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mercoledì 26 dicembre 2018

RESTITUIRE AL PROLETARIATO LA SUA COSCIENZA



"Nella misura in cui si sviluppa la borghesia, ossia il capitale, di pari passo si sviluppa il Proletariato, ossia la classe degli operai moderni, i quali vivono finché trovano lavoro e trovano lavoro soltanto finché il loro lavoro accresce il capitale. Questi operai, che sono costretti a vendersi  giorno per giorno, non sono che una merce come tutte le altre..." (ll Manifesto).

Così il Manifesto descrive la classe dei lavoratori salariati, "condizione stessa del capitale".

 Difficile trovare parole più appropriate per descrivere il Proletariato contemporaneo.

Contro tutti i luoghi comuni, il Proletariato è oggi una classe sociale molto più estesa che nel 1848, e più internazionale di allora. La sola Corea del Sud racchiude più salariati che l'intero mondo all'epoca de ll Manifesto.

La verità è che lungi dall'assistere alla scomparsa del Proletariato, assistiamo ad una sua espansione. ll vero elemento di crisi del Proletariato non sta nella sua debolezza sociale, ma nella coscienza smarrita della propria forza, nell'arretra mento verticale dei suoi livelli di consapevolezza politica, di memoria storica, di organizzazione, di rappresentanza. Sul piano politico e sul piano sindacale.  Lo sfondamento dello sciovinismo nazionalista e populista tra vaste masse proletarie all'interno degli stessi paesi imperialisti ne è al tempo stesso riflesso e concausa.

5í tratta allora di rimontare la china. Di restituire al proletariato la sua coscienza. Che è l'esatto opposto che dissolverlo nel "popolo".

"Proletari di tutto il mondo unitevi" è la nota chiusura de ll Manifesto.
Non è un appello retorico o rituale, come spesso s'intende.

È un programma politico.

martedì 25 dicembre 2018

MARX E LA GLOBALIZZAZIONE

di Marco ferrando


“Ha un senso parlare dell'attualità di Marx nell'epoca della globalizzazione? "La globalizzazione non ha forse stravolto i presupposti stessi e suo pensiero?"
Così borbotta la cultura dominante e buona parte del senso comune, anche tra molti proletari. La lettura de Il Manifesto è la migliore risposta a queste domande retoriche. E anche all'ignoranza di tanti presunti intellettuali di "sinistra".

La globalizzazione dell'economia non è un'invenzione contemporanea, ma il portato della storia stessa del capitalismo. Proprio la prima parte del Manifesto del 1848 si concentra non a caso su questo aspetto:

"La grande industria ha realizzato quel mercato mondiale che la scoperta dell'America aveva preparato... Il mercato mondiale ha impresso uno sviluppo incommensurabile al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni terrestri"... Spinta dal bisogno di sempre nuovi sbocchi per le proprie merci, la borghesia corre, per invaderlo, tutto il globo terracqueo. Deve annidarsi e stabilirsi dappertutto, dappertutto deve stabilire relazioni. Sfruttando il mercato mondiale, la borghesia ha reso cosmopolita la produzione è il consumo di tutti i paesi. A gran cordoglio di tutti i reazionari, esso ha tolto all'industria la base nazionale. Le Antiche e antichissime Industrie nazionali furono, o sono, di giorno in giorno distrutte. Vengono soppiantate da Industrie nuove, da Industrie che non impiegano più le materie prime indigene, ma anzi adoperano quelli venuti dalle zone più remote e i cui prodotti si consumano non solo nel paese stesso ma in tutte le parti del mondo.
Al precedente isolamento locale e nazionale e all'autosufficienza subentra un traffico universale, una universale interdipendenza delle Nazioni."

Chi potrebbe considerare inattuali questo affresco?

La prima razionalizzazione storica del capitalismo come sistema economico globale fu elaborata proprio da Marx, all'interno della visione materialistica della storia umana. Il movimento operaio come il movimento mondiale fu costruito su questa base: Se il capitalismo era una realtà internazionale, internazionale doveva essere il movimento proletario e il suo programma. 

