ha solo svenduto le ragioni del lavoro al padronato, dando semaforo verde alla Legge Fornero e aprendo la diga alla deroga dei contratti nazionali di lavoro e al welfare aziendale, ma ha spezzato ogni dinamica di resistenza e conflitto: ha portato su un binario morto il movimento di opposizione al Jobs Act, ha disperso nel nulla il più grande sciopero generale della scuola del dopoguerra, ha sistematicamente bloccato e isolato le mille vertenze di fabbrica portandole una dopo l'altra alla sconfitta. La conseguenza non è stata solo sindacale, ma politica. Lo sfondamento del populismo nella grande massa dei salariati ha nella linea CGIL la principale responsabile.

Questa linea di fondo non è reversibile. È il codice di una burocrazia che ha come bussola la collaborazione organica col padronato, come mostra una volta di più il recente accordo quadro tra sindacati e Confindustria. Le illusioni spese a piene mani in anni recenti nel gruppo dirigente della FIOM (Landini) come possibile contraltare alla burocrazia si sono scontrate con la realtà del gioco burocratico di chi non ha esitato a regalare ai padroni il peggior contratto dei metalmeccanici pur di entrare in Segreteria CGIL e aspirare alla guida della confederazione.

Ma la CGIL non è solo la sua burocrazia. È anche il luogo in cui si concentra la maggioranza delle masse sindacalmente attive, a partire dai salariati dell'industria, senza le quali è difficile immaginare un'azione generale vincente sul terreno della lotta di classe, a maggior ragione una prospettiva anticapitalista. Per questo la battaglia in CGIL non ha e non deve avere un carattere “residuale”: è parte inseparabile tanto più oggi di una battaglia politica di massa per un'altra direzione del movimento operaio.

La battaglia de “Il Sindacato è un'altra cosa” in occasione del prossimo congresso della CGIL è in questo quadro di grande importanza. È una battaglia che non si limita al terreno congressuale. Si tratta di una tendenza classista che si è assunta le proprie responsabilità in campo aperto tra i lavoratori, a partire dall'opposizione nelle assemblee e nei referendum aziendali nei confronti di contratti capestro, come è stato con un ruolo centrale tra i lavoratori metalmeccanici: le percentuali rilevanti del no all'accordo in numerose grandi fabbriche sono soprattutto un risultato di questa battaglia. Oggi questa battaglia di massa trova la sua naturale continuità e coerenza nel congresso CGIL attorno a un documento alternativo. Per questo il PCL sostiene e sosterrà tale battaglia col massimo impegno dei propri militanti e iscritti.

Non si tratta di confinare nella sola CGIL l'impegno sindacale classista di avanguardia, che oggi trova la propria espressione in una pluralità di organizzazioni sindacali. Il nostro stesso partito ha una presenza articolata anche nei sindacati di base, in particolare tra quelli di impostazione più apertamente classista. Ma in ogni sindacato classista poniamo l'esigenza della ricomposizione di un fronte di massa, della rifondazione democratica e classista di un sindacato di massa, di una linea d'azione e programma anticapitalista. Una prospettiva inseparabile dalla battaglia centrale in CGIL contro la sua burocrazia dirigente, oggi condotta dall'opposizione interna a questo sindacato.

Al tempo stesso, nel nuovo scenario politico, la battaglia contro la burocrazia CGIL non può limitarsi al solo piano sindacale. La CGIL è oggi l'unica organizzazione che per il suo insediamento potrebbe attivare un'opposizione di massa al populismo vincente del 4 marzo. L'esatto opposto delle attuali aperture CGIL a un governo M5S-PD, in linea guarda caso con la borghesia italiana. Si tratta allora di chiamare pubblicamente la CGIL alle sue responsabilità politiche di opposizione, a fronte della disgregazione della sinistra; di incalzare le sue contraddizioni sul piano politico; di sviluppare anche per questa via la coscienza dei settori più avanzati della sua base di classe attorno alla necessità di una alternativa politica di direzione del movimento operaio. Che è un aspetto decisivo per la stessa rifondazione sindacale.


