Il 4
settembre 1970 la vittoria di Allende (prima parte)
A
cinquant'anni dalla vittoria di Unidad Popular in Cile, ripubblichiamo
un'approfondita analisi di Tiziano Bagarolo, scritta in occasione dei
trent'anni dal golpe del 1973.
1.
L'"ALTRO" 11 SETTEMBRE
Trent’anni
fa in Cile, l’11 settembre del 1973, un colpo di Stato militare di inaudita
violenza, ispirato e preparato con la collaborazione della CIA, rovesciava il
presidente eletto Salvador Allende e il legittimo governo dell’Unidad Popular e
instaurava una dittatura feroce e totalitaria.
Il golpe cominciò
all’alba nella città portuale di Valparaiso. Si mosse per prima la Marina,
secondo i piani prestabiliti, occupando il porto e la città. Informato di
questi sviluppi, Allende si precipitò alla Moneda, il palazzo presidenziale nel
centro di Santiago. Si rivolse attraverso la radio ai cileni e in particolare
ai lavoratori per invitarli alla vigilanza e alla fermezza. Eppure mostrava
ancora di prestar fede alle rassicurazioni appena ricevute da Pinochet che
negava il coinvolgimento dell’Esercito nella sedizione. Solo alle 9 meno un
quarto, quanto ormai anche la Moneda era circondata dai carri armati
dell’Esercito e la Forza aerea si apprestava a bombardare il palazzo, Allende
si arrese all’evidenza. A questo punto, con coraggio e dignità, dopo aver rifiutato
la proposta dei golpisti di un salvacondotto per lasciare il paese, il
compañero Presidente, armi alla mano, si apprestò a resistere e a morire, per
dare una lezione morale ai generali “codardi, felloni e traditori”.
Se la sorte
di Allende si compì in poche ore – e non è molto importante stabilire se si
suicidò per non cadere nelle mani dei militari o fu da questi “suicidato”,
annientare l’avanguardia di quella classe operaia che aveva osato troppo, per
spezzare la volontà di resistenza delle masse, richiese invece molto più tempo
e una barbarie confrontabile a quella del regime nazista o di quello franchista
negli anni trenta del secolo scorso. Al riparo di uno stato d’assedio durato
quasi cinque anni, in Cile furono uccisi, imprigionati, torturati, fatti
scomparire, licenziati, esiliati (e perseguitati anche all’estero dalla
famigerata polizia segreta del regime) migliaia e migliaia di quadri e
attivisti della sinistra e delle organizzazioni popolari. Si aprirono in Cile
160 campi di concentramento e i primi furono gli stadi.
Purtroppo i
“gorilla” di Santiago e i loro mandanti raggiunsero i loro obiettivi. Il
movimento operaio cileno fu rimandato indietro di decenni. Ciò consentì un
radicale esperimento “neoliberista” che avrebbe cambiato in profondità il paese
e sarebbe diventando un “modello” ben oltre l’America latina. Ancora oggi, a
tredici anni dalla fine del regime militare, la cosiddetta “democrazia” cilena
è posta sotto la tutela dei militari al punto che non è ancora possibile
perseguire e punire i crimini della dittatura.
Eppure il
governo di Allende era tutto fuorché un governo rivoluzionario. Si era
insediato attraverso regolari elezioni e il voto del parlamento. Agiva nel
pieno rispetto della costituzione. Cercava costantemente accordi con
l’opposizione borghese e in particolare con la Democrazia cristiana. Le
principali riforme che stava attuando erano la riforma agraria che era stata
deliberata dal precedente governo democristiano e la nazionalizzazione delle
miniere del rame in mano alle multinazionali nordamericane che era stata votata
dal parlamento all’unanimità! Addirittura, per ulteriore garanzia, Allende
aveva fatto entrare nel governo i massimi rappresentanti delle Forze armate
alle quali non aveva lesinato autonomia e privilegi.
Il governo
della Unidad Popular era insomma un governo di collaborazione di classe, non si
proponeva di costruire il socialismo espropriando la borghesia e togliendole
il potere statale, ma soltanto di modernizzare le strutture economiche e
sociali del paese e di migliorare le condizioni di vita dei lavoratori e delle
masse popolari che erano ancora quelle tipiche di un paese arretrato e
dipendente del terzo mondo. Il modello politico che l’Unidad Popular cercava
di applicare era il “fronte popolare”, ossia un’alleanza delle forze operaie
con settori pretesi “avanzati” della classe dominante allo scopo di realizzare
un programma di riforme democratiche, non di realizzare il socialismo.
Perché
allora un tale esito? Perché una repressione così spietata e una dittatura così
prolungata? Che cosa è accaduto perché un movimento operaio in grado di
conquistare il governo del paese subisse una così improvvisa e tragica
disfatta?
Rispondere a
queste domande significa ricostruire e fare il bilancio di un’esperienza
storica di grande significato, e non solo per il movimento operaio cileno o
latinoamericano. In Italia, come è noto, la tragedia cilena fornì lo spunto
all’allora segretario del PCI per teorizzare il “compromesso storico”, ossia la
ricerca di accordo organico con il principale partito della classe dominante
(1). Cercheremo di rispondere a questi interrogativi nelle pagine che seguono,
ricostruendo l’origine, gli sviluppi e lo sbocco finale della crisi
rivoluzionaria vissuta dal Cile tra la fine degli anni sessanta e l’inizio
degli anni settanta del secolo scorso. E cercando, dopo la ricostruzione
storica, di fare il bilancio politico e storico della vicenda di Allende e
dell’Unidad Popular.