La rivoluzione bolscevica del Ottobre 17, la sua spinta propulsiva, i suoi effetti prolungati, diretti e indiretti, sulle relazioni mondiali, ruppero il monopolio del capitalismo mondiale e dunque la prima globalizzazione storica del capitalismo configurando le basi materiali di una possibile alternativa di sistema. Ma il crollo dello stalinismo e la restaurazione capitalista in URSS, in Cina, nell'est europeo (per mano della stessa burocrazia stalinista) hanno ricomposto nell'ultimo quarto di secolo proprio il quadro della vecchia globalizzazione. Con forme, equilibri e caratteri interni naturalmente diversi, perché arricchiti dell'intera esperienza storica trascorsa, ma dentro la stessa cornice mondiale di cui parlò il manifesto.

Anche per questo le parole antiche di Marx suonano così fresche nel descrivere il nostro tempo.

venerdì 21 dicembre 2018

IL M5S SALE SUGLI F-35



Per anni la propaganda grillina ha tuonato contro gli sprechi dei jet militari, in particolare contro gli F-35. Per raccattare voti in tutte le direzioni, anche la posa antimilitarista è sembrata uno strumento utile.
Ora contrordine!
Scalata la vetta del governo nazionale, conquistato il Ministero della Difesa (Elisabetta Trenta), conquistato il sottosegretariato alla Difesa (Angelo Tofalo), il M5S si è messo rapidamente l'elmetto. «Da tanti anni abbiamo parlato di questi F-35 in maniera distorta... Non possiamo rinunciare a una grande capacità tecnologica per la nostra aeronautica, che ci mette avanti rispetto a tanti altri paesi» dichiara ora compunto il sottosegretario Tofalo. Via libera dunque alla messe di miliardi per aerei da guerra.

Il M5S di governo ha bisogno di mettere radici nel cuore profondo dello Stato, innanzitutto nell'apparato militare. La nomina di alti gradi dell'Esercito o dei Carabinieri in ruoli di governo (Ambiente) e sottogoverno non è un fatto casuale. Il M5S cerca legittimazione e riconoscimenti presso i poteri forti, per questo li lusinga con particolari attenzioni. La pioggia di miliardi negli F-35 è il prezzo dell'operazione. Pagheranno la sanità, la scuola, il lavoro.

Doveva essere “il governo del cambiamento”, ma a cambiare sono solo i governanti (del capitale). Per il resto tutto come prima, a partire dal cinismo e dall'ipocrisia.


Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 19 dicembre 2018

"NON SAREMO SCHIAVI": LA RIBELLIONE CONTRO IL REGIME DI ORBAN



Per la prima volta dopo dieci anni, il regime reazionario di Orban incontra un'opposizione di massa. 

Centinaia di migliaia di lavoratori e di giovani in larga parte del paese hanno preso la parola contro il governo. La miccia è stata una legge antioperaia varata dal governo dai caratteri scopertamente provocatori. Una legge che prevede 400 ore di straordinari all'anno, una settimana lavorativa di sei giorni o oltre dieci ore giornaliere per cinque giorni. Il lavoratore può formalmente rifiutare, salvo rischiare il licenziamento. Si tratta dunque di uno strumento di legge offerto ai padroni per incrementare in modo massiccio lo sfruttamento del lavoro. Il padronato ungherese plaude entusiasta alla legge. Ancor più plaudono la Opel, la Mercedes, l'Audi, le grandi aziende straniere in particolare tedesche, ma anche italiane, che in Ungheria fanno affari d'oro. La sovranità nazionale sbandierata da Orban è a tutti gli effetti la sovranità dei padroni contro i lavoratori.

“Non saremo schiavi”. Questo è lo slogan che ha animato le proteste contro la legge. Le manifestazioni indette dai sindacati hanno registrato un'ampia partecipazione operaia, e hanno visto l'ingresso in campo di decine di migliaia di studenti. Gli studenti già erano in fase di mobilitazione a favore della libertà di studio e di ricerca nelle università. La saldatura con le manifestazioni dei lavoratori è apparsa loro naturale. Non si tratta di rituali manifestazioni dell'opposizione liberaldemocratica, si tratta di manifestazioni di massa e di classe, le prime dopo lungo tempo nella storia d'Ungheria. Le manifestazioni si sono susseguite con una parabola ascendente negli ultimi cinque giorni, e con tratti radicali. A Budapest la polizia ha dovuto disperdere più volte la folla di lavoratori e giovani che assedia gli edifici dell'Assemblea Nazionale, il Parlamento ungherese. La parola d'ordine dello sciopero generale per la revoca della “legge della schiavitù” ha fatto il suo ingresso nelle strade e nelle piazze della capitale.

