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giovedì 29 marzo 2018

Due operai muoiono sul lavoro a Livorno

Comunicato Stampa



La forte esplosione dentro l’area portuale di un serbatoio di sostanze infiammabili e pericolose ha ucciso i due lavoratori mentre erano addetti alla sua manutenzione.
Avevano 25 e 52 anni e si aggiungono ad una lunghissima lista di morti sul lavoro dall’inizio dell’anno.
Negli ultimi 10 anni che hanno accompagnato una delle peggiori crisi del capitalismo, in Italia le morti sul lavoro hanno superato la spaventosa cifra di 13.000. Questi numeri non sono casuali, ma sono il risultato dello sfruttamento selvaggio nella sempre maggiore mancanza dei diritti tra i quali la sicurezza e la difesa della salute sul posto di lavoro.
Solo il controllo autogestito dei lavoratori della sicurezza degli impianti e delle fasi produttive può fermare questa strage continua. La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario può ridurre la fatica e lo stress che sono tra le principali cause di queste tragedie. Inoltre devono essere nazionalizzate le aziende pericolose e che inquinano. Il territorio non deve essere depredato in nome del profitto. La zona dell’esplosione dentro il porto di Livorno non dovrebbe sopportare questo livello di rischio per i lavoratori e i cittadini.
Il Partito Comunista dei Lavoratori è vicino alle famiglie delle vittime e si batte perché queste tragedie non avvengano più in nome di un profitto assassino.

Partito Comunista dei Lavoratori  
Coordinamento della Toscana - Commissione Lavoro

mercoledì 28 marzo 2018

POSTE ITALIANE: UNA RIORGANIZZAZIONE LACRIME E SANGUE I LAVORATORI E IL RECAPITO SULL'ALTARE DEI DIVIDENDI



Una nuova riorganizzazione del settore del recapito arriva sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici con il benestare della totalità dei sindacati. Un'operazione magistrale quella del management di PosteItaliane Spa tutta a favore degli interessi degli azionisti, alla ricerca di sempre maggiori dividendi e profitti.
E' necessario costruire un percorso che possa fondarsi sull'autorganizzazione dei lavoratori stessi, mettere in mostra la necessità di una mobilitazione generale di tutto il settore logistico per fermare le costanti aggressioni alle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, perchè se non si pone un argine a questi processi la prospettiva sarà la giungla della concorrenza spietata delle cooperative e dei piccoli padroncini come già è nel settore logistico e nelle aziende di recapito private
Poste Italiane: il recapito e i lavoratori sull'altare dei dividendi

Una nuova riorganizzazione del settore del recapito arriva sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici con il benestare della totalità dei sindacati.
Un'operazione magistrale quella del management di PosteItaliane Spa tutta a favore degli interessi degli azionisti, alla ricerca di sempre maggiori dividendi e profitti.
Il tutto arriva pochi mesi dopo il rinnovo del CCNL con un disposto combinato da far rabbrividire sia sul versante delle condizioni di lavoro sia sul versante della qualità del servizio universale.
L'accordo a perdere sul contratto ha concesso poche briciole ai lavoratori e alle lavoratrici (80 euro in due trance di aumento salariale, 1000 euro di unatantum per il mancato adeguamento salariale degli anni precedenti) e ha promesso poche assunzioni a tempo indeterminato per i precari che stavano sviluppando una lotta contro le loro condizioni. Contemporaneamente si sono poste le basi per questa riorganizzazione: il bilancio di assunzioni e esuberi annunciava i tagli del personale - a fronte di 6000 assunzioni in 3 anni, erano già annunciati 15.000 esuberi, con un saldo negativo di 9000 posti di lavoro -; si è introdotta la formula del welfare aziendale volontario come quota di aumento salariale (chi non lo sottoscrive non viene però compensato con un corrispondente aumento salariale) e venne assunto il meraviglioso accordo sulla rappresentanza sindacale, il TURS del 10 Gennaio 2014, che ha fornito a burocrazie sindacali e management l'arma per far passare a tutta velocità l'accordo di Marzo.

Da questo piano inclinato si è discesi agli inferi di questa riorganizzazione tanto voluta dal vertice di PosteItaliane e accettata senza colpo ferire dalle burocrazie sindacali colluse.
Il nocciolo dell'operazione è uno: l'estensione del recapito a giorni alterni anche nelle zone metropolitane. Nonostante la "sperimentazione" nelle zone extra-urbane si sia dimostrata fallimentare, con un peggioramento del servizio e della sua capillarità sul versante degli utenti, l'aumento spropositato dei carichi di lavoro per i portalettere e per tutto il personale del recapito, l'aumento conseguente dello stress, dell'indice degli infortuni e anche della pressione a spingersi oltre l'orario di lavoro senza retribuzione per completare il lavoro – sostanzialmente lavoro nero nella più grande azienda italiana -, questo modello ora viene esteso anche alle più complicate e dense zone urbane.

Il progetto viene affinato e reso ancora più devastante. Il management e le direzioni sono comunque spudorate nel presentare il piano organizzativo rivendicando come sia il solo modo per garantire agli azionisti maggiori dividendi e profitti, il vero ed unico scopo di questo taglia e cuci, e richiedendo i necessari sacrifici e adeguamenti nella "grande famiglia" postale solo alla enorme base della piramide.
In uno schizofrenico mix di "servizio universale" e competizione nelle spietate "leggi oggettive del libero mercato" la macelleria è garantita solo ed esclusivamente per i lavoratori e le lavoratrici postali, con una rivoluzione delle loro vite e delle loro condizioni di lavoro che non ha pari nei passaggi riorganizzativi precedenti.

Quali sono i punti cardine della riorganizzazione?

Nei fatti esisteranno almeno 4 condizioni differenti di lavoro e di stress:
Innanzi tutto la linea "universale" di Base, cioè la meno remunerativa per l'azienda, verrà affidata a portalettere che vedranno le loro zone raddoppiate per consegnare la posta a giorni alterni, con la "garanzia" di un calmiere giornaliero di oggetti a firma. Sta di fatto che il carico di lavoro viene raddoppiato, nella migliore delle ipotesi, considerando che già le attuali zone, nella maggior parte dei casi sono difficilmente sostenibili e "azzerabili" nell'arco della giornata lavorativa.
Su questa linea la riorganizzazione prevede l'esistenza di portalettere assegnati a zone frazionabili che saranno costretti alla maggior flessibilità geografica perchè verranno applicati, in caso di assenze, su altre zone del proprio riferimento territoriale per far svolgere il cosiddetto abbinamento sulla propria zona, o addirittura spostati su almeno altre due aree territoriali per coprire le assenze e svolgere l'abbinamento. Questo significa che sarebbero potenzialmente applicabili addirittura su 20 zone differenti.
Su di un livello superiore di interesse si istituisce la cosiddetta Linea Business che si occupa solo delle raccomandate, degli oggetti a firma e dei prodotti veloci, coprendo le zone "ferme" e l'eccedenza della linea di base, dove i postini si muoveranno entro una logica di flessibilità territoriale molto ampia.
Infine la linea Mercato, con portalettere che si occupano di zone territoriali con particolare concentrazioni di grandi aziende e utenti particolarmente importanti e remunerativi – aziende, uffici pubblici e privati etc. -

Sostanzialmente si creano quattro livelli differenti con conseguenti condizioni di lavoro variegate a cui vengono associati anche orari di lavoro divesificati. Un ottimo modo per aumentare la concorrenza tra lavoratori stessi e per dividere i lavoratori e le lavoratrici sulla base di carichi di lavoro più o meno disagianti.
Oltre a tutto ciò viene aumentata a dismisura la flessibilità oraria e territoriale, viene aumentata e ulteriromente complicata la "flessibilità operativa" richiesta, ossia il lavoro straordinario entro l'orario di lavoro retribuito in termini inferiori rispetto ad una normale prestazione straordinaria, dato che il personale di scorta, che dovrebbe sostituire i lavoratori assenti, verrà applicato prioritariamente per le linee più remunerative e non per quella base. In questo modo, i lavoratori dell'articolazione di base non solo avranno zone raddopiate ma vedranno come costante la richiesta di svolgere pezzi di zona di propri colleghi assenti.