2. UNA CRISI
CHE MATURA DA UN DECENNIO
L’esperienza
dell’Unidad Popular si sviluppa sulla sfondo di eventi sia interni sia
internazionali di grande portata. La vittoria di Allende alle presidenziali il
4 settembre del 1970 è lo sbocco di una parabola di ascesa delle lotte e della
combattività della classe operaia e degli altri settori sfruttati e oppressi
della società cilena che data da almeno un decennio. Questa ascesa, a sua
volta, ha come sfondo una situazione internazionale che vede ovunque rimessi in
discussione gli equilibri precedenti. Il 1968 è l’anno del Maggio francese, del
Tet vietnamita, della “primavera” praghese; il 1969 è quello dell’autunno caldo
italiano, del “Cordobazo” argentino e di grandi lotte operaie in Uruguay; il
1971 è l’anno dell’asamblea popular in Bolivia. Più in generale non va
dimenticato che gli anni sessanta sono segnati in America latina dall’influenza
della rivoluzione cubana.
In Cile il
decennio si chiude con la crisi dell’ambizioso tentativo riformista borghese
rappresentato dal governo del presidente democristiano Eduardo Frei, nato
sull’onda della kennediana “Alleanza per il progresso” (2). Ed è proprio da
questo fallimento del riformismo borghese che occorre prendere le mosse per
comprende il successo di Allende e la crisi rivoluzionaria che si sviluppa in
Cile all’inizio degli anni settanta.
Il
riformismo borghese della DC e la sua crisi
La DC cilena
era nata a metà degli anni cinquanta guardando ai modelli delle DC europee al
governo in Italia e in Germania e ispirandosi ideologicamente alla dottrina
sociale della chiesa. Tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni
sessanta essa si afferma del panorama politico cileno come una forza ad un
tempo riformista e moderata, che si contrappone sia al liberalismo borghese sia
al socialismo del movimento operaio, che si dichiara apertamente per la
collaborazione di classe in opposizione alla lotta di classe “marxista” e si
rivolge non solo ai ceti medi e agli intellettuali ma anche alla base sociale
della sinistra, cioè alle masse operaie e ai contadini. Al di là
dell’ideologia, la DC si presenta soprattutto come una carta di ricambio per la
classe dominante, in sintonia con le promesse dell’“Alleanza per il progresso”,
nel momento in cui si delinea l’ascesa delle lotte sociali, la crisi dei vecchi
equilibri e l’usura dei tradizionali strumenti di dominio.
Le elezioni
presidenziali del 1958, che hanno visto prevalere il candidato conservatore
Jorge Alessandri per pochi punti percentuali sul candidato delle sinistre
Salvador Allende, convince Washigton a puntare a fondo sulla carta
democristiana. Così, nel 1964, ad Allende si contrappone il democristiano
Eduardo Frei come unico candidato di un fronte borghese che comprende, oltre
alla DC, i tradizionali partiti liberale e conservatore. Frei si presenta con
lo slogan “Revolución en Libertad” e un programma riformista: riforma agraria,
“cilenizzazione” del rame, investimenti per sostenere il mercato interno e le
esportazioni, modernizzazione delle strutture statali, ecc. Frei conquista la
maggioranza assoluta con il 56% dei voti, ma Allende e il fronte delle sinistre
(Frap, Frente de Acción Popular) arrivano al 39% (il 5% va a un terzo
candidato, il radicale Duran) (3).
Con
l’appoggio di Washington, che autorizza prestiti al Cile per varie decine di
milioni di dollari (4), Frei attua buona parte del suo progetto. Punto saliente
è la nazionalizzazione delle risorse minerarie del paese, ovviamente con
congrui indennizzi per le società straniere espropriate. La principale
ricchezza del Cile è il rame. Frei intende acquisire subito il 51% del settore,
che è quasi per intero in mano alle multinazionali statunitensi Anaconda Copper
Mining e Kennecott Copper Co., e in un secondo momento di riscattare il
restante 49% (5).
Con la
riforma agraria, rivendicazione storica in Cile, Frei si propone due obiettivi:
uno sociale, disinnescare una fonte di conflitto sociale creando una classe di
contadini proprietari socialmente conservatori; e uno economico-produttivo,
modernizzare il settore agricolo, estendendo l’utilizzo del suolo, aumentando
la produttività, per ampliare il mercato interno quale base per lo sviluppo
dell’industria nazionale (6). Nel 1965 il latifondo occupa in Cile quasi i tre
quarti della superficie, con milioni di ettari di terreni lasciati incolti (7).
La riforma fissa alle proprietà un tetto di 80 ettari di terra di buona qualità
o una superficie equivalente (che nel caso di terreni cattivi, ad esempio di
montagna, significa che la superficie può quintuplicarsi). Il resto deve essere
redistribuito.
L’attuazione
della riforma agraria provoca a Frei problemi crescenti. L’annuncio ha
suscitato grandi aspettative fra i piccoli proprietari e i contadini senza
terra, che si tramutano però rapidamente in scontento per la lentezza con cui
la riforma procede (8). Nel contempo essa è violentemente contrastata
dall’oligarchia latifondista, appoggiata dal neonato Partido Nacional (nato
dalla fusione dei partiti conservatore e liberale), che non esita neppure di
fronte all’assassinio dei funzionari statali incaricati della riforma. Insomma,
più che riuscire a soddisfare i bisogni, le riforme di Frei hanno l’effetto di
creare e legittimare le aspettative dei settori sfruttati e di stimolare lo
sviluppo dei movimenti, mostrando così indirettamente che i bisogni e la volontà
delle masse vanno oltre le compatibilità del riformismo borghese.
L’ascesa
delle masse
Tra il 1965
e il 1969 si verifica un crescendo di scioperi contadini e di occupazioni di
terre e si sviluppa il processo di sindacalizzazione (9); si rafforzano inoltre
i legami fra i braccianti agricoli e gli operai industriali e si realizzano
anche episodi di autodifesa delle lotte. A partire dal 1966 si rianima anche il
proletariato urbano e delle miniere e si mobilitano i lavoratori del settore
pubblico. Si succedono episodi di lotte prolungate e di occupazioni di
fabbriche a cui il governo dà una dura risposta repressiva (10). Si sviluppano
le lotte dei pobladores (abitanti dei quartieri poveri), in particolare dei
senza casa, con una crescente partecipazione delle donne e la nascita di
organizzazioni di base.