Com'è naturale, tutte le forze politiche dell'opposizione cercano il proprio posto al sole nella protesta: Momentum, Dialogo per l'Ungheria, persino i fascisti di Jobbik. Ma la linea dello scontro è estranea all'impostazione liberale come all'impostazione nazionalista e xenofoba. Al contrario, essa è dettata come non mai dalla contrapposizione tra capitale e lavoro, tra capitalisti e operai. Il ruolo dei sindacati è non a caso centrale. La campagna ossessiva di Orban contro i migranti, che ha intossicato milioni di ungheresi, svela sempre più il suo carattere ipocrita. Il problema dell'Ungheria non sono i migranti, praticamente assenti, ma la massiccia emigrazione di 600.000 ungheresi verso altri paesi in cerca di migliori condizioni di vita. La battaglia contro la legge della schiavitù mette a nudo questa verità, e conquista il senso comune di massa.

Chi profetizzava che destra e sinistra sono categorie novecentesche ritrova questo confine proprio in Ungheria, proprio nel paese indicato a modello dai sovranismi nazionalisti alla Salvini, proprio nel paese presentato dai populismi reazionari di tutta Europa come paradigma di stabilità e di ordine. Naturalmente siamo solo all'inizio di una battaglia di massa, di cui seguiremo dinamica e sviluppi. Ma certo i fatti dimostrano che neppure i regimi più consolidati in apparenza sono al riparo della lotta di classe, che prima o poi si riaffaccia e presenta il conto.
La vicenda ungherese ci parla anche di questo.

Partito Comunista dei Lavoratori

lunedì 17 dicembre 2018

LAVORI SEMPRE PIÙ “SPORCHI”



Le offerte di lavoro sembrano ormai delle barzellette: lavoro gratuito o semi-gratuito, contratti di apprendistato con anni di esperienza, reintroduzione del cottimo, rimborsi spese al posto dei salari, zero diritti e nessuna garanzia. Certo, padroni e padroncini potrebbero vergognarsi un po' delle loro "offerte di lavoro". Si dice che la colpa non è loro, è della crisi. La concorrenza incalza infatti anche tra i capitalisti: si fa già fatica ad ottenere un profitto, figuriamoci se ci sono soldi per i salari. O così o si chiude.

Ecco da dove viene l'esigenza del Reddito di Cittadinanza dei 5 stelle: dalla necessità di spingere i lavoratori sempre più impoveriti ad accettare lavori sempre più di “sporchi”, in modo da preservare i profitti dei capitalisti. Per questo la loro proposta si completa con una serie di agevolazioni alle imprese volenterose che assumono questi lavoratori poveri e un po' sfaticati. Il Movimento 5 stelle non vuole combattere il lavoro precario, da cui discendono disagi sociali e povertà, ma istituzionalizzarlo e generalizzarlo. I poveri non devono stare per strada, devono andare in fabbrica.

In Italia, come in tutti i paesi capitalistici, la ricchezza è polarizzata. Non c'è da stupirsi, capitale chiama capitale, povertà chiama povertà, questo è il capitalismo: da un lato, il capitale produce interesse e profitto che accrescono ulteriormente il capitale già accumulato; dall'altro, il salario sotto il livello di sussistenza consente di accumulare solo miseria e debiti.
In effetti, accanto ai nove milioni di italiani poveri registrati dall'Istat che i grillini vorrebbero sostentare e rispedire al lavoro, ci sono 307.000 famiglie che contano il loro patrimonio finanziario in milioni di dollari e 22 famiglie che lo contano in miliardi. Questo 1,2% della popolazione si spartisce il 21% della ricchezza finanziaria complessiva del paese (a questa ricchezza finanziaria si deve poi aggiungere la ricchezza reale, fatta di abitazioni, oggetti di valore, fabbricati non residenziali, capitale fisso e terreni, concentrata anch'essa nelle stesse mani). E la tendenza è verso la crescita della polarizzazione.

