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martedì 6 marzo 2018

UN PESSIMO RISULTATO PER I LAVORATORI



Il voto del 4 marzo ha espresso un risultato estremamente negativo per i lavoratori e il movimento operaio. La crisi del renzismo è precipitata, ma è stata capitalizzata da forme diverse di populismo reazionario: dal Movimento 5 Stelle, in particolare nel Sud e nelle Isole, dove realizza un autentico sfondamento; da un centrodestra a trazione Salvini, in particolare nel Nord. La sinistra, nel suo insieme, è pesantemente marginalizzata dal nuovo scenario.


IL SUCCESSO DEL POPULISMO REAZIONARIO

Il PD di Renzi consuma una disfatta. Il duplice fallimento del renzismo - mancato sfondamento nel blocco sociale di centrodestra e insuccesso dell'operazione diga verso il grillismo sul terreno della competizione populista - era già inscritto da tempo nello scenario politico, come ha mostrato la stessa sconfitta referendaria del 4 dicembre 2016. Il voto del 4 marzo l'ha sanzionato nei termini più pesanti. Una legge elettorale concepita per penalizzare il M5S nei collegi uninominali e consentire la campagna del voto utile per il PD ha favorito, nelle condizioni date, una dinamica opposta, a partire dal Meridione.

Il M5S ha riportato un successo elettorale e politico molto rilevante. Nel Meridione ha capitalizzato la combinazione dello sfaldamento dei vecchi potentati clientelari e del richiamo della bandiera del cosiddetto reddito di cittadinanza, sino a raggiungere risultati da plebiscito. Nel Nord ha consolidato un blocco elettorale che tiene insieme voto operaio e settori di piccola borghesia. Nei fatti il M5S ha sommato l'eredità del “voto contro” i partiti dominanti con l'immagine di possibile carta di ricambio sul terreno del governo, quale nuovo garante e protettore sociale di interessi compositi. Il trasformismo governista del nuovo corso di Di Maio non solo - al momento - non ha penalizzato il M5S, ma ha allargato la sua capacità di presa.

Il centrodestra ha complessivamente conseguito l'obiettivo di coalizione di maggioranza relativa, ma il netto sorpasso della Lega su Forza Italia segna un successo indiscutibile del salvinismo. La campagna centrale per la cacciata degli immigrati (“prima gli italiani”), combinandosi con l'impegno ad abolire la legge Fornero, ha connotato un richiamo politico fortemente caratterizzato capace di polarizzare attorno a sé un blocco sociale reazionario molto eterogeneo. I risultati della Lega nel Sud incoraggiano a loro volta la nuova linea della Lega nazionale. Parallelamente, la sconfitta di Forza Italia, che fallisce il recupero sulla Lega nei collegi del Sud a vantaggio del M5S, va molto al di là del dato elettorale e può sancire il tramonto politico definitivo del berlusconismo, ridisegnando in prospettiva la stessa geografia del centrodestra.


LA SCONFITTA DELLA SINISTRA

La sinistra, nel suo insieme, esce pesantemente sconfitta dalla prova elettorale.

Liberi e Uguali ha totalmente fallito l'obiettivo di ricomposizione attorno a sé del popolo della sinistra. Prima una scissione del PD molto tardiva e senza riconoscibilità sociale, poi una campagna elettorale attorno a Grasso giocata su una disponibilità alla ricollocazione di governo assieme al PD (e addirittura a Berlusconi) hanno portato LeU in un vicolo cieco. La soglia del 3,3% sancisce una disfatta che mina alla radice non solo il progetto dichiarato di costruzione del nuovo partito della sinistra, ma la stessa tenuta dell'aggregazione.
L'aggregazione riformista di Potere al Popolo (Je so' Pazzo, Rifondazione Comunista, PCI, Eurostop...) manca largamente l'obiettivo massimo del 3%, e anche l'obiettivo intermedio del 2%, attestandosi attorno all'1,12%. Nonostante il relativo successo di immagine in un bacino ristretto di avanguardia, la recita di un movimentismo antagonista in assenza di un movimento reale non è riuscita a capitalizzare lo spazio a sinistra di LeU se non in misura modesta. In ogni caso PaP è e resta segnato da un'assenza di progetto generale che vada al di là della raccolta di rivendicazioni immediate. Peraltro il commento entusiastico del dato elettorale («siamo contentissimi», ha dichiarato Viola Carofalo) sembra rimuovere non solo la realtà del voto conseguito da PaP rispetto alle ambizioni dichiarate, ma il pessimo scenario politico generale.
Il PC stalinista di Marco Rizzo, di impronta nordcoreana, ha investito nel nostalgismo del vecchio PCI (“il Partito Comunista è tornato”) con una pronunciata caratterizzazione di partito, conseguendo un risultato non disprezzabile (0,32, con presenza nel solo 60% del paese). Ma si tratta di un fenomeno d'immagine autocentrato, senza linea e proposta di massa, attorno all'immagine pubblica del segretario, con diversi elementi politicamente equivoci (ad esempio sull'antifascismo, sui migranti, sui diritti civili...) emersi durante la stessa campagna elettorale, e mirati volutamente ad ammiccare ad un elettorato “trasversale”.