Malgrado i
tentativi di divisione sindacale e la dura repressione (11), l’ascesa delle
masse non si interrompe e coinvolge sempre nuovi settori. Il progetto di
riforma universitaria provoca la nascita di un vivace movimento studentesco
(12).
Nel
contempo, a partire dal 1967, si deteriora il quadro economico, anche per la
caduta del prezzo mondiale del rame, la principale voce delle esportazioni
cilene. Nel 1969-'70 l’inflazione sfiora il 30% e la disoccupazione tocca il 7%
a Santiago e supera il 10% nel resto del paese. Gli investimenti esteri e la
presenza straniera (in particolare statunitense) continuano comunque a
crescere; in particolare in settori industriali dinamici come l’automobile, la metallurgia,
il petrolio, l’elettrico e la cellulosa, sostanzialmente controllati dal
capitale estero. La crisi sfocia in una recessione che vede inutilizzato il 30%
degli impianti. Cresce inoltre in modo esponenziale il debito estero: da meno
di 1,9 miliardi di dollari nel 1964 a quasi 3,9 miliardi di dollari nel 1970.
I settori
della destra cilena, che pure avevano inizialmente sostenuto Frei, cominciano a
voltargli le spalle e a invocare un’alternativa conservatrice dai toni sempre
più oltranzisti. Si distingue a questo proposito il principale quotidiano
borghese, “El Mercurio”. Non mancano voci che cominciano a chiedere
l’intervento dei militari (lo stesso Frei, per altro, ha legittimato il
coinvolgimento in politica delle Forze armate istituendo il Consiglio superiore
di sicurezza nazionale, composto dal ministro della difesa e dai vertici delle
Forze armate). La destra accusa Frei sempre più rumorosamente di “aprire la
strada al comunismo” (13).
Cade in
questo clima, nell’ottobre del 1969, il fallito pronunciamento militare del
generale Roberto Viaux e del Regimiento Tacna di Santiago, non distante dalla
Moneda. Frei fa apello al popolo, la Centrale Unica dei Lavoratori (CUT)
dichiara lo sciopero generaale. Gli ammutinati di Tacna cedono senza
combattere; le loro richieste economiche, comunque, sono accolte; il generale
Viaux è semplicemente collocato a riposo. Viene nominato nuovo comandante in
capo dell’Esercito il generale René Schneider.
Questi
sviluppi hanno un riflesso anche a livello elettorale. La DC, che aveva
conquistato il 42,5% nelle elezioni legislative del 1965, scende in quelle del
1969 al 31,1%; mentre si verifica un’avanzata dei partiti di sinistra e un
successo a destra del Partido Nacional. In seno alla DC si delineano
differenziazioni crescenti; mentre un settore moderato, preoccupato per la stabilità
e l’ordine, guarda a destra, settori riformisti più legati alla base operaia e
contadina, insoddisfatti delle incertezze di Frei, propugnano un
approfondimento delle riforme. Uno di questi settori rompe nel 1969 con il
partito e fonda il MAPU (Movimiento de Acción Popular Unitario) che si dichiara
marxista e anticapitalista e si orienta verso l’Unidad Popular.
La
polarizzazione politica tocca anche il Partido Radicale, storica formazione
borghese progressista: mentre un settore si unisce alla destra, un altro rompe
a sinistra formando Democracia Radical.
Avvicinandosi
le presidenziali del settembre 1970, il bilancio del riformismo democristiano
non può essere più disastroso. Da un lato la DC si avvia alla sconfitta,
dall’altro i conflitti sociali e politici si vanno radicalizzando: le masse
operaie e contadine, i pobladores, tutti gli strati sfruttati della società
cilena vogliono di più e subito, mentre le classi dominanti, sempre più divise,
stanno perdendo il controllo della situazione e si ritirano spaventate dai
propri stessi propositi riformisti. Settori crescenti, anzi, guardano alla
destra e ai militari come agli unici strumenti utilizzabili per una rapida
restaurazione dell’ordine e dei propri privilegi.
Anche a
Washington l’allarme per la situazione politica cilena è massimo e ci si
prepara ai peggiori scenari (14). In estrema sintesi: si va delineando una
crisi profonda della società e dello Stato che preannuncia sviluppi
rivoluzionari.
Il risultato
elettorale del 4 settembre 1970 è un riflesso di questa crisi e a sua volta
contribuisce ad accelerarla e ad approfondirla.
3. IL
PROGETTO DI ALLENDE E DELL'UNIDAD POPULAR
Il movimento
operaio cileno ha una lunga tradizione di lotte e di organizzazione che risale
alla fine dell’Ottocento. Qualche informazione essenziale a questo proposito.
Nei primi anni del XX secolo diversi episodi di sangue segnano l’apprendistato
del movimento operaio. Nel 1909 si forma la prima centrale sindacale, la
Federacion Obrera de Chile, diretta da Luis Emilio Recabarren, il primo operaio
eletto al parlamento (nel 1906). Sotto il suo impulso nel 1913 viene fondato il
primo partito operaio della storia cilena, Partido Obrero Socialista. Nel 1919,
sull’esempio della rivoluzione russa, si realizza per qualche tempo
un’esperienza di poder popular nella città portuale di Puerto Natales. Nel 1922
viene fondato il Partito Comunista, che ha in Recabarren il dirigente più
rappresentativo.
Nel 1933
sorge anche il Partito Socialista, che conserverà una particolare fisionomia di
sinistra e la presenza di tendenze diverse, anche “rivoluzionarie” (più
propriamente definibili centriste da un punto di vista marxista
rivoluzionario), tanto è vero che ancora nel 1969 il congresso del partito vota
una mozione che rivendica la conquista del potere per “via insurrezionale”.
