Le
implicazioni che l'emergenza coronavirus getta sul clima sociale, politico, economico
del nostro paese e a livello mondiale sono moltissime e si intersecano
pesantemente con la crisi strutturale che attanaglia il capitalismo mettendone
a nudo tutte le debolezze e l'incompatibilità con il benessere delle masse.
Il pesante
crollo delle borse degli ultimi giorni e le tensioni seguite al ribasso repentino
del prezzo del petrolio sono già chiari indicatori di ciò che potrà svilupparsi
nel prossimo periodo e cioè una ripresa prepotente della crisi, che non farà
altro che scatenare ondate di fallimenti in seguito al crollo del castello di
carte che nonostante la crisi del 2008 hanno continuato a costruire a suon di
derivati e magie finanziarie. Una crisi che da una parte acuirà le tensioni tra
blocchi imperialisti esasperando tutte quelle dinamiche verso conflitti
internazionali sempre più accesi. Dall'altra verrà scaricata come sempre sulle
spalle dei lavoratori e dei proletari come già in questo clima di emergenza sta
succedendo.
Non siamo
affatto tutti sulla stessa barca e la gestione che stanno dando, al contrario
di ciò che i media vogliono far passare, è una gestione spudoratamente di
classe che sacrifica senza ritegno la salute dei lavoratori sull'altare del dio
profitto.
Le
lavoratrici e i lavoratori della sanità possono continuare a lavorare in
reparto, con doppi turni, con mezzi e personale ridotti dai tagli alla sanità
pubblica, ma non possono riunirsi in un sit-in di fronte la prefettura,
nonostante mantengano il metro di distanza. D'altro canto nella sanità, nelle
pulizie, nelle consegne e in certi casi nella produzione, le lavoratrici e i lavoratori
vedono aumentare il proprio carico di lavoro.
O, ancora,
ai tanti riders che stanno sfrecciando in bicicletta per consegnare pasti e
spese a domicilio a chi ha il privilegio di poter scegliere se stare a casa e
magari giudica chi è costretto ad uscire per andare a lavorare. Un'opportunità
che non tutti hanno e che comunque oggi diviene difficoltosa in contemporanea
all'accudimento dei bambini a casa da scuola. L'emergenza coronavirus ha
infatti palesato ulteriormente il doppio carico a danno delle donne impiegate
nella produzione e nella riproduzione capitalistica, ovvero nel lavoro
retribuito e in quello non retribuito rappresentato dalla cura della casa, di
figli e parenti anziani e disabili.
Per di più,
per molte donne, la casa non è un ambiente sicuro, ma fonte di violenza.
Lavorare da
casa significa non poter smettere quando si timbra il cartellino, ma quando il
lavoro è finito, agli occhi del padrone o del cliente. Inoltre per i lavoratori
e l'utenza il telelavoro potrà significare ulteriore tagli alla spesa pubblica
, ulteriore difficoltà ad avere rapporti diretti e risposte chiare quando si
deve andare in uno sportello perché si dovrà mandare la mail, ulteriore
isolamento e individualismo installati tra i lavoratori, che non condivideranno
più nemmeno lo spazio fisico del luogo di lavoro. Non a caso, con lo scoppiare
dell'emergenza, il coro unito della stampa e della politica padronale ha
celebrato il telelavoro come panacea di obbligata modernità, prima che
prevenzione temporanea contro i contagi.
L'accordo
governo-sindacati del 14 marzo, per altro resosi necessario in seguito alla
enorme ondata di scioperi che reclama tuttora la tutela della salute dei
lavoratori tramite la chiusura di fabbriche e luoghi di lavoro non
indispensabili, non dà nessuna risposta alle istanze di chi lavora, anzi. Quel
che viene concesso tramite la sanificazione dei luoghi di lavoro, non è che un
piccolo contentino che nasconde in realtà che la produzione non si fermerà e
che i lavoratori non possono affatto restare a casa, ma devono continuare a
produrre per il bene dei loro padroni, questi si al riparo nelle loro lussuose
ville o all'estero.
Un accordo,
è bene dirlo, che ha trovato il beneplacito di tutti i partiti istituzionali di
maggioranza e opposizione, nessuno escluso, a dimostrazione che se si trovano
spesso in conflitto quando si tratta di dividersi torte e poltrone, si trovano
tutti uniti quando si tratta di scaricare le crisi sui lavoratori e sulle masse
popolari. Sospende i pagamenti che poi puntualmente si riproporranno
raddoppiati nei mesi successivi , dà qualche carità di Stato a carico della
collettività e non di quel 1% della popolazione che detiene un decimo della
ricchezza nazionale, compie degli investimenti tardivi nella sanità pubblica,
prevedendo, in questa grave situazione, un'indennità per le cliniche private
obbligate a collaborare, quando esse dovrebbe semplicemente essere requisite .
Il clima
emergenziale che si è creato vale per tutti, ma non vale per i lavoratori. La
produzione non si può fermare, i lavoratori della sanità decimati da ripetute
manovre di bilancio che hanno sacrificato la sanità in favore di armamento e
iperammortamenti per gli industriali, devono sputare sangue e possono essere
sacrificati per il “bene di tutti”. La ribellione non è ammessa, pena la
polizia in assetto antisommossa e i fermi in questura come è successo ai
lavoratori di Modena in lotta a tutela della loro salute e in risposta
all'ennesima morte di un loro collega.
Serve quindi
fare quadrato attorno ai lavoratori per far si che non venga scaricata sulle
loro spalle anche questa emergenza e per sviluppare quella conflittualità di
classe che ponga al centro dello scontro l'esigenza di un sistema organizzato
attorno ai bisogni dei lavoratori e della popolazione e non dei profitti di
pochi aguzzini e pescecani capitalisti.
Le
rivendicazioni che i lavoratori in lotta stanno ponendo vanno appoggiati e
sostenuti con forza perché è proprio su questi punti che il capitale punta per
sottometterli ai loro diktat e perpetuare la fonte dei loro profitti. Per far
fronte al bilancio dello Stato messo in ginocchio dalla crisi, solo negli
ultimi dieci anni i vari governi borghesi hanno operato tagli alla sanità
pubblica per 37 miliardi di euro, eliminando 70 mila posti letto e 359 reparti,
a favore del privato, delle grandi e inutili opere come il Tav, delle logiche
di profitto del project financing, delle esternalizzazioni e delle spese
militari, con il risultato che oggi, in stato di emergenza, il sistema
sanitario è in piena crisi.
Totale
inadeguatezza dei posti in rianimazione, enormi carichi di lavoro per gli
addetti alla sanità che già lamentano di essere al punto di dover scegliere chi
curare e chi no come in stato di guerra e quindi pericolo in aumento per i
soggetti più deboli di morire non per il virus, ma per un sistema sanitario
massacrato.
Consapevoli
del fatto che non siamo tutti sulla stessa barca e che pochi hanno molta più
responsabilità di molti, iniziamo, come già stiamo facendo, a supportarci nelle
difficoltà pratiche che incontriamo nella quotidianità di questa situazione, ma
anche ad organizzarci per non far sedimentare uno stato d'emergenza scaricato
sulle nostre spalle.
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