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martedì 30 ottobre 2018

LA FRAMMENTAZIONE DELLE LOTTE SPECIFICHE NON SONO IN GRADO DI SCUOTERE LE FONDAMENTA DEL SISTEMA E PORTARE AD UNA SCONFITTA DELLA CLASSE DIRIGENTE



Da almeno vent’anni è di moda un discorso, una teoria che parla di “nuova sinistra”. Una sinistra rinnovata, che parte dai cosiddetti movimenti sociali, caratterizzata dalla molteplicità delle bandiere cui far riferimento.
Anche se non unanime, non è comunque esagerato affermare che un’ampia maggioranza di coloro che teorizzano queste nuove idee sociali le considerano da contrapporre a ciò che viene definito “la vecchia sinistra”, e vale a dire la sinistra marxista-leninista, classista, i partiti comunisti.

Per i movimenti il concetto di classe è superato in nome di una visione di società globalizzata e multiforme. In questa modernità si diluirebbero le possibilità di costruire una società socialista.

Nei periodi passati, la grande concentrazione operaia, in grandi centri industriali, rendeva molto più facile l’organizzazione sindacale e politica, e di conseguenza, la coscienza di classe e la sua definizione potevano essere facilmente accettati.
Attualmente, parlare di classi sociali richiede uno sforzo più approfondito del cambiamento dell’organizzazione produttiva, che ha contribuito a segnare il ridimensionamento del protagonismo storico della classe operaia.

La questione delle classi come soggetto storico mantiene, però, la sua attualità e rilevanza. Esse non sono scomparse, come si sente affermare, ma hanno assunto nuove sfaccettature a causa dei mutamenti avvenuti nel mondo del lavoro con l’avanzare del capitalismo.

Oggi la classe lavoratrice è frammentata, è ancora nelle fabbriche, ma anche nel settore dei servizi e del commercio. Senza contare la gran massa cui viene impedito l’ingresso nel mondo del lavoro dalla disoccupazione. Queste situazioni rendono oltremodo difficile l’unità dei lavoratori, perché sono inseriti in processi produttivi ed attività estremamente diversi tra loro.

Tuttavia, vi sono caratteristiche fondamentali che sono comuni a tutti: la sottomissione al capitale attraverso il lavoro salariato e la dipendenza da questa relazione per sopravvivere.
Quest’assenza di unità, e quindi di “coscienza di classe”, è l’amara conferma che la classe lavoratrice trova grande difficoltà di azione politica in opposizione alla classe dirigente.
L’importanza e la necessità, quindi, di un partito d'avanguardia comunista. Un Partito in grado di contemplare le esigenze presenti nei vari movimenti e che propone di andare oltre, orientandoli verso il rovesciamento rivoluzionario del capitalismo, per la costruzione del potere socialista, che è il potere della classe operaia.

Il superamento del capitalismo richiede una certa organizzazione e disciplina di classe che si oppone al dominio del capitale. La polverizzazione e la frammentazione delle lotte specifiche non sono in grado di scuotere le fondamenta del sistema e portare ad una sconfitta della classe dirigente.
 "Chi indebolisce, anche solo un po’, la disciplina del partito del proletariato effettivamente aiuta la borghesia contro il proletariato" (Lenin)
L'esistenza di condizioni avverse, le difficoltà che la situazione di volta in volta presenta, non deve fungere da scomposizione in più parti per l'azione, ma anzi stimolare il rafforzamento del Partito per non perdere di vista l'obiettivo di costruire il socialismo con creazione di nuovi strumenti di lotta.
"E 'molto più difficile - e di gran lunga più prezioso - essere rivoluzionari quando non ci sono ancora le condizioni per la lotta diretta, aperta, autenticamente di massa e rivoluzionaria, ed essere in grado di difendere gli interessi della rivoluzione ( mediante propaganda, agitazione e organizzazione) all’interno di istituzioni non rivoluzionarie e spesso addirittura reazionarie” (Lenin)

Partito Comunista dei Lavoratori
Pavia sez. “Tiziano Bagarolo”

lunedì 29 ottobre 2018

LETTERA APERTA ALLE COMPAGNE E AI COMPAGNI DEL PRC



Care compagne, cari compagni,
ci rivolgiamo a voi col rispetto che si deve a compagni e compagne, e dunque con la sincerità che proprio tra compagni è doverosa.
La nostra opinione è che il gruppo dirigente del vostro partito vi abbia nuovamente condotto in una avventura politica rovinosa. L'esperienza di Potere al Popolo e il suo esito, al pari di altre esperienze precedenti in cui nascondere Rifondazione Comunista, rischiano di umiliare la passione politica di migliaia di comunisti, e di provocare l'ennesima dispersione di forze e di energie.
Non vogliamo indugiare più di tanto sulla cronaca del collasso di Potere al Popolo e sul ritiro fuori tempo massimo del PRC. Certo è inevitabile constatare gli aspetti grotteschi della vicenda dell'ultimo anno. 

DAL BRANCACCIO A PAP 

Un anno fa si cercò la lista unitaria del Brancaccio con Sinistra Italiana e MDP, sino a rimuovere la pregiudiziale iniziale verso D'Alema e Bersani (sarebbe stato sufficiente non si candidassero), ma l'accordo blindato tra MDP e Sinistra Italiana ha tagliato fuori il PRC.
Dunque si è saliti in corsa sul nuovo carro dell'ex Opg, come se nulla fosse avvenuto, chiedendo al corpo militante del PRC di fare da manovalanza nella raccolta di firme di Potere al Popolo sotto l'egemonia degli ex Opg e dell'immagine pubblica di Viola Carofalo, in una campagna elettorale consentita dalla raccolta firme del PRC ma paradossalmente rivolta, in buona misura, “contro i partiti”.
Poi si è avallata e coperta per mesi, di assemblea in assemblea, la retorica movimentista e “antipartito” di ex Opg e dei neosovranisti di Eurostop (“il nuovo modo di fare politica”, “il fare” contrapposto al “dire”, il “nuovo” contrapposto al “vecchio”...), una retorica populista da grillismo sociale che ha fatto leva sull'arretramento della coscienza politica diffusa, che ha rimosso la stessa centralità di classe, e che l'ex Opg ha usato abilmente sin dall'inizio - com'era del tutto evidente - per costruire il proprio partito, a partire dal proprio controllo sugli strumenti web, sulle figure pubbliche, sugli spazi mediatici di PaP. Tutto gentilmente concesso dal PRC.
Infine, dopo aver legittimato un percorso plebiscitario dall'esito annunciato, il gruppo dirigente del PRC si ritira a poche ore dal voto sugli statuti per evitare una disfatta.
Il bilancio è nei fatti: si è trattato di un disastro, politico e d'immagine. Un disastro che chiama in causa responsabilità politiche generali, ben oltre la vicenda in corso. 