Nel 1933 si
forma Izquierda Comunista, che si collega all’Opposizione di sinistra
internazinale trotskista, e da cui sorge più tardi il Partido Obrero
Revolucionario (POR), che ha nel dirigente sindacale Humberto Valenzuela il suo
esponente più noto. Nel 1965, nel clima creato dalla rivoluzione cubana, il Por
partecipa alla formazione del Movimiento de Izquierda Revolucionaria (MIR). Il
Mir è il frutto di un processo di raggruppamento di tendenze classiste e rivoluzionarie
di diverso orientamento (guevarista, trotskista, maoista). Diventa in pochi
anni una delle organizzazioni rivoluzionarie più importanti dell’America
latina, forte di più di due mila militanti, con un’importante influenza in
settori studenteschi e popolari e una presenza operaia non marginale. È però
segnato da gravi limiti politici e strategici; in estrema sintesi: da una linea
guerriglierista che lo porta ad azioni sostitutiste e all’incomprensione e
all’isolamento rispetto al movimento reale delle masse, proprio nel momento
cruciale della vittoria elettorale dell’Unidad Popular (15).
Nel 1953 è
sorta anche la Central Unica de Trabajadores de Chile (CUT), la centrale
sindacale operaia che alla fine degli anni sessanta organizza la maggioranza
relativa del proletariato industriale.
Tuttavia, a
dispetto della forte vocazione classista che si esprime sul terreno
organizzativo, i partiti maggioritari (comunista e socialista) si
caratterizzano sostanzialmente per una linea riformista che si è già tradotta
in diversi momenti precedenti (segnatamente nel 1938 e nel 1947) nel sostegno
e/o nella partecipazione dei partiti operai ad alleanze e governi di “fronte
popolare” guidati dal Partito radicale. Anche la realizzazione del Frente de
Acción Popular (FRAP) nel 1957, coalizione elettorale fra il Partito comunista
e quello socialista, rientra in uno schema politico di tipo
democratico-frontepopulista. In questo senso, la costituzione nel 1969 della
coalizione di Unidad Popular, pur con la rilevante novità dell’egemonia dei
partiti operai, si inserisce nella continuità di una consolidata tradizione
riformista del movimento operaio cileno.
Il programma
dell’Unidad Popular
La proposta
di una alleanza politico-elettorale ampia, che superi a destra i confini della
coalizione esistente (il Frap), viene avanzata dal Partito comunista che, in
coerenza con la propria ispirazione stalinista e in una chiara logica di
“rivoluzione a tappe”, vuole realizzare un’alleanza fra la classe operaia e i
settori “avanzati” della borghesia nazionale, in contrapposizione ai settori
“arretrati” della stessa, identificati in Cile con l’oligarchia latifondista,
i settori monopolistici e/o legati all’imperialismo straniero, in particolare
nordamericano (16).
L’Unidad
Popular (UP) si forma dunque verso la metà del 1969 in vista delle elezioni
presidenziali dell’anno successivo. Oltre al PC e al PS, vi confluiscono il
MAPU (nato dalla scissione di sinistra della DC di cui si è detto), il
Movimiento de Accion Popular Independiente (API, una formazione piccolo
borghese), il piccolo Partido Socialdemocrata (in realtà di orientamento
cristiano sociale), e il Partido Radical, che rinuncia a presentare Alberto
Blatra come proprio candidato (17).
Il programma
dell’Unidad Popular (18), presentato alla fine dell’anno, delinea una strategia
democratica che combina propositi antimperialisti e antioligarchici con un
progetto avanzato di riforme economico-sociali e politiche che ha come
referenti dichiarati la classe operaia, i contadini e le masse popolari, ma
anche i ceti medi e i settori borghesi interessati alla modernizzazione del
paese, al controllo delle risorse nazionali, allo sviluppo del mercato interno
e al sostegno all’industria nazionale. Le proposte sul terreno economico
(riforma agraria, redistribuzione del reddito, nazionalizzazione del rame,
delle banche e dei settori industriali strategici) si pongono in continuità
piuttosto che in rottura con la politica del governo Frei (19).
Sul terreno
politico l’UP cerca di rassicurare la borghesia con dichiarazioni di lealtà
democratica e costituzionale, arrivando a delineare un rafforzamento del ruolo
delle Forze armate. Nel contempo prospetta alcune riforme razionalizzatrici
(camera unica eletta con criteri proporzionali) e un allargamento della
democrazia attraverso la partecipazione delle organizzazioni popolari a nuovi
organismi di un preteso poder popular, non contro ma a lato delle istituzioni esistenti,
così da trasformarle in un vero estado popular (20) attraverso il quale sia
possibile avviare il processo di transizione pacifica al socialismo. Viene
anche annunciata una nuova Cosituzione, che “incorpori il popolo nell’esercizio
del potere statale”, da approvare con un referendum popolare.
Il programma
chiama anche alla costruzione di comitati di base dell’Unidad Popular, che non
solo devono agire come comitati elettorali ma devono altresì “prepararsi a
esercitare il poder popular” (21).
La vittoria
di Allende
Il 22
gennaio 1970 l’Unidad Popular sceglie Salvador Allende come proprio candidato
alle elezioni presidenziali. Per Allende, figura di prestigio della sinistra
cilena, sarà la quarta volta che corre per la presidenza come candidato comune
delle sinistre (22). Nelle condizioni di crisi e di ascesa delle masse, la sua
candidatura diventa il canale attraverso cui si esprime la volontà di
cambiamento di vasti settori del popolo cileno. La sua vittoria viene perciò
sentita come una sconfitta della classe dominante e contribuirà pertanto a
stimolare la determinazione e le lotte dei lavoratori.