“PER UNA SINISTRA RIVOLUZIONARIA”. UN RISULTATO MOLTO NEGATIVO E LA CONFERMA DELLE NOSTRE RAGIONI

La lista “Per una sinistra rivoluzionaria”, che il PCL ha promosso assieme ai compagni e alle compagne di Sinistra Classe Rivoluzione, ha registrato un risultato molto negativo (0,12 al Senato, 0,08 alla Camera, corrispondente a un bacino di circa lo 0,15, vista la presenza solo nella metà del paese). Da rivoluzionari non rimuoviamo la realtà, né vogliamo abbellirla. Siamo stati in questa campagna elettorale l'unica reale presenza anticapitalista, classista, internazionalista. Molti fattori congiunti hanno militato contro di noi: uno scenario generale di deriva reazionaria segnato dall'arretramento profondo della coscienza politica della classe, la concorrenza inedita di tre formazioni a sinistra del PD molto più equipaggiate di noi in termini di forza organizzata o proiezione pubblica, un simbolo elettorale e un nome della lista con l'esplicito riferimento alla "sinistra" in assenza di una chiara connotazione comunista legato all'accordo tra i soggetti componenti il cartello. A tutto questo si è aggiunta una riduzione degli spazi mediatici d'accesso maggiore che in passato, senza paragone con altri soggetti concorrenti. L'insieme di questi fattori ha concorso a un risultato obiettivamente pessimo, ma non ne sono l’unica motivazione.

Ma da marxisti rivoluzionari non ci facciamo certo demotivare da un risultato elettorale. Naturalmente nei prossimi giorni, a partire dai nostri organismi dirigenti, faremo un'analisi approfondita del voto e un bilancio politico. Ma i risultati elettorali non sono mai la misura delle ragioni, quanto il riflesso di uno scenario dato e dei relativi rapporti di forza. Mentre tutte le ragioni che abbiamo sostenuto nella stessa campagna elettorale, e che più in generale sono alla base del nostro intervento di classe, continuano a corrispondere alla realtà delle cose. Su due terreni complementari.

In primo luogo, la situazione sancita dal voto del 4 marzo conferma una volta di più che solo una irruzione del movimento operaio sul terreno della lotta di classe potrà segnare una svolta reale e aprire dal basso un nuovo scenario politico. Senza la ripresa di un'opposizione sociale di classe e di massa che scomponga i blocchi sociali reazionari e segni nuovi rapporti di forza, l'intera situazione politica continuerà ad avvitarsi lungo la china in atto. È la dinamica di questi anni che il voto ha registrato. Non ci sono scorciatoie politiciste o marchingegni elettorali che possano aggirare questa verità.

Parallelamente, proprio il profondo arretramento della coscienza politica della classe lavoratrice, che i risultati elettorali confermano clamorosamente, ripropone la necessità di costruire controcorrente il partito rivoluzionario, cioè quell'organizzazione dell'avanguardia che porta la coscienza nella classe, contrasta i suoi pregiudizi, combatte i seminatori di vecchie e nuove illusioni, riconduce ogni esperienza alla necessità della rivoluzione e di un governo dei lavoratori. Ogni rimozione della centralità della costruzione del partito d'avanguardia come portatore di coscienza è smentita ancora una volta proprio dal voto del 4 marzo.


COSTRUIRE IL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Se il risultato elettorale del 4 marzo è pessimo per il movimento operaio, è ben lungi dall'aver risolto i problemi della borghesia. Il padronato è forte nei luoghi di lavoro, e certo capitalizzerà su quel terreno anche l'esito del voto. Ma il voto del 4 marzo segna anche un nuovo passaggio della crisi di governabilità borghese. La Seconda repubblica del vecchio bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra è da tempo tramontata. Ma la Terza repubblica annunciata da Di Maio e dal M5S quale nuovo pilastro politico e istituzionale è ancora lontana dall'essere realizzata. E Salvini non sembra disporre ad oggi dei numeri necessari per formare attorno a sé un nuovo governo di centrodestra. Chi dunque si intesterà nel nuovo quadro i nuovi programmi di austerità imposti dal capitale finanziario (e furbescamente rimossi in campagna elettorale da tutti i principali attori)?

Detto questo, nessuna contraddizione borghese, nessuna dinamica obiettiva degli avvenimenti, porterà una soluzione progressiva della crisi italiana senza l'irruzione nella lotta della classe lavoratrice e l'affermazione di una sua nuova direzione. Questo è il punto decisivo. Sono le ragioni del Partito Comunista dei Lavoratori e della sua costruzione quotidiana.

Tanti nuovi compagni e compagne hanno preso contatto con il nostro partito durante la campagna elettorale, come alcune realtà di classe di avanguardia a livello di fabbrica. Il nostro difficile lavoro controcorrente di costruzione e radicamento continuerà, nell'interesse obiettivo del movimento dei lavoratori e dell'unica possibile soluzione alternativa: una soluzione anticapitalista e rivoluzionaria.

Partito Comunista dei Lavoratori

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