ARCOBALENO, RIVOLUZIONE CIVILE, POTERE AL POPOLO, “QUARTO POLO”: UN GIROTONDO SENZA FINE 

Conoscete il nostro giudizio politico - che non abbiamo mai nascosto - sul gruppo dirigente del PRC.

Sapete che non possiamo e non vogliamo dimenticare la compromissione del PRC nei governi Prodi, col voto alla detassazione dei profitti, alle missioni militari, ai tagli sociali per pagare il debito alle banche, alla precarizzazione del lavoro (Pacchetto Treu). Non li abbiamo mai derubricati ad “errori”. Perché è impossibile classificare come errore il sostegno all'avversario di classe contro i lavoratori e le lavoratrici.
Ma le responsabilità non finiscono con l'esperienza Prodi, che pure ha costituito il passaggio più grave. Negli anni successivi, il gruppo dirigente del PRC ha trascinato il vostro partito di avventura in avventura: prima nell'aggregazione Arcobaleno, poi nell'abbraccio coi questurini Ingroia e Di Pietro (Rivoluzione Civile), poi nella lista Un'altra Europa con Tsipras attorno alla candidatura liberalprogressista di Barbara Spinelli, infine in Potere al Popolo.
Qual è il tratto comune di tutte queste esperienze tra loro diverse? Il mimetismo politico del PRC. La rinuncia all'autonomia di un riferimento classista e anticapitalista. La ricerca di un proprio nascondimento in aggregazioni segnate comunque, con differenti declinazioni, da un profilo civico, aclassista, populista, genericamente progressista, in ogni caso non comunista.
Né si può dire che oggi questa ricerca sia conclusa. Tanto è vero che nel momento stesso in cui si lascia PaP, prima si chiede agli ex Opg un nuovo accordo nel nome di un ritorno alle origini di PaP, poi si allude di fatto alla prospettiva di un quarto polo con Sinistra Italiana in vista delle elezioni europee. L'ennesimo nascondimento del PRC a braccetto con i vendoliani, ma anche con gli ex PD Fassina e D'Attorre. Quelli che ieri erano parte del governo Letta, e votavano il pareggio di bilancio in Costituzione; ed oggi inneggiano alla riscoperta della patria, nel nome della competizione con la destra.
Altro giro, altro disastro. 

ANTILIBERISMO O ANTICAPITALISMO? 

Cosa c'è alla base di questa eterna coazione a ripetere, insensibile ad ogni lezione dell'esperienza? La rinuncia a costruire un partito comunista, di nome e di fatto. E da dove ha origine questa rinuncia? Da un programma generale genericamente antiliberista, e non anticapitalista. Da un programma generale che continua ad alimentare l'illusione di una possibile alternativa progressista all'interno del sistema capitalista. Unire la cosiddetta sinistra antiliberista in uno stesso soggetto politico è stata ed è, non a caso, la bussola di tutte le esperienze trasformiste del PRC, da Rivoluzione Civile a PaP. Ed è un'ipoteca sul futuro. Perché se il riferimento programmatico è semplicemente l'antiliberismo, quale linea di demarcazione può separare il PRC da Fassina e da Sinistra Italiana, al di là della diversità dei percorsi?
Non solo. Una impostazione semplicemente antiliberista diventa inevitabilmente, a determinate condizioni, la foglia di fico del governismo. Tutti i cosiddetti governi “di sinistra” hanno formalmente evocato la polemica antiliberista. Ma si è trattato della copertura ideologica di ben altre politiche. È il caso del governo Tsipras, con cui il gruppo dirigente del vostro partito continua a collaborare dentro la stessa Sinistra Europea, nonostante quel governo abbia massacrato e continui a massacrare la popolazione povera di Grecia per conto della Troika. È il caso del governo portoghese, sostenuto da PC e Bloco de Esquerda, che nell'ultima finanziaria ha tagliato del 30% gli investimenti pubblici per pagare il debito alle banche e rispettare i dettami di UE e BCE. È il caso del governo Sanchez in Spagna, oggi beneficiato dal sostegno di Podemos, che preserva le politiche antimigranti, nega alla Catalogna il diritto di autodeterminazione, preserva il grosso delle controriforme sociali degli ultimi vent'anni, ma che Maurizio Acerbo eleva oggi a riferimento esemplare in Europa.
La verità è che nel quadro della crisi capitalista e della nuova competizione mondiale non esiste uno spazio storico riformista. L'alternativa vera è tra una prospettiva rivoluzionaria e la rassegnazione alle controriforme, magari gestite dai governi “progressisti”. 

AZIONE E PROSPETTIVA

Talvolta si obietta a queste considerazioni affermando il primato dell'azione presente rispetto alla prospettiva futura. Ma sono le prospettive future a condizionare inevitabilmente le scelte politiche presenti. Valga ad esempio l'intervento sindacale: se la prospettiva politica è una alternativa rivoluzionaria, quella prospettiva richiama immediatamente una contrapposizione frontale alle burocrazie sindacali ovunque collocate, per la costruzione di una direzione alternativa del movimento operaio. Se invece la prospettiva è un fantomatico governo progressista, allora non solo si finisce col disperdere la centralità del riferimento classista, ma nello stesso ambito dell'intervento sindacale ci si adatta, in un modo o in un altro, all'accomodamento con le burocrazie. Il fatto che il PRC abbia a lungo avallato l'equivoco del landinismo, e tuttora alimenti aspettative attorno ai vertici della FIOM, è emblematico di un nodo irrisolto. Lo stesso vale per il posizionamento politico interno ad ogni dinamica di movimento. 

UNA PROPOSTA DI CONFRONTO 

Allora occorre trarre le conclusioni politiche di un bilancio che non si può rimuovere.
Solo un programma classista, anticapitalista, rivoluzionario, su basi nazionali e internazionali, può fondare la necessaria autonomia politica dei comunisti, e orientare un'azione politica coerente. Fuori e contro questo programma si è destinati a ripercorrere ogni volta i sentieri già battuti, in un eterno girotondo senza via d'uscita.
È necessario costruire un partito comunista, di nome e di fatto, estraneo ad ogni suggestione stalinista come ad ogni socialdemocrazia di sinistra. Per questo il Partito Comunista dei Lavoratori intende confrontarsi apertamente con tutti i compagni e le compagne del PRC che, delusi dall'esperienza politica del proprio partito, intendano costruire con noi una prospettiva nuova, coerentemente anticapitalista e rivoluzionaria.