Significativamente,
la borghesia non riesce a contrapporre ad Allende una candidatura unica. Mentre
la destra si rivolge alla figura di Jorge Alessandri, nella DC prevale la
componente riformista che candida un esponente della sinstra interna, l’ex
ambasciatore a Washington Rodomiro Tomic (23).
Se è vero
che la divisione dal fronte borghese favorisce il candidato dell’Unidad
Popular, è anche vero che la scelta di Tomic da parte della DC non riflette
solo lo spostamento a sinistra della base popolare del partito ma esprime anche
il disegno cosciente di contendere ad Allende i settori popolari attratti dalla
sua candidatura. In effetti, delineatasi una divisione dei consensi dei settori
popolari (operai, contadini, pobladores...) fra Allende e Tomic, sembra a un
certo punto che Alessandri possa facilmente prevalere. La campagna elettorale
conosce comunque toni molto accesi che contribuiscono a radicalizzare gli
animi. La destra sviluppa una campagna terroristica in cui arriva a prevedere,
se vincesse Allende, i carri armati russi fuori dalla Moneda; Tomic
radicalizza progressivamente i propri toni nel tentativo di sottrarre al
candidato delle sinistre l’elettorato popolare. Il 4 settembre, tuttavia, anche
se per poche decine di migliaia di voti, Allende vince (24). Va anche osservato
che, malgrado l’allargamento a destra al Partito radicale, l’UP ottiene nel
1970 un risultato inferiore a quello del 1964.
Ora, non
avendo nessun candidato ottenuto la maggioranza assoluta, la tradizione
costituzionale del Cile prevede che il Congresso in seduta congiunta nomini
presidente il candidato primo piazzato. In questo caso, però, il rispetto di
questa prassi appare tutt’altro che scontato e cominciano subito i tentativi
per rimettere il discussione l’esito del voto popolare. In parlamento, infatti,
la DC e la destra godono della maggioranza assoluta (25).
Dal 4
settembre al 4 novembre
La borghesia
cilena ha già fatto due volte in precedenza l’esperienza del fronte popolare,
negli anni trenta e quaranta, e sempre con risultati “positivi” dal suo punto
di vista. Ma questa volta il quadro è diverso: la credibilità dei suoi partiti
è logorata, il peso dei partiti operai predominante, la radicalizzazione delle
masse più profonda.
Forse più
ancora che dalla borghesia cilena – una frazione della quale può sperare di
ricavare dei benefici da un governo riformista – il governo Allende viene
giudicato intollerabile a Washington. Kissinger e Nixon sono allarmati dalle
possibilità di contagio dell’esempio di un governo “marxista” che giunge al
potere attraverso le elezioni. Il segretario di Stato, Henry Kissinger, spiega
che “è facile prevedere che se Allende ottiene la presidenza, ci sono molte
probabilità che nel giro di qualche anno si instauri un governo comunista... un
governo comunista unito, ad esempio, all’Argentina, che già è profondamente
lacerata, unito al Perù... unito alla Bolivia, che già è andata molto a sinistra,
contro gli Stati Uniti. Credo che non dobbiamo autoilluderci che se Allende
assume il controllo del Cile non ci provocherà dei problemi...”.
L’amministrazione repubblicana, che ha rinfacciato per un decennio ai
democratici la nascita di Cuba socialista, teme una replica in Cile di quella
sfida. Per questo si vuole evitare in tutti i modi l’insediamento di Allende e
a tale scopo Richard Nixon autorizza la CIA a “fare tutto il possibile, salvo
un’azione del tipo Repubblica Dominicana”. Il 15 settembre, in una riunione con
Richard Helms, il capo della CIA, Richard Nixon dà mandato ai capi dell’agenzia
di predisporre un piano da sottoporre a Kissinger “Una possibilità su dieci, ma
liberiamo il Cile da quel figlio di puttana!”) mettendo subito a disposizione
dieci milioni di dollari. Ovviamente c’è il massimo allarme anche nelle
multinazionali Usa che hanno i maggiori investimenti in Cile, come l’ITT che è
minacciata dal programma di nazionalizzazioni di Allende.
In effetti,
appena noto l’esito del voto del 4 settembre si delinea immediatamente una
situazione allarmante, accentuata ad arte dalle dichiarazioni dei
rappresentanti del governo in carica: fuga di capitali all’estero, corsa al
ritiro dei depositi dalle banche, immediata sospensione degli investimenti e
dei pagamenti da parte delle imprese straniere, riduzione degli investimenti
interni, dichiarazioni allarmistiche della stampa dei ministri del governo
uscente. È solo l’inizio.
Sul terreno
politico si delineano subito tre possibili scenari. Il primo: la ratifica
parlamentare di Allende; ma la DC subordina il suo voto a determinate
condizioni: l’esplicito impegno di Allende di rispettare tutta una serie di
vincoli politici e istituzionali che prendono la forma di un documento
denominato Estatuto de las Garantías Costitucionales (ne parliamo più
estesamente più avanti).
Il secondo:
la DC vota per Alessandri, il candidato secondo arrivato, con l’impegno di
quest’ultimo di dimettersi subito e di indire nuove elezioni in cui la DC e la
destra dovrebbero accordarsi su un candidato comune (eventualmente lo stesso
Frei) da opporre ad Allende.
Infine il
terzo scenario: esso prevede né più né meno che un colpo di Stato militare che
impedisca l’insediamento di Allende.
Washington
si muove immediatamente per realizzare il secondo, o se il secondo non riesce,
il terzo, degli scenari descritti. L’ambasciatore statunitense a Santiago,
Edward Korry, dichiara a Frei che gli Stati Uniti non lasceranno arrivare in
Cile “una sola vite e un solo dado, sotto Allende”. Ma Frei non è disponibile a
tentare il golpe istituzionale per timore della reazione popolare (26).