Oltre alla ricchezza direttamente nelle mani delle famiglie, si deve poi considerare il patrimonio intestato a società finanziarie, che sempre in mani private (di un certo peso) finisce.

Insomma, l'Italia è un paese ricco sia dal punto di vista dell'economia reale che da quello del patrimonio finanziario. E questa ricchezza è già quasi tutta in mani private.

I soldi ci sono e sono pure tanti, Il problema sono le disuguaglianze.
Se valesse veramente la media, la questione del RdC non si porrebbe nemmeno: il RdC ce l'avremmo già grazie alla rendita finanziaria e tutti saremmo anche proprietari di casa.
E invece l'Italia è fatta di persone che faticano a pagare l'affitto e non sanno nemmeno cosa sono i titoli e le azioni. La ricchezza finanziaria viaggia di padre in figlio a pacchetti da sei-dieci zeri. Questo è il dato da cui partire.

Contro questa deriva politica, bisogna ripartire da Marx e dalla sua critica.
“I problemi del capitalismo non si risolvono distribuendo redditi ma combattendo il capitale e arginando i suoi effetti”.


I diritti del lavoratore, incluso il diritto a un salario dignitoso, si conquistano con la lotta sul posto di lavoro. E lì che si valorizza il capitale ed è lì che i lavoratori hanno i migliori strumenti per impedire che il capitale li ingoi del tutto. 

venerdì 14 dicembre 2018

L'ENNESIMO REGALO AI PADRONI



Con l'emendamento della Lega passato in commissione bilancio, le donne in dolce attesa potranno lavorare fino al nono mese di gravidanza, così da utilizzare i cinque mesi di congedo interamente dopo il parto.

Questo governo, dunque, concede l'ennesimo regalo ai padroni, nascondendone tutta la porcheria dietro un'apparente avanzamento delle possibilità di scelta della donna.

Sappiamo, invece, che a pagare sono le donne delle classi meno abbienti, le sfruttate, malpagate e precarie. Stime recenti parlano di 350mila donne discriminate per il fatto di essere in stato di gravidanza o per aver osato avanzare richiesta di conciliare lavoro e vita familiare. Sono dati sottostimati dal momento che queste ingiustizie si consumano spesso nel silenzio delle vittime che, per timore di ritorsioni o per non compromettere ulteriormente la propria situazione lavorativa, decidono di tacere.

Inoltre le donne, al rientro dalla maternità, il più delle volte, subiscono  la non corretta riallocazione al rientro in azienda, oppure l'assegnazione a turni incompatibili con la condizione di neomamma, ma perfettamente previsti dal contratto. Emarginata a causa delle insorte esigenze che per il padrone rappresentano nient'altro che un freno alla produttività, ad esempio i permessi per allattamento o la richiesta di orari migliori, la lavoratrice viene così indotta a lasciare il proprio impiego.

Possiamo affermare che lavorare fino al nono mese di gravidanza sia tutt'altro che un avanzamento dei diritti della donna, bensì un altro via libera allo sfruttamento più sfrenato.

Le fasce più deboli della popolazione continuano a subire le contraddizioni del sistema capitalistico: mentre i ricchi diventano sempre più ricchi, alle donne delle classi popolari viene riservato di sommare alle fatiche della gravidanza anche quelle del lavoro, trattate come merci in un momento della vita in cui la tranquillità dovrebbe essere la condizione primaria.


Nel capitalismo, la sola cosa che progredisce a ritmi serrati è l'abbrutimento della società, sostenuto da governi troppo impegnati a servire gli interessi della classe dominante.

lunedì 10 dicembre 2018

DI MAIO E I PADRONI



Il quotidiano di Confindustria Il Sole 24 Ore ha ospitato sabato 8 dicembre una lunga lettera aperta agli industriali del Ministro Luigi Di Maio, con tanto di titolo di apertura di prima pagina: “Di Maio alle imprese: lavoriamo insieme”.

