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martedì 28 febbraio 2017

La crisi di Podemos e la necessità di lottare per una prospettiva di classe e anticapitalista



da Clase contra Clase

Il governo del Partito Popolare, appoggiato dalla grande coalizione del PSOE e da Ciudadanos, si prepara ad applicare nuove riforme e vieta il diritto all'autodeterminazione della Catalogna. Nel frattempo, la crisi di Podemos riafferma la necessità di rilanciare la lotta per una prospettiva anticapitalista e dei lavoratori in tutto lo Stato spagnolo
Dopo un anno di profonda crisi politica, il patto della “triplice alleanza” stretto da PP, PSOE e Ciudadanos ha permesso la formazione di un nuovo governo del Partito Popolare. Il Fondo Monetario Internazionale e il padronato premono per “recuperare il tempo perso” chiedendo nuove riforme, tagli alla sanità e all'istruzione, l'abbassamento delle pensioni e nuove riforme del lavoro. Tuttavia, il PP non gode più di una maggioranza propria, e cresce il malcontento nei suoi confronti, fatto che non rende facile applicare queste misure senza dover far fronte a nuove resistenze.
Gioca a suo favore il ruolo dei vertici sindacali, che hanno svolto un ruolo centrale nel rendere ancora più immobile la situazione, cercando il “dialogo sociale” con il governo e rinviando sine die l'appello alla lotta, mentre lasciano che ogni giorno si verifichino aggressioni e licenziamenti e nuovi licenziamenti collettivi.
La nuova legislatura inizia con un gruppo di settantuno deputati di Unidos Podemos che promettono “trasformazioni dall'interno delle istituzioni”. Ma la feroce lotta interna che attraversa l'organizzazione, tormentata da manovre, insulti e ricatti tra le sue principali frazioni dimostra ancora una volta i limiti del progetto di Podemos. Le tre aree di Podemos rappresentano matrici e orientamenti tattici diversi, ma che tuttavia condividono una strategia comune: il perseguimento di una via graduale e riformista delle istituzioni della democrazia spagnola in crisi. La forte presenza elettorale e nelle sedi istituzionali di Unidos Podemos è stata inversamente proporzionale allo sviluppo della lotta di classe e dell'autorganizzazione operaia e popolare. Al contrario, la sua anima “istituzionalista” e “parlamentarista” ha agito in modo passivizzante.
La divisione tra Iglesias ed Errejón è espressione di una lotta per il controllo dell'apparato in una struttura centralizzata imposta a Vistalegre I (assemblea di "fondazione" di Podemos, che si tenne nel 2014 nel Palacio de Vistalegre di Madrid, ndt). Tuttavia, questa divisione mostra anche i limiti di un progetto che ha reso autonoma la “nuova politica” (di Iglesias e Podemos, ndt) dalle necessità dei settori popolari e dei lavoratori, e che ha fatto della moderazione programmatica e discorsiva la sua ragion d'essere.
Per Iñigo Errejón si tratta di approfondire alcuni degli elementi della “ipotesi Podemos”: un discorso trasversale che rifiuta lo schematismo destra/sinistra, la moderazione dei gesti per non “fomentare la paura”: una specie di PSOE 2.0.
Pablo Iglesias ha portato avanti una svolta tattica e adesso cerca di “scavarsi le trincee” nel fianco sinistro del regime, stringendo migliori rapporti con i movimenti sociali. Vuole consolidare Unidos Podemos (in accordo con la direzione di Izquierda Unida) come opposizione interna al regime, sperare nelle prossime elezioni e cercare un nuovo accordo con il PSOE per governare.
Anticapitalistas (gruppo legato all'attuale Segretariato Unificato della Quarta Internazionale, del quale è espressione in Italia Sinistra Anticapitalista, ndt) ha presentato dal canto suo il progetto “Podemos en movimiento”, che avanza delle critiche corrette all'attuale direzione di Podemos ed al modello imposto a Vistalegre I. Tuttavia, posizioandosi come l'ala “ragionevole” di Podemos, che cerca di recuperare le origini del progetto, non fa un bilancio fino in fondo della crisi della “ipotesi Podemos”, né propone una rottura con la sua strategia riformista. Per gli “anticapitalisti” la mobilitazione e lo sviluppo dei movimenti sociali come movimenti di “contropotere” costituiscono delle vie che conducono verso una trasformazione sociale graduale a partire dalle posizioni istituzionali conquistate. Così, il progetto capeggiato da Anticapitalistas riprende alcune questioni programmatiche che erano rimaste aperte nel lungo periodo di moderazione elettorale, ma continua a lasciare da parte tutta una serie di misure che si scontrano apertamente con la proprietà capitalista.

