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lunedì 30 marzo 2020
domenica 22 marzo 2020
“IL CAPITALISMO PORTA IN SÉ LA GUERRA COME LA NUVOLA PORTA LA TEMPESTA!”
Il
coronavirus ha esposto il dramma sociale degli anni del neoliberismo. La
profonda crisi del sistema ha avuto un impatto sulla salute pubblica,
deteriorata da una politica di austerità che semplicemente non può far fronte
alla malattia, anche nei paesi europei più "civili".
Il mondo
occidentale ha trascorso anni senza riuscire a finanziare la salute pubblica,
accettando la coesistenza del settore privato , con il cofinanziamento o il
finanziamento di società private nazionali o transnazionali , e trasformando
gli ospedali in compagnie mediche.
Il mondo
globalizzato di oggi è influenzato non solo dal coronavirus, ma anche da molte
malattie di natura economica e sociale, come la natura sproporzionata del
"libero mercato", la povertà su larga scala, la crescente
disuguaglianza sociale, sottosviluppo cronico, enormi lacune nell'istruzione.
L'Organizzazione
internazionale del lavoro prevede che l'impatto della pandemia si tradurrà in un
aumento dei tassi di povertà, disoccupazione e sottoccupazione e rileva che 25
milioni di persone potrebbero perdere il lavoro, superando le cifre della crisi
finanziaria dal 2008 al 2009, che ha visto un aumento del 22% della
disoccupazione. L'impatto sarà devastante per i lavoratori che si trovano già o
vicino alla soglia di povertà.
Dagli anni
'80, il mondo ha vissuto in uno stato di crisi permanente. La crisi finanziaria
permanente viene ad esempio utilizzata per spiegare i tagli alle politiche
sociali (sanità, istruzione, protezione sociale) o il deterioramento delle
condizioni salariali. Questo ci impedisce di tenere conto delle vere cause
della crisi.
Dagli anni
'70, il neoliberismo ha concentrato la sua penetrazione ideologica su un
discorso semplice ma attraente: la "libertà di scelta", vale a dire
un'economia di mercato.
Insomma, tutte
le attività "potrebbero essere eseguite meglio e con risultati
migliori" dal settore privato, senza pensare alla contraddizione tra il
suo desiderio di maggior profitto e risultati sociali ingiusti o sbilanciati.
La salute è
una delle aree che gli investimenti privati hanno fortemente preso di mira
negli ultimi anni.
Un modello
di sviluppo, il capitalismo, in cui la merce (e la sua velocità) ha la priorità
sulla salute delle persone, sull'ambiente, sui bisogni sociali dei territori.
giovedì 19 marzo 2020
NON SIAMO TUTTI SULLA STESSA BARCA
Le
implicazioni che l'emergenza coronavirus getta sul clima sociale, politico, economico
del nostro paese e a livello mondiale sono moltissime e si intersecano
pesantemente con la crisi strutturale che attanaglia il capitalismo mettendone
a nudo tutte le debolezze e l'incompatibilità con il benessere delle masse.
Il pesante
crollo delle borse degli ultimi giorni e le tensioni seguite al ribasso repentino
del prezzo del petrolio sono già chiari indicatori di ciò che potrà svilupparsi
nel prossimo periodo e cioè una ripresa prepotente della crisi, che non farà
altro che scatenare ondate di fallimenti in seguito al crollo del castello di
carte che nonostante la crisi del 2008 hanno continuato a costruire a suon di
derivati e magie finanziarie. Una crisi che da una parte acuirà le tensioni tra
blocchi imperialisti esasperando tutte quelle dinamiche verso conflitti
internazionali sempre più accesi. Dall'altra verrà scaricata come sempre sulle
spalle dei lavoratori e dei proletari come già in questo clima di emergenza sta
succedendo.
Non siamo
affatto tutti sulla stessa barca e la gestione che stanno dando, al contrario
di ciò che i media vogliono far passare, è una gestione spudoratamente di
classe che sacrifica senza ritegno la salute dei lavoratori sull'altare del dio
profitto.