Partito Comunista dei Lavoratori

sabato 27 ottobre 2018

FCA vende i pezzi migliori: oggi Magneti Marelli, domani? USB al governo: fermare l’impoverimento del tessuto produttivo per difendere salario e occupazione

COMUNICATO NAZIONALE USB



La vendita della Magneti Marelli alla Calsonic Kansei per 6,2 miliardi segna una nuova perdita per il patrimonio industriale italiano e si configura come una cessione che serve a  FCA per  fare cassa per ripianare il  debito e dare dividendi agli azionisti piuttosto che avere una ratio industriale.
La  Magneti Marelli, con i suoi 40 mila lavoratori divisi in 85 stabilimenti sparsi nel mondo, di cui circa 10 mila nei 33 stabilimenti italiani, sviluppa e produce parti e componenti fortemente innovativi, non solo per FCA ma  per l’intero settore automobilistico mondiale. La sua vendita da parte di Fiat Chrysler  è un pessimo segnale che non può e non deve passare inosservato.
Il progetto Fabbrica Italia, lanciato da FCA  con i 30 miliardi d’investimenti previsti è rimasto lettera morta, stessa fine sembra essere riservata al piano industriale 2018-2022 con  45 miliardi d’investimenti e l’avvio di nuovi prodotti tra cui le auto elettriche.
In questo quadro la vendita di un pezzo determinante come Magneti Marelli, anche per il segmento elettrico,  segna un ulteriore elemento d’incertezza per tutta FCA.
Si conferma la politica spregiudicata di  FCA,  tesa a fare cassa attraverso  la capitalizzazione delle sue vendite, lo spostamento della sua sede fiscale all’estero,  la de localizzazione delle produzioni e il ricorso contemporaneo alla Cassa integrazione Guadagni  e ai Contratti di Solidarietà. Infatti nonostante il ricorso alla cassa degli ammortizzatori sociali, la direttiva aziendale sulle linee di produzione si traduce in tagli delle pause e ritmi di lavoro logoranti, con un’impennata dei lavoratori oggi classificati RCL (ridotte capacità lavorative), insomma spremuti come limoni. Una situazione quella degli stabilimenti FCA che riporta l’attualità della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e il ripristino delle pause tagliate dal CCSL.
L’acquisizione da parte della Calsonic Kansei anche a fronte di un accordo industriale pluriennale con FCA, mette la Magneti Marelli e i suoi dipendenti fuori da FCA e dentro un nuovo ambito di competizione, con tutto quello che questo può significare.
Sarà con la nuova multinazionale Calsonic Kansei che dovremmo fare i conti, per difendere l’occupazione, le competenze e fare valere gli interessi dei lavoratori a partire dalla necessità di uscire dal CCSL e di riaprire la contrattazione sui livelli nazionale e aziendale.
Dopo la riuscita manifestazione del 20 ottobre scorso, che tra i temi poneva anche la deindustrializzazione del paese, l’USB torna chiedere al Governo un intervento a tutela del tessuto industriale, dell’occupazione  e l’avvio di un tavolo di confronto su FCA .

Lavoro Privato Nazionale
Coordinamento Nazionale USB in FCA/CHNI

giovedì 25 ottobre 2018

CONTRO LE POLITICHE DEL GOVERNO GIALLO – VERDE, È ORA DI LOTTARE!



Non solo Salvini rivendica e generalizza quello che Minniti aveva silenziosamente iniziato (respingimenti in mare e campi di concentramento in Libia), non solo Lega e 5stelle legittimano le campagne razziste coprendo un’estrema destra violenta ed aggressiva, ma questo governo implementa anche direttamente politiche discriminatorie (da Riace a Monfalcone).

Non solo si lascia morire in mare uomini e donne, vecchi e bambini. Non solo si continua a devastare altri paesi per difendere i nostri interessi politici ed economici. Si reprime anche una parte dei lavoratori e delle lavoratrici in questo paese, indebolendo chi è già debole, togliendo diritti e colpendo le condizioni di tutti/e. Come l’art. 25 del decreto Salvini (reato penale per picchettaggio stradale, punibile da 1 a 6 anni, con rimpatrio dei migranti), che attacca le lotte nella logistica, la difesa di diritti e salari per tutti i lavoratori e le lavoratrici di quel settore e non solo.

Si creano ulteriori 70 miliardi di debito, contro il lavoro e le classi popolari. Come sostiene l’agenzia di rating J.P. Morgan “l’impennata dello spread è una opportunità di investimento” (immaginiamo in titoli di stato). Finanziando queste politiche, chi pagherà i costi della crescita del debito? I proletari e la popolazione povera, attraverso i soliti tagli a sanità, scuola e ad agevolazioni fiscali per famiglie di lavoratori.
Questo è il governo giallo-verde, queste le sue scelte. Contro queste politiche, è ora di lottare! 


Partito Comunista dei Lavoratori

lunedì 22 ottobre 2018

RIPRENDERE LE LOTTE. GENERALIZZARE IL CONFLITTO



Contro queste politiche di gestione della crisi, contro l’immobilismo della CGIL e le titubanze di USB, contro ogni interlocuzione con questo governo reazionario, contro ogni irreggimentazione della democrazia sindacale, ricostruiamo nelle lotte una vertenza generale, sosteniamo ogni sciopero e generalizziamo il conflitto.

Occorre una svolta vera. Occorre spazzare via ogni illusione nelle politiche di Lega e 5stelle, demagogiche e sovraniste. Seppur diverse da quelle liberali del PD, sono comunque dalla parte dei padroni: difendono piccoli imprenditori e capitali nazionali, non salari e diritti dei lavoratori.
Per questo il Partito comunista dei Lavoratori sostiene pienamente e convintamente lo sciopero generale convocato per il 26 ottobre da diversi sindacati di base (indetto da CUB, S.I. COBAS, SGB, Slai Cobas e USI). Solo una mobilitazione generale può riportare al centro la difesa dei diritti e dei salari. È necessario infatti portare in campo un’opposizione di massa dal versante dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati. Sostenere e diuondere la resistenza contro ogni provvedimento e ogni ouensiva dalla parte dei padroni, generalizzare le lotte, unire tutto ciò che l'avversario vuole dividere: privato e pubblico, nord e sud, precari e “stabili”, italiani e immigrati. Ricostruendo nelle lotte una piattaforma generale che tracci un confine chiaro: chi sta con i lavoratori e chi sta con i padroni; facendo ciò anche attraverso assemblee decisionali unitarie di delegati/e fino al livello nazionale in tutti i luoghi di lavoro, in cui il sindacalismo di classe possa fare sentire la sua voce e le sue proposte all’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici.