Marco Ferrando

venerdì 13 aprile 2018

CONTRO LA GUERRA, DA UN PUNTO DI VISTA CLASSISTA E INTERNAZIONALISTA



Nei prossimi giorni è probabile un attacco militare in Siria da parte dell'imperialismo USA, dell'imperialismo francese, dell'imperialismo inglese, con l'appoggio attivo dello Stato d'Israele e dell'Arabia Saudita. La motivazione pubblica dell'attacco annunciato, cioè l'uso di armi chimiche da parte di Assad per espugnare la città di Douma, è un pretesto falso e ridicolo. Non per il fatto che Assad disdegni necessariamente le armi chimiche, come vorrebbero tanti cantori del suo presunto progressismo (il regime dispotico di Damasco è stato ed è capace di tutto). Ma perché in ogni caso i macellai dell'imperialismo “democratico” - che per lungo tempo hanno oltretutto sostenuto Assad - non si muovono certo per ragioni ideali, come dimostra il calvario di morte, orrori e distruzione di venticinque anni di guerre “umanitarie” in Medio Oriente. L'unica bussola degli imperialismi sono i propri interessi, economici e strategici. Ogni loro mossa è in funzione di questi interessi. Nel campo della propaganda, della diplomazia, delle bombe.


IMPERIALISMI A CONFRONTO

Nel ginepraio del Medio Oriente si agitano oggi interessi imperialisti profondamente diversi e tra loro conflittuali. La guerra siriana ne è l'epicentro.
Due sono le cordate imperialiste che si confrontano. La prima è quella imperniata sull'imperialismo USA: ne fanno parte i suoi alleati imperialisti europei, la potenza israeliana, il regime saudita. La seconda si raccoglie attorno agli interessi dell'imperialismo russo: comprende il regime teocratico iraniano e il regime siriano. Due campi di forze, gli uni contro gli altri armati, che si contendono la spartizione del Medio Oriente. Due campi che tendono a sussumere nella propria orbita, a scapito del campo rivale, ogni ogni altro interesse esistente in regione. L'imperialismo USA non ha esitato ad usare le forze kurde come propria fanteria nella “guerra all'ISIS”, salvo negare loro ogni diritto nazionale. L'imperialismo russo non ha esitato a incunearsi nelle contraddizioni interne al campo della NATO, tra USA e Turchia, incoraggiando le ambizioni di Erdogan e rifornendolo dei moderni sistemi antimissile.

La disfatta delle rivoluzioni arabe del 2011 con la deriva reazionaria che ne è seguita ha fatto da sfondo a questa contesa. Lo stesso sviluppo dell'ISIS tra il 2014 e il 2016 è figlio di questo scenario.


LA TEMPORANEA “VITTORIA” DI PUTIN

Questa contesa ha incoronato un (temporaneo) vincitore: il blocco russo-iraniano.

L'intervento militare della Russia e dell'Iran è stato determinante per garantire la tenuta del regime di Assad e il suo recupero territoriale. Per entrambi un indubbio successo.
L'Iran ha consolidato una propria area di influenza lungo l'asse sciita, seppur pagando sul fronte interno i costi sociali di questa espansione (vedi i movimenti di opposizione al regime nel 2017).
Ma soprattutto la Russia di Putin ha incassato il vantaggio maggiore. Ha rinverdito le proprie ambizioni di potenza internazionale, ben al di là di quei confini “regionali” in cui gli USA volevano relegarla. Ha rilanciato una propria presenza diretta in Medio Oriente, sedendo a capotavola della sua spartizione (vertici di Astana). Ha guadagnato una posizione negoziale preziosa da spendere su ogni altro terreno e contenzioso (Ucraina). Ha difeso e consolidato il proprio sbocco sul Mediterraneo, con risvolti economici e militari (Tartus e Latakia). Ha infine incassato sul fronte interno il dividendo elettorale patriottico (successo di Russia Unita alle elezioni presidenziali).