Le
lavoratrici e i lavoratori della sanità possono continuare a lavorare in
reparto, con doppi turni, con mezzi e personale ridotti dai tagli alla sanità
pubblica, ma non possono riunirsi in un sit-in di fronte la prefettura,
nonostante mantengano il metro di distanza. D'altro canto nella sanità, nelle
pulizie, nelle consegne e in certi casi nella produzione, le lavoratrici e i lavoratori
vedono aumentare il proprio carico di lavoro.
O, ancora,
ai tanti riders che stanno sfrecciando in bicicletta per consegnare pasti e
spese a domicilio a chi ha il privilegio di poter scegliere se stare a casa e
magari giudica chi è costretto ad uscire per andare a lavorare. Un'opportunità
che non tutti hanno e che comunque oggi diviene difficoltosa in contemporanea
all'accudimento dei bambini a casa da scuola. L'emergenza coronavirus ha
infatti palesato ulteriormente il doppio carico a danno delle donne impiegate
nella produzione e nella riproduzione capitalistica, ovvero nel lavoro
retribuito e in quello non retribuito rappresentato dalla cura della casa, di
figli e parenti anziani e disabili.
Per di più,
per molte donne, la casa non è un ambiente sicuro, ma fonte di violenza.
Lavorare da
casa significa non poter smettere quando si timbra il cartellino, ma quando il
lavoro è finito, agli occhi del padrone o del cliente. Inoltre per i lavoratori
e l'utenza il telelavoro potrà significare ulteriore tagli alla spesa pubblica
, ulteriore difficoltà ad avere rapporti diretti e risposte chiare quando si
deve andare in uno sportello perché si dovrà mandare la mail, ulteriore
isolamento e individualismo installati tra i lavoratori, che non condivideranno
più nemmeno lo spazio fisico del luogo di lavoro. Non a caso, con lo scoppiare
dell'emergenza, il coro unito della stampa e della politica padronale ha
celebrato il telelavoro come panacea di obbligata modernità, prima che
prevenzione temporanea contro i contagi.
L'accordo
governo-sindacati del 14 marzo, per altro resosi necessario in seguito alla
enorme ondata di scioperi che reclama tuttora la tutela della salute dei
lavoratori tramite la chiusura di fabbriche e luoghi di lavoro non
indispensabili, non dà nessuna risposta alle istanze di chi lavora, anzi. Quel
che viene concesso tramite la sanificazione dei luoghi di lavoro, non è che un
piccolo contentino che nasconde in realtà che la produzione non si fermerà e
che i lavoratori non possono affatto restare a casa, ma devono continuare a
produrre per il bene dei loro padroni, questi si al riparo nelle loro lussuose
ville o all'estero.
Un accordo,
è bene dirlo, che ha trovato il beneplacito di tutti i partiti istituzionali di
maggioranza e opposizione, nessuno escluso, a dimostrazione che se si trovano
spesso in conflitto quando si tratta di dividersi torte e poltrone, si trovano
tutti uniti quando si tratta di scaricare le crisi sui lavoratori e sulle masse
popolari. Sospende i pagamenti che poi puntualmente si riproporranno
raddoppiati nei mesi successivi , dà qualche carità di Stato a carico della
collettività e non di quel 1% della popolazione che detiene un decimo della
ricchezza nazionale, compie degli investimenti tardivi nella sanità pubblica,
prevedendo, in questa grave situazione, un'indennità per le cliniche private
obbligate a collaborare, quando esse dovrebbe semplicemente essere requisite .
Il clima
emergenziale che si è creato vale per tutti, ma non vale per i lavoratori. La
produzione non si può fermare, i lavoratori della sanità decimati da ripetute
manovre di bilancio che hanno sacrificato la sanità in favore di armamento e
iperammortamenti per gli industriali, devono sputare sangue e possono essere
sacrificati per il “bene di tutti”. La ribellione non è ammessa, pena la
polizia in assetto antisommossa e i fermi in questura come è successo ai
lavoratori di Modena in lotta a tutela della loro salute e in risposta
all'ennesima morte di un loro collega.