Una piattaforma che, dalla lotta alla precarietà alla redistribuzione generale dell'orario di lavoro a 32 ore, dall'introduzione di un salario minimo intercategoriale di 1500 euro all’abolizione della legge Fornero (in pensione a 60 anni o con 35 anni di lavoro), da un vero salario sociale a disoccupati e giovani in cerca di prima occupazione alla nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori di tutte le aziende che delocalizzano o licenziano, possa unire la maggioranza della società contro la piccola minoranza di padroni, grandi azionisti e banchieri che oggi detta legge. Tutti i governi, in forme diverse, sono agenti di questa minoranza. Occorre un governo della maggioranza, un governo dei lavoratori e delle lavoratrici.


L'unica vera alternativa allo stato di cose presente.

venerdì 19 ottobre 2018

DIETRO ALLE MEZZE MISURE E BLUFF, SI NASCONDE UNA POLITICA DI ASSERVIMENTO A CAPITALISTI



Dopo i roboanti annunci il governo di Lega e M5S si è rimangiato gran parte delle promesse.
Il Documento di Economia e Finanza vanifica gran parte degli “impegni” presi con i lavoratori e i giovani, legge Fornero, Jobs Act, la “Buona Scuola”.
Altro che “governo del cambiamento”! Le posizioni espresse da Di Maio e Salvini sono una riprova dell’inganno che il loro governo sta tendendo ai proletari, mentre la UE del possesso esclusivo non fa nessun passo indietro sulle politiche di austerità.
Dietro alle mezze misure e bluff, si nasconde una politica di asservimento a capitalisti , come dimostrano la reintroduzione dei voucher e la “Flat Tax”, il condono fiscale e i regali ai padroni. La politica del governo Lega-M5S è, insomma, la versione populista di destra di quella tradizionale della classe dominante. Una politica che non può realizzare nessuna vera misura a favore della classe operaia perché non fa pagare un centesimo a padroni e ricchi, ma al contrario difende i loro privilegi.
Il dibattito sulla legge finanziaria potrebbe allora essere il primo momento in cui il governo può andare in difficoltà nella sua tenuta, di fronte alla misurabile apertura tra quanto promesso e quanto verrà effettivamente fatto.
Allargare le contraddizioni interne all'esecutivo in campo economico è all'ordine del giorno e la scadenza europea avrà senza dubbio un peso sui mesi a venire di politica interna, e i due temi, legandosi tra loro, ci chiameranno in causa nelle piazze.

Partito Comunista dei Lavoratori

Pavia sez. “Tiziano bagarolo”

martedì 16 ottobre 2018

IL PRC TORNA AL GOVERNO... IN SPAGNA



Non bastava l'esperienza dei governi di centrosinistra in Italia, di Tsipras in Grecia, di Costa in Portogallo. La sinistra cosiddetta radicale ha sposato l'ennesimo governo borghese in terra di Spagna: il governo del PSOE (Sanchez) appoggiato da Unidos Podemos.


FERRERO E ACERBO TORNANO AL GOVERNO

«La manovra del popolo la fanno in Spagna», esulta Maurizio Acerbo, segretario del Partito della Rifondazione Comunista, reduce dal naufragio dell'ultima avventura di Potere al Popolo. E cita le meraviglie della legge di stabilità del governo socialdemocratico presentandole come fatto epocale: l'aumento delle tasse per i ricchi, una patrimoniale, l'aumento del salario minimo. In realtà si tratta di misure molto modeste: la patrimoniale ha una portata irrisoria, il 99% delle imprese vede inalterato il prelievo fiscale, l'aumento del salario minimo si riduce a superare di 50 euro quanto già pattuito da sindacati e padronato. Ma soprattutto restano intatte le controriforme sociali realizzate negli ultimi trent'anni da tutti i governi, da Gonzales ad Aznar, da Zapatero a Rajoy: le peggiori leggi di precarizzazione del lavoro in Europa, i tagli draconiani alla sanità e alla scuola, la controriforma delle pensioni, le politiche anti-immigrati (inclusi i respingimenti militari di Ceuta e Melilla). Siamo alla semplice manutenzione “progressista” del vecchio lascito dell'austerità e della reazione. Mentre Sanchez annuncia l'ennesima iniziativa politica e giudiziaria contro il Parlamento della Catalogna per aver “delegittimato” la Monarchia spagnola. Sarebbe questo il governo della svolta storica di cui parla Acerbo?

La verità è che il PSOE ha concesso a Podemos una foglia di fico per inglobarlo nella maggioranza di governo del capitalismo spagnolo. La capitolazione di Unidos Podemos è clamorosa. Il programma di Podemos del febbraio 2016 rivendicava un programma di riforme sociali per 96 miliardi di spesa, combinato con la “sfida” ai parametri dell'Unione. La legge di bilancio che Podemos ha votato è di 5 miliardi (anche proiettandola sulla legislatura, più o meno un quinto di quanto rivendicato due anni fa), e soprattutto si muove in un quadro concordato con la Commissione Europea, che ha dato la sua benedizione. Non a caso El Pais, il principale giornale borghese spagnolo, plaude apertamente alla svolta di Podemos: «Da Puerta del Sol alla Moncloa, la svolta di Podemos verso la socialdemocrazia» titola trionfante (14 ottobre). A parte il termine improprio di «svolta», una descrizione perfetta. Tanto più che ora Iglesias, ingolosito, chiede apertamente i ministeri: «il nostro voto a favore della legge di stabilità è il preannuncio di un governo di coalizione» (El Pais, 13 ottobre).

Dunque il PRC “torna al governo”. Non in Italia, perché qui ha già bruciato, col ministro Paolo Ferrero, il proprio capitale di credibilità votando la più grande riduzione delle tasse sui profitti degli ultimi trent'anni (Ires dal 34% al 27,5%)... ma in Spagna, per interposto Podemos. Tramontata la stella di Tsipras (col quale il PRC si guarda bene dal rompere), sale la stella di Iglesias. Al punto che Maurizio Acerbo indica proprio Podemos come la nuova bussola per la sinistra italiana: “anche in Italia va costruita una sinistra popolare come quella spagnola”, capace cioè di negoziare ministeri in cambio delle lenticchie.
A questo si riduce la rifondazione comunista.


ANCHE POTERE AL POPOLO SUL CARRO DI PODEMOS?

Ma se il PRC festeggia, cosa ne pensa PaP?