Le basi materiali dell'imperialismo russo sono fragili sul fronte economico interno. Ma il regime di Putin ha di fatto capitalizzato a proprio vantaggio la grande crisi dell'egemonia USA in Medio Oriente. Dopo la disfatta in Iraq e l'impantanamento in Afghanistan, l'imperialismo USA non ha potuto rilanciare una presenza diretta significativa di proprie truppe nella regione: presenza incompatibile con la tenuta del consenso interno, e con i margini economici ristretti dalla crisi capitalistica. Da qui il tentativo di Obama di sganciarsi dal Medio Oriente con una manovra combinata (annuncio della ritirata dall'Afghanistan, accordo di pace con l'Iran), in funzione di un ribilanciamento strategico contro la Cina sul Pacifico. Ma l'operazione è clamorosamente fallita, aprendo un vuoto che la guerra siriana ha dilatato. La Russia si è prontamente inserita in questo spazio, aggravando la crisi politica USA.


LA CONTROFFENSIVA DELL'IMPERIALISMO USA

Oggi il nuovo corso di Donald Trump vuole recuperare il terreno perduto sulla scacchiera del Medio Oriente (e non solo). L'attacco militare in Siria si colloca in questo quadro.

Naturalmente influiscono su questa scelta anche motivazioni interne, come la volontà di Trump di reagire alla guerra che gli muove la FBI e una parte rilevante dell'establishment, con una ricercata drammatizzazione del confronto internazionale, capace di guadagnargli il consenso dell'opinione pubblica sciovinista e di ricomporre attorno al Presidente gli apparati dello Stato.

Ma soprattutto pesa l'interesse internazionale dell'imperialismo USA.
Donald Trump non punta alla guerra contro la Russia (come non puntava alla guerra contro la Corea). Gli stessi vertici del Pentagono consigliano prudenza al Presidente. E il Presidente continua oltretutto ad alternare minacce alla Russia e annunci di ritiro dalla Siria. Un quadro contraddittorio e instabile, che in ogni caso non definisce ancora il vero obiettivo politico dell'operazione militare annunciata: rovesciare Assad o inviare come un anno fa un semplice segnale di avvertimento, poco più che simbolico? Probabilmente né l'una né l'altra cosa. Gli USA vogliono semplicemente riequilibrare i rapporti di forza in Medio Oriente. I bombardamenti annunciati mirano a indebolire Assad, minare la stabilizzazione del regime, ridimensionare la vittoria russa nella partita siriana, rilanciare il potere negoziale americano nella definizione dei nuovi assetti ed aree di influenza. Natura e tempi dell'operazione militare saranno calibrati in base a questa esigenza.

Tre sono i fattori che concorrono in questa direzione.
In primo luogo, l'attacco in Siria serve a rispondere alle pressioni incalzanti dei propri alleati regionali: Israele e Arabia Saudita. Il nuovo corso di Trump punta a ricostruire gli assi strategici fondamentali dell'imperialismo USA con tali paesi (riconoscimento di Gerusalemme come capitale sionista, e nuovo riarmo di Ryad). Ma sia Israele che Arabia Saudita sono nemici mortali dell'Iran, oggi rafforzato dall'asse vincente con la Russia. Sia Israele che Arabia Saudita chiedono dunque agli USA di arginare con la propria forza militare l'espansione iraniana e di cestinare gli accordi con l'Iran stretti da Obama. Trump accoglie questa richiesta alleata.

In secondo luogo, l'attacco in Siria vuole parlare alla Turchia, alleato NATO. La frattura con Erdogan e le nuove relazioni della Turchia con Mosca sono un fattore di massimo allarme per gli USA. Impedire che queste relazioni si trasformino in una vera e propria ricollocazione di campo della Turchia assume valenza strategica. L'iniziativa militare contro Assad, e la conseguente polarizzazione dello scontro, vuole bloccare quella possibile saldatura scompaginando il quadro, e provando a recuperare l'”alleato” turco (con esiti incerti).

Infine l'iniziativa USA mira a riaffermare la direzione americana del fronte imperialista europeo. Un fronte imperialista allineatosi agli USA nelle sanzioni alla Russia (guerra diplomatica attivata dalla Gran Bretagna) ma percorso in realtà da contraddizioni profonde. Tra una Francia che vorrebbe rilanciare una propria autonoma grandeur imperialista (propria iniziativa in Nord Africa, minaccia di un autonomo intervento militare contro l'espansionismo turco nel nord siriano, rivendicazione di un proprio possibile attacco anti-Assad in caso di rinuncia USA...). Un imperialismo tedesco che cerca in ogni modo di preservare un proprio spazio di manovra autonomo verso la Russia e la Cina, in funzione dei propri interessi. Un imperialismo italiano che vorrebbe salvaguardare le relazioni commerciali con la Russia, ma dispone di una forza negoziale assai più limitata (anche per via della crisi politico istituzionale interna) e dunque obtorto collo segue gli USA. Chiedendo in cambio il sostegno americano nel contenzioso con l'imperialismo francese in Libia e in Africa.

Con l'attacco in Siria, Trump chiede a tutti i riottosi alleati della NATO un pronto riallineamento attorno agli USA, quale prima potenza mondiale. 'America first' significa anche questo.


CONTRO LA GUERRA, DA UN PUNTO DI VISTA CLASSISTA E INTERNAZIONALISTA

Da questo quadro generale emerge un dato inequivocabile. A confrontarsi oggi in Siria non sono la reazione e il progresso. Sono due diversi blocchi imperialisti e le potenze regionali loro alleate (o che sfruttano il loro conflitto), entrambi nemici dei lavoratori e dei popoli oppressi.

Non è certo fronte del progresso l'imperialismo “democratico” USA ed europeo, come vorrebbero settori delle leadership kurde nell'attesa di un proprio riconoscimento come debito di riconoscenza per la guerra all'ISIS. Ma non lo è neppure il neoimperialismo russo del bonaparte Putin, alleato dei peggiori nazionalismi xenofobi europei, o il regime reazionario di Teheran che impicca i sindacalisti e opprime le donne nelle forme peggiori. La verità è che entrambi i blocchi arruolano i lavoratori in un conflitto che non li riguarda, che ne fa carne da macello, e che viene per di più scaricato sul loro portafoglio.

Contro i due fronti imperialisti si tratta di ricostruire il punto di vista indipendente della classe lavoratrice e la sua solidarietà di classe internazionale. Ovunque. In Medio Oriente, dove solo la classe lavoratrice può dare uno sbocco progressivo alle aspirazioni delle masse oppresse, ponendosi alla testa delle rivendicazioni nazionali del popolo palestinese, del popolo kurdo, della nazione araba, contro ogni imperialismo e contro lo Stato sionista, nella prospettiva di una federazione socialista del Medio Oriente. Nei paesi imperialisti, dove solo il proletariato può rovesciare la dittatura di quella piccola minoranza di capitalisti e di banchieri che non solo sfrutta i propri operai ma opprime altri popoli e partecipa al saccheggio del mondo, anche attraverso le guerre.


PER UNA MOBILITAZIONE IMMEDIATA CONTRO LA GUERRA

È necessaria una immediata mobilitazione contro la guerra sul nostro fronte interno. Il nemico principale è in casa nostra. Negli Stati Uniti, nei paesi europei, nel “nostro” Paese. È urgente una mobilitazione larga, unitaria, di tutte le sinistre - politiche, sindacali, associative, di movimento - che rivendichi l'opposizione incondizionata all'attacco imperialista in Siria, il rifiuto di concedere le basi militari all'attacco, il rifiuto della NATO. Una mobilitazione che denunci il rapido e scontato allineamento agli USA di tutti i partiti borghesi che si candidano al governo del capitalismo italiano, a partire dal M5S, il più atlantista di tutti. Una mobilitazione che chieda l'iniziativa reale del movimento operaio e sindacale contro la guerra, ben al di là di platoniche prese di distanza.
Dentro questa mobilitazione unitaria porteremo il nostro punto di vista coerentemente classista, internazionalista, contro tutti gli interessi imperialisti che si muovono in Medio Oriente (e non solo). Disponibili a pubbliche iniziative comuni con tutte le forze che vogliano valorizzare insieme questo autonomo punto di vista classista.


Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 11 aprile 2018

FRANCIA: ATTACCO DELLA CELERE ALL'UNIVERSITÀ DI NANTERRE

Quando la lotta diventa reato
Università di Nanterre, 9 aprile 2018. 



In mattinata tra i 100 e 200 celerini invadono il campus universitario su chiamata del preside, per cacciare da un edificio alcuni studenti in occupazione. Gli studenti si rifugiano quindi sul tetto, mentre altri studenti e il personale si erano radunati all'esterno, bloccati dalla polizia. Dopo un lungo faccia a faccia, la celere è andata via verso le ore 14.
Essendo finalmente riaperto l'edificio, le persone in presidio fuori sono riuscite ad entrare. A questo punto sono state indette due assemblee generali, una studentesca nell'anfiteatro della facoltà e una di personale e insegnanti in una sala contigua.

Dalle 15, la celere ha fatto una seconda volta irruzione. Un centinaio di celerini è infatti entrato dal seminterrato. Ha invaso il luogo dove si teneva l'assemblea studentesca, iniziando a cacciare fuori dalla sala violentemente i 150 studenti lì riuniti. Studenti scaraventati a terra, placcati, molestati. La polizia ha lanciato gas lacrimogeni all'interno dell'aula. Sette studenti ammanettati e portati al commissariato di Nanterre, tra i quali vari militanti da più mesi alla testa della mobilitazione e delle assemblee generali contro la riforma Vidal di introduzione della selezione all'università e riforma del diploma. Fra questi un nostro compagno di Anticapitalisme&Révolution - corrente del NPA e militante del sindacato studentesco UNEF, Victor. Ci sono stati inoltre vari feriti, di cui almeno due studenti all'ospedale.

Durante tutto questo il personale in mobilitazione ha cercato invano di contattare la presidenza per fermare la violenta offensiva poliziesca che si stava consumando sotto gli occhi di tutti. Nessuna risposta.
Successivamente la presidenza ha ufficialmente comunicato di avere chiamato la celere sul campus, in ragione di un supposto pericolo, costituito dagli studenti, e di possibili danni e degradazioni.
Non c'è stata nessuna degradazione. Gli studenti si erano pacificamente riuniti nella loro università per decidere del prosieguo di una mobilitazione che da più mesi investe tutto il paese e tutti i settori dal pubblico al privato: contro la selezione all'università e contro la promozione del classismo nelle scuole superiori (Loi ORE, riforma Vidal), contro la privatizzazione della SNCF e la distruzione dei servizi pubblici essenziali (dalla sanità, all'energia, agli spazzini, passando per gli insegnanti e i postini...). Una mobilitazione nazionale che ha visto due scioperi generali e una dura lotta contro politiche antisociali e antipopolari, dove al fianco dei ferrovieri, ci sono tutti, studenti compresi.
Sono 46 le università bloccate, occupate e mobilitate in Francia in questo momento. In moltissime città: nella sola Parigi, oltre a Nanterre, ci sono Paris 1, Paris 4, Paris 8 e Paris 7 in sciopero e in occupazione. Gli insegnanti e il personale sono al loro fianco: cominciano i piani di boicottaggio massivo della nuova riforma, aumentano le petizioni, sono sospesi esami e lezioni e semestri.

Un movimento generale di opposizione, intercategoriale, trasversale, che prende forza grazie a basi sindacali combattive, ad una organizzazione e coordinazione dal basso, e continua sotto l'insegna dello sciopero generale e fa paura al governo Macron: sono settimane in cui si assiste quasi giornalmente ad interventi polizieschi brutali contro studenti nelle loro università, a Nanterre come contemporaneamente a Lille o prima a Grenoble, ad aggressioni perpetrate dall'estrema destra fascista, da ultimo a Paris 1 e a Montpellier, con il beneplacito delle presidenze universitarie e delle istituzioni borghesi.
Sempre nella stessa giornata del 9 aprile, è inoltre iniziato il violento sgombero da parte della polizia della ZAD di Notre-Dame-des-Landes, dove accorrono moltissimi solidali in aiuto degli "zadistes".
Una macchina della violenza legalizzata, contro le piazze del 22 marzo e del 3 aprile, contro i sindacalisti combattivi, come Gaël Quirante delegato sindacale di Sud Poste 92, dirigente di Anticapitalisme&Révolution e animatore del Front Social, vittima dell'accanimento delle Poste a causa della sua attività sindacale. Per lui è previsto un presidio di solidarietà il 12 aprile, dal momento che la direzione delle Poste lo riporta in tribunale.
Una repressione su un movimento che ci insegna l'importanza della convergenza delle lotte, a partire dagli stessi lavoratori delle Poste del 92° dipartimento di Hauts-de-Seine (regione parigina), in sciopero ad oltranza dal 26 marzo, a partire dalla lotta per Gaël fino alla solidarietà con i ferrovieri.
Sempre il 9 aprile, inoltre, alla Gare du Nord (Parigi), ovvero la stazione più grande d'Europa, è stato proclamato sciopero permanente e i ferrovieri hanno attraverso la città in una grande manifestazione selvaggia. Nonostante ciò, numerosi sono stati i presidi di solidarietà in diversi luoghi della città, in sostegno degli studenti e dei lavoratori in lotta.
Senza contare che i ferrovieri autorganizzati hanno dato vita ad una cassa di sostegno, il cui ammontare ha ora superato i 500.000 euro.

La celere in assetto antisommossa, le agressioni fasciste all'interno delle università. A Nanterre hanno fermato brutalmente i militanti politici e sindacali. Li hanno portati in commissariato il giorno stesso.
Ma la risposta non si è fatta attendere: a ciò è seguito subito un numeroso presidio, di studenti e lavoratori, per esigerne la liberazione immediata. Oggi oltre 800 persone, studenti e personale, si sono riunite in assemblea generale all'università di Nanterre per rilanciare lo sciopero generale e esigere le dimissione del presidente dell'università. A portare solidarietà agli studenti si è presentata anche una folta delegazione di ferrovieri. Dall'assemblea si è ribadita la necessità di unire le lotte nella prossima giornata di sciopero generale il 19 aprile.
Dall'assemblea è seguito un corteo di 500 persone che, da oggi pomeriggio, presidia il commissariato di Nanterre, dove si trovano i compagni, i quali verranno portati oggi stesso in tribunale con l'accusa di ''degradazioni e violenze in assemblea'' per un'udienza dove saranno posti davanti all'alternativa di un giudizio direttissimo o di un rito normale. Il presidio combattivo ne esige la liberazione immediata e senza accuse a carico.
Contemporaneante sta anche partendo una manifestazione studentesca di solidarietà dalla Sorbona.

Rispetto alla repressione governativa che criminalizza la militanza politica e sindacale, ci uniamo e con forza sosteniamo i compagni sotto attacco. La vostra lotta è la nostra. Solidarietà internazionale.

Per la liberazione di Victor e di tutte e tutti gli altri studenti e studentesse fermate!

Partito Comunista dei Lavoratori

martedì 10 aprile 2018

LA BUONA SCUOLA CHE REPRIME

Solidarietà allo studente di Carpi sanzionato con un 6 in condotta a causa delle critiche mosse contro il sistema dell'alternanza scuola-lavoro



Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime solidarietà al compagno studente colpito dalla repressione esercitata dal dirigente scolastico della propria scuola (ITIS Da Vinci di Carpi), che è stato punito con un 6 in condotta per il solo fatto di aver espresso sulla propria bacheca Facebook delle critiche rispetto alla sua esperienza di alternanza scuola-lavoro. «Il messaggio offendeva la ditta e l’impegno degli insegnanti», è arrivato a dire il dirigente scolastico per giustificare il proprio atto contro lo studente al quarto anno.

Un fatto gravissimo che deve portare alla presa di posizione e alla mobilitazione di tutte le organizzazioni studentesche. Il fatto accaduto trova posto perfettamente nella trasformazione dell'ormai ex scuola pubblica in scuola-azienda, ora al servizio delle imprese, con una gestione padronale attraverso il preside-sceriffo-manager.

È necessario rispondere attivamente a questo attacco frontale ai più elementari diritti studenteschi, intraprendendo una lotta mai veramente iniziata contro l'alternanza scuola-lavoro (lavoro gratuito di studenti) e il modello della Buona Scuola (mercificazione dei saperi e militarizzazione delle scuole). A partire dall'ITIS da Vinci, attraverso l'occupazione della scuola, rivendicando il ritiro della sanzione discliplinare.

Rifiutiamo l'alternanza scuola-lavoro, per l'autorganizzazione degli studenti e dei lavoratori della scuola e nei luoghi di lavoro, per la libertà di scegliere e di decidere sulla nostre condizioni di studio, vita e lavoro secondo i nostri bisogni e necessità, non secondo le regole imposte dal mercato!

Fuori il Jobs act dalle scuole e dai posti di lavoro!

Per una scuola libera, pubblica, laica e al servizio dei proletari e delle masse popolari!

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione studenti

lunedì 9 aprile 2018

"IL GIOVANE KARL MARX" DI R. PECK TEORIA E MILITANZA IN SCENA PER UN FILM ENTUSIASMANTE


"Il giovane Karl Marx" di Raoul Peck è un'opera didattica ed entusiasmante, capace di utilizzare il cinema nella sua forma più matura e utile alla trasmissione di emozioni, passioni, conoscenze e coscienza.
A 200 anni dalla nascita di Karl Marx e a 170 dalla pubblicazione del Manifesto del partito comunista, non poteva esserci tributo migliore ai due genitori del materialismo dialettico e del comunismo scientifico, capace di restituire al pubblico l'immagine militante e passionale della battaglia teorica e politica di Marx ed Engels
«Il cinema svaga, educa, colpisce la fantasia con immagini e ti libera dal bisogno di varcare la porta della chiesa. Il cinema è un grande concorrente non solo dell'osteria ma anche della chiesa. È uno strumento che dobbiamo assicurarci a tutti i costi!» (L.Trotsky, tratto da "Vodka, chiesa e cinema", apparso su Pravda, 12 Luglio 1923)

"Il giovane Karl Marx" di Raoul Peck è un'opera didattica ed entusiasmante, capace di utilizzare il cinema nella sua forma più matura e utile alla trasmissione di emozioni, passioni, conoscenze e coscienza.
A 200 anni dalla nascita di Karl Marx e a 170 dalla pubblicazione del Manifesto del partito comunista, non poteva esserci tributo migliore ai due genitori del materialismo dialettico e del comunismo scientifico, capace di restituire al pubblico l'immagine militante e passionale della battaglia teorica e politica di due rivoluzionari che hanno segnato la storia fino ai giorni nostri, fornendo al movimento dei lavoratori e al movimento socialista gli strumenti fondamentali per comprendere la società e lottare per trasformarla.

Il film accompagna la maturazione di Karl Marx fino alla pubblicazione del Manifesto del partito comunista, mettendo in scena la lotta aspra e instancabile del filosofo tedesco a partire dagli articoli sulla Gazzetta Renana – con il celebre pezzo sulla repressione dei proletari raccoglitori di legna secca in difesa della proprietà privata dei possidenti – e dalla polemica con la sinistra hegeliana, composta di intellettuali idealisti, fino allo scontro con i "comunisti" utopisti incapaci di fornire al movimento dei lavoratori gli strumenti della critica e dello smascheramento dell'economia capitalistica e dello sfruttamento, per contrapporre agli astratti principi di pace e fratellanza il rivoluzionario approccio fondato sull'asprezza della lotta di classe per il potere del proletariato sulla base dell'analisi materialista dialettica.

In tutto questo percorso prende la scena il ruolo fondamentale della sincera amicizia con Friederich Engels, il cui apporto di analisi e il sostegno materiale furono fondamentali per far compiere il salto di qualità alla critica di Marx, e dell'amore passionale con la moglie Jenny von Westphalen, che si pose al fianco del filosofo di Treviri rinunciando agli agi nobiliari della propria famiglia per sostenere il suo lavoro politico nonostante la miseria, la difficoltà economica costante e la continua lotta alla censura e alla repressione poliziesca che li costringerà a non poche fughe e esili – "sono scappata dalla noia mortale... non c'è felicità senza rivolta"-.