Serve quindi
fare quadrato attorno ai lavoratori per far si che non venga scaricata sulle
loro spalle anche questa emergenza e per sviluppare quella conflittualità di
classe che ponga al centro dello scontro l'esigenza di un sistema organizzato
attorno ai bisogni dei lavoratori e della popolazione e non dei profitti di
pochi aguzzini e pescecani capitalisti.
Le
rivendicazioni che i lavoratori in lotta stanno ponendo vanno appoggiati e
sostenuti con forza perché è proprio su questi punti che il capitale punta per
sottometterli ai loro diktat e perpetuare la fonte dei loro profitti. Per far
fronte al bilancio dello Stato messo in ginocchio dalla crisi, solo negli
ultimi dieci anni i vari governi borghesi hanno operato tagli alla sanità
pubblica per 37 miliardi di euro, eliminando 70 mila posti letto e 359 reparti,
a favore del privato, delle grandi e inutili opere come il Tav, delle logiche
di profitto del project financing, delle esternalizzazioni e delle spese
militari, con il risultato che oggi, in stato di emergenza, il sistema
sanitario è in piena crisi.
Totale
inadeguatezza dei posti in rianimazione, enormi carichi di lavoro per gli
addetti alla sanità che già lamentano di essere al punto di dover scegliere chi
curare e chi no come in stato di guerra e quindi pericolo in aumento per i
soggetti più deboli di morire non per il virus, ma per un sistema sanitario
massacrato.
Consapevoli
del fatto che non siamo tutti sulla stessa barca e che pochi hanno molta più
responsabilità di molti, iniziamo, come già stiamo facendo, a supportarci nelle
difficoltà pratiche che incontriamo nella quotidianità di questa situazione, ma
anche ad organizzarci per non far sedimentare uno stato d'emergenza scaricato
sulle nostre spalle.
martedì 17 marzo 2020
domenica 15 marzo 2020
TUTTO SI PUÒ FERMARE, MENO CHE I PROFITTI DEI PADRONI
Iniziano a
muoversi le fabbriche. Come una reazione a catena, a partire dallo sciopero
spontaneo a Pomigliano, in alcune delle
zone a maggiore concentrazione operaia d'Italia si sta diffondendo la
mobilitazione.
Le richieste
sono chiare, ovvie, necessarie.
Il pressing
senza quartiere di Confindustria e delle multinazionali estere per continuare a
produrre e a mantenere aperte le aziende continua a portare i suoi frutti.
Milioni di
lavoratori in tutta Italia oggi sperimentano sulla propria pelle il ricatto del
salario al costo della propria stessa salute. A quanto pare nel nostro paese
tutto si può fermare, meno che i profitti dei padroni, anche al costo di
implementare la diffusione del contagio.
Il Covid19 è
una cartina di tornasole. Svela tutte quelle condizioni di insicurezza, di
insalubrità, di sfruttamento e alienazione all'interno delle fabbriche e dei
posti di lavoro che sussistono da sempre, regolate dalle leggi del profitto. Ma
oggi di fronte a questa situazione tali condizioni diventano insopportabili,
insostenibili, non si possono più accettare.
Il contagio
si è diffuso attraverso le catene del valore di coloro che delocalizzano, di
chi chiede più privatizzazione, di chi devasta l'ambiente, di chi dice che i
salari sono sempre troppo alti e vede la sicurezza sui posti di lavoro come un
ingombro alla maggiore accumulazione di capitale.
E' il
momento di fermare tutto, di interrompere questa folle corsa, di dire che non
siamo più disponibili a rischiare le nostre vite e quelle dei nostri cari.
E' il
momento di mettere davanti alle loro responsabilità governi, imprenditori,
multinazionali. Di dire che a queste condizioni noi non ci stiamo più.