Anche il
secondo scenario – un golpe preventivo delle forze armate – si dimostra
impraticabile per l’indisponibilità dei vertici militari, in particolare del
comandante in capo dell’Esercito, il generale Renè Schneider, secondo il quale
nel contesto dato l’intervento dei militari può provocare una rivolta popolare
e la guerra civile (27).
Non
rassegnata, l’estrema destra cerca di forzare la mano ai militari con un’azione
che si rivela un disastro. Il 22 ottobre, un gruppo paramilitare diretto dal
generale Viaux e armato dalla CIA, tenta di sequestrare il generale Schneider
con l’intento di farne ricadere la responsabilità sull’estrema sinistra. Ma il
piano fallisce: il generale reagisce con le armi e viene gravemente ferito;
muore tre giorni dopo. I suoi assassini sono rapidamente individuati e
arrestati (28).
Il fallito
attentato contribuisce a far realizzare il primo scenario. Il 24 ottobre il
Congresso ratifica l’elezione di Allende. Due giorni prima ha approvato le
riforme costituzionali, proposte dalla DC e accettate da Allende, con cui
questi si vincola: ad applicare senza modifiche la riforma agraria di Frei; a
non ostacolare la costituzione e lo sviluppo delle scuole private; a non
modificare i testi scolastici della scuola primaria e secondaria; a non
espropriare i mezzi di comunicazione di massa; a non ammettere “organismi di
fatto che operino in nome di un supposto poder popular”; e, soprattutto, a
lasciare immutata la struttura gerarchica delle Forze armate e dei Carabineros
e le regole di selezione e avanzamento degli ufficiali; nonché a riconoscere
l’autonomia (!) dei corpi armati dello Stato borghese (invece del tradizionale
dovere di obbedienza nei confronti del potere esecutivo) e la loro funzione di
“garanti della convivenza democratica” (una sorta di “diritto di ingerenza”
nella vita politica...). Viene così precostituito, con la firma dello stesso
Allende, l’appiglio legale per il golpe del settembre 1973 (29).
In realtà,
l’accettazione dello Statuto delle garanzie (preteso dalla DC per conto della
classe dominante e dell’imperialismo) contraddice qualsiasi dichiarazione sulla
“transizione al socialismo” proclamata nel programma dell’Unidad Popular o
nei discorsi di Allende. Essa rappresenta l’accettazione piena e definitiva del
quadro dello Stato borghese cileno quale esso è, la rinuncia a ogni intenzione
anche solo di “riforma” dello stesso, addirittura la rinuncia ad esercitare
alcune delle prerogative costituzionali del presidente.
Questo passo
svela la vera natura dell’Unidad Popular: si tratta di una forma di
collaborazione di classe fra i gruppi dirigenti del movimento operaio e la
classe dominante nel contesto di una acuta crisi politica e sociale (“fronte
popolare”). La borghesia accetta di cedere (per il momento) la massima carica
dello Stato in cambio della garanzia di conservare sotto il proprio diretto
controllo gli strumenti fondamentali del proprio dominio. Insomma, una lezione
di “marxismo pratico” impartita ai dirigenti “marxisti” del movimento operaio
dai rappresentanti della classe dominante, la quale dimostra di sapere per
lunga esperienza storica in che cosa consista, in ultima analisi, il suo
dominio sulla società. Resta da aggiungere che i dirigenti del PC e del PS
minimizzarono il valore della firma di questo accordo e il suo testo fu tenuto
accuratamente nascosto alla base.
Note
(1) Su
questo aspetto si veda l’articolo di Marco Ferrando "Il “compromesso
storico” nella storia del Pci, il mito e la realtà", in Marxismo
Rivoluzionario n.2 ottobre-dicembre 2003
(2)
“Alleanza per il progresso” si autodenominò la politica riformista promossa
da Kennedy in America latina, con cui gli Usa cercarono di neutralizzare
l’influsso della rivoluzione cubana sulle masse popolari del continente
modernizzando gli assetti sociali e allargando le basi sociali del potere.
(3) Prima di
sostenere Allende, il PC aveva proposto alla DC di sostenere un comune
candidato indipendente e vi aveva rinunciato solo dopo il rifiuto di
quest’ultima (Luis Vitale, Interpretacion marxista de la Historia de Chile).
(4) Nelle
sue Memorie Kissinger ricorda che a Frei furono concessi 40 milioni di dollari
nel 1969 e 70 milioni nel 1970.
(5) Le
condizioni d’acquisto delle azioni dell’Anaconda sono più che favorevoli per
la multinazionale. Esse pevedono che il prezzo del 51% delle azioni sia
calcolato comprendendo il valore dei giacimenti (cioè del sottosuolo cileno) e
un rendimento particolarmente elevato; che l’indennizzo sia versato in 12
anni; che per il restante 49% delle azioni, da acquisire a partire dal 31
dicembre 1973, sia pagato un prezzo tre volte superiore a quello del 51%
iniziale. A queste condizioni le compagnie americane avrebbero ottenuti in
pochi anni 4.500 milioni di dollari di utili, ossia 1.000 milioni di dollari in
più di quelli che avevano ricavato nel precedente mezzo secolo di sfruttamento!
(Luis Vitale, op. cit.).
(6) “In
sintesi, questa riforma agraria, sostenuta dall’Alleanza per il progresso, fu
importante per il processo sociale che aprì nelle campagne, ma limitata circa
le trasformazioni radicali della struttura agraria. In ultima analisi la
distribuzione delle terre incolte aveva lo scopo di promuovere lo sviluppo del
capitalismo agrario e di accrescere la produzione agropastorale, nel tentativo
di ampliare il mercato interno per l’industria dei beni di consumo, nonché di
canalizzare l’ascesa del movimento contadino creando una sorta di
ammortizzatore sociale mediante i piccoli proprietari beneficiati dalla
distribuzione delle terre.” (Luis Vitale, op. cit.).
