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mercoledì 23 settembre 2020

BOLOGNA, DOMENICA 27 SETTEMBRE, ASSEMBLEA NAZIONALE DEI LAVORATORI COMBATTIVI

 


Il Partito Comunista dei Lavoratori sarà presente con un nutrito gruppo di militanti all’"assemblea nazionale dei lavoratori combattivi", che si terrà a Bologna alle ore 9:30 nella sala Dumbo, in via Casarini 72.

Appoggiamo pienamente l'iniziativa che vuole riunire lavoratori, lavoratrici, delegati e delegate, forze sindacali e strutture autorganizzate, per avviare un percorso unitario di confronto e mobilitazione.

Lo scopo è arrivare, contro governo e padronato, a un necessario fronte unico di massa, di cui questa assemblea è un buon primo passo.

Il PCL è quindi impegnato alla riuscita di questa iniziativa, cui hanno già aderito centinaia di lavoratori e lavoratrici e sindacalisti classisti.

Invitiamo perciò tutti i compagni e tutte le compagne che fanno attività sindacale (in opposizione CGIL, in SGB, CUB, USB o altro sindacato) a firmare il testo dell’appello e a estenderlo ad altri compagni/e che fanno attività nel sindacalismo di classe e nella sinistra di opposizione e di classe, indicando il luogo di lavoro e il ruolo sindacale e comunicando l’adesione direttamente alla e-mail nazionale: assemblea279@gmail.com

 

Qui sotto pubblichiamo il testo dell’appello

 

PER UN’ASSEMBLEA NAZIONALE DELLE LAVORATRICI E DEI LAVORATORI COMBATTIVI

 

L’impatto dell’emergenza ancora in pieno corso è epocale, con una recessione generale che colpisce la vita di milioni di lavoratori, lavoratrici, precari/e e disoccupati/e nel mondo.

Questa recessione non è però un semplice riflesso del Covid19, ma mette a nudo una crisi strutturale di lunga durata. In Italia decine di migliaia di morti (in particolare a Bergamo e in Lombardia) hanno reso evidente lo sfascio del sistema sanitario e lo sfruttamento del suo personale.

 

Su spinta di Confindustria, migliaia di aziende, fabbriche e magazzini sono stati lasciati aperti anche se non essenziali, con milioni di lavoratori e lavoratrici il più delle volte privi di una reale protezione.

Le misure adottate in questi mesi dal governo Conte hanno salvaguardato ancora una volta i profitti. Cassa integrazione e ammortizzatori hanno prodotto un drammatico abbattimento dei livelli di vita di lavoratori e lavoratrici.

 

La moratoria sui licenziamenti è momentanea e, soprattutto, parziale: centinaia di migliaia di precari/e sono finiti per strada; si sono moltiplicati interventi mirati contro lavoratori e lavoratrici combattivi; col “decreto agosto” sarà anche possibile licenziare nei cambi d’appalto, terminato il periodo di esonero contributivo o esaurite le ulteriori 18 settimane di CIG. I prossimi interventi europei (dal recovery plan al MES) avranno lo stesso segno di classe.

Anzi, tutto lascia presagire che il peggio debba arrivare.

 

Per i padroni l’emergenza è infatti occasione per socializzare le perdite, accelerando le ristrutturazioni e aumentando lo sfruttamento. Non a caso dispiegano oggi un’offensiva sui contratti nazionali, evitando di rinnovarli e pretendendo il rispetto di quel patto del lavoro sottoscritto dalle burocrazie confederali che blocca ogni aumento salariale, salvo (forse) qualche briciola di welfare aziendale.

 

Per lavoratori e lavoratrici si profilano licenziamenti, taglio dei salari, inasprimento di ritmi e carichi, ulteriore riduzione delle tutele: tali misure avranno effetti ancora più feroci nel meridione d’Italia.

Come sempre sono le donne le più colpite: nel lavoro (con salari più bassi), nella perdita del lavoro (le prime a vederselo ridotto o ad esser licenziate) e nella riproduzione sociale (scaricando soprattutto su di loro la chiusura di scuole e asili nido).