Il titolo tiene fede all'articolo. Un ministro del lavoro che ignora le pietose richieste di incontro delle burocrazie sindacali propone formalmente ai padroni «un metodo di confronto continuo»: l'avvio di un «tavolo permanente per le piccole e medie imprese» per «permettervi di fare gli imprenditori» e «capire insieme qual è la direzione che deve prendere lo sviluppo dell'Italia».

Il cuore mieloso della lettera è naturalmente la Legge di stabilità.
Nello stesso momento in cui il governo svuota ulteriormente le proprie elemosine sociali su reddito e pensioni per rassicurare le banche e la Commissione Europea, Di Maio garantisce pubblicamente i padroni sui vantaggi della finanziaria per i loro profitti: abbassamento delle tasse al 15% per le piccole imprese nel 2019, con la promessa di estenderlo nel 2020; abbattimento dell' IRES dal 24% al 15% (anche per chi “assume” lavoro precario); proroga del superammortamento renziano per gli investimenti; sgravio contributivo sino a 80.000 euro l'anno per le assunzioni a tempo indeterminato; un miliardo ogni anno per la sovvenzione degli investimenti in “alta tecnologia”... Infine l'annuncio per il futuro di 200 miliardi mobilitati attraverso la Cassa Depositi e Prestiti per le infrastrutture, e l'ulteriore liberalizzazione del codice degli appalti (quella che moltiplica gli omicidi bianchi).

Dopo l'offerta di un simile bengodi, Di Maio conclude la lettera ai padroni con parole alate: «L'Italia è come una maestosa aquila che si è spezzata le zampe... Se lavoreremo insieme presto potremmo nuovamente spiccare il volo». A prescindere dall'incerta sintassi, il messaggio è inequivoco: il M5S offre le ali ai capitalisti, come hanno fatto negli ultimi decenni tutti i governi padronali, nessuno escluso. Con una differenza duplice: il M5S si rivolge a tutti i padroni, non solo ai grandi; e porta loro in dote il consenso sociale di milioni di operai, impiegati, disoccupati, cioè di quelli che continueranno a pagare l'80% del carico fiscale per finanziare le regalie alle imprese.

In conclusione: Di Maio vuole contendere alla Lega il blocco piccolo-medio borghese proprietario del Nord, per la stessa ragione per cui Salvini vuole scendere a Sud e invadere le roccaforti elettorali 5 Stelle. I due imbroglioni di governo si disputano le grazie dei padroni, mentre invocano i voti degli sfruttati.
Sino a quando reggerà questa truffa?


Partito Comunista dei Lavoratori

venerdì 7 dicembre 2018

MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA A “FUMETTI”

Karl Marx e Friedrich Engels 

 Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono coalizzate in una sacra caccia alle streghe contro questo spettro.


 

UN NO DI CLASSE E ANTICAPITALISTA ALLA TAV


La questione TAV Torino-Lione è da molti anni - sostanzialmente dal 1992 - al centro di un'opposizione di massa di larga parte della popolazione della Val di Susa, ma anche di un confronto politico pubblico. L'avvento del governo SalviMaio e le contraddizioni interne che lo percorrono (anche) su questo tema ha in qualche modo nuovamente precipitato lo scontro. La manifestazione interclassista del 31 ottobre a Torino a favore della TAV promossa dalle organizzazioni confindustriali e delle libere professioni ha segnato sotto questo profilo un salto di qualità della contrapposizione in atto. Da qui la contromobilitazione prevista per l'8 dicembre a Torino, promossa da tutte le organizzazioni No TAV, e la sua valenza nazionale.

Il Partito Comunista dei Lavoratori è nettamente collocato sul fronte No TAV, a partire da una motivazione di classe e da un progetto alternativo di società.

Non siamo per principio contro le grandi opere, nel nome del “piccolo è bello”. Vi sono grandi opere obiettivamente necessarie anche nel campo dell'alta velocità, magari disertate o passate in secondo piano dai governi borghesi. Né vale il concetto dell'opposizione di principio alle grandi opere per il fatto che coinvolgono gli interessi di potentati economici. Nella società borghese tutto ciò che è costruito e prodotto ha un finalità di profitto, non per questo siamo contrari alla produzione di cappotti o di alimenti. Neppure può essere eretto a criterio assoluto la contrarietà a una grande opera da parte di settori popolari dei territori direttamente interessati, perché a certe condizioni un interesse generale può essere prioritario rispetto a interessi locali. La stessa storia generale delle ferrovie lo dimostra.
Da questo punto di vista, ogni cultura comunitaria che declini la dimensione territoriale del movimento come nuovo modello di soggettività antagonista alternativa alla dimensione generale di classe ci pare non solo sbagliata ma pericolosa.