(7) Mentre
il 50% dei proprietari possiede meno di 5 ettari pro capite e complessivamente
meno dell’1% delle terre, meno del 2% dei proprietari, possiede fondi superiori
ai 1.000 ettari e detiene complessivamente il 72% dei terreni coltivabili (Luis
Vitale, op. cit.).
(8) Alla
fine del 1969 hanno avuto la terra solo 17.400 famiglie, su un totale di circa
100.000 che il governo si è ripromesso di soddisfare; sono state espropriate
poco più del 10% delle superfici e il latifondo resta largamente dominante
(Luis Vitale, op. cit.).
(9) Da 24
sindacati con 1658 affiliati nel 1964 a 394 sindacati con 103.644 associati
nel 1969.
(10) Si
passa da 723 scioperi nel 1965 a 1.142 nel 1967 a 1.939 nel 1969 (con 230.725
lavorati coinvolti) a 5.295 nel 1970 (con 316.280 lavoratori partecipanti).
(11) Non mancarono
gli episodi sanguinosi, come gli 8 morti della repressione dei minatori di El
Salvador del marzo 1966, o gli 11 uccisi fra i pobladores di Puerto Montt nel
1969, o l’utilizzo su larga scala dell’esercito contro scioperi o proteste
contadine, come nel novembre del 1967.
(12) Nel
giugno 1967 gli studenti occupano a Valparaiso l’Università cattolica; il
movimento si estende a Concepcion e a Santiago, dove nell’agosto del 1968
studenti del Movimiento Iglesia Joven occupano la cattedrale chiedendo una maggiore
attenzione da parte della chiesa per i poveri e gli oppressi.
(13) Un
opuscolo della destra descrive Frei come “il Kerensky cileno” (Luis Vitale, op.
cit.).
(14) “Non
vedo perché dobbiamo starcene qui a vedere come un paese diventa comunista per
colpa dell’irresponsabilità del suo popolo”, dichiara il 27 giugno ‘70 il
segretario di Stato Henry Kissinger a una commissione speciale del Consiglio
nazionale per la sicurezza degli Stati Uniti.
(15) Sul Mir
si veda l’articolo dedicato ad esso in questo stesso numero di “Mr”.
(16) Sulla
storia e la politica del PC cileno si può vedere Nicolás Miranda, Historia
marxista del Partido Comunista de Chile (1922-1973), al sito
www.clasecontraclase.cl.
(17)
Quest’ultimo diventerà ministro della giustizia nel governo Allende, salvo
passare dalla parte della controrivoluzione progolpista nell’ottobre 1972.
(18) Lo si
può leggere e scaricare alla pagina:
http://www.salvador-allende.cl/Textos/Documentos/programa.htm.
(19) Il
programma dell’UP prevedeva la nazionalizzazione (con indennizzo) delle
risorse minerarie in mani straniere e dei settori strategici per lo sviluppo
del paese: le miniere di rame, salnitro, ferro e carbone; le banche e le assicurazioni;
il commercio estero; le grandi imprese e i monopoli della distribuzione; i
monopoli industriali in settori come la produzione e la distribuzione
dell’energia elettrica; i trasporti ferroviari, aerei e marittimi; le
comunicazioni; la produzione e la raffinazione del petrolio e dei suoi
derivati; la chimica pesante e la petrolchimica; la siderurgia, le industrie
del cemento, della cellulosa e della carta; tutte queste imprese avrebbero
dovuto confluire nell’Area de Propietad Social (Aps) che sarebbe diventata il
cuore del sistema di pianificazione economica nazionale. Si prevedeva
inoltre, accanto all’Aps e al settore privato, la creazione di un terzo
settore denominato Area mixta, costituito da imprese con capitali privati e
pubblici.
(20) La
formula “Stato popolare”, che allude a istituzioni neutrali al di sopra delle
classi, è di per sé una negazione del marxismo, come sa chiunque abbia letto
gli scritti di Marx e di Engels, in particolare le “critiche” ai programmi
socialdemocratici di Gotha e di Erfurt, o di Lenin, in particolare Stato e
rivoluzione; si tratta in ultima analisi di una formula mistificante e
irrealistica, che ipotizza la possibilità di piegare le istituzioni “realmente
esistenti”, cioè borghesi, a fini opposti a quelli per cui esse esistono e
agiscono (la tutela e la conservazione del dominio della classe dominante);
un’ipotesi che proprio la vicenda cilena ha dimostrato tragicamente illusoria.
(21) Tutto
il discorso del poder popular, già confuso nelle premesse teoriche e nelle
formulazioni, non avrà comunque seguito se non nella propaganda. Sarà
accantonato ancor prima dell’insediamento di Allende, durante la trattativa
con la DC per l’Estatudo de garancias. I 20 mila comitati di Unidad
Popular nati in tutto il paese durante la campagna elettorale vengono
sciolti tre settimane dopo le elezioni, come segno di buona volontà,
accogliendo una precisa richiesta in tal senso della DC. Quando nell’aprile
del 1971 l’Unidad Popular ottiene la maggioranza assoluta nelle elezioni
amministrative, i suoi dirigenti si guardano bene dal convocare il referendum
che dovrebbe istituzionalizzare il poder popular. Sono queste scelte concrete,
più che la carta scritta, a chiarire la vera ispirazione dell’UP: la volontà
di preservare il quadro statale esistente come terreno d’intesa con la classe
dominante. In questo senso, la strategia dell’Unidad Popular non è che una
variante delle politiche di “fronte popolare”. Anche se non tutte le sue
componenti concordavano con questa qualificazione, essa era invece pienamente
accolta dal PC, che ne era l’ispiratore e che si muoveva dentro agli schemi
dello stalinismo; non a caso, il PC aveva cercato e cercherà costantemente
di allargare l’accordo alla stessa DC.