Insieme hanno firmato con Podemos, France Insoumise, (Mélenchon), Bloco de Esquerda portoghese un appello politico per le elezioni europee. La compagnia è francamente un po' imbarazzante per una formazione che si proclama alternativa. Mélenchon – ex ministro del secondo governo Jospin - rifiuta la bandiera rossa nel nome del tricolore di Francia, e le sue posture scioviniste lo spingono addirittura a respingere una petizione democratica per l'accoglienza dei migranti. Podemos sventola la bandiera spagnola dagli scranni della maggioranza di governo col PSOE. Il Bloco già siede nella maggioranza di governo della socialdemocrazia portoghese, che ha tagliato del 30% gli investimenti pubblici nell'ultima legge di stabilità per rispettare i parametri della UE.

Ma PaP non aveva detto che avrebbe fatto «tutto al contrario»? Si può evocare ogni giorno la retorica della ribellione e poi accodarsi, come ultima ruota, alle sinistre di governo in Europa?

Ciò che emerge alla luce del sole è l'eterna attrazione della sinistra riformista per il governo della società capitalista. Del resto, se il programma si limita all'antiliberismo, una coperta adatta per ogni stagione; se non si vuol rompere con la società borghese, magari nel nome del mutualismo, allora si finisce fatalmente, prima o poi, nella lista d'attesa dei governi del capitale. Poi ci si può bastonare su uno statuto interno, cioè sul controllo dell'organizzazione, dopo aver decantato la democrazia del "popolo" e la vittoria del nuovo contro il vecchio... Ma in realtà si percorre esattamente la vecchia via del riformismo, già battuta e fallita infinite volte in tutte le possibili confezioni.

Quanto a noi, che a differenza di altri non abbiamo creduto alle fiabe, continueremo a batterci in direzione ostinata e contraria per una prospettiva anticapitalista e comunista. Al fianco dei marxisti rivoluzionari di Spagna (Izquierda Anticapitalista Revolucionaria e Corriente Revolucionaria de Trabajadores), oggi all'opposizione del governo PSOE-Podemos, e dei marxisti rivoluzionari conseguenti di tutta Europa.


Partito Comunista dei Lavoratori

sabato 13 ottobre 2018

CASO CUCCHI. IL CUORE PROFONDO DELLO STATO



La catena di complicità e coperture dell'Arma dei Carabinieri attorno agli assassini di Stefano Cucchi si è rotta perché un carabiniere coinvolto ha parlato. Ma ora proprio la dinamica dell'accaduto chiama in causa il cuore profondo dello Stato: le gerarchie di comando di quei “corpi d'uomini in armi” (Engels) ai quali la democrazia borghese affida la tutela dell'ordine pubblico.

Le gerarchie hanno coperto il crimine per nove anni. Per nove anni hanno non solo depistato le indagini, falsificato i reperti, comandato il silenzio ai sottoposti, trasferito per punizione chi aveva parlato (Casamassima), minacciato ogni altro possibile sgarro. Ma hanno promosso la criminalizzazione di Ilaria Cucchi e della famiglia del giovane assassinato. Quando Ilaria osò pubblicare l'immagine facebook di uno dei carabinieri coinvolti con tanto di esibizione di muscoli e pose marziali («ecco la foto dell'uomo che ha ammazzato mio fratello») si scatenò contro di lei l'inferno. Ben tre sindacati di polizia la querelarono per diffamazione e istigazione all'odio. Una canea reazionaria la lapidò sui social come intrigante interessata a far soldi sulla pelle del fratello. Gianni Tonelli, principale dirigente del sindacato più a destra della Polizia (oggi guarda caso parlamentare leghista) disse che Stefano aveva pagato semplicemente le conseguenze di una vita dissoluta e che era “infame” accusare i Carabinieri. A tutto questo si aggiungevano i commenti politici. Matteo Salvini, oggi Ministro dell'Interno, disse pubblicamente di Ilaria «Mi fa schifo» (testuale). Per non parlare dei La Russa e dei Giovanardi, arruolati ad onorem per sempre nell'Arma.

Nulla di nuovo. È quanto è accaduto e accade a difesa dell'Arma o della Polizia in altri casi di morti “accidentali”. Quelle di Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, per citare solo le più note. Non si tratta di semplici episodi, si tratta della punta emergente di un iceberg profondo: quello spazio di illegalità che diventa legge in tante carceri e stazioni di polizia; quell'esercizio brutale della forza che si accanisce contro chi è indifeso, tanto più se “marginale” e “reietto”; quella cultura dell'onnipotenza che si nutre di letteratura fascista, la più popolare e non da oggi nelle caserme. Per avere la misura intuitiva della profondità dell'iceberg è sufficiente un esercizio di immaginazione. Se l'omertà ha protetto per nove anni l'assassinio di Stefano, nonostante l'attenzione dell'opinione pubblica, il coraggio di Ilaria, la tenacia della sua famiglia, quanti saranno i casi di omertà in tante vicende analoghe prive di attenzione mediatica e relative a persone assai più indifese?

La cultura dell'onnipotenza dell'Arma fa leva sulla tradizione dell'impunità. Stando ai giornali, il maresciallo dei carabinieri Roberto Mandolini ha usato nella vicenda Cucchi un argomento centrale per chiedere il silenzio: “State tranquilli. Ho conoscenze all'interno dell'Arma e in Vaticano”; era la garanzia offerta della protezione in cambio della sottomissione all'ordine gerarchico. Del resto, su grande scala, la nota vicenda della promozione sul campo dei primi responsabili della macelleria messicana di Genova contro le manifestazioni anti G8 è stata emblematica e ha fatto scuola. Naturalmente, come dimostra il caso di Stefano, può capitare un “incidente” e la catena delle connivenze può rompersi, ma nessuna eccezione può oscurare la regola, la costituzione materiale dello Stato borghese profondo, insensibile per sua natura a qualsiasi costituzione formale.

Proprio la natura organica dei corpi repressivi, il loro codice interno, la legge reale che governa le loro relazioni, li rende strumenti idonei alla difesa dell'ordine borghese della società. Per questo nessun programma anticapitalista può rimuovere dal proprio orizzonte la questione dello Stato e della rivoluzione.