Il bilancio generale di questa riorganizzazione è semplice da fare: 
tagli al personale
aumento dei carichi di lavoro generalizzati, dei ritmi di lavoro e dello stress
aumento della flessibilità oraria e territoriale, aumento della richiesta di prestazioni starodinarie sottopagate che divengono sempre più ordinarie
mantenimento di un salario basso e mancato riconoscimento economico dello sviluppo di lavorazioni più complesse e remunerative per l'azienda e del notevole aumento di produttività
differenziazioni interne funzionali all'umento della competizione tra lavoratori in una logica di guerra tra poveri
avvicinamento delle condizioni dei lavoratori a tempo indeterminato a quelle degli attuali precari (CTD) che a loro volta vedranno un'ulteriore peggioramento delle loro condizioni e dei ricatti, più o meno espliciti, che riceveranno sul luogo di lavoro.
Sul fronte sindacale, a parte qualche eccezione, tutto tace.

Questa riorganizzazione, sebbene sia assolutamente rigettata e temuta dai lavoratori e dalle lavoratrici di Poste, è passata senza alcun colpo ferire e senza nemmeno il coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni organizzative che andranno a rivoluzionare le loro condizioni.
Come è stato possibile tutto questo? Grazie all'adozione del para-fascista e corporativo Testo Unico sulla Rappresentanza Sindacale. L'azienda, di comune accordo con le burocrazie dei principali sindacati (CISL prima di tutti, CGIL, UIL, UGL, FAILP e CONFSAL), ha convocato in tutta fretta un coordinamento di ben 97 RSU per esprimersi sul testo di accordo firmato dalle segreterie nazionali. Ben 97 su oltre 2000 RSU! 2000 RSU che peraltro avrebbero dovute essere rinnovate molto tempo fa.
Altro dato non meno importante, di quelle 97 RSU, meno del 20% erano donne, il tutto a indicare la rappresentatività di questo "campione" in un'azienda ad alto tasso di partecipazione femminile.
Non solo, il metodo di scelta di queste RSU è stato a totale appannaggio delle burocrazie e la convocazione rapida e frettolosa, funzionale a garantire il massimo consenso possibile, ha impedito che potesse levarsi anche solo qualche voce contraria e tentare una minima organizzazione di un'opposizione o di un dissenso all'operazione, e i lavoratori nel complesso, ovviamente, non sono nemmeno stati presi in considerazione.
Con questa meravigliosa ipoteca sulla democrazia sindacale tutto è andato per il migliore dei modi: di 97 RSU le presenti, al momento della votazione, erano 92, di cui 88 favorevoli, 3 contrari (tutte in quota CGIL e nello specifico quelle espressione dell'Opposizione CGIL e quelle espressione del Coordinamento delle RSU liguri - che ha anche convocato uno sciopero delle prestazioni aggiuntive) e 1 astenuto.

Il risentimento tra i lavoratori è comunque alto, nonostante la categoria non abbia mai brillato per particolare combattività e abitudine alle mobilitazioni, anche a causa di metodi di intervento sindacale molto "cislizzati" inseriti in una dinamica clientelare, di favori e favorini e di gestione dell'insofferenza attraverso la costruzione di sacche di "privilegio" per gli iscritti più addomesticati.
A questo risentimento è comunque necessario cercare di dare una prospettiva e un piano di lotta anche e soprattutto contro le burocrazie sindacali candidatesi a co-gestire questo passaggio con il management al fine di assopire e annichilire il risentimento della base.

La necessità di una mobilitazione generale

L'attacco frontale al settore del recapito risulta essere solo uno dei primi passi di un progetto più generale di affossamento di ciò che ormai viene vissuto come un peso, pur essendo le fondamenta dell'azienda, che limita la possibilità di trasformare PosteItaliane in una grande banca ed ente assicurativo.
E' necessario costruire un percorso che possa fondarsi sull'autorganizzazione dei lavoratori stessi, mettere in mostra la necessità di una mobilitazione generale di tutto il settore logistico per fermare le costanti aggressioni alle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, perchè se non si pone un argine a questi processi la prospettiva sarà la giungla della concorrenza spietata delle cooperative e dei piccoli padroncini come già è nel settore logistico e nelle aziende di recapito private, con la reintroduzione del lavoro a cottimo, del lavoro nero, della totale assenza di tutele e protezioni e il carico di tutti i costi e dei mezzi di lavoro direttamente sulle spalle dei dipendenti.
Per questo è necessario organizzare fin da subito uno sciopero contro questa riorganizzazione per contrapporre la forza di oltre 60.000 lavoratori del settore del recapito, dei trasporti e dei centri meccanizzati, partendo proprio dall'opposizione di chi ha avuto il coraggio di votare No, da chi ha cominciato un percorso di opposizione a questa riorganizzazione convocando lo sciopero delle prestazioni aggiuntive e degli abbinamenti in Liguria, nonostante la complicità dei vertici burocratici della CGIL, e dal risentimento dei lavoratori e delle lavoratrici che non vogliono accettare l'ennesima mannaia in silenzio. Il tutto nella prospettiva di costruire un fronte unico di classe e di massa che attivi una mobilitazione non solo dei lavoratori di PosteItaliane ma tutti i lavoratori del settore delle Telecomunicazioni e della Logistica, per colpire nell'immediato le tasche di dirigenti e padroni con scioperi prolungati, picchetti e manifestazioni, come già portato avanti da alcune avanguardie combattive organizzate dai sindacati di base e di classe (Si.Cobas, SGB, USB).

Solo così è possibile pretendere la rinazionalizzazione del settore postale e la nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori del settore logistico e delle telecomunicazioni, rovesciando completamente la logica di queste ristrutturazioni rivendicando la riduzione dell'orario di lavoro con l'introduzione di un minimo salariale intercategoriale di 1500 Euro, la centralità del concetto di servizio universale tanto per la posta quanto per la logistica pacchi, contrastando le logiche predatorie e l'estremo sfruttamento imposte dal "libero" mercato. Solo in questo modo sarà possibile rimettere sul terreno della battaglia la forza dei lavoratori e delle lavoratrici e contrastare una tendenza generale di attacco e di smantellando delle poche tutele, pretendendo così l'abolizione reale di tutte le leggi precarizzanti, delle riforme pensionistiche, la reintroduzione dell'art.18 con sua estensione a tutti i lavoratori e le lavoratrici anche delle PMI.


Commissione lavoro e sindacato PCL

giovedì 22 marzo 2018

MONTA L'ONDATA DI PROTESTA STUDENTESCA IN FRANCIA

Non au Plan étudiants!