(22) Salvador
Allende Gossens ha allora 61 anni, proviene da una famiglia alto borghese di
Valparaiso di tradizioni progressiste e massoniche, è medico ed è stato nel
1933 tra i fondatori del Partito socialista. Dal 1939 al 1942 è stato ministro
della sanità nel governo di fronte popolare del radicale Aguirre Cerda. Nel
1945 è stato eletto senatore. Il profilo politico di Allende è quello di un
socialista vecchio stampo che si è sempre battuto per l’unità con il PC.
Professa una fede incondizionata nella prospettiva della trasformazione
socialista del Cile per via pacifica, gradualista e parlamentare, nel pieno
rispetto della legalità costituzionale, e fino all’ultimo si illuderà
sull’esistenza di una analoga lealtà nei vertici delle Forze armate cilene.
(23) Vale la
pena di ricordare che il PC avrebbe voluto cercare un accordo fra l’UP e la DC
su un candidato indipendente. Anni dopo, lo stesso Carlos Altamirano,
all’epoca dirigente della sinistra socialista, dichiarerà che la sinistra
arebbe dovuto cercare un accordo programmatico con la DC e sostenere Tomic
(Luis Vitale, op. cit.).
(24)
Salvador Allende ottiene il 36,3% (1.075.616 voti), contro il 35,0% di
Alessandri (1.036.000 voti) e il 27,8% di Tomic (824.849 voti). Allende vince
nettamente nel voto maschile (in Cile uomini e donne votano separatamente), in
quello femminile prevale Alessandri mentre i suffragi per Tomic sono quasi pari
a quelli per Allende. Il candidato socialista trionfa nel Nord, a Concepcion,
secondo centro industriale del paese, nelle aree a forte concentrazione operaia
e di lavoratori delle miniere; Alessandri prevale invece a Santiago e nel Sud
rurale; Tomic vince a Valparaiso e ottiene i migliori risultati nelle
circoscrizioni a forte presenza contadina ma anche in alcune zone operaie (Luis
Vitale, op. cit., e Luis Vitale, Y despes 4, ¿que?).
(25) Il
quadro parlamentare condizionerà in seguito l’azione di Allende come
presidente. Pur essendo il Cile una repubblica presidenziale e avendo il
predecessore di Allende, Eduardo Frei, rafforzato i poteri presidenziali, il
parlamento manteneva la facoltà di sconfessare i progetti di legge del governo
e di ricusare il capo dello Stato e i suoi ministri; fuori dal controllo del
presidente restava anche la Contraleria Generale de la Republica, che aveva la
supervisione sugli atti amministrativi dell’esecutivo e della magistratura.
Alla luce di questi vincoli politico-istituzionali (e di quelli introdotti
successivamente con lo Statuto delle garanzie preteso dalla DC) risulta ancora
più utopistica la convinzione di Allende e dell’UP circa la centralità della
presidenza della repubblica e delle istituzioni statali come leve di un
processo di trasformazione sociale.
(26) Anche
Alessandri si esprime in modo analogo fin dal primo momento in cui sono resi
noti i risultati elettorali (Luis Vitale, op. cit.).
(27) Sono
molto significative le parole usate dal generale Schneider in un vertice delle
Forze armate per spiegare perché il Congresso deve ratificare l’elezione di
Allende: “Le Forze armate non possono impedire adesso... i cambiamenti. Una
parte molto importante dei cileni non è disposta a farsi sottrarre un trionfo
elettorale che pensa potrà cambiare la sua vita... Il signor Allende ci ha dato
assicurazione che si atterrà alla Costituzione e alle leggi... Il senatore mi
ha detto personalmente un’altra cosa su cui sono d’accordo con lui: in questo
momento un governo come quello di Allende è l’unico tipo di governo che può
impedire che scoppi un’insurrezione popolare violenta... Le Forze armate, che
sono la garanzia che questa società continui ad essere occidentale e cristiana,
devono aspettare e vedere quello che accadrà. Il futuro ci dirà se dovremo
intervenire per rimettere le cose a posto o se il signor Allende manterrà il
suo impegno di calmare l’inquietudine popolare e di impedire l’insurrezione dei
non possidenti.” (in Luis Vega, La Caída de Allende, citato da M. Novello, art.
cit.).
(28) Non
così i mandanti... Il diretto coinvolgimento della Cia, in questo e in
successive azioni di terrorismo o di provocazione, è stato ormai ampiamente
provato, oltre che da diverse inchieste giornalistiche, anche dalla
pubblicazione di tutta una serie di atti ufficiali del governo americano
desecretati dopo il ‘98. In proposito vedere il sito www.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB8/nsaebb8i.htm.
(29) “Il
condizionamento a cui si era sottomesso lo schieramento di maggioranza
relativa conteneva un punto di estrema gravità per il futuro del paese: il
concetto di “autonomia” delle Forze armate, che non si trova nella
Costituzione del 1833 né nella Costituzione del 1925 in vigore. Questa
esigenza venne così motivata dalle massime autorità della DC: “Ci interessa
che le Forze armate e il corpo dei Carabineros continuino ad essere una
garanzia della nostra convivenza democratica. Ciò esige che si rispettino le
strutture e le gerarchie delle Forze armate e del corpo dei Carabineros, i
sistemi di selezione, i requisiti e le norme disciplinari vigenti, che si
assicurino ad esse una equipaggiamento adeguato alla loro missione di vegliare
sulla sicurezza nazionale, che non si utilizzino i compiti di partecipazione
che si esigono da esse per lo sviluppo nazionale per farle deviare dalle loro
funzioni specifiche e che non si compromettano i loro bilanci”. Questo
punto... fu presentato sotto forma di riforma costituzionale e approvato il
22 ottobre 1970... Questa fu la giustificazione che si utilizzò per effettuare
il colpo di Stato militare contro il governo Allende.”
(Luis
Vitale, op. cit.).
Tiziano Bagarolo
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