Di dire che la
nostra salute vale molto di più del loro denaro.
martedì 10 marzo 2020
IL VIRUS È CIECO, MA I PADRONI CI VEDONO BENISSIMO
L'emergenza?
Non esiste se si parla di produzione e di profitti
Solo gli
imbecilli possono sottovalutare l'emergenza del coronavirus e la necessità di
misure straordinarie di contenimento. Ma solo i ciechi possono rimuovere la
connessione tra il dramma in corso e l'organizzazione capitalista della
società, il suo passato e il suo presente.
Il contesto
che stiamo vivendo in questi giorni in Italia non ha precedenti nel dopoguerra.
La drammatica progressione dell'epidemia si sovrappone al crollo del sistema
sanitario e alla recessione economica. Un ciclone che si abbatte non solo sulla
vita politica e sociale ma sulla esperienza quotidiana di ciascuno, domina le
sue preoccupazioni, il suo conversario, il suo immaginario. Milioni di
lavoratori e lavoratrici, già provati da decenni di sacrifici, sono sottoposti
a una nuova durissima prova.
I LAVORATORI
DELLA SANITÀ E I PADRONI FILANTROPI
Primi fra
tutti i lavoratori e le lavoratrici della sanità.
Esposti sul
fronte di guerra, costretti a lavorare più di 12 ore al giorno, spesso privi
degli strumenti adeguati di protezione, falcidiati per questo da un tasso di
contagio doppio rispetto alla media della popolazione, costretti a scegliere
chi intubare e chi no non dalle esigenze del malato ma dall'assenza di posti
letto, di ventilatori, di spazi. Obbligati dunque a decidere ogni giorno della
vita e della morte di un malato in piena solitudine, con uno stress emotivo
devastante, a causa dei 37 miliardi di tagli alla sanità pubblica praticati
negli ultimi dieci anni.
La stessa
stampa borghese che per decenni ha lamentato gli “sprechi” della spesa
sanitaria e ha appoggiato la chiusura di centinaia di ospedali del territorio –
sempre nel nome del debito pubblico da pagare alle banche – scopre
improvvisamente l'eroismo di medici e infermieri.
Di più. Si
diffondono gesti pubblici di carità filantropica da parte delle banche e delle
grandi imprese. Banca Intesa, che ha fatto da sola in un solo anno quattro miliardi
di utili, dona qualche milione al servizio sanitario di cui ha chiesto a lungo
la demolizione; e il Corriere, di sua proprietà, dedica una pagina intera a
questo esempio amorevole di patriottismo. Il gruppo Pirelli, Armani, Dolce
Gabbana, il fior fiore del made in Italy, l'intero mondo delle imprese quotate
che ha fatto in Borsa nel 2019 ventiquattro miliardi di utili si premurano di
far sapere che hanno destinato qualche spicciolo all'acquisto di mascherine e
ventilatori. “Da Armani a Yamamay, le aziende riscoprono la responsabilità
sociale” titola La Repubblica (9 marzo). Una gara di umanesimo davvero
commovente.
L'EMERGENZA
IGNORATA NELLE FABBRICHE
Se non fosse
che le stesse imprese “socialmente responsabili” (da Confindustria a
Confcommercio) chiedono al governo di garantire ad ogni costo la continuità
della produzione nelle zone più contagiate senza garantire ai dipendenti
neppure gli strumenti più elementari di sicurezza. Guanti e mascherine monouso,
peraltro rare, sono previsti solo per gli autisti del trasporto merci, non per
i lavoratori in produzione. Le fabbriche restano zona franca: nessun rispetto
del distanziamento, assenza di disinfettanti, incuria criminale. L'emergenza
cessa improvvisamente di essere tale se si parla di produzione e di profitti, e
il lavoro diventa così un moltiplicatore del contagio, innanzitutto tra operai
e operaie. In compenso riposi e ferie sono messi a disposizione del padrone,
mentre i congedi parentali, per chi ne può usufruire, coprono solo il 30% del
salario.