UN'OPERA INUTILE SE NON PER CHI CI FA PROFITTO

La nostra opposizione netta e radicale alla TAV muove da un'altra angolazione, da un'angolazione anticapitalista.

Il TAV Torino-Lione non risponde a una ragione sociale dei lavoratori. Ha un impatto ambientale devastante, perché scavato in una montagna piena di uranio e di amianto. Non è stata progettata per il trasporto viaggiatori, ma per il trasporto merci. Per di più, su un calcolo di volume di traffico merci molto superiore all'attuale: dagli anni '90 ad oggi il traffico merci tra Italia e Francia lungo l'attuale linea ferroviaria Frejus è crollata di due terzi, quella su linea stradale è calata del 27%, il traffico merci alpino totale (ferro più gomma) è calato del 36%. L'argomento per cui l'Alta Velocità Torino-Lione servirebbe a ridurre in misura significativa il trasporto merci su gomma è del tutto infondato. Da questo punto di vista il Tav si configura nel migliore dei casi come un'opera inutile, salvo naturalmente per gli interessi dei costruttori coinvolti e per la relativa catena degli appalti.


SI INVESTE NELLA TAV MENTRE SI TAGLIANO I TRENI PENDOLARI

Questa opera inutile è spaventosamente costosa. Quasi 8 miliardi complessivamente, di cui un miliardo e mezzo già speso. Una enormità, messa a carico dei contribuenti lavoratori. Una enormità tanto più rilevante a fronte del taglio sistematico degli investimenti pubblici in opere sociali di pubblica utilità, anche in fatto di trasporto pubblico. Le Ferrovie dello Stato sono sempre più una grande holding capitalistica interessata ai processi di concentrazione/fusione con altri settori (prima ANAS, oggi pare Alitalia), e al procacciamento di lucrosi affari in giro per il mondo a caccia di profitti. Per finanziare tali operazioni, foraggiate da risorse pubbliche, le Ferrovie hanno tagliato regolarmente i treni pendolari regionali, e le lunghe tratte per passeggeri meno redditizie, incluse le tratte di collegamento con la Francia. Per non parlare dei tagli alla manutenzione ordinaria dei convogli, con conseguenze drammatiche sulla sicurezza stessa dei passeggeri. In questo quadro i miliardi di investimento nell'alta velocità Torino-Lione sono obiettivamente uno scandalo: risorse direttamente sottratte a un sistema ferroviario pubblico in disfacimento per soddisfare interessi privati.


LA TAV CONTRO LE VERE EMERGENZE TERRITORIALI E AMBIENTALI

Non solo. La destinazione di una cifra così imponente è tanto più inaccettabile a fronte dell'ordine più generale delle emergenze vere che interessano il territorio italiano. Riassetto idrogeologico, messa in sicurezza antisismica di edifici pubblici e privati, bonifiche ambientali a partire dall'amianto e dai rifiuti, riparazione di una rete idrica ridotta a colabrodo, sono tutti terreni urgenti di investimento pubblico che separatamente e nel loro insieme richiedono risorse imponenti, per diverse centinaia di miliardi; risorse strutturalmente negate da un sistema capitalistico che ha priorità opposte: pagare il debito pubblico alle banche (70-80 miliardi di soli interessi ogni anno), continuare a detassare i profitti, assistere con risorse pubbliche le aziende private. Per non parlare delle spese in armamenti o delle regalie a scuole privata, sanità privata, Vaticano. In questo quadro generale, i miliardi di risorse pubbliche a favore della TAV Torino-Lione sono obiettivamente un insulto. È comprensibile che le organizzazioni Confindustriali di Lombardia e Piemonte si mobilitino a favore dell'opera, non lo è che lo facciano i grandi sindacati dei lavoratori, se non per la stessa sudditanza al padronato che segna la loro politica più generale.


NO AL GOVERNO REAZIONARIO SