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giovedì 19 marzo 2020

NON SIAMO TUTTI SULLA STESSA BARCA



Le implicazioni che l'emergenza coronavirus getta sul clima sociale, politico, economico del nostro paese e a livello mondiale sono moltissime e si intersecano pesantemente con la crisi strutturale che attanaglia il capitalismo mettendone a nudo tutte le debolezze e l'incompatibilità con il benessere delle masse.
Il pesante crollo delle borse degli ultimi giorni e le tensioni seguite al ribasso repentino del prezzo del petrolio sono già chiari indicatori di ciò che potrà svilupparsi nel prossimo periodo e cioè una ripresa prepotente della crisi, che non farà altro che scatenare ondate di fallimenti in seguito al crollo del castello di carte che nonostante la crisi del 2008 hanno continuato a costruire a suon di derivati e magie finanziarie. Una crisi che da una parte acuirà le tensioni tra blocchi imperialisti esasperando tutte quelle dinamiche verso conflitti internazionali sempre più accesi. Dall'altra verrà scaricata come sempre sulle spalle dei lavoratori e dei proletari come già in questo clima di emergenza sta succedendo.
Non siamo affatto tutti sulla stessa barca e la gestione che stanno dando, al contrario di ciò che i media vogliono far passare, è una gestione spudoratamente di classe che sacrifica senza ritegno la salute dei lavoratori sull'altare del dio profitto.
Le lavoratrici e i lavoratori della sanità possono continuare a lavorare in reparto, con doppi turni, con mezzi e personale ridotti dai tagli alla sanità pubblica, ma non possono riunirsi in un sit-in di fronte la prefettura, nonostante mantengano il metro di distanza. D'altro canto nella sanità, nelle pulizie, nelle consegne e in certi casi nella produzione, le lavoratrici e i lavoratori vedono aumentare il proprio carico di lavoro.
O, ancora, ai tanti riders che stanno sfrecciando in bicicletta per consegnare pasti e spese a domicilio a chi ha il privilegio di poter scegliere se stare a casa e magari giudica chi è costretto ad uscire per andare a lavorare. Un'opportunità che non tutti hanno e che comunque oggi diviene difficoltosa in contemporanea all'accudimento dei bambini a casa da scuola. L'emergenza coronavirus ha infatti palesato ulteriormente il doppio carico a danno delle donne impiegate nella produzione e nella riproduzione capitalistica, ovvero nel lavoro retribuito e in quello non retribuito rappresentato dalla cura della casa, di figli e parenti anziani e disabili.
Per di più, per molte donne, la casa non è un ambiente sicuro, ma fonte di violenza. 
Lavorare da casa significa non poter smettere quando si timbra il cartellino, ma quando il lavoro è finito, agli occhi del padrone o del cliente. Inoltre per i lavoratori e l'utenza il telelavoro potrà significare ulteriore tagli alla spesa pubblica , ulteriore difficoltà ad avere rapporti diretti e risposte chiare quando si deve andare in uno sportello perché si dovrà mandare la mail, ulteriore isolamento e individualismo installati tra i lavoratori, che non condivideranno più nemmeno lo spazio fisico del luogo di lavoro. Non a caso, con lo scoppiare dell'emergenza, il coro unito della stampa e della politica padronale ha celebrato il telelavoro come panacea di obbligata modernità, prima che prevenzione temporanea contro i contagi.
L'accordo governo-sindacati del 14 marzo, per altro resosi necessario in seguito alla enorme ondata di scioperi che reclama tuttora la tutela della salute dei lavoratori tramite la chiusura di fabbriche e luoghi di lavoro non indispensabili, non dà nessuna risposta alle istanze di chi lavora, anzi. Quel che viene concesso tramite la sanificazione dei luoghi di lavoro, non è che un piccolo contentino che nasconde in realtà che la produzione non si fermerà e che i lavoratori non possono affatto restare a casa, ma devono continuare a produrre per il bene dei loro padroni, questi si al riparo nelle loro lussuose ville o all'estero.
Un accordo, è bene dirlo, che ha trovato il beneplacito di tutti i partiti istituzionali di maggioranza e opposizione, nessuno escluso, a dimostrazione che se si trovano spesso in conflitto quando si tratta di dividersi torte e poltrone, si trovano tutti uniti quando si tratta di scaricare le crisi sui lavoratori e sulle masse popolari. Sospende i pagamenti che poi puntualmente si riproporranno raddoppiati nei mesi successivi , dà qualche carità di Stato a carico della collettività e non di quel 1% della popolazione che detiene un decimo della ricchezza nazionale, compie degli investimenti tardivi nella sanità pubblica, prevedendo, in questa grave situazione, un'indennità per le cliniche private obbligate a collaborare, quando esse dovrebbe semplicemente essere requisite .
Il clima emergenziale che si è creato vale per tutti, ma non vale per i lavoratori. La produzione non si può fermare, i lavoratori della sanità decimati da ripetute manovre di bilancio che hanno sacrificato la sanità in favore di armamento e iperammortamenti per gli industriali, devono sputare sangue e possono essere sacrificati per il “bene di tutti”. La ribellione non è ammessa, pena la polizia in assetto antisommossa e i fermi in questura come è successo ai lavoratori di Modena in lotta a tutela della loro salute e in risposta all'ennesima morte di un loro collega.
Serve quindi fare quadrato attorno ai lavoratori per far si che non venga scaricata sulle loro spalle anche questa emergenza e per sviluppare quella conflittualità di classe che ponga al centro dello scontro l'esigenza di un sistema organizzato attorno ai bisogni dei lavoratori e della popolazione e non dei profitti di pochi aguzzini e pescecani capitalisti.
Le rivendicazioni che i lavoratori in lotta stanno ponendo vanno appoggiati e sostenuti con forza perché è proprio su questi punti che il capitale punta per sottometterli ai loro diktat e perpetuare la fonte dei loro profitti. Per far fronte al bilancio dello Stato messo in ginocchio dalla crisi, solo negli ultimi dieci anni i vari governi borghesi hanno operato tagli alla sanità pubblica per 37 miliardi di euro, eliminando 70 mila posti letto e 359 reparti, a favore del privato, delle grandi e inutili opere come il Tav, delle logiche di profitto del project financing, delle esternalizzazioni e delle spese militari, con il risultato che oggi, in stato di emergenza, il sistema sanitario è in piena crisi.
Totale inadeguatezza dei posti in rianimazione, enormi carichi di lavoro per gli addetti alla sanità che già lamentano di essere al punto di dover scegliere chi curare e chi no come in stato di guerra e quindi pericolo in aumento per i soggetti più deboli di morire non per il virus, ma per un sistema sanitario massacrato.
Consapevoli del fatto che non siamo tutti sulla stessa barca e che pochi hanno molta più responsabilità di molti, iniziamo, come già stiamo facendo, a supportarci nelle difficoltà pratiche che incontriamo nella quotidianità di questa situazione, ma anche ad organizzarci per non far sedimentare uno stato d'emergenza scaricato sulle nostre spalle.




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