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mercoledì 30 settembre 2020

A DIECI ANNI DALLA MORTE DI TIZIANO BAGAROLO


 

 

Dieci anni fa ci lasciava il compagno Tiziano Bagarolo, dirigente del nostro partito e validissimo teorico marxista, in particolare sul terreno della questione ambientale.

 

Nel salutarlo, dieci anni fa, scrivevamo: "Da atei militanti, come era ovviamente Tiziano, sappiamo che la morte rappresenta un punto finale e che non vi è nulla per qualsiasi essere umano oltre ad essa. Oggi noi siamo a lutto per quello che abbiamo perso, come persone e come partito, con la scomparsa del compagno Tiziano Bagarolo. Su alcuni terreni sarà assolutamente insostituibile. Noi inchiniamo le nostre bandiere a lutto, ne preserveremo la memoria e l’importante contributo al marxismo, e saremo fedeli al metodo politico, di fermezza sui principi e flessibilità nella tattica per realizzare le condizioni della rivoluzione socialista, che Tiziano ha contribuito a dare al nostro partito".

 

Queste parole rimangono più vere che mai. Tiziano vive ancora nella nostra lotta per la rivoluzione socialista.

 

Ricorderemo Tiziano in un'iniziativa online che si terrà venerdì 16 ottobre sulla pagina Facebook del Partito Comunista dei Lavoratori.

 

Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 23 settembre 2020

BOLOGNA, DOMENICA 27 SETTEMBRE, ASSEMBLEA NAZIONALE DEI LAVORATORI COMBATTIVI

 


Il Partito Comunista dei Lavoratori sarà presente con un nutrito gruppo di militanti all’"assemblea nazionale dei lavoratori combattivi", che si terrà a Bologna alle ore 9:30 nella sala Dumbo, in via Casarini 72.

Appoggiamo pienamente l'iniziativa che vuole riunire lavoratori, lavoratrici, delegati e delegate, forze sindacali e strutture autorganizzate, per avviare un percorso unitario di confronto e mobilitazione.

Lo scopo è arrivare, contro governo e padronato, a un necessario fronte unico di massa, di cui questa assemblea è un buon primo passo.

Il PCL è quindi impegnato alla riuscita di questa iniziativa, cui hanno già aderito centinaia di lavoratori e lavoratrici e sindacalisti classisti.

Invitiamo perciò tutti i compagni e tutte le compagne che fanno attività sindacale (in opposizione CGIL, in SGB, CUB, USB o altro sindacato) a firmare il testo dell’appello e a estenderlo ad altri compagni/e che fanno attività nel sindacalismo di classe e nella sinistra di opposizione e di classe, indicando il luogo di lavoro e il ruolo sindacale e comunicando l’adesione direttamente alla e-mail nazionale: assemblea279@gmail.com

 

Qui sotto pubblichiamo il testo dell’appello

 

PER UN’ASSEMBLEA NAZIONALE DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI COMBATTIVI

 

L’impatto dell’emergenza ancora in pieno corso è epocale, con una recessione generale che colpisce la vita di milioni di lavoratori, lavoratrici, precari/e e disoccupati/e nel mondo.

Questa recessione non è però un semplice riflesso del Covid19, ma mette a nudo una crisi strutturale di lunga durata. In Italia decine di migliaia di morti (in particolare a Bergamo e in Lombardia) hanno reso evidente lo sfascio del sistema sanitario e lo sfruttamento del suo personale.

 

Su spinta di Confindustria, migliaia di aziende, fabbriche e magazzini sono stati lasciati aperti anche se non essenziali, con milioni di lavoratori e lavoratrici il più delle volte privi di una reale protezione.

Le misure adottate in questi mesi dal governo Conte hanno salvaguardato ancora una volta i profitti. Cassa integrazione e ammortizzatori hanno prodotto un drammatico abbattimento dei livelli di vita di lavoratori e lavoratrici.

 

La moratoria sui licenziamenti è momentanea e, soprattutto, parziale: centinaia di migliaia di precari/e sono finiti per strada; si sono moltiplicati interventi mirati contro lavoratori e lavoratrici combattivi; col “decreto agosto” sarà anche possibile licenziare nei cambi d’appalto, terminato il periodo di esonero contributivo o esaurite le ulteriori 18 settimane di CIG. I prossimi interventi europei (dal recovery plan al MES) avranno lo stesso segno di classe.

Anzi, tutto lascia presagire che il peggio debba arrivare.

 

Per i padroni l’emergenza è infatti occasione per socializzare le perdite, accelerando le ristrutturazioni e aumentando lo sfruttamento. Non a caso dispiegano oggi un’offensiva sui contratti nazionali, evitando di rinnovarli e pretendendo il rispetto di quel patto del lavoro sottoscritto dalle burocrazie confederali che blocca ogni aumento salariale, salvo (forse) qualche briciola di welfare aziendale.

 

Per lavoratori e lavoratrici si profilano licenziamenti, taglio dei salari, inasprimento di ritmi e carichi, ulteriore riduzione delle tutele: tali misure avranno effetti ancora più feroci nel meridione d’Italia.

Come sempre sono le donne le più colpite: nel lavoro (con salari più bassi), nella perdita del lavoro (le prime a vederselo ridotto o ad esser licenziate) e nella riproduzione sociale (scaricando soprattutto su di loro la chiusura di scuole e asili nido).

 

Facendo leva sui decreti sicurezza che hanno equiparato le lotte sindacali e sociali a problemi di ordine pubblico, i padroni e i loro governi usano l’emergenza anche per imporre nuove strette repressive, con la militarizzazione nelle piazze e ai cancelli (persino con la security privata, come alla TNT), mentre la destra (e non solo) continua a diffondere il veleno del razzismo e dell’odio etnico, alimentando divisioni e guerre fratricide tra gli sfruttati per celare le vere cause e i veri responsabili della crisi.

 

Serve allora una risposta unitaria per generalizzare il conflitto.

Si pone quindi, oggi come non mai, la necessità di un’iniziativa all’altezza della fase e del nemico di classe.

Un’iniziativa capace di rivolgersi ai delegati/e, alle lavoratrici e ai lavoratori, che hanno scioperato a marzo nelle fabbriche, nella logistica e nella grande distribuzione; a quelli oggi colpiti da crisi industriali e da una crescente pressione padronale; alle tante soggettività che si stanno ponendo sul terreno della lotta o dell’autorganizzazione: lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, della sanità e delle scuole; dottorandi e precari delle università; precari delle cooperative e delle Onlus, del turismo, delle comunicazioni ecc.

 

È cioè necessario un radicale cambio di passo nel sindacalismo conflittuale e di classe. Non serve la nascita “per decreto” di nuove sigle, né la riproposizione di meri intergruppi, bensì la costruzione di percorsi di lotta che vadano oltre alle appartenenze di sigla e di categoria.

 

Dall’incontro del 12 luglio a Bologna è emersa la volontà di lanciare un processo nuovo e realmente includente, capace di legare le lotte sindacali, quelle dei disoccupati, i movimenti per la casa e gli scioperi degli affitti, i movimenti per la parità di diritti agli immigrati (oggi principale bersaglio dell’offensiva reazionaria dei Salvini e delle Meloni) e tutte le reti di solidarietà attive sui territori in un fronte unico di tutti gli sfruttati.

 

Nei prossimi mesi i nodi del contendere saranno essenzialmente due: la difesa (e il rilancio) del salario diretto, differito (pensioni e TFR) e indiretto (scuola e sanità pubbliche in primo luogo); la difesa di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di studio e nella vita sociale.