Contro la Loi Vidal, la selezione all'entrata nell'università e la riforma dell'insegnamento superiore




Anche in Francia il governo Macron, nel procedere all'offensiva liberista in linea con il resto d'Europa (liberalizzazione del mercato del lavoro, distruzione dei servizi pubblici), si presta a sferrare l'ennesimo attacco: colpire l'università e la scuola pubblica.
Come in Italia da tempo gli studenti devono sottostare alle logiche selettive dovute al taglio di fondi e a scelte di politica economica atte a soddisfare il fabbisogno padronale, tramite l'introduzione del numero chiuso e test su scala nazionale i cui criteri non vantano certo una trasparenza perfetta, anche in Francia lo specchietto delle allodole del merito si impone prepotentemente nel sistema educativo, accentuandone la struttura già saldamente classista.
In questa fase dell'economia capitalista, non importa tanto la versatilità della forza-lavoro intellettuale e qualificata nel passare da un settore economico all'altro, quanto l'aumento della fetta di forza-lavoro precaria e marginale, da tenere sotto ricatto. L'intento del padronato nel gestire il sistema educativo non è più tanto il permettere alla classe operaia di qualificarsi in ragione dell'inserimento sul mercato di nuovi settori, quanto di escluderla in quanto l'esigenza del mercato attuale è appunto mutata.

È questo che anima anche la riforma dell'istruzione francese.
In precedenza gli studenti, una volta ottenuto il diploma di scuola superiore, dovevano passare per un programma nazionale on-line (APB, Admission post-bac Ammissione post-diploma) per fare domanda in una qualsiasi università.
A partire dal gennaio 2018 è stato presentata una proposta di legge ''per l'Orientamento e la Riuscita degli Studenti'', la Loi ORE (Loi Vidal, dal nome della Ministra del governo Macron). Per quanto riguarda i licei, il quadro per l'ammissione all'università cambia. Una nuova piattaforma on line nazionale sostituisce l'APB, ovvero il ParcourSup: infatti le facoltà finora non selettive, secondo questa legge potranno classificare i candidati in funzione dell'adeguamento tra il loro profilo e le competenze da queste fissate, alle quali gli studenti dovranno rispondere per esservi ammessi. Ovvero ciascuna università, ciascuna facoltà, fissa i prerequisiti necessari per gli studenti, già diplomati, per potersi iscrivere. Chiaramente queste ultime saranno libere di decidere a monte il numero di posti disponibili a seconda del ''tasso di riuscita e di inserimento professionale''. Di conseguenza, come in Italia la Buona Scuola ha inserito la novità del curriculum dello studente, in Francia introducono questa schedatura per metterla subito in pratica: impedire il libero accesso all'istruzione alle fasce deboli e asservire totalmente l'istruzione alle logiche del mercato.
Infatti l'esame dei dossier dei candidati servirà in primo luogo ad operare una selezione preferenziale nel caso in cui il numero delle candidature sia superiore a quello dei posti disponibili. Nella migliore delle ipotesi spostando arbitrariamente in altre università da lui non scelte il candidato, tramite metodo del sorteggio 'tirage au sort', oppure inserendo lo studente richiedente in graduatoria di attesa potenziata, ovvero inserendolo in un limbo con la promessa di essere, prima o poi, riorientato in qualche università. Fino ad ora, solo con il meccanismo del sorteggio e il reinserimento, le facoltà erano obbligate ad accogliere un numero fisso di studenti idonei e successivamente ricollocati, oltre che i neodiplomati, e già in questo modo si pone, all'inizio di ogni anno, il problema dei "sans facs", ovvero una quantità di studenti rimasti fuori dalle università, in attesa, e quindi vittime di una burocrazia ostacolante (nel luglio 2017 erano circa 90.000 senza risposta). Per questo normalmente le compagne e i compagni forniscono aiuto sindacale e organizzano vertenze per obbligare le singole università a iscrivere tutti coloro che lo richiedono.

Di conseguenza vediamo come si crea un vero e proprio mercato degli studenti che, se prima potevano scegliere con riserva, ora vedono il loro diritto di scelta cancellato dalla Loi Vidal, approvata una prima volta a febbraio 2018 e destinata ad essere finalmente varata presto dal Senato.
Un diritto di scelta cancellato sia a livello di libertà personale al momento dell'iscrizione sia successivamente, in quanto l'entrata all'università può anche essere sottoposta a specifiche correzioni e controllo del percorso di studi, come il cosiddetto ''recupero di livello'' (parcours de rémise à niveau).
Nella pratica, inoltre, tale legge sopprime una conquista importantissima per il mondo studentesco francese: il regime di assicurazione sociale studentesca (régime de sécurité sociale étudiante), un servizio gratuito fino ai 20 anni (per borsisti e non) e obbligatorio, quindi più conveniente rispetto ad un'assicurazione privata, con un costo irrisorio, comprensivo di rimborsi farmaci e prestazioni mediche di base (in caso di malattie, gravidanze etc.) e di una parte facoltativa relativa a spese ottiche, odontoiatriche, non rimborsabili. Si tratta dell'eliminazione di un servizio sociale fondamentale, strumentale rispetto alla possibilità di ciascuno di svolgere i propri studi con un peso economico in meno; accompagnata dall'inserimento di una soglia di contribuzione obbligatoria a partire da 90 euro, per gli studenti non borsisti.

Una doppia selezione, quindi, di cui la tappa successiva consiste nel diminuire o azzerare i finanziamenti alle facoltà che non presentano grandi sbocchi sul mercato attuale, ad esempio la 'Staps', ovvero la facoltà di Scienze e tecniche delle attività fisiche e sportive, notoriamente scelta da studenti provenienti dai licei delle periferie, le ZEP, già al centro di un attacco finalizzato a privarli di mezzi, economici e didattici, al fine di incentivare l'isolamento degli allievi e dei lavoratori (insegnanti e personale). Inoltre, sempre nella stessa ottica, fa parte del Plan Etudiants anche l'introduzione del numero chiuso e aumento delle tasse per quanto riguarda i master: una volta ottenuta la laurea triennale, per proseguire nella magistrale gli studenti dovranno sottoporsi a test, soddisfare altri prerequisiti al fine di entrare nella specialistica di scelta. Lo stesso meccanismo si riproduce all'uscita dalla scuola media superiore per iscriversi alla facoltà. Si istituzionalizza il mercato degli studenti (quelli privi di mezzi propri e quelli più benestanti), in balia delle scelte del padronato, attraverso l'istituzione di prerequisiti proibitivi a livello di rendimento (ribadendo la differenza tra scuola di serie A e scuole di serie B, ovvero i licei tecnici, professionali, di periferia...), oltre ad incrinare la forza dell'università pubblica come servizio pubblico essenziale, già a monte considerata diversamente rispetto al sistema delle 'écoles normales superieures' sedi di riproduzione della classe dirigente francese.


''J'AI MON BAC, JE CHOISIS MA FAC!''

''Ho il mio diploma, scelgo io la mia facoltà!'': questo è uno degli slogan al centro della mobilitazione che ha visto scendere in piazza migliaia fra studenti universitari, liceali, genitori e lavoratori della scuola, dal 1 febbraio 2018. Una grande prima giornata di lotta in tutto il paese, che è stata seguita da altre giornate di mobilitazione, il 6 febbraio e il 15 marzo, insieme ai pensionati e a settori della sanità pubblica minacciati da privatizzazioni. Si tratta di un percorso di lotta che unisce differenti settori del mondo della scuola e delle università: ricercatori, docenti a contratto, personale tecnico, insegnanti, liceali, universitari. Uniti contro il peggioramento delle condizioni di studio e lavoro.
In Francia si costruisce la mobilitazione di settore a partire da coordinamenti interfacoltà, lavoratori-studenti, universitari-liceali. A partire per esempio da una serie di azioni a livello locale: da Nantes a Rennes, Toulouse, Bordeaux, Parigi, Grenoble, Montpellier si sono viste assemblee generali, di cui alcune con la partecipazione di più di 1000 persone per volta, 2000 addirittura.
Alle assemblee seguono barricate, occupazioni delle rispettive facoltà, presìdi e blocchi dei Consigli delle Università per impedire l'elaborazione e l'approvazione dei requisiti di accesso e l'adesione al progetto di riforma del governo.
Importantissima, inoltre, la presa di posizione e l'autorganizzazione degli studenti medi, che hanno aderito alle giornate di mobilitazione lanciate, partecipando ai cortei e picchettando le rispettive scuole.