MA I
CAPITALISTI BATTONO CASSA
Non
contenti, i padroni “socialmente responsabili” battono cassa.
Rastrellano
il grosso dei 7,5 miliardi stanziati (moratoria dei debiti verso le banche,
copertura pubblica dei crediti delle banche stesse), lasciando un solo miliardo
alla sanità. Chiedono l'indennizzo pieno per il fatturato perso (Confcommercio)
mentre procedono a licenziamenti collettivi, a partire dal turismo, dalla
ristorazione, dai trasporti. Chiedono la defiscalizzazione degli investimenti
dei fondi, nel mentre invocano commesse pubbliche e investimenti
infrastrutturali. E già che ci sono, sempre nel nome dell'emergenza,
rivendicano la cancellazione di ogni causale per i contratti a termine, la
liberalizzazione dei voucher e mano libera in fatto di appalti (CONFAPI). Il
tutto, naturalmente, a spese del lavoro, e della maggioranza della società. Se
poi i soldi pubblici non bastassero per tanta manna, si prendano in prestito
dalle banche, facendo altro debito e altri interessi sul debito, caricandoli
sul portafoglio degli operai. E se per questo l'aumento del debito nell'anno in
corso dovesse far lievitare lo spread, “si tranquillizzino i mercati”
annunciando da subito l'abolizione delle elemosine sociali (quota 100 e reddito
di cittadinanza), come chiede oggi Confindustria (Il Sole 24 Ore, 9 marzo).
Insomma, il
virus è cieco, ma i padroni ci vedono benissimo. Anche in tempi di emergenza
che peraltro hanno contribuito a creare. È vero, i confini di classe sfumano
nella percezione di molti, per l'arretramento della coscienza e la pressione
della paura. Ma nella realtà sono ancor più profondi di ieri. Ricostruire
controcorrente una piattaforma di mobilitazione del movimento operaio,
sviluppare la sua coscienza, ridisegnare una prospettiva anticapitalista è allora
una necessità tanto più ineludibile oggi. Di questo ci occuperemo ogni giorno,
anche nell'attuale stato d'eccezione. Anche attraverso la voce libera di questo
sito.
Partito
Comunista dei Lavoratori
lunedì 9 marzo 2020
IL CORONAVIRUS E LA FOLLIA DEL CAPITALISMO QUALE SOLUZIONE PER L’EMERGENZA?
Testo del volantino nazionale
L'emergenza
sanitaria in corso è una emergenza seria. Ma non è determinata esclusivamente
dal virus. È causata in maniera determinante da una organizzazione folle della
società.
Per
decenni la sanità pubblica è stata massacrata ovunque, per pagare il debito
alle banche, per finanziare le grandi imprese, per detassare i profitti dei
capitalisti. Per
stare solo all'Italia, dal 2008 ad oggi sono stati tagliati al sistema
sanitario ben 37 miliardi, mentre si pagano ogni anno 70 miliardi di soli
interessi sul debito pubblico e quasi 30 miliardi di spese militari. Il
risultato è che 9 milioni di persone devono rinunciare a curarsi, o per i costi
delle prestazioni, o perché per una visita occorre aspettare un anno. E ora col
coronavirus mancano i letti e i reparti per le terapie intensive, le
mascherine, i tamponi, i medici e gli infermieri. E quelli che sono in servizio
sono costretti a turni massacranti di 12 ore al giorno.
Ora tutti
si chiedono quando arriverà il vaccino. Ma la ricerca scientifica pubblica è stata anch'essa tagliata
per decenni, per essere affidata all'industria farmaceutica. Che investe
nel profitto immediato, non certo nella programmazione del futuro. La ricerca
scientifica sulla famiglia virale del coronavirus è stata chiusa nel 2006
(quando è scomparsa la SARS) per il semplice fatto che le aziende farmaceutiche
non avevano interesse a promuoverla. La ricerca oggi è solo un costo aziendale:
si programma e si fa se l'incasso supera il costo, altrimenti può attendere. I
malati fanno in tempo a crepare.