 

Oggi più che mai, per combattere le politiche di sfruttamento, licenziamenti e macelleria sociale, occorre riprendere le storiche parole d’ordine del movimento operaio: patrimoniale sulle grandi ricchezze, no al cappio del debito di stato; riduzione drastica (e redistribuzione) dell’orario di lavoro a parità di salario; difesa e miglioramento dei livelli salariali; salario garantito a disoccupati e stabilizzazione dei precari; tutela della salute e della sicurezza; stop alla miriade di contratti precari e da fame; difesa, rilancio e applicazione effettiva dei CCNL; difesa e rilancio di una scuola e una sanità pubbliche, universali e gratuite; piena agibilità sindacale sui luoghi di lavoro; no ai decreti sicurezza e alla repressione degli scioperi e delle lotte, abolizione immediata di ogni forma di discriminazione e pieni diritti di cittadinanza per i lavoratori immigrati; sostegno all’edilizia popolare e stop agli sgomberi delle occupazioni a scopo abitativo.

 

Rivendicazioni praticabili solo se il movimento di classe saprà riconquistarsi la propria autonomia in un’ottica internazionale e internazionalista, sottraendosi al veleno del sovranismo. Proletari e capitalisti infatti non sono e non saranno mai sulla stessa barca: o i proletari saranno capaci con la lotta di far pagare la crisi ai padroni, colpendo i profitti e le rendite, oppure saranno i padroni a farci pagare con gli interessi i costi della loro crisi.

Vogliamo aprire un confronto per collegare e rilanciare le lotte in corso, per supportare quelle future ed unirle in un movimento generale.

 

Per questo convochiamo un’assemblea nazionale dei lavoratori e delle lavoratrici combattivi/e, a Bologna, nella giornata di domenica 27 settembre: inizio ore 9,30, sala Dumbo, in via Casarini 72.

 

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione sindacale

domenica 20 settembre 2020

SPAGNA. GOVERNO PSOE-UP, MIGLIORE ALLIEVO DEL GRANDE CAPITALE NELLA CRISI DEL CORONAVIRUS

 

I padroni vogliono tutto, in Italia e altrove. In Spagna il governo "di sinistra" formato da socialisti, Podemos e Izquierda Unida, che tanti sostenitori trova da queste parti, è stato fin da subito esecutore zelante delle richieste padronali

 

Da Izquierda Anticapitalista Revolucionaria

 

 
 

 

A seguito alla crisi del Covid-19 nello stato spagnolo, emergono due conclusioni: da una parte le politiche di privatizzazione e di cassa della sanità sono costate vite umane, dall'altra il capitale poco si preoccupa del colore politico dei governi quando si tratta di salvare i suoi profitti.

 

L'iniezione di 3,8 miliardi di dollari nel sistema sanitario nazionale per le comunità autonome [le regioni in cui è suddiviso lo stato spagnolo, NdT], annunciata dal capo del governo Pedro Sánchez il 19 marzo, è solo una mezza misura. La sanità privata non è stata coinvolta se non quando gli ospedali pubblici hanno collassato, e ora hanno l'audacia di richiedere dei finanziamenti allo stato!

 

Le politiche di taglio delle spese, messe in opera sia dal Partito Socialista (PSOE) sia dal Partito Popolare (PP, destra) quando si sono succeduti al governo, hanno smantellato il sistema della sanità pubblica: riduzione dei posti letto (10,7% in meno dal 2008) – sino al punto di non avere più di 297 posti su 100.000 abitanti, quando la raccomandazione del OMS si attesta tra gli 800 e i 1000; riduzione del personale (perdita di più di 12.000 professionisti tre il 2009 e il 2014), riduzione dei costi sanitari (dal 6,77% del PIL nel 2009 al 5,9% di oggi, contro il 7,5% in Europa)... Con un livello elevato di precarietà, i professionisti della sanità hanno messo in pericolo le loro vite. Al 16 luglio lo stato spagnolo registrava 52,470 decessi.

 

 

UNA POLITICA DI SOSPENSIONE TEMPORANEA DEL LAVORO AL SERVIZIO DEI PADRONI

 

La crisi si è tradotta in una marea di licenziamenti nelle prime due settimane del periodo di allerta, alla fine di marzo. Questi licenziamenti sono facilitati dalla riforma del diritto del lavoro del 2012.