L'intento di lanciare e gestire la protesta in maniera coordinata e collettiva, nonostante il livello di complessità naturale che ciò comporta, è necessario per favorire la presa di coscienza di tutti i settori coinvolti e che più difficilmente riescono a mobilitarsi. Non a caso nel mese di febbraio la vertenza è stata appoggiata anche dai sindacati confederali dell'insegnamento.
Il coordinamento è inoltre necessario per attivare anche meccanismi di difesa collettiva contro la repressione governativa, che non ha tardato ad abbattersi sugli studenti, come si è verificato all'università di Bordeaux, dove l'occupazione temporanea degli studenti è stata sgomberata dalla polizia, e da quel momento l'entrata al campus viene effettuata previo controllo di vigilantes e polizia, con introduzione di divieti relativi ad assemblee e abbigliamento (ad esempio il divieto di indossare cuffiette).
Infatti in generale, soprattutto in occasione di riunioni dei Consigli di facoltà e di amministrazione delle università, si registra una presenza all'interno degli spazi universitari sempre più spesso della polizia, anche celere, che viene chiamata appositamente per impedire picchetti e presìdi contigui, in funzione dissuasiva e repressiva di attacco agli studenti.

Per molte ragioni questa mobilitazione studentesca in Francia è importante, prima fra tutte poiché essa è in grado di creare un contesto di presa di coscienza accelerata fra la popolazione studentesca e non solo, ovvero anche fra tutti i settori in lotta (in primis i ferrovieri sotto minaccia di privatizzazione e liberalizzazione totale della SNCF). In secondo luogo poiché la memoria del movimento contro la Loi Travail è recente, e in qualche modo la situazione attuale a livello di avanguardia di lotta e di mobilitazioni che avanzano (ad esempio con l'esperienza del Front Social) ne è in parte diretta conseguenza.
Gli studenti sono stati e possono quindi essere ancora il motore di impulso di una mobilitazione generale, di uno sciopero generale che viene reclamato e che costituisce l'obiettivo di molti militanti e lavoratori in lotta, visto l'attacco del governo Macron che coinvolge l'insieme del mondo del lavoro.
Finora sono stati gli studenti e il mondo della scuola a sollevarsi nazionalmente, e infatti le conferme di quanto appena affermato non hanno tardato ad arrivare: il 15 marzo c'è stata una mobilitazione nazionale contro l'aumento dell'età pensionistica e l'abbassamento delle pensioni, oltre che del personale delle case di riposo - che in Francia sono pubbliche, ma ora a rischio privatizzazione, contemporaneamente e insieme alla giornata di agitazione degli studenti contro la selezione.
È un segnale positivo, attraverso il quale i rivoluzionari non possono che giocare un ruolo di impulso, da coltivare con la solidarietà pratica e politica (come ad esempio rispetto alla mobilitazione contro la chiusura dello stabilimento Ford nei pressi di Bordeaux - stabilimento in cui lavora Philippe Poutou - e contro la repressione poliziesca e politica dei militanti sindacali e dei movimenti sociali...). Il lancio di una giornata di mobilitazione nazionale dei settori pubblico-privato prevista per oggi, 22 marzo 2018, è direttamente finalizzata allo sciopero generale, proprio quando in molti settori si è già votato lo sciopero ad oltranza. Tutto ciò al fianco dei ferrovieri che da mesi proclamano lo stato di agitazione contro una riforma di privatizzazione e liberalizzazione dei contratti di lavoro e contro i licenziamenti... in breve, sempre nell'ottica governativa di distruzione dei servizi pubblici.

Marta Positò

mercoledì 21 marzo 2018

LA GUERRA DI ERDOGAN, L'IPOCRISIA DEGLI IMPERIALISMI



Le forze armate turche stanno sviluppando una guerra di annientamento contro le forze kurde. Il massacro di Afrin è esemplare. Erdogan punta ad allargare il proprio controllo su grosso del Nord della Siria per distruggere ogni presenza kurda lungo la zona di confine. Di fatto candida la Turchia al ruolo di primo attore nella spartizione annunciata della Siria. Per questo conduce una politica di assimilazione al proprio controllo di numerose milizie della diaspora jihadista, attraverso l'offerta di soldi, armi, protezione, ponendosi come punto di raccolta delle forze sconfitte della guerra siriana, e offrendo loro un territorio in cui riparare. L'Esercito Siriano Libero (ESL), nato nel 2011 come sottoprodotto della ribellione di massa ad Assad, e successivamente pervaso dalla penetrazione jihadista, è ormai da anni sotto controllo turco. E opera al fianco di un'ampia aggregazione di milizie panislamiste (Jabhat Tahrir Suriya) direttamente promossa e finanziata da Ankara. Le milizie di tagliagola che hanno espugnato e saccheggiato Afrin, offerta loro come trofeo di guerra, hanno tutte questo timbro inconfondibile.

L'espansione dell'influenza turca nel nord siriano risponde inoltre ad un obiettivo complementare: riversare dentro la Siria i tre milioni di profughi siriani rifugiatisi in Turchia, spesso invisi alla popolazione turca e spina nel fianco della popolarità di Erdogan. Espellere i kurdi dal nord della Siria e rimpiazzarli con arabi “riconoscenti”, sotto controllo turco, è una forma di pulizia etnica anti-kurda, e al tempo stesso una leva di rafforzamento del peso negoziale turco al tavolo della spartizione della Siria.

L'offensiva militare di Erdogan capitalizza le contraddizioni paralizzanti tra blocchi imperialisti. L'imperialismo USA ha usato i kurdi come propria fanteria nella guerra di Siria, ma non può e non vuole rompere con l'alleato turco, membro (seppur riottoso) della NATO. L'imperialismo russo, vero vincitore della guerra siriana, ha promesso attenzioni alle ragioni kurde, ma non al punto di indispettire l'Iran - anch'esso oppressore del popolo kurdo - e di ricomporre le contraddizioni tra imperialismo USA e Turchia. Erdogan dispone dunque della copertura, per ragioni diverse, di tutte le potenze. Ognuna nel suo proprio interesse. Tutte di fatto complici di Erdogan.

Certo l'ipocrisia delle diplomazie imperialiste brilla come non mai sui cieli di Afrin. Tutti gli imperialismi “democratici” hanno recitato negli anni il rosario delle critiche ad Erdogan, al suo regime illiberale, alla sua repressione della libera stampa. Tutti hanno preteso con parole solenni atti di svolta e (improbabili) professioni di democrazia. Ma sono gli stessi imperialismi europei che hanno appaltato ad Erdogan la chiusura della via balcanica delle migrazioni, cioè il respingimento e la segregazione di chi fugge dai fronti siriani, in cambio di 4 miliardi di euro. Sono gli stessi che oggi coprono il massacro dei kurdi, condotto con le armi della NATO. Gli stessi kurdi che la stessa stampa borghese d'Occidente aveva salutato, con finta commozione, come eroi di Kobane contro l'ISIS.
La verità è che ogni paese e potenza imperialista non conosce altro valore che il proprio cinico interesse. L'unico che non è in vendita.

Per questo il movimento operaio europeo ha tanto più oggi il dovere politico e morale di mobilitarsi a fianco del popolo kurdo contro il regime di Erdogan e i suoi complici imperialisti di ogni colore.