Partito Comunista dei Lavoratori

giovedì 11 ottobre 2018

LOTTA DURA CONTRO IL GOVERNO NEMICO DI STUDENTI E LAVORATORI


Testo del volantino

Si è aperto da poco il nuovo anno studentesco, presentando a noi studenti delle importanti sfide per il prossimo periodo. Il nuovo governo reazionario di Movimento 5 Stelle e Lega ha già mostrato, non lasciando spazio a dubbi, la sua natura nemica agli interessi dei lavoratori salariati e degli studenti. Al centro dell'attacco si situa la campagna contro i migranti, una campagna contri i poveri (in cui si inserisce il decreto sicurezza), che apre inoltre alla legittimazione delle forze e dei metodi fascisti. Viene sviluppata una campagna che richiama all'ordine ed alla tradizione religiosa, indirizzata ad attaccare i diritti civili (in primis i diritti delle donne e quelli delle minoranze sessuali). Le manovre in tema di lavoro (decreto dignità, questione Ilva, documento di economia e finanza...) rispondono agli interessi della grande borghesia, schiacciando le ragioni della classe lavoratrice.
Il nuovo ministro dell'istruzione Bussetti (Lega) ha fatto intendere che non cambierà nessun asse delle precedenti controriforme di Renzi-Gentiloni (questo fa capire la convergenza tra le varie forze politiche dominanti di vario colore, sempre piegate verso gli interessi generali del Capitale), ha dichiarato che ci potrà essere però qualche aggiustamento, che sembra inevitabilmente indirizzato verso una maggior sinergia tra scuola ed aziende private, tra istruzione e mondo economico. Quello che ci aspetta sono nuovi attacchi alla scuola pubblica ed ai diritti studenteschi, un maggior controllo e repressione verso gli studenti, un'ulteriore svendita dell'istruzione pubblica, una sua sfrenata mercificazione.
Questo panorama chiama noi studenti al dovere della lotta. Al dovere di riarmare (ideologicamente) il movimento studentesco andato alla deriva e finito ai margini per le responsabilità delle sue direzioni, sempre piegate a formulazioni riformiste o spontaneiste senza progettualità. Occorre dare un cambio di fondo.
Senza dubbio bisogna lavorare per la piena riuscita delle mobilitazioni in programma questo autunno, ma non ci si può limitare ad appuntamenti e passeggiate di rito. Occorre costruire un ampio fronte unico di lotta che si ponga come obiettivo la cancellazione delle varie riforme di smantellamento dell'istruzione pubblica (a partire dalla Buona Scuola e dall'alternanza scuola lavoro), l'abolizione di ogni tassa scolastica, l'accesso gratuito all'università e l'abolizione del numero chiuso all'università. Invitiamo quindi, sfidandole, le varie organizzazioni studentesche alla creazione di questo fronte di lotta su rivendicazioni che loro stesse avevano appoggiato in periodo elettorale.
Per mettere all'angolo il governo occorre costruire un percorso che parta dentro i luoghi di studio, che possa esprimere la propria forza in maniera radicale. Costruire assemblee, occupazioni, scioperi ad oltranza, manifestazioni nazionali, organismi autorganizzati. Sfociando in una lotta dura e generale contro questo governo reazionario.È necessaria un'alleanza strategica con i settori della classe lavoratrice in lotta, a partire dallo sciopero generale del 26 ottobre indetto dai sindacati di base Si Cobas, Cub, Sgb, Slai Cobas, Usi Ait.

Ma i nostri compiti non terminano qui, perché per risolvere compiutamente le questioni che attanagliano la nostra generazione, come studenti e futuri lavoratori, occorre mettere in discussione l'intero impianto, fino alla basi di questo sistema capitalista. Occorre cioè avanzare un'alternativa di società, su basi socialiste e rivoluzionarie. Questa è la prospettiva in cui sono impegnati il Partito Comunista dei Lavoratori ed i suoi studenti.

mercoledì 10 ottobre 2018

BASTA INDULGENZE VERSO PAPA FRANCESCO




Il Papa cosiddetto progressista, difeso dal liberalismo laico come da tanta parte della sinistra “radicale” (da Sinistra Italiana ai vertici del PRC), ha nuovamente denunciato l'aborto nei termini più volgari e misogini. Al Forum delle Famiglie di giugno l'aveva presentato come «pratica nazista in guanti bianchi». Oggi lo denuncia come puro e semplice assassinio. «È come affittare un sicario per far fuori uno», dichiara candido il Papa. 

Il sovrano della più grande monarchia assoluta esistente al mondo, corresponsabile di genocidi nella lunga storia dell'umanità, alleata dei regimi fascisti (da Mussolini a Franco a Pinochet), coinvolta su scala planetaria nella pratica o copertura della pedofilia criminale sino alle più alte sfere, ha il coraggio di chiamare assassine le donne che interrompono la propria gravidanza, e sicari i medici che le aiutano.

È la stessa Chiesa che difende il consiglio comunale di Verona e la legge Pillon sulle separazioni. È la Chiesa di sempre contro le donne e i loro diritti. È la Chiesa custode millenaria del patriarcato.

Basta difendere Francesco e beatificare il suo papato! La denuncia delle gerarchie vaticane a partire dal vertice della piramide va portata in tutte le mobilitazioni delle donne, contro ogni indulgenza o cedimento; senza mai dimenticare che la forza materiale della Chiesa sta nel suo intreccio col capitale finanziario e la grande proprietà immobiliare. La lotta anticlericale o è anticapitalistica o non è.

Partito Comunista dei Lavoratori

martedì 9 ottobre 2018

CHAMPIONS LEAGUE POLITICA



C'è una Champions League nel mondo, c'è una Champions League per la spartizione dei mercati internazionali, delle materie prime, della manodopera a basso costo, una Champions League tra le grandi industrie, le grandi banche e i loro stati di riferimento per spartirsi l'economia del mondo e le risorse nel nuovo mondo globalizzato.
Tutto questo è emerso dopo il crollo del muro di Berlino e quindi dal fallimento di burocrazie parassitarie che dominavano in quei paesi. L'Unione Europea nasce sullo nuovo sfondo storico per una ragione molto semplice: partecipare alla Champions League.
Le classi dirigenti europee, in particolare i principali stati di riferimento Francia, Germania decidono di mettere insieme le proprie risorse, i propri interessi per vedere di costruire un polo economico continentale capace di contendere e agli Stati Uniti da un lato e alle emergenti economie asiatiche dall'altro, la spartizione del mondo.
Peccato che a questa Champions League degli industriali, dei banchieri, dei capitalismi europei, hanno partecipato anche i lavoratori, i precari, i disoccupati europei, ma hanno partecipato non come giocatori in campo e neppure come sostituti in panchina, hanno partecipato come vittime sacrificali.
C'è una ragione in tutto questo: se classi dirigenti europee vogliono competere per la spartizione del mercato mondiale con cinesi e indiani da un lato e Stati Uniti dall'altro è inevitabile che la competizione si giochi sull' abbattimento dei costi e la massimizzazione dei profitti. Questo ha comportato politiche di massacro sociale, precarizzazione dei giovani in tutta Europa di là dalle frontiere.
Abbiamo vissuto e sperimentato in questi anni le politiche di smantellamento della previdenza pubblica, della sanità, l'abbattimento delle spese per l'istruzione e quant'altro.
Questa Champions League dell'universo internazionale è una grande illusione, una struttura capitalistica della società in cui ci dicono che c'è la democrazia ma a dettare legge è una piccola minoranza di industriali e di banchieri sulla maggioranza della società.
L’anticapitalismo non è una ideologia morta, al contrario pensiamo che abbia un futuro storico davanti a sé proprio nelle condizioni di miseria annunciata di questa Unione Europea.