LA PROVA DEL POTERE: LE "GIUNTE DEL CAMBIAMENTO"
Podemos oggi non è solo una forza di “opposizione” parlamentare, ma fa parte del governo delle principali città spagnole come Madrid, Barcellona, Valencia, Saragozza e Cadice insieme a liste civiche, a Izquierda Unida e ad altre forze. Ed è proprio lì dove governano che viene messa pienamente in atto la pratica in cui si è fatto esperto Pablo Iglesias: discorsi radicali dalla tribuna, ma al governo moderazione, moderazione e ancora moderazione.
Tutte le aree di Podemos prendono ad esempio le “Giunte del cambiamento”, ma per migliaia di lavoratori, lavoratrici, giovani e attivisti l'esperienza di quasi due anni di questi governi si è rivelata una grossa delusione.
Nel ruolo di “gestori” dell'ordine capitalista delle grandi metropoli spagnole, hanno messo da parte le istanze di rimunicipalizzazione dei servizi pubblici, il diritto alla casa e al lavoro, la rottura con le grandi corporazioni imprenditoriali che si accaparrano i commerci e la lotta al debito illegittimo. Invece, sgomberano i centri sociali e perseguono i venditori ambulanti immigrati, attaccano i lavoratori della metropolitana in sciopero mentre concludono accordi con il PSOE, e così il moderatismo si è trasformato nel loro abituale modus operandi, cedendo continuamente di fronte ai poteri tradizionali, non solo su questioni sociali ed economiche, ma anche sul terreno culturale.
Le “giunte del cambiamento” come prova del potere di Podemos e dei suoi alleati (Izquierda Unida) hanno mostrato in quasi due anni di governo che non sono disposte ad andare più in là di tiepide misure di facciata, senza risolvere nessuna delle richieste sociali e democratiche pendenti, cedendo in continuazione alle pressioni delle imprese, delle banche e della destra tradizionale.
LA “PATATA BOLLENTE” DEL REGIME: LA QUESTIONE CATALANA

Inoltre, nei prossimi mesi la questione del referendum catalano sarà probabilmente la principale spina nel fianco per il regime del '78 [la Monarchia spagnola nel suo assetto post-franchista, ndt]. La promessa di Puigdemont (Presidente della Catalogna, ndt) di celebrare un referendum di autodeterminazione nel mese di settembre sta inasprendo l'offensiva nazionalista del PP, con l'appoggio del PSOE, di Ciudadanos e della magistratura. Lo Stato spagnolo vuole mostrare che non c'è referendum possibile se non affrontando il regime del '78 e le sue istituzioni. A sua volta la tabella di marcia di “Junts pel Sí” ("Insieme per il sì", coalizione trasversale pro-indipendenza, ndt) mostra la sua impotenza nel negarsi in ogni circostanza a promuovere la mobilitazione sociale necessaria al braccio di ferro. Dal canto suo, la sinistra del Parlamento della Catalogna si divide tra la posizione dei “comuni” (1) che vogliono contenere la lotta per il diritto a decidere in merito all'accordo con lo Stato centrale, e quella della CUP (Candidatura di Unità Popolare) che si piega alla tabella di marcia di Puigdemont, approvando alcune delle misure di continuità della peggiore fase dei tagli.
Il 2017 può essere un anno decisivo per il processo catalano, in cui il cosiddetto “procesisme” (processo di indipendenza, ndt) rischia di morire in un vicolo cieco. Per la sinistra anticapitalista e di classe che si rivolge ai settori che iniziano a mettere in dubbio la politica dei “comuni”, è fondamentale lottare per il referendum incoraggiando una mobilitazione sociale di massa guidata dai lavoratori, con un programma che risolva anche i problemi sociali più importanti, chiedendo a tutti coloro che dicono di essere a favore del diritto di scegliere, compreso Unidos Podemos, di incoraggiare le mobilitazioni in Catalogna e nel resto dello Stato.

LA LOTTA PER UN BLOCCO ANTICAPITALISTA CHE SVILUPPI LA LOTTA DI CLASSE
Al di là del risultato di Vistalegre II (2) la crisi interna di Podemos comincia a tracciare i confini dell'illusione politica che il gruppo ha generato in milioni di persone dopo la sua irruzione nelle elezioni europee del 2014. Perciò è lecito chiedersi se possono cominciare a nascere settori che vedano la necessità di una nuova ipotesi di sinistra, anticapitalista e di classe, che torni a mettere al centro la lotta di classe e non le istituzioni della democrazia liberale.
Questo è ciò su cui abbiamo scommesso come Clase contra Clase e ciò per cui, insieme ad altre organizzazioni della sinistra che si definisce anticapitalista, l'anno scorso abbiamo inaugurato l'iniziativa “No hay tiempo que perder” ("Non c'è tempo da perdere", ndt). Dopo un importante incontro nazionale, si sono formati vari comitati in diverse città e abbiamo partecipato in forma unitaria a diversi momenti di lotta, come alle Marce della dignità, agli scioperi studenteschi e alle azioni del 1 maggio.
In seguito al dibattito collettivo è stato elaborato un programma che fa fronte alla crisi del regime del '78 da una prospettiva anticapitalista e di classe, con provvedimenti che, a partire dalle istanze più urgenti dei lavoratori come il diritto al lavoro, alla casa e ad una esistenza dignitosa, presenta misure come la nazionalizzazione delle banche e delle impresse strategiche sotto controllo operaio, la suddivisione delle ore di lavoro con aumento salariale, la lotta al debito, ecc. Il programma include anche la lotta per le istanze democratiche più sentite come il diritto all'autodeterminazione, la fine della monarchia, i diritti per gli immigrati e i rifugiati, l'annullamento della “ley mordaza” che, tra le altre cose, limita la libertà di manifestazione, e di altre leggi repressive. Tale programma, dal nostro punto di vista, deve essere legato alla lotta per un processo costituente guidato dalla mobilitazione operaia e popolare in una prospettiva di un governo dei lavoratori, della lotta contro l'Unione Europea del capitale e per l'unità dei popoli contro l'imperialismo.
Alcuni giorni fa, come Clase contra Clase abbiamo inviato una lettera ai compagni di IZAR (Izquierda Anticapitalista Revolucionaria), che ci hanno invitato a partecipare al loro I Congresso nazionale, in cui proponevamo di rilanciare con più forza questa iniziativa, proposta che rinnoviamo e che rivolgiamo anche alle altre organizzazioni che compongono “No hay tiempo que perder”, così come ai compagni indipendenti che partecipano al progetto e alle altre organizzazioni che ancora non si sono associate.
Essendo riusciti ad elaborare un manifesto programmatico comune, portando avanti interventi comuni e conquistando uno spazio di dibattito fraterno tra diverse organizzazioni e militanti indipendenti, questo blocco costituisce un punto di partenza per rafforzare la lotta in una prospettiva anticapitalista e di classe, compito che deve unirsi ad altre organizzazioni e movimenti della sinistra anticapitalista, al sindacalismo di classe antiburocratico e ai movimenti di lotta delle donne e dei giovani.
L'esperienza dei nuovi fenomeni politici degli ultimi anni apre la possibilità di rafforzare un polo che si proponga di intervenire unitariamente nelle lotte del movimento operaio, del movimento studentesco, del movimento delle donne, nei gruppi come le Marce della dignità e altri movimenti sociali, per ridare vita alla mobilitazione operaia e popolare, per difendere un programma che faccia pagare la crisi ai capitalisti, e per abbattere questo regime politico.
Unendo le forze per denunciare e presentare le esigenze [dei lavoratori] alle direzioni sindacali e politiche di sinistra, per costruire un ampio fronte unico di lotta contro il governo di grande coalizione, la sua nuova agenda di riforme e le sue offensive liberticide.

Note:
(1) comuni governati da coalizioni progressiste vicine a Podemos, come quella di Ada Colau a Barcellona, che teorizzano il cosiddetto municipalismo come forma di cambiamento e rottura dal basso sia nei confronti dei governi centrali che delle istituzioni politico-economiche internazionali, ai quali intendono contrapporsi sulla base di una resistenza territoriale, municipale, appunto. Posizioni assai simili si riscontrano, in Italia, all'interno di settori della sinistra che appoggiano la giunta di Luigi De Magistris a Napoli.

(2) secondo "congresso" di Podemos, seguito a Vistalegre I, che ha avuto luogo l'11 e 12 febbraio scorsi. Ha visto l'affermarsi del settore di Iglesias sul settore ancor più moderato e "compatibilista" del suo rivale interno Errejón, nettamente aperto ad alleanze con il PSOE.


Clase contra Clase - Spagna

venerdì 24 febbraio 2017

ISCRIVITI AL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI



Oggi come nel 1921, c’è un solo mezzo per opporsi alla barbarie del capitalismo: un partito comunista e rivoluzionario.

Oggi come nel 2006, quando cominciò il percorso di costruzione del PCL, rivendichiamo a gran voce la prospettiva di un partito internazionale della rivoluzione socialista.

Il 21 Gennaio 1921, data di nascita del Partito Comunista d’Italia, è una data d’importanza capitale per il PCL, perché il programma politico del PCd’I rimanda direttamente la stessa natura del programma del PCL, nella sostanza e non nella semplice retorica.

Viceversa negli ultimi anni si è succeduta a livello nazionale, la nascita di nuove formazioni politiche che si richiamano alle generiche parole “partito comunista” con intenti e programmi spesso di ispirazione stalinista completamenti in antitesi con lo stesso programma rivoluzionario del partito di Gramsci e Bordiga.

Il 21 Gennaio è stato utilizzato strumentalmente per il lancio mediatico di queste formazioni, mentre la riproposizione dell’autentico programma uscito in quella storica giornata dal Teatro San Marco di Livorno è stata svilita e oscurata.

ADERENDO AL PCL  SI SOTTOSCRIVONO LE QUATTRO LINEE DI INDIRIZZO GENERALI RIPORTATE NELLA TESSERA:

1) L’opposizione alle classi dominanti e ai loro governi, siano essi di centrodestra o di centrosinistra;
2) La prospettiva di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici che abolisca il modo di produzione capitalistico e          riorganizzi la società su basi socialiste.
3) Il collegamento costante tra gli obiettivi di lotta immediati e la prospettiva di fondo dell’alternativa anticapitalistica.
4) La prospettiva di un’alternativa socialista internazionale, e quindi di un’organizzazione rivoluzionaria internazionale dei lavoratori.

giovedì 23 febbraio 2017

RACCOLTA FIRME per le amministrative di LISSONE (MB)


Il Partito Comunista dei lavoratori partecipa alle elezioni comunali di Lissone con un punto di vista alternativo: quello dei lavoratori /lavoratrici, dei nativi e dei migranti, dei giovani, dei pensionati, dei precari e dei disoccupati, rispetto alle formazioni che si contendono la difesa degli interessi della borghesia.
Oggi è necessario ricostruire una coscienza di classe ed è urgente la costruzione di una piattaforma in grado di unificare in un fronte unico di lotta i lavoratori delle industrie e dei servizi, del commercio e del pubblico impiego, i pensionati, i disoccupati e i lavoratori precari, i lavoratori italiani e immigrati. Una piattaforma contro i programmi di austerità e le politiche che scaricano la crisi economica  del capitalismo sulla classe lavoratrice.
Al tempo stesso non ci limiteremo all'opposizione. Non siamo solo “antagonisti”. Siamo comunisti. Non ci limitiamo a combattere l'attuale potere, vogliamo un altro potere, quello dei lavoratori, in funzione di un altra società, dove a comandare non siano le banche ma chi lavora.

I nostri prossimi APPUNTAMENTI:
- Sabato 25 febbraio PIAZZA LIBERTA' ore 14.30/18.30
- Lunedì 27 febbraio MERCATO COMUNALE (piazza Degli Umiliati) ore 9.30/12.30
- Giovedì 2 marzo SUPERMERCATO UNES (via Spallanzani) ore 15.00/18.00
- Sabato 4 marzo POSTA (via Alcide De Gasperi) ore 9.00/12.00
- Lunedì 6 marzo MERCATO COMUNALE (piazza Degli Umiliati) ore 9.30/12.30
- Sabato 11 marzo BIBLIOTECA (piazza IV novembre) ore 14.30/18.30

OGNI FIRMA NON SARA' UNA INDICAZIONE DI VOTO MA UNA DICHIARAZIONE DI DEMOCRAZIA!

sabato 18 febbraio 2017

TSIPRAS E IL GOVERNO SYRIZA SECONDO PAOLO FERRERO



La solidarietà di Ferrero a Tsipras è la dimostrazione della comune natura traditrice dei riformisti
«Tsipras non ha mai tradito», ha dichiarato testualmente Paolo Ferrero in una recente intervista al Manifesto. È la confermata fedeltà del gruppo dirigente del Partito della Rifondazione Comunista a quella Sinistra Europea che ha assunto Tsipras come propria bandiera.
Eppure la drammatica esperienza del governo Tsipras mostra una realtà capovolta. A due anni dalla sua formazione, a un anno e mezzo dalla sua capitolazione alla troika, il governo Syriza-Anel sta macinando giorno dopo giorno le peggiori politiche di rapina del capitale finanziario sulla pelle dei lavoratori greci. Come era facile prevedere, il memorandum del luglio 2015 si è rivelato un cappio al collo sempre più stretto per la popolazione povera. L'impegno ad onorare il pagamento del debito pubblico, in perfetta continuità con i governi precedenti, fa del governo Tsipras l'agenzia dei creditori della Grecia. Questi creditori hanno nome e cognome: sono in misura preponderante gli Stati imperialisti europei. La Germania detiene 60 miliardi del debito greco, la Francia 46 miliardi, l'Italia 40 miliardi. I 326 miliardi versati complessivamente dalla troika alla Grecia servono a riempire casse e portafogli di questi famelici creditori attraverso il pagamento di debito e interessi. Nel frattempo il debito pubblico greco è ormai salito a 180% del prodotto lordo (e secondo il FMI è destinato a crescere sino al 275% entro il 2060!).
Sulla Grecia si scaricano anche le contraddizioni interne al campo dei creditori. Il FMI dichiara da tempo che il debito greco è ormai «insostenibile», e propone a UE e BCE una sua ristrutturazione (cancellazione dei crediti inesigibili in cambio di una stretta ulteriore del rigore). Ma gli Stati europei creditori (Germania, Francia, Italia) non hanno alcuna intenzione di tagliare le proprie quote di credito, a detrimento delle proprie casse e delle proprie banche, tanto più alla vigilia di elezioni politiche interne delicatissime. Al tempo stesso sono terrorizzati dall'idea che il FMI possa lasciarli soli sul fronte greco. Ecco allora la “soluzione”. Per mostrare al FMI che il debito pubblico greco è nonostante tutto rimborsabile, chiedono a Tsipras un supplemento di rapina: gli chiedono di portare l'avanzo primario (il rapporto tra entrate e uscite al netto degli interessi sul debito) al 3,7% del prodotto lordo, a fronte di una economia che nel 2016 è “cresciuta” dello 0,3%. Come? Attraverso altri quattro miliardi di tagli sociali (ancora sulle pensioni) e di tasse sui consumi (a scapito dei salari). Nei fatti chiedono un nuovo colpo alle masse popolari, già stremate da sacrifici senza fine.
E Tsipras? Tsipras obbedisce, negoziando come sempre il piano degli strozzini. Certo, lamenta che «si sta giocando col fuoco». Ma solo per ricordare ai creditori che è nel loro interesse che il debitore non tiri le cuoia. È un punto sensibile. Tsipras governa ormai con una maggioranza parlamentare di soli tre voti di scarto. I sondaggi danno Syriza al 17%, un consenso più che dimezzato dopo un anno e mezzo di gestione dell'austerità. La destra di Nuova Democrazia, attorno al suo nuovo leader Kyriakos Mitsotakis, è data al 34%, misura di una ripresa rapidissima grazie alla capitalizzazione reazionaria del malcontento sociale, mentre Alba Dorata spera di incassare l'onda del lepenismo francese. All'interno di Syriza e dei suoi gruppi parlamentari lo spettro di una disfatta annunciata apre manovre e conflitti.
Tsipras cerca disperatamente di sfuggire al disastro della propria esperienza politica. Supplica i creditori di rinnovargli fiducia dopo la dimostrazione eroica di fedeltà alla troika. Usa la svolta Trump per rammentare al governo tedesco che è suo interesse salvaguardare l'unità della UE contro le spinte nazionaliste e protezioniste. Si offre come cortigiano delle socialdemocrazie europee, per cercare di incassarne benemerenze e favori. Chiede insomma al capitale finanziario e ai suoi governi di lasciargli uno spazio residuo di sopravvivenza.
Di certo, conferma anche per questa via di aver rotto da tempo con quella base di massa, giovanile e proletaria, che due anni fa ne aveva sospinto l'ascesa e che il governo ha svenduto alla troika.
Il fatto che Paolo Ferrero - ex ministro di un imperialismo creditore - continui inossidabile a garantire per Tsipras, conferma solamente la solidarietà dei riformismi al di là delle frontiere, attorno al proprio unico motto comune: dalla parte borghesia, ieri, oggi, domani.


Partito Comunista dei Lavoratori

giovedì 16 febbraio 2017

mercoledì 15 febbraio 2017

SUGLI SCONTRI ALL'UNIVERSITÀ DI BOLOGNA

Contro la repressione!



Lo scorso gennaio, a Bologna (dopo altri tentativi falliti di adozione di misure securitarie) l’Università ha installato un sistema di tornelli presso la storica Biblioteca di Discipline Umanistiche (BDU), situata nel cuore di via Zamboni, nella zona universitaria della città.
Immediatamente, molti studenti frequentatori della biblioteca e sempre più universitari di varie facoltà si sono attivati per far ritirare questa misura, apertamente in contrasto con la storia della biblioteca stessa, luogo tradizionale di studio e di incontro aperto a tutti, non solo agli universitari.
Di fronte all’assenza di risposte da parte dell’ateneo, alcuni studenti hanno fisicamente smontato i tornelli: è partita allora una campagna dell’Università di Bologna contro gli studenti stessi, culminata nella chiusura arbitraria della biblioteca stessa, peraltro in periodo d’esami. Alla sua riapertura per mano degli studenti, il rettore ha chiamato la celere perché sgomberasse con la forza il luogo, senza preavviso. Ad oggi, la biblioteca rimane chiusa (e contiene ancora gli oggetti personali dei molti studenti che vi si trovavano al momento del raid poliziesco) e continua la campagna di diffamazione degli studenti coinvolti in questa lotta, specie a quelli del Collettivo Universitario Autonomo (protagonisti della rimozione dei tornelli).

Agli studenti che lottano contro i tagli e le misure repressive non può che andare la nostra piena solidarietà e il nostro invito a continuare e ad estendere la lotta. Ma proprio perché l’attacco generale dei padroni e dei loro funzionari polizieschi e delle istituzioni è più forte e generalizzato che mai, non possiamo che registrare i limiti della risposta studentesca: mancano organi di autorganizzazione diffusa nelle scuole e nelle università, manca la convergenza pratica delle lotte e delle loro rivendicazioni, manca un collegamento organico alla classe lavoratrice, l’unica parte della società che davvero può ribaltare la situazione sulla base della propria forza sociale.
La sfida che anche gli studenti in lotta devono affrontare è quella del coinvolgimento nella mobilitazione dell’organizzazione indipendente della maggioranza degli studenti, e non solo di un piccolo settore di avanguardia: così da sottrarli all’influenza della burocrazia d’ateneo e dei servi dei capitalisti schierati in prima linea contro la lotta, come nel caso della tirocinante (che, guarda caso, è "responsabile legalità" nella segreteria regionale del PD!) e della direttrice della biblioteca, che hanno dipinto la BDU come un luogo di perdizione caduto in tali condizioni per colpa di presunti collettivi studenteschi onnipotenti e criminali.

Il solo antidoto a questa propaganda è una risposta politica di massa, radicale degli studenti, che non metta in questione solo l’università-azienda di oggi, ma la società che la genera, il capitalismo.

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione studenti

venerdì 10 febbraio 2017

VIA IL BOIA ERDOGAN!



PER IL DIRITTO ALL’AUTODERTMINAZIONE DEL POPOLO KURDO!
Il popolo kurdo è stato diviso un secolo fa dalle  potenze  coloniali  ed  è  oppresso  in  almeno  quattro paesi: Siria, Iraq, Iran, Turchia. Tutti questi paesi sono  coinvolti,  assieme  ad  Arabia  Saudita, Emirati del Golfo e Israele nella crisi irrisolta del Medio Oriente. La contesa mediorientale vede coinvolti per l’egemonia regionale da un lato Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Israele, dall’altro l’Iran, Hezbollah (Libano) e la Siria  di  Assad,  sostenuti  rispettivamente  da  un  lato dall’imperialismo statunitense ed europeo e dall’altro dall’imperialismo russo (e in modo più defilato cinese) che intervengono sia direttamente che attraverso formazioni locali. La Siria, dopo la deviazione reazionaria e la sconfitta della rivoluzione araba, è attualmente crocevia di  fronti  di guerra intrecciati e sovrapposti, e teatro delle principali contraddizioni della situazione internazionale.
Nessun regime locale e nessuna potenza imperialista ha reale interesse a sostenere la liberazione e ancora meno l’unificazione del popolo kurdo. La guerra condotta dalle forze popolari kurde, la partecipazione armata delle donne a difesa del Rojava, contro il fascismo islamista dell’ISIS e di altre organizzazioni salafite e reazionarie, rappresenta l’elemento progressivo e di estrema importanza nell’attuale contesto di guerre intrecciate e sovrapposte.
Il movimento kurdo nella regione è politicamente diviso: il PDK di Barzani (Iraq), conservatore, e        il PKK, progressista, sono le principali organizzazioni nazionaliste nella regione, in competizione     per la direzione del movimento nazionale kurdo. Queste forze negoziano con  Assad,  con  la  Francia, con gli USA, con la Russia per riceverne il sostegno al proprio progetto nazionale. Una speranza mal riposta e fonte di ricorrenti frustrazioni e sconfitte storiche.
La Turchia di Erdogan, promotrice di un proprio disegno di potenza neo-ottomana nella regione, non ha esitato, insieme all’Arabia Saudita, a sostenere i fascisti islamici dell’ISIS. Questo progetto non può sopportare nessuna forma di autodeterminazione kurda, sia all’interno che all’esterno dei suoi confini. Dopo il fallimento del colpo di Stato, Recep Tayyip Erdogan ha operato una repressione senza precedenti finalizzata a liquidare l’opposizione democratica, in particolare della minoranza kurda, imporre un regime autoritario e ricomporre le alleanze internazionali. Quindi ha continuato a reprimere nel sangue la rivolta dei kurdi in Turchia e ha invaso la Rojava per spezzare in Siria ogni ipotesi di autonomia kurda. Dopo l’apparente svolta di Erdogan contro l’ISIS, gli USA hanno voltato le spalle al movimento kurdo della Rojava, scegliendo la Turchia quale sicuro bastione della NATO. È evidente che ogni attore si muove con duttilità e spregiudicatezza al solo fine di difendere e rafforzare il proprio peso politico in funzione dei futuri nuovi equilibri.
Nell’attuale contesto imperialista non  c’è soluzione  progressiva  alla  questione  palestinese  senza la distruzione  rivoluzionaria  dello  Stato  sionista,  così  come  non   c’è   soluzione   progressiva della questione kurda in un Kurdistan indipendente senza la messa in discussione degli equilibri e  dei confini statuali disegnati dalle potenze coloniali. Questa rivendicazione democratica  è  realizzabile solo nel quadro di una soluzione socialista, nella prospettiva di una Federazione Socialista del Medio Oriente. Solo la classe lavoratrice, ponendosi alla testa dei popoli oppressi della regione, può   realizzare    i    compiti    democratici    della    rivoluzione    (autonomia all'imperialismo, autodeterminazione nazionale, riforma agraria radicale). Solo un  partito rivoluzionario e internazionalista, forte della teoria della rivoluzione permanente, può dirigere questo processo. In alternativa, come i fatti dimostrano, in presenza di una direzione borghese c’è la ridefinizione della carta geografica del Medio Oriente per mano dell'imperialismo, dell'ISIS, del sionismo, del progetto neo-ottomano turco.

  NESSUNA FIDUCIA NEGLI IMPERIALISMI!

  PER UN KURDISTAN UNITO E INDIPENDENTE!

  PER UNA FEDERAZIONE SOCIALISTA DEL MEDIO ORIENTE!

Partito Comunista dei Lavoratori


giovedì 9 febbraio 2017

SALVINI E MARONI: PER I LAVORATORI SON SEMPRE BASTONI

Licenziati 18 impiegati dei call center del Pirellone



La regione Lombardia a guida Lega licenzia 18 impiegati dei call center.
E' infatti stato disdetto in anticipo il contratto con la società che aveva in appalto il servizio e i lavoratori arrivati regolarmente al lavoro lo scorso lunedì mattina si sono trovati con i badge disattivati e quindi con l'impossibilità di entrare in ufficio.
Licenziamento che si aggiunge al ritardo di quattro mesi nel pagamento degli stipendi.
Il provvedimento arriva dopo che gli impiegati dei call center avevano partecipato allo sciopero delle telecomunicazioni dell' 1 febbraio, a dimostrazione ancora una volta di come i partiti e le istituzioni borghesi siano sempre pronte a bastonare i lavoratori appena osano alzare la testa.
La giunta di centrodestra a guida Lega prosegue nel solco tracciato dal corso formigoniano a colpi di privatizzazioni ed esternalizzazioni contro gli interessi della maggior parte dei cittadini lombardi.
Il nuovo corso della Lega Nord di Salvini non è altro che un bluff. Davanti a una facciata antisistema permangono le politiche di rapina ai danni dei lavoratori e degli strati più deboli.
Un partito, la Lega, da diversi anni ben ancorato alle poltrone del potere sia a Roma (esperienze di governo con Berlusconi) sia nelle varie regioni e comuni che amministra.
Al di là delle ciance del cialtrone Salvini, che minaccia di andare a Roma con i bastoni, le bastonate la Lega le riserva a chi lavora, ora come allora.
Da Bossi a Salvini e Maroni, da più di vent'anni al servizio delle politiche e degli interessi dei padroni.
Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la propria solidarietà e vicinanza ai licenziati del Pirellone e a tutti i lavoratori del settore telecomunicazioni in lotta, dai licenziati di Almaviva ai lavoratori in lotta per il rinnovo del contratto nazionale.


Partito Comunista dei Lavoratori
sezione di Milano

domenica 5 febbraio 2017

Euro o lira, il vero problema è il capitalismo Contro la truffa del nazionalismo!




Il capitalismo è un sistema fallito. L'aumento impressionante delle disuguaglianze sociali in tutto il mondo ne è la misura. Ma un sistema fallito, in profonda crisi di consenso, deve riuscire a dirottare su falsi miti la rabbia sociale delle classi che sfrutta.
Per un certo tempo il mito europeista ha svolto questo ruolo. Perché i sacrifici? Perché bisogna “entrare in Europa”, si diceva in Italia negli anni ‘90. L'Unione Europea dei principali stati capitalisti veniva presentata come orizzonte di progresso. Ma l'esperienza della UE ha dimostrato l'opposto: precarietà del lavoro, privatizzazioni, tagli alle prestazioni sociali, demolizione dei contratti nazionali. Sono le politiche di tutti i governi UE. Per ultimo del governo Tsipras, che aveva annunciato la “riforma sociale e democratica” della UE e ha finito con lo svendere alla troika persino l'acqua pubblica. A riprova che non si può riformare la UE.

Ora che la truffa dell'Unione ha perso la propria credibilità, tornano in voga i miti nazionalisti e sovranisti. Perché i sacrifici? Perché c'è l'euro e la Germania ci sfrutta. L'uscita dall'euro e/o dalla UE diventa la via maestra del ritorno della democrazia e della “sovranità del popolo”. È la propaganda dei nazionalismi reazionari europei, ma anche, in altre forme, di ambienti diversi della sinistra. È un'altra truffa.

Non esiste la sovranità di una moneta. Esiste la sovranità della classe sociale che la controlla. All'ombra del dollaro sovrano, i padroni USA hanno abbassato i salari, tagliato milioni di posti di lavoro, sotto Bush come sotto Obama. Ed oggi Donald Trump, nel nome della nazione americana, annuncia una nuova stretta contro la sanità e i diritti sindacali. Sotto la sovranissima sterlina, i padroni inglesi hanno smantellato i diritti e le conquiste sociali di generazioni di sfruttati. Oggi, l'uscita della Gran Bretagna dalla UE non cambia di una virgola il corso distruttivo di queste politiche.

La nuova moda dell’era Trump è dunque la vecchia truffa del nazionalismo: la borghesia in ogni Stato arruola i propri lavoratori contro i lavoratori di altri paesi, in una competizione mondiale di tutti contro tutti. I sacrifici che prima erano richiesti nel nome della globalizzazione e del libero scambio, ora sono invocati sempre più nel nome della Patria e della Nazione. Ma a pagare sono sempre gli stessi: i lavoratori. E a guadagnarci sono sempre gli stessi: i capitalisti e i loro profitti. Questa è la truffa che si nasconde dietro le parole dei Le Pen, dei Salvini, dei Grillo...

La verità è che l'alternativa non è tra euro e lira, tra libero scambio o protezionismo, tra Unione Europea e nazione. L'alternativa vera è tra capitalisti e lavoratori. Tra capitalismo e socialismo. In ogni paese e su scala mondiale. Da un lato un sistema sociale fallito che non ha nulla da offrire ma solo da togliere, quali che siano le sue monete e le sue istituzioni, nel quale la sovranità sta in ogni caso nelle mani dei capitalisti, dei banchieri, della loro dittatura. Dall'altro un progetto di alternativa di società in cui a comandare sia finalmente chi lavora, chi produce la ricchezza della società, e cioè la sua maggioranza, a partire dal controllo delle leve fondamentali dell'economia.

Il Partito Comunista dei Lavoratori si batte nelle lotte dei lavoratori, in ogni lotta di resistenza sociale per questo progetto di liberazione e rivoluzione. Per la costruzione di un partito internazionale della classe lavoratrice basato su questa prospettiva: l'unica vera alternativa.

venerdì 3 febbraio 2017

UNA EREDITA' SCOMODA

L'inchiesta documento della inglese BBC sui crimini italiani durante l'occupazione dei Balcani ed in Africa, un video shock sulla Storia rimossa del Paese e sulle proporzioni effettive del genocidio operato dal colonialismo e dal fascismo italiano. 
Una Storia negata e rimossa dalla memoria collettiva, una Storia che gli italiani non conoscono sebbene sia, a differenza di altri episodi ben più romanzati, documentata da fonti ed atti storicamente indiscutibili. 
Per questo è importante oggi prendere coscienza e conoscere questa pagina della Storia italiana e diffonderne i contenuti, da sempre censurati nel nostro Paese. 
Il documento proposto venne trasmesso da LA7 anni fa, nel corso del programma Altra Storia curato dallo storico Sergio Luzzato. Dobbiamo renderci conto che la Repubblica italiana non ha mai fatto veramente i conti con le responsabilità del fascismo.