Partito Comunista dei Lavoratori

sabato 17 marzo 2018

MANIFESTAZIONE ANTIFASCISTA - PAVIA 17 MARZO



TESTO DEL VOLANTINO DISTRIBUITO DURANTE LA MANIFESTAZIONE


PAVIA 17 MARZO: IN PIAZZA
PER UN ANTIFASCISMO DI CLASSE
Le organizzazioni fasciste, in misura diversa, sono oggi in crescita. In crescita di consenso, grazie alle compromissioni e al disarmo della sinistra politica e sindacale di fronte alla crisi capitalistica e ai suoi effetti sociali.
Occorre rompere questo quadro e guardare in faccia la realtà. I fatti come sempre valgono più di mille parole e cerimonie.
Guardare in faccia alla realtà significa di conseguenza guardare all'azione antifascista sul terreno della lotta di classe. Fare antifascismo non è, infatti, fare innumerevoli richiami ed appelli alle istituzioni in nome della Sacra Costituzione. 
Significa rompere con chi, in nome della governabilità e della democrazia, illude le masse e i lavoratori. Significa rompere con quella sinistra che in questi anni ha seminato speranze e illusioni, favorendo, con le sue politiche di compromesso al ribasso, lo sviluppo delle formazioni di estrema destra anche negli strati popolari delle città.
Non servono a nulla le petizioni costituzionali contro i fascisti. Le leggi “antifasciste” non sono mai mancate, nella prima come nella seconda Repubblica.  I partiti fascisti hanno continuato a vivere e prosperare, prima col MSI, oggi con CasaPound e Forza Nuova, con le complicità e le connivenze di apparati dello Stato, che sono il vero cuore del potere e prevalgono su ogni legge formale.
È ora di mettere da parte le illusioni. Solo il movimento operaio, solo la forza di una sua mobilitazione può mettere di fatto "fuorilegge" le organizzazioni fasciste. 
Le grandi organizzazioni di massa antifasciste, sindacali e associative, non possono sottrarsi a questa responsabilità.

PCL Pavia sezione “Tiziano Bagarolo”



martedì 13 marzo 2018

FRANCIA: NO AL LICENZIAMENTO DI GAËL!

Il nostro compagno Gaël Quirante è vittima di rappresaglia. Noi stiamo con lui contro la violenza padronale!



Uno dei dirigenti di Anticapitalisme & Révolution - corrente di sinistra dell'NPA - e membro dell’opposizione di sinistra all'interno della Quarta Internazionale (ex Segretariato Unificato) nonché attivista del Front Social, il compagno Gaël Quirante, è da anni al centro di un abuso disciplinare e penale sul posto di lavoro da parte delle Poste, a causa della sua attività sindacale combattiva come funzionario del sindacato Solidaires-SUD Poste 92.
Dal 2010 le Poste tentano di licenziarlo e, altrettante volte, tali procedure sono state giuridicamente respinte. Oggi, grazie ad un ricorso amministrativo, la procedura si riapre e l’ultima parola a breve spetterà all’attuale ministro del Lavoro del governo Macron, Muriel Penicaud.
Giuridicamente la sua situazione non lascia dubbi: Gaël non può essere licenziato. Si tratta perciò di una decisione politica.
Di conseguenza il nostro compagno continuerà ad intervenire sul luogo di lavoro forte della legittimità sindacale e della legittimità politica che lo contraddistinguono, per anni di presenza e promozione in vertenze combattive accanto ai suoi colleghi e alle sue colleghe, per il ruolo di iniziativa che lui e i compagni di Anticapitalisme & Révolution portano avanti nelle mobilitazioni che hanno attraversato il paese e che attualmente proseguono contro un governo che continua il progetto, iniziato con la Loi Travail, di offensiva e distruzione dei diritti sociali e delle conquiste della classe operaia.
Per queste ragioni, per il percorso politico che condividiamo, per la lotta che mettiamo in campo quotidianamente anche in Italia contro il clima di repressione violenta dei movimenti, del mondo del sindacalismo combattivo che non vuole piegare la testa davanti alle politiche padronali qui come in Francia e dappertutto, con forza partecipiamo alla campagna di mobilitazione e sostegno internazionale al nostro compagno Gaël.

Contro la violenza padronale verso le compagne e i compagni che lottano, per un fronte unico contro la repressione, il Partito Comunista dei Lavoratori sta con Gaël!


Invitiamo le compagne e i compagni ad attivarsi nei modi seguenti per essere partecipi della solidarietà e della mobilitazione per Gaël:
- Visitare, condividere la pagina fb per gli aggiornamenti (https://www.facebook.com/nonaulicenciementdegaelquirante/)
- Firmare e condividere la petizione (https://www.change.org/p/non-au-licenciement-de-ga%C3%ABl-regroupons-nous-contre-lanrepressiona-la-poste-et-ailleurs)
- Inviare alla pagina fb di cui sopra il massimo di foto/video, singolarmente o meglio in gruppo, con cartello "Non au licenciement de Gaël’’
- Condividere i testi della mozione di sostegno e della petizione, di seguito riportati nelle versioni in italiano



Mozione di sostegno

Gaël Quirante, segretario dipartimentale di SUD Activités Postales 92 (sindacato lavoratori postali) sta subendo un abuso disciplinare e penale totalmente ingiustificato.
Come altre/i militanti del movimento sociale, è colpito da una repressione che costituisce un attentato ai diritti democratici delle lavoratrici e dei lavoratori. 
Se rischia di essere licenziato, è in ragione della sua attività di rappresentante sindacale.
Come Partito comunista dei Lavoratori, noi chiediamo di rispettare la decisione dell’Ispettorato del Lavoro e quindi di non licenziare Gaël Quirante.


Petizione

No al licenziamento di Gaël: uniamoci contro la repressione alle Poste e altrove!
Gaël Quirante, segretario dipartimentale di SUD Activités Postales 92 (sindacato dei lavoratori delle Poste) e militante del Front social, è vittima di un'autentica vessazione disciplinare: dieci tentativi di licenziamento in quattordici anni, e una serie di sospensioni dal lavoro per un totale di quasi un anno.
Le Poste avevano infatti tentato di licenziarlo nel 2010 con l'accusa di sequestro per la partecipazione ad un'occupazione della direzione dipartimentale delle Poste: il suo licenziamento venne successivamente respinto dall'Ispettorato del Lavoro nel 2010, dal Ministero del Lavoro nel 2011, infine dal Tribunale Amministrativo nel 2014.
Ad aprile scorso la Corte d'Appello del Tribunale Amministrativo di Versailles ha annullato le tre precedenti decisioni, cosa che ha comportato la riapertura dell'intera procedura! L'Ispettorato del Lavoro ha nuovamente rigettato il suo licenziamento, ma ormai sarà la Sig.ra Penicaud, Ministro del Lavoro ed ex responsabile delle risorse umane di Danone, a decidere della vicenda di Gaël!
La nostra mobilitazione deve impedire il suo licenziamento!
Le Poste hanno deciso di colpire duramente le compagne e i compagni combattivei. Nel 2005 lo schieramento del GIPN (Gruppi di intervento della Polizia Nazionale) contro i lavoratori del centro di smistamento di Bègles-Bordeaux in sciopero ha rappresentato l'inizio di questa offensiva. In seguito, i procedimenti disciplinari e penali, i licenziamenti, le sanzioni disciplinari contro i sindacalisti e in maniera diffusa contro tutti coloro che rifiutano di abbassare la testa, si sono moltiplicati. Dal 2012 la somma delle sanzioni implicanti la sospensione dal lavoro ha raggiunto i dieci anni nei confronti dei militanti SUD e CGT (sindacati francesi) solo nell'Ile- de-France (area metropolitana di Parigi), e i quattordici anni dal 2010! Quattro militanti sindacali della regione dell'Haute-de-Seine furono messi in detenzione in pieno sciopero nel 2014. Solamente a Olivier Rosay é stata comminata la sospensione dalle funzioni per un totale di 69 mesi! Nella regione dell'Hauts-de-Seine, inoltre, il funzionario sindacale Yann Le Merrer è stato revocato, e poi messo in aspettativa dopo che il suo datore era stato obbligato a reintegrarlo.
Oggi questa logica repressiva colpisce l'insieme del mondo del lavoro: più di quattromila procedimenti disciplinari o penali intentati contro lavoratori in sciopero o manifestanti dal movimento del 2016 contro la Loi Travail.
Ma questa repressione viene combattuta, che riguardi le pene di reclusione per gli ex lavoratori Goodyear, le violenze della polizia nei quartieri popolari, gli accusati del processo del Quai de Valmy, la PSA Poissy o il caso di Loïc Canitrot della Compagnie Jolie Môme, per esempio. Se c'è un'ondata di repressione in atto, c'è anche un fronte di resistenza. Invitiamo all'unità di tutti i casi di repressione per essere in grado di mettere fine all'attuale offensiva. Se uniamo le forze, possiamo vincere!