PCL sezione di Pavia

domenica 7 ottobre 2018

CONTRO I SALARIATI PUBBLICI E IN ATTESA DI ALTRI 10 MILIARDI DI PRIVATIZZAZIONI

Ecco il contenuto della manovra... «del popolo»


Il celebre Def "del popolo" non ha stanziato un euro a bilancio per il rinnovo contrattuale dei lavoratori della scuola. Il rinnovo contrattuale investe il triennio 2019/2021, dunque il Documento di Economia e Finanza dovrebbe indicare le risorse ad esso destinate in questa legge di stabilità. Invece nulla. Non solo: nel Def sta scritto chiaramente che i redditi da lavoro dipendente della Pubblica Amministrazione si ridurranno mediamente dello 0,4% nel biennio 2020-2021. Non basta dunque la riduzione pesante del potere d'acquisto dei lavoratori del settore pubblico nell'ultimo decennio, per nulla colmata dall'ultimo contratto farsa. Ora si scrive nero su bianco che il loro salario continuerà a scendere. E a scriverlo è quella stessa manovra che Di Maio e Salvini presentano urbi et orbi come la fine dell'austerità e l'inizio di una nuova epoca.

Non va diversamente in fatto di privatizzazioni. Ricordate l'apparente furore statalista del nuovo esecutivo contro i “prenditori” di beni pubblici, la sceneggiata contro i Benetton e Autostrade per l'Italia, l'annuncio di un controllo dello Stato sui beni della comunità e via cantando? Contrordine. La manovra del popolo dichiara nero su bianco che nel biennio 2019-2020 lo stato mira a incassare qualcosa come 10 miliardi dalla cessione di beni pubblici. Dunque dalle (ennesime) privatizzazioni. La ragione della misura è candidamente dichiarata: «diminuire il rapporto debito/Pil». In altri termini, ripagare il debito pubblico alle banche. Come sempre: le privatizzazioni servono non solo a beneficiare i “prenditori”, ma a ingrassare i possessori dei titoli pubblici, banche e assicurazioni in primis.

Siamo solo all'inizio del disvelamento progressivo dell'imminente legge di stabilità. Ma già la manovra che vuole l'applauso del “popolo” continua a servire il capitale finanziario, la cui sovranità ha solo cambiato spalla al fucile.

Partito Comunista dei Lavoratori

venerdì 5 ottobre 2018

UNA LOTTERIA PER POCHI E UNA TRAGEDIA PER I PIÙ




Le innovazioni tecnologiche non portano più occupazione, ma mediamente la distruggono.
I toni trionfalistici del presidente di Confindustria, “siamo sulla strada giusta” e dei sindacati concertativi  non bastano a nascondere la realtà.
L'elevata automazione delle nuove tecnologie anziché rendere il lavoro più leggero per tutti, espelle i lavoratori dai settori produttivi.
Per garantire i profitti delle élite finanziarie e produttive, si spostano sempre di più gli investimenti sui settori a maggiore concentrazione capitalistica, che, disgraziatamente per i lavoratori, sono quelle che assorbono meno manodopera.
I contratti nazionali di lavoro sono oltre 800, tutti diversi tra di loro con alcuni che prevedono minimi addirittura dimezzati, mentre la mancata presenza di un sindacato di classe contribuisce ad aumentare le sperequazioni territoriali.
Si assiste a una concentrazione territoriale sempre più forte. La crisi ha fatto perdere più posti di lavoro nel Mezzogiorno ma ne ha anche abbassato le retribuzioni pro capite.
La crisi capitalistica, se viene superata dai padroni, non viene superata dai lavoratori, che anzi in prospettiva si troveranno sempre più espulsi dai settori produttivi e solo una parte minoritaria potrà sperare di accedere a lavori sempre più precari, sempre meno retribuiti e sempre più ricattabili. Quei pochi settori in controtendenza, che ricercano lavoratori ad alta e altissima specializzazione, non potranno mai controbilanciare questa tendenza storica.
Lo sviluppo ineguale del capitalismo non passa più solo tra le nazioni, ma anche all'interno delle nazioni stesse. Per esempio, le famose "due velocità" a cui marcia l'Italia divergeranno sempre di più.

La cosiddetta "politica" risponde sempre più agli interessi di ristrette élite finanziario-produttive e gli interventi pubblici non sono finalizzati allo sviluppo, per quanto interno alla logica capitalistica, ma a distribuire profitti a basso rischio alle "imprese".

Bisogna denunciare questa situazione, chiamando i lavoratori di tutti i settori   a prendere coscienza che le "sirene" della "ripresa che sta arrivando" costituirà una lotteria per pochi e una tragedia per i più.
Solo una società socialista può dare una prospettiva ai lavoratori  alle loro famiglie, ai loro figli.
Fare della battaglia a difesa del lavoro, per la sua ripartizione, per la sua dignità, un fattore di ricostruzione di coscienza di classe tra gli sfruttati e di un senso comune popolare più ampio: questo è il terreno di lotta di un fronte unico di massa.
Non è solo una necessità sociale. E’ anche l’unica via per scomporre il blocco (e l’immaginario) populista. E per ridare credibilità e significato a livello di massa alla lotta per i diritti sindacali e democratici.
Questa prospettiva è, e resta, la nostra linea di demarcazione dal resto della sinistra politica.

Partito Comunista dei lavoratori
Pavia sez.”Tiziano Bagarolo”


giovedì 4 ottobre 2018

DEMOLIRE L’ARTIFICIOSA OTTICA NAZIONALISTA E DEL COMUNE INTERESSE DEL PAESE



La retorica dell'unità nazionale, dei supremi interessi della nazione, della patria borghese è nemica dei lavoratori e deve essere rispedita al mittente. Ogni grande sconfitta della sinistra è stata accompagnata dal cedimento di fronte alla visione di interessi comuni tra capitalisti e lavoratori, quale ne sia la giustificazione. Lo fu durante la prima guerra mondiale quando i socialdemocratici accettarono di entrare in guerra per conto dei propri Paesi; lo è stato nel dopoguerra quando all'apice del conflitto sociale il PCI berlingueriano teorizzò l'idea del compromesso storico e della politica di solidarietà nazionale, al posto di dare il colpo al governo della DC attirando a sé anche la forza del movimento giovanile.

La sinistra moderna, figlia del revisionismo post '89, ha incarnato il peggiore tradimento sociale degli ultimi decenni, e per questo paga le conseguenze. Non solo ha fatto propria la visione della società capitalistica, sposando apertamente gli interessi dei grandi gruppi finanziari, ma cosa ancora peggiore, ha riposto in questi gruppi e nelle loro organizzazioni internazionali (Unione Europea, ecc…) la propria fiducia per la costruzione di un sistema di convivenza internazionale non vedendone il carattere intimamente reazionario. 
Il fallimento di questa illusione fa precipitare i lavoratori e le classi popolari dalla padella alla brace.

Il trionfo dei "sovranisti" altro non è che questo: la risposta al fallimento di una visione di legame tra gli interessi dei lavoratori e dei capitalisti a livello globale, con la ripresa della formula delle nazioni e degli opposti interessi nazionali. 
Una disputa tutta interna a settori del capitale in cui le classi popolari sono poste alla coda delle diverse fazioni.  La strategia di sfondamento dell'elettorato tradizionalmente socialdemocratico si fonda proprio sulla chiamata alle armi dell'unità nazionale, creando una immedesimazione unitaria di tutto il popolo, indipendentemente dalla propria appartenenza di classe nel destino comune della nazione. Così il conflitto tra gruppi capitalistici sull'appropriazione di quote di ricchezza viene dipinto come scontro tra l'Italia e l'Europa, come fossero entità astratte e unitarie, e così via per le crescenti dispute tra paesi. Il nazionalismo è il piano inclinato su cui si costruisce il futuro scontro, che a cento anni dalla Prima Guerra Mondiale non ammette a sinistra sconti e sottovalutazioni. Ogni cedimento alla sua retorica è un tradimento dell'interesse finale dei lavoratori, un nuovo rischio di compromissione nei disegni dei capitalisti.
I neofascisti che avranno la strada spianata dal populismo oggi al governo, hanno già chiara la propria strategia. A noi il compito di demolire la retorica dell'ottica nazionalista e del comune interesse del Paese, oggi come ieri nemica dei lavoratori.

Come ebbe a dire Gramsci d'altronde, tanto l'inconsistenza socialdemocratica che la retorica della destra nazionaliste sono unite da un comune denominatore: «la politica di evitare il problema fondamentale, il problema del potere, e di deviare l'attenzione e le passioni delle masse su obiettivi secondari, di nascondere ipocritamente la responsabilità storico-politica della classe dominante, riversando le ire popolari sugli strumenti materiali e spesso inconsapevoli della politica della classe dominante»
Compito dei comunisti disvelare questa politica e riportare sempre la questione al problema fondamentale, far sì che quel problema sia percepito dalle masse e costruire su di esso una moderna strategia politica.

PCL Pavia 

mercoledì 3 ottobre 2018

IL 68 ITALIANO: UNA PROSPETTIVA DI CLASSE

Sabato, 6 Ottobre 2018 alle ore 15,00 - Sede Pcl Milano Via Solari, 40 (cortile interno a sinistra) Milano



Ormai volge al termine il 2018, cinquantenario del 1968, che è stato talvolta chiamato “anno della rivoluzione mondiale”. Questo anno particolare, infatti, che ha visto sommovimenti dalla Cina agli Stati Uniti e dal Sud America all’Europa, ha avuto una caratterizzazione particolare proprio in Italia. Si è trattato in realtà di un “’68 lungo” che si è protratto per tutti gli anni ’70, creando una situazione che si potrebbe definire prerivoluzionaria. Eppure, il ’68 è spesso ricordato più come rivoluzione culturale (dei costumi, sessuale, ecc.) che come una rivoluzione politica. È appunto questo aspetto che noi del PCL vogliamo discutere in questo incontro di analisi. Perché il ’68 italiano è stato particolare, diverso dagli altri? Perché è durato così tanto? Perché ha avuto una centralità di lotta operaia, e non solo studentesca? Perché non c’è stata una direzione politica sufficiente di quelle lotte, perché quell’esperienza è poi rifluita? Cercheremo di dare una risposta a questa e ad altre domande.
Dopo una breve introduzione, parlerà il compagno Franco Grisolia

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SOLIDARIETÀ AL SINDACO DI RIACE



L'arresto del sindaco di Riace Mimmo Lucano per “favoreggiamento dell'immigrazione clandestina” non è un fatto ordinario; riflette la deriva reazionaria in atto sullo sfondo del governo giallo-verde e dell'attuale ministro dell'Interno.

Il reato che viene imputato al sindaco è di aver favorito le cooperative sociali affidate ai migranti e... un matrimonio di convenienza, a fronte del crollo di ogni altro capo d'accusa. A prescindere da ogni altra considerazione, la disposizione dell'arresto per questo presunto reato è un fatto abnorme. Evidentemente gli interessi territoriali offesi dalle cooperative sociali (gli appetiti di cooperative escluse, le pressioni speculative sulle case del borgo spopolate...) hanno trovato una voce nella magistratura. Ma soprattutto l'ha trovata il ministro dell'Interno Matteo Salvini, già sponsorizzato assieme a Di Maio dalla procura di Catania, e che ora sta facendo altri proseliti nell'ambiente giudiziario.

Il messaggio che il provvedimento trasmette è molto semplice: ogni politica di accoglienza dei migranti va sul banco degli imputati. Il motto salviniano “è finita la pacchia” ha trovato in questa misura un nuovo megafono. La Legge e Ordine del ministero degli Interni è ben riassunta dal cosiddetto Decreto sicurezza: bloccare di fatto il diritto d'asilo, ostacolare in ogni modo ogni possibile regolarizzazione. La misura disposta contro il sindaco di Riace è a tutela di questa politica. Ogni disobbedienza a questa Legge diventa reato passibile d'arresto.

Nello Stato borghese comandano i rapporti di forza. Oggi un ministro degli Interni che ha oltre il 30% dei consensi sulla politica di annullamento dei diritti dei migranti e dei respingimenti, tende a polarizzare attorno a sé l'orientamento dominante dei corpi dello Stato, magistratura inclusa. L'arresto di Riace è la misura di questa dinamica. Tanto più per questa ragione il PCL è partecipe della campagna di solidarietà contro questa misura inaccettabile, e contro la deriva reazionaria di cui è espressione.


Partito Comunista dei Lavoratori