I licenziamenti sono stati abilmente giustificati dal governo, dai datori di lavoro e dai media, nelle catene alberghiere come il gruppo Meliá, nelle compagnie aeree Air Europa, Vueling e Ryanair, nelle aziende Nissan, Seat, Ford, Opel, Fujitsu, Kostal Eléctrica, Cortefiel e Inditex, capofila dei subappalti per mense scolastiche, pulizie scolastiche e persino sostegno scolastico di Madrid, Andalusia ed Euskadi...

 

Il mito della concertazione di classe è stato alimentato dal ministro del Lavoro, Yolanda Díaz, membro della coalizione di “sinistra radicale” Unidas Podemos (UP, essa stessa alleata del governo del PSOE).

 

In una riunione del 19 marzo, le organizzazioni padronali CEOE e Cepyme, così come le direzioni dei sindacati CCOO e UGT, hanno concordato di presentare al governo una serie di misure per affrontare le conseguenze della pandemia sul posto di lavoro. La risposta governativa è stata quella di rendere più facile per le aziende usufruire di una sospensione temporanea del lavoro, misura che interessa 1,8 milioni di lavoratori e lavoratrici, e di rendere i contratti più flessibili, a discrezione dei padroni, fino alla fine di settembre.

 

ll governo PSOE-UP non ha smesso di parlare dell'importanza del confinamento e di sottolineare l'irresponsabilità dei vicini che escono per un giro in bicicletta... ma nessuno ha detto nulla sull'irresponsabilità dei padroni delle miniere, di Konecta, di Airbus, di Mercedes-Benz, di Consetino o Correos, proprietari terrieri di Huelva o Almeria e molti altri, che hanno costretto i dipendenti a tornare al lavoro, in settori di attività essenziali o meno.

 

In quel caso, non importa che centinaia o migliaia di lavoratori e di lavoratrici siano stipati in un unico posto, otto ore al giorno. In questo caso è come se miracolosamente fossero immuni, non contagiosi e non diffondessero il virus!

 

Nonostante il ruolo conciliatore della leadership sindacale, c'è stata, tuttavia, resistenza. Il 16 marzo nello stabilimento Mercedes di Vitoria e il 27 marzo nello stabilimento di Sidenor nei Paesi Baschi, gli operai hanno interrotto la produzione e hanno manifestato per chiedere la chiusura. Ad Airbus, la CGT ha indetto uno sciopero a tempo indeterminato dal 30 marzo, anche se si trattò più di una posizione propagandistica che di un'azione reale. L'unica protesta autorizzata durante lo stato di allerta è stata quella dei lavoratori e delle lavoratrici di Glovo e Deliveroo a Madrid il 18 aprile.

 

Fu solo il 30 marzo, approfittando del periodo di ferie, che il governo chiese di fermare la produzione nei "settori non essenziali"... ma per un periodo di 9 giorni.

 

Un altro vantaggio dei datori di lavoro è stato il “congedo retribuito recuperabile”: le aziende potevano ridurre liberamente la loro forza lavoro a un piccolo gruppo di personale “essenziale” per mantenere un livello di attività “indispensabile”; gli altri lavoratori dovrebbero poi rimborsare ai propri padroni le ore non lavorate.

 

 

UN FALSO DIVIETO DI LICENZIAMENTO

 

Il 27 marzo, Yolanda Díaz ha annunciato il "divieto di licenziamento" dicendo: "Nessuno può approfittare di questa crisi per licenziare le persone".

Ecco cosa era scritto in caratteri cubitali sulla stampa... ma gli articoli in caratteri piccoli in fondo al decreto dicevano un'altra cosa: se i licenziamenti legati allo stato di allerta sono sicuramente ingiustificati, le aziende possono comunque licenziare, a condizioni di pagare l'equivalente di 33 giorni di stipendio per anno di lavoro, invece dei 20 giorni precedentemente previsti. Siamo lontani da una misura radicale!

 

Izquierda Anticapitalista Revolucionaria - Spagna