domenica 11 marzo 2018

MIGLIAIA E MIGLIAIA IN CORTEO PER IDY DIENE E CONTRO RAZZISMO E FASCISMO

protagonismo dello spezzone anticapitalista dell'Ass. Mariano Ferreyra e del PCL Firenze


Oggi Firenze ha vissuto una giornata di riscatto. Dopo il barbaro omicidio di Idy la risposta della città si è fatta sentire.
Quasi 30.000 persone sono scese in piazza per onorare la memoria di Idy Diene ma anche per rilanciare la lotta contro razzismo e fascismo, che sono le cause della morte di Idy Diene, di Samb Modu e Diop Mor nel 2011 sempre a Firenze (uccisi dal militante di Casapound Gianluca Casseri) come dell'atto terroristico di alcuni giorni fa a Macerata, quando un militante della Lega ha sparato a sei migranti cercando la strage.
Le istituzioni cittadine come buona parte della stampa e delle tv hanno fatto di tutto, come cercarono di fare con il fascista Casseri, per far passare l'omicidio razzista di Idy come l'atto di un pazzo.
Noi oggi, insieme a migliaia di persone, siamo scesi in piazza per dire NO.
L'omicidio di Idy è un omicidio razzista, la mano che ha sparato è quella di una persona messa su dai continui sproloqui della destra fascista e razzista, a partire da Salvini (mandante morale sia dell'atto terroristico di Macerata che dell'omicidio razzista di Firenze) fino ad arrivare alla feccia nera delle organizzazioni neofasciste.
Come Associazione Mariano Ferreyra e come Partito Comunista dei Lavoratori abbiamo costruito uno spezzone con centinaia di migranti che si è caratterizzato come il più combattivo del corteo. Uno spezzone che voleva urlare, con tutta la rabbia che abbiamo dentro, come la lotta contro razzismo e fascismo sia possibile solo nell'unità tra lavoratori italiani e migranti.
Per questo non ci siamo limitati, come avrebbero voluto alcuni esponenti di "alto rango" delle comunità migranti, a scandire slogan contro il razzismo, ma abbiamo voluto individuare come il razzismo ed il fascismo non sono altro che un sottoprodotto della società capitalista, per questo abbiamo voluto scandire slogan contro i mandanti morali dell'assassinio di Idy, per questo abbiamo scandito slogan contro i fascisti e per la chiusura delle loro sedi.

CON SAMB, CON DIOP, CON IDY
UNITI VINCEREMO
ASSOCIAZIONE MARIANO FERREYRA
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI FIRENZE

venerdì 9 marzo 2018

FAUSTO E JAIO 40 ANTIFA - 1978- 2018

Il 18 marzo del 1978 otto colpi di pistola uccidono in via Mancinelli, a Milano, Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, diciottenni, attivisti del centro sociale Leoncavallo. Fausto e Iaio sono impegnati anche nella lotta allo spaccio nel quartiere, il popolare Casoretto. L’omicidio dei due ragazzi segna uno spartiacque nella storia del movimento della sinistra milanese in tempi molto pesanti, segnati dalle manifestazioni e dalle violenze contrapposte dei movimenti giovanili di destra e di sinistra. Sono i giorni dal rapimento Moro, della strategia della tensione, degli scontri di piazza. Arriva la rivendicazione dei Nar, formazione neofascista, ma dopo una lunga vicenda processuale, il caso di Fausto e Iaio sarà archiviato: le prove a carico degli estremisti di destra Massimo Carminati, Claudio Bracci e Mario Corsi, non sono considerate sufficienti.


Dal 1978 Milano ricorda quel giorno come uno di quelli che fanno storia.  


giovedì 8 marzo 2018

PER UN 8 MARZO ANTICAPITALISTA



Si è appena conclusa una terribile campagna elettorale, segnata anche da un'avanzata dei fascismi, dove le ragioni delle lavoratrici e dei lavoratori sono state rimosse dal dibattito pubblico per essere sostituite da una vergognosa vulgata xenofoba. Nel ciarpame del dibattito politico le donne sono state chiamate in causa in modo totalmente strumentale, non come soggetti reali ma come oggetti passivi da investire in questa campagna di odio contro gli immigrati. Dunque le ragioni delle donne, del loro diritto all'autodeterminazione economica e sociale, sono cadute nel vuoto. In questo dibattito pubblico mentre le forze politiche reazionarie si concentravano a inventarsi un soggetto immigrato violento e parassita, le donne immigrate sono state rimosse dal discorso politico. Ultime fra le ultime.

È un mondo sempre più a misura di uomo e a misura di padrone quello in cui ci troviamo a vivere, dove i rapporti di forza fra le classi sociali si ripercuotono in tutti gli ambiti della vita delle donne: perdita di diritti, molestie sessuali nei luoghi di lavoro così come fra le mura domestiche, espulsione dal mondo del lavoro e aumento del carico del lavoro di cura ed infine la spirale senza fine della violenza femminicida. Anche gli stessi spazi di autonomia e autodeterminazione delle donne come i centri antiviolenza o le case delle donne stanno venendo delegittimati e attaccati progressivamente, e nella logica di questa politica non potrebbe essere diversamente perché sono tipi di contesti avulsi dalle logiche di mercato e del profitto, così come non c'è interesse ad eliminare le ragioni di divisione della gerarchia sessuale.

Questo sistema economico e sociale dunque si sente in diritto di mettere in discussione tutto ciò che riguarda le donne: dal loro diritto all'autonomia economica alla loro salute sessuale, fino alla loro vita.

Per questo sosteniamo convintamente la scelta di alcune realtà di fabbrica e di alcune aziende di scioperare questo 8 marzo, poiché colpire gli interessi materiali di chi detiene il governo reale di questa società potrebbe diventare volano anche per tutte quelle donne che non hanno modo di scioperare veramente, o perché strette in rapporti di lavoro che le assoggetta a una repressione facile, o perché senza lavoro salariato. Allo stesso modo ci schieriamo al fianco della mobilitazione internazionale delle donne che in oltre 70 paesi scenderanno in piazza per difendere i propri diritti. Un mondo senza oppressioni si può cominciare a costruire solo dall'eliminazione di tutte le forme di sfruttamento e senza il controllo della società non potremo avanzare nel cambiamento delle condizioni di vita delle donne.

Lottare contro la violenza sulle donne significa rivendicare:

- L’annullamento delle leggi di precarizzazione del lavoro, a cominciare dal Jobs Act, che ci espongono ai ricatti sociali e sessuali, dalla perdita del lavoro per la maternità, alle molestie sessuali: vogliamo il ripristino totale dell’art. 18 e la sua estensione a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, la ripartizione del lavoro esistente fra tutti e tutte con la riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga.

- Un salario garantito a chi è in cerca di occupazione, contro ogni forma di reddito di autodeterminazione o di cittadinanza, che slegato dalla condizione lavorativa non garantisce autonomia, ma al contrario prospetta maggiori probabilità di rinchiudere le donne nell’ambiente domestico.

- La cancellazione delle controriforme sulle pensioni, che erodono i nostri tempi di vita, e il ritorno al sistema pensionistico retributivo.

- L’eliminazione dei tagli ai servizi sociali legati alla cura e della pratica della sussidiarietà privata, che aggravano sulle spalle delle donne i carichi del lavoro di cura. La prospettiva deve essere quella della socializzazione del lavoro di cura.

- L’eliminazione di tutte le leggi securitarie che legittimano la violazione dei diritti delle donne migranti e di fatto le pratiche di violenza diffusa nei loro confronti.

- La ricostituzione dei consultori pubblici per le donne, gestiti dalle utenti e dalle tecniche, per un controllo delle decisioni sul nostro corpo nelle nostre mani: vogliamo l’abolizione dell’obiezione di coscienza e il libero e gratuito accesso all’interruzione di gravidanza e alla contraccezione.

- Vivere libere dall’oscurantismo religioso, liberate cioè dai privilegi e dal potere reazionario della Chiesa cattolica e della CEI: aboliamo il Concordato! Basta 8x1000! Basta insegnamento religioso nella scuola pubblica!

Antipatriarcali! Anticlericali! Anticapitaliste!


Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione contro le oppressioni di genere

martedì 6 marzo 2018

UN PESSIMO RISULTATO PER I LAVORATORI



Il voto del 4 marzo ha espresso un risultato estremamente negativo per i lavoratori e il movimento operaio. La crisi del renzismo è precipitata, ma è stata capitalizzata da forme diverse di populismo reazionario: dal Movimento 5 Stelle, in particolare nel Sud e nelle Isole, dove realizza un autentico sfondamento; da un centrodestra a trazione Salvini, in particolare nel Nord. La sinistra, nel suo insieme, è pesantemente marginalizzata dal nuovo scenario.


IL SUCCESSO DEL POPULISMO REAZIONARIO

Il PD di Renzi consuma una disfatta. Il duplice fallimento del renzismo - mancato sfondamento nel blocco sociale di centrodestra e insuccesso dell'operazione diga verso il grillismo sul terreno della competizione populista - era già inscritto da tempo nello scenario politico, come ha mostrato la stessa sconfitta referendaria del 4 dicembre 2016. Il voto del 4 marzo l'ha sanzionato nei termini più pesanti. Una legge elettorale concepita per penalizzare il M5S nei collegi uninominali e consentire la campagna del voto utile per il PD ha favorito, nelle condizioni date, una dinamica opposta, a partire dal Meridione.

Il M5S ha riportato un successo elettorale e politico molto rilevante. Nel Meridione ha capitalizzato la combinazione dello sfaldamento dei vecchi potentati clientelari e del richiamo della bandiera del cosiddetto reddito di cittadinanza, sino a raggiungere risultati da plebiscito. Nel Nord ha consolidato un blocco elettorale che tiene insieme voto operaio e settori di piccola borghesia. Nei fatti il M5S ha sommato l'eredità del “voto contro” i partiti dominanti con l'immagine di possibile carta di ricambio sul terreno del governo, quale nuovo garante e protettore sociale di interessi compositi. Il trasformismo governista del nuovo corso di Di Maio non solo - al momento - non ha penalizzato il M5S, ma ha allargato la sua capacità di presa.

Il centrodestra ha complessivamente conseguito l'obiettivo di coalizione di maggioranza relativa, ma il netto sorpasso della Lega su Forza Italia segna un successo indiscutibile del salvinismo. La campagna centrale per la cacciata degli immigrati (“prima gli italiani”), combinandosi con l'impegno ad abolire la legge Fornero, ha connotato un richiamo politico fortemente caratterizzato capace di polarizzare attorno a sé un blocco sociale reazionario molto eterogeneo. I risultati della Lega nel Sud incoraggiano a loro volta la nuova linea della Lega nazionale. Parallelamente, la sconfitta di Forza Italia, che fallisce il recupero sulla Lega nei collegi del Sud a vantaggio del M5S, va molto al di là del dato elettorale e può sancire il tramonto politico definitivo del berlusconismo, ridisegnando in prospettiva la stessa geografia del centrodestra.


LA SCONFITTA DELLA SINISTRA

La sinistra, nel suo insieme, esce pesantemente sconfitta dalla prova elettorale.

Liberi e Uguali ha totalmente fallito l'obiettivo di ricomposizione attorno a sé del popolo della sinistra. Prima una scissione del PD molto tardiva e senza riconoscibilità sociale, poi una campagna elettorale attorno a Grasso giocata su una disponibilità alla ricollocazione di governo assieme al PD (e addirittura a Berlusconi) hanno portato LeU in un vicolo cieco. La soglia del 3,3% sancisce una disfatta che mina alla radice non solo il progetto dichiarato di costruzione del nuovo partito della sinistra, ma la stessa tenuta dell'aggregazione.
L'aggregazione riformista di Potere al Popolo (Je so' Pazzo, Rifondazione Comunista, PCI, Eurostop...) manca largamente l'obiettivo massimo del 3%, e anche l'obiettivo intermedio del 2%, attestandosi attorno all'1,12%. Nonostante il relativo successo di immagine in un bacino ristretto di avanguardia, la recita di un movimentismo antagonista in assenza di un movimento reale non è riuscita a capitalizzare lo spazio a sinistra di LeU se non in misura modesta. In ogni caso PaP è e resta segnato da un'assenza di progetto generale che vada al di là della raccolta di rivendicazioni immediate. Peraltro il commento entusiastico del dato elettorale («siamo contentissimi», ha dichiarato Viola Carofalo) sembra rimuovere non solo la realtà del voto conseguito da PaP rispetto alle ambizioni dichiarate, ma il pessimo scenario politico generale.
Il PC stalinista di Marco Rizzo, di impronta nordcoreana, ha investito nel nostalgismo del vecchio PCI (“il Partito Comunista è tornato”) con una pronunciata caratterizzazione di partito, conseguendo un risultato non disprezzabile (0,32, con presenza nel solo 60% del paese). Ma si tratta di un fenomeno d'immagine autocentrato, senza linea e proposta di massa, attorno all'immagine pubblica del segretario, con diversi elementi politicamente equivoci (ad esempio sull'antifascismo, sui migranti, sui diritti civili...) emersi durante la stessa campagna elettorale, e mirati volutamente ad ammiccare ad un elettorato “trasversale”.


“PER UNA SINISTRA RIVOLUZIONARIA”. UN RISULTATO MOLTO NEGATIVO E LA CONFERMA DELLE NOSTRE RAGIONI

La lista “Per una sinistra rivoluzionaria”, che il PCL ha promosso assieme ai compagni e alle compagne di Sinistra Classe Rivoluzione, ha registrato un risultato molto negativo (0,12 al Senato, 0,08 alla Camera, corrispondente a un bacino di circa lo 0,15, vista la presenza solo nella metà del paese). Da rivoluzionari non rimuoviamo la realtà, né vogliamo abbellirla. Siamo stati in questa campagna elettorale l'unica reale presenza anticapitalista, classista, internazionalista. Molti fattori congiunti hanno militato contro di noi: uno scenario generale di deriva reazionaria segnato dall'arretramento profondo della coscienza politica della classe, la concorrenza inedita di tre formazioni a sinistra del PD molto più equipaggiate di noi in termini di forza organizzata o proiezione pubblica, un simbolo elettorale e un nome della lista con l'esplicito riferimento alla "sinistra" in assenza di una chiara connotazione comunista legato all'accordo tra i soggetti componenti il cartello. A tutto questo si è aggiunta una riduzione degli spazi mediatici d'accesso maggiore che in passato, senza paragone con altri soggetti concorrenti. L'insieme di questi fattori ha concorso a un risultato obiettivamente pessimo, ma non ne sono l’unica motivazione.

Ma da marxisti rivoluzionari non ci facciamo certo demotivare da un risultato elettorale. Naturalmente nei prossimi giorni, a partire dai nostri organismi dirigenti, faremo un'analisi approfondita del voto e un bilancio politico. Ma i risultati elettorali non sono mai la misura delle ragioni, quanto il riflesso di uno scenario dato e dei relativi rapporti di forza. Mentre tutte le ragioni che abbiamo sostenuto nella stessa campagna elettorale, e che più in generale sono alla base del nostro intervento di classe, continuano a corrispondere alla realtà delle cose. Su due terreni complementari.

In primo luogo, la situazione sancita dal voto del 4 marzo conferma una volta di più che solo una irruzione del movimento operaio sul terreno della lotta di classe potrà segnare una svolta reale e aprire dal basso un nuovo scenario politico. Senza la ripresa di un'opposizione sociale di classe e di massa che scomponga i blocchi sociali reazionari e segni nuovi rapporti di forza, l'intera situazione politica continuerà ad avvitarsi lungo la china in atto. È la dinamica di questi anni che il voto ha registrato. Non ci sono scorciatoie politiciste o marchingegni elettorali che possano aggirare questa verità.

Parallelamente, proprio il profondo arretramento della coscienza politica della classe lavoratrice, che i risultati elettorali confermano clamorosamente, ripropone la necessità di costruire controcorrente il partito rivoluzionario, cioè quell'organizzazione dell'avanguardia che porta la coscienza nella classe, contrasta i suoi pregiudizi, combatte i seminatori di vecchie e nuove illusioni, riconduce ogni esperienza alla necessità della rivoluzione e di un governo dei lavoratori. Ogni rimozione della centralità della costruzione del partito d'avanguardia come portatore di coscienza è smentita ancora una volta proprio dal voto del 4 marzo.


COSTRUIRE IL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Se il risultato elettorale del 4 marzo è pessimo per il movimento operaio, è ben lungi dall'aver risolto i problemi della borghesia. Il padronato è forte nei luoghi di lavoro, e certo capitalizzerà su quel terreno anche l'esito del voto. Ma il voto del 4 marzo segna anche un nuovo passaggio della crisi di governabilità borghese. La Seconda repubblica del vecchio bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra è da tempo tramontata. Ma la Terza repubblica annunciata da Di Maio e dal M5S quale nuovo pilastro politico e istituzionale è ancora lontana dall'essere realizzata. E Salvini non sembra disporre ad oggi dei numeri necessari per formare attorno a sé un nuovo governo di centrodestra. Chi dunque si intesterà nel nuovo quadro i nuovi programmi di austerità imposti dal capitale finanziario (e furbescamente rimossi in campagna elettorale da tutti i principali attori)?

Detto questo, nessuna contraddizione borghese, nessuna dinamica obiettiva degli avvenimenti, porterà una soluzione progressiva della crisi italiana senza l'irruzione nella lotta della classe lavoratrice e l'affermazione di una sua nuova direzione. Questo è il punto decisivo. Sono le ragioni del Partito Comunista dei Lavoratori e della sua costruzione quotidiana.

Tanti nuovi compagni e compagne hanno preso contatto con il nostro partito durante la campagna elettorale, come alcune realtà di classe di avanguardia a livello di fabbrica. Il nostro difficile lavoro controcorrente di costruzione e radicamento continuerà, nell'interesse obiettivo del movimento dei lavoratori e dell'unica possibile soluzione alternativa: una soluzione anticapitalista e rivoluzionaria.

Partito Comunista dei Lavoratori

giovedì 1 marzo 2018

ACCORDO SINDACATI-CONFINDUSTRIA. LE SINISTRE HANNO QUALCOSA DA DIRE?




Questa notte Confindustria ha incassato il sì delle burocrazie sindacali alla propria piattaforma. Tutti gli aspetti peggiori dell'ultimo contratto dei metalmeccanici vengono estesi all'intero impianto delle relazioni sindacali. A riprova del fatto che quell'accordo - contestato in tante grandi fabbriche - rappresentava un accordo pilota, come tale peraltro presentato da Federmeccanica.

La sostanza dell'accordo è inequivocabile. Gli aumenti salariali su scala nazionale vengono subordinati all'Ipca, che per definizione è inferiore alla inflazione reale (perché i costi dell'energia non sono calcolati); ogni contrattazione aziendale viene subordinata all'incremento della produttività: cioè deve essere pagata dai lavoratori stessi (con l'incremento dello sfruttamento). Già solo questo significa che nel momento della massima euforia delle Borse e dei profitti, e dopo un'infinita crisi sociale, non solo si nega ai lavoratori e alle lavoratrici ogni miglioramento della propria condizione, ma li si subordina in forma ancor più vincolante agli interessi padronali.

Un altro aspetto del contratto dei metalmeccanici diventa centrale nel nuovo accordo siglato: la generalizzazione del welfare aziendale. Benefit al posto del salario. Nuovi sgravi fiscali ai padroni a vantaggio dei loro profitti e a carico del welfare universale. Una forma aggiuntiva di ricattabilità dei lavoratori da parte dei padroni. Non bastava la libertà di licenziare senza giusta causa per i nuovi assunti. Occorreva dire all'operaio che se non si subordina all'azienda, se rivendica migliori condizioni, mette a rischio non solo il posto di lavoro ma anche l'accesso ai “benefici” (sanità, rette, pensioni...) che a quel posto si legano. Come negli USA. Mentre il welfare aziendale a scapito di quello universale diventa un nuovo terreno di speculazione e arricchimento del capitale finanziario.

Infine l'accordo blinda la famosa esigibilità dei contratti introdotta dal Testo Unico del 10 gennaio, cioè l'impossibilità di contestare gli accordi da parte di chi ne è vittima, se non al prezzo di sanzioni.

Confindustria brinda entusiasta, a ragione. Brinda la CISL di Furlan, sempre più sindacato padronale. Mentre la burocrazia della CGIL segue a ruota vergognosamente, pur di sancire l'unità sindacale, e ottenere il riconoscimento del padronato. Indecente. Tanto più alla vigilia del voto del 4 marzo. Il segnale che le burocrazie sindacali – CGIL in testa - inviano a tutti i partiti padronali è molto semplice: la governabilità del conflitto sociale è sotto controllo, il movimento operaio starà fuori della contesa politica, siate riconoscenti per il servizio reso.

Le diverse forze della sinistra politica non hanno nulla da dire su questa ennesima capitolazione della CGIL? Continueranno a subordinarsi organicamente agli apparati sindacali (LeU) o a tacere pubblicamente sulle loro responsabilità (Rifondazione, cioè Potere al Popolo)?

Il Partito Comunista dei Lavoratori e la lista “Per una sinistra rivoluzionaria” si battono e si batteranno in ogni caso contro l'accordo Confindustria-sindacati, in coerenza con la battaglia di sempre. Per una direzione alternativa del movimento operaio. Per una prospettiva anticapitalista.


Partito Comunista dei Lavoratori