Nel complesso, il regista è in grado di fornire allo spettatore un'immagine reale e concreta delle difficoltà esistenziali che accompagnarono la vita di filosofi militanti che hanno saputo cambiare la Storia – con la S maiuscola, la non secondaria battaglia con loro stessi, le difficoltà economiche, le rocambolesche fughe dalla polizia, i loro dubbi, le contraddizioni legate all'estrazione borghese delle proprie famiglie per mettersi al servizio della causa del proletariato mondiale.
Non da meno è il pregio, entro gli stretti tempi cinematografici, di saper dare vita agli articoli, agli opuscoli, ai libri e alla generale battaglia teorica e di idee calandoli nella concretezza della battaglia militante e della lotta di classe. In poche parole il regista è in grado di rappresentare e dare forma al concetto marxiano della filosofia della prassi, per fornire al movimento dei lavoratori le necessarie "idee forti" per saper indirizzarne gli sforzi verso la prospettiva rivoluzionaria. Nel percorso di questo film si incontrano così anche i principali personaggi storici con cui Marx ed Engels si trovarono a confrontarsi, mettendo in mostra come lo scontro e la battaglia con gli altri mostri della teoria avesse inevitabili e immediate conseguenze nella capacità di incidere sulla società e sul movimento reale: l'idealismo hegeliano di Bauer, l'astrattismo anarchico di Proudhon, l'approssimazione arrogante di Bakunin, l'utopismo cristiano-liberale di Weitling e della Lega dei Giusti.

In questi scontri emergono anche i tratti delle personalità dei protagonisti che il regista abilmente sa fornire nei brevi scambi di battute e negli aspri dibattiti politici, mettendo in mostra come l'arroganza, la provocatorietà, il cinismo e l'asprezza dei caratteri dei due rivoluzionari fossero comunque al servizio di una strategia e di una tattica che sapeva fondersi con la passione per un unico grande fine: la liberazione del proletariato e della società dall'abominevole sfruttamento capitalistico, in poche parole, la rivoluzione comunista.

Il regista afferma: «Piuttosto che ricreare l’ennesimo film d’epoca, l’obiettivo è stato quello di concentrarsi sul ricreare un’atmosfera - la frenetica realtà di un’epoca - per far meglio immergere il pubblico nell’Europa degli anni Quaranta dell’Ottocento: la durezza delle fabbriche inglesi, l’estrema indigenza e sporcizia delle strade di Manchester (simili a quelle di una baraccopoli), l’apparente calore degli interni parigini (residenze di lusso, librerie, etc…), e l’energia della gioventù desiderosa di cambiare il mondo, il tutto combinato insieme per illustrare i primi anni delle enormi disuguaglianze. (...) Prima ancor di aver raggiunto i trent’anni, Karl Marx e Friedrich Engels avevano già indubbiamente iniziato a cambiare il mondo, nel bene o nel male. 
Tutto quello che questo film intende far vedere si trova proprio lì, nella gioventù e nella rivoluzione delle idee».
Possiamo quindi affermare che Peck abbia ampiamente raggiunto questo obiettivo e che sia riuscito, anzi, a fare anche di più.

Ci sentiamo quindi di consigliare caldamente la visione di questo film a chiunque senta dentro di sé la necessità di lottare per una società più giusta e a chiunque si ritenga un militante rivoluzionario, cercando di riverberarne la conoscenza al più ampio pubblico possibile. Opere di questo tipo, infatti, hanno la capacità di entusiasmare e ridare nuova linfa alle idee e alla prassi rivoluzionaria, trasformano la memoria in emozione e spinta per il presente, fondendo arte e impegno per la causa degli sfruttati e delle sfruttate, trasformandosi in una straordinaria arma didattica e di formazione anche per le giovani generazioni a cui vengono imposte nozioni asettiche, decontestualizzate, spogliate delle passioni e delle battaglie collettive che vi stanno alla base per nasconderne l'inevitabile attualità e necessità anche ai giorni nostri.

Cristian Briozzo