 

Facendo leva sui decreti sicurezza che hanno equiparato le lotte sindacali e sociali a problemi di ordine pubblico, i padroni e i loro governi usano l’emergenza anche per imporre nuove strette repressive, con la militarizzazione nelle piazze e ai cancelli (persino con la security privata, come alla TNT), mentre la destra (e non solo) continua a diffondere il veleno del razzismo e dell’odio etnico, alimentando divisioni e guerre fratricide tra gli sfruttati per celare le vere cause e i veri responsabili della crisi.

 

Serve allora una risposta unitaria per generalizzare il conflitto.

Si pone quindi, oggi come non mai, la necessità di un’iniziativa all’altezza della fase e del nemico di classe.

Un’iniziativa capace di rivolgersi ai delegati/e, alle lavoratrici e ai lavoratori, che hanno scioperato a marzo nelle fabbriche, nella logistica e nella grande distribuzione; a quelli oggi colpiti da crisi industriali e da una crescente pressione padronale; alle tante soggettività che si stanno ponendo sul terreno della lotta o dell’autorganizzazione: lavoratori e lavoratrici dello spettacolo, della sanità e delle scuole; dottorandi e precari delle università; precari delle cooperative e delle Onlus, del turismo, delle comunicazioni ecc.

 

È cioè necessario un radicale cambio di passo nel sindacalismo conflittuale e di classe. Non serve la nascita “per decreto” di nuove sigle, né la riproposizione di meri intergruppi, bensì la costruzione di percorsi di lotta che vadano oltre alle appartenenze di sigla e di categoria.

 

Dall’incontro del 12 luglio a Bologna è emersa la volontà di lanciare un processo nuovo e realmente includente, capace di legare le lotte sindacali, quelle dei disoccupati, i movimenti per la casa e gli scioperi degli affitti, i movimenti per la parità di diritti agli immigrati (oggi principale bersaglio dell’offensiva reazionaria dei Salvini e delle Meloni) e tutte le reti di solidarietà attive sui territori in un fronte unico di tutti gli sfruttati.

 

Nei prossimi mesi i nodi del contendere saranno essenzialmente due: la difesa (e il rilancio) del salario diretto, differito (pensioni e TFR) e indiretto (scuola e sanità pubbliche in primo luogo); la difesa di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di studio e nella vita sociale.

 

Oggi più che mai, per combattere le politiche di sfruttamento, licenziamenti e macelleria sociale, occorre riprendere le storiche parole d’ordine del movimento operaio: patrimoniale sulle grandi ricchezze, no al cappio del debito di stato; riduzione drastica (e redistribuzione) dell’orario di lavoro a parità di salario; difesa e miglioramento dei livelli salariali; salario garantito a disoccupati e stabilizzazione dei precari; tutela della salute e della sicurezza; stop alla miriade di contratti precari e da fame; difesa, rilancio e applicazione effettiva dei CCNL; difesa e rilancio di una scuola e una sanità pubbliche, universali e gratuite; piena agibilità sindacale sui luoghi di lavoro; no ai decreti sicurezza e alla repressione degli scioperi e delle lotte, abolizione immediata di ogni forma di discriminazione e pieni diritti di cittadinanza per i lavoratori immigrati; sostegno all’edilizia popolare e stop agli sgomberi delle occupazioni a scopo abitativo.

 

Rivendicazioni praticabili solo se il movimento di classe saprà riconquistarsi la propria autonomia in un’ottica internazionale e internazionalista, sottraendosi al veleno del sovranismo. Proletari e capitalisti infatti non sono e non saranno mai sulla stessa barca: o i proletari saranno capaci con la lotta di far pagare la crisi ai padroni, colpendo i profitti e le rendite, oppure saranno i padroni a farci pagare con gli interessi i costi della loro crisi.

Vogliamo aprire un confronto per collegare e rilanciare le lotte in corso, per supportare quelle future ed unirle in un movimento generale.

 

Per questo convochiamo un’assemblea nazionale dei lavoratori e delle lavoratrici combattivi/e, a Bologna, nella giornata di domenica 27 settembre: inizio ore 9,30, sala Dumbo, in via Casarini 72.

 

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione sindacale

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