Ora, come
non bastasse, gli stessi interessi capitalistici responsabili di questo
disastro, travolti dal panico della recessione, presentano il conto ai
lavoratori: nuovi licenziamenti,
cassa integrazione, espulsione dei lavoratori precari.
Nuovi tagli annunciati alla spesa sociale per “aiutare le imprese”. In realtà
per tutelare il profitto dei capitalisti a spese di tutti gli altri. Dove sta
allora l'emergenza vera? Nella straordinarietà del virus o nell’organizzazione
ordinaria e folle di questa società?
La verità
è che il capitalismo è fallito, e non è riformabile. Occorre un’organizzazione della
società completamente nuova in cui a comandare siano i lavoratori, non i grandi
azionisti. In cui l'economia risponda al bisogno di tutti, non al profitto di
pochi. I comunicati congiunti tra direzioni sindacali e Confindustria sono
tanto più oggi inaccettabili. C'è bisogno all'opposto di una iniziativa
indipendente del movimento operaio attorno a proprie rivendicazioni: giù le
mani del profitto dalla salute!
· Blocco totale dei licenziamenti! No
alle ferie obbligate!
· Pagamento al 100% dei salari dei/lle
lavoratori/trici impossibilitati/e dal virus a svolgere la propria attività
normale o nella necessità di accudire ai figli.
· Investimento massiccio di risorse nella
sanità pubblica. Massiccia e immediata assunzione di personale medico e
paramedico. Investimento concentrato nella ricerca pubblica, scientifica e
sanitaria, e immediata stabilizzazione di tutti i ricercatori precari.
· Requisizione e nazionalizzazione senza indennizzo della sanità
privata, col pieno e immediato utilizzo delle sue strutture per fronteggiare
l'emergenza. Nazionalizzazione dell'industria farmaceutica, senza indennizzo
per i grandi azionisti e sotto il controllo dei lavoratori.
· Nuovi presidi sanitari sul territorio
per gestire questo intervento straordinario, a partire dalle terapie intensive.
· Tassazione straordinaria (almeno al
10%) dei grandi patrimoni (sopra i 2 milioni individuali o i 4 familiari) per
finanziare queste misure.
A pagare il
conto del coronavirus siano i capitalisti, non i lavoratori e le lavoratrici!
Partito Comunista dei Lavoratori
venerdì 6 marzo 2020
LAVORO: EX ILVA - TARANTO ACCORDO CONTRO LAVORATORI E CITTADINI
È stato
sottoscritto mercoledì 4 l’accordo che ha definitivamente chiuso il contenzioso
tra ArcelorMittal e governo.
Un accordo vergognoso che vede una netta vittoria
per ArcelorMittal e una sconfitta lampante per il Governo italiano.
L’accordo
rappresenta un gigantesco regalo per ArcelorMittal a discapito dei lavoratori,
della città di Taranto e dei suoi abitanti.
In sostanza
ArcelorMittal in cambio di una permanenza, molto probabilmente a termine, è
riuscita a conquistare una revisione integrale delle condizioni di acquisto,
ovviamente a suo favore, ed una clausola che le consente di abbandonare
l’investimento pagando una penale di soli 500 milioni di euro.
Nessuna
tutela per i cittadini di Taranto danneggiati dall’Ilva, che non sono stati
coinvolti nell’intesa, né è stato previsto alcun tipo di indennizzo per le
vittime dell’inquinamento ambientale e per le loro famiglie.
Inoltre
ArcelorMittal si libera dall’impegno all’assunzione dei 1700 lavoratori
attualmente in cassa integrazione presso Ilva as e ottiene una ulteriore
riduzione, dichiarata temporanea, di personale da collocare in cassa
integrazione.
Taranto
piange e né la città, né i suoi abitanti, tanto meno i lavoratori, avranno
alcun beneficio dall’intesa sull’ex Ilva, che rappresenta un gigantesco regalo
dello Stato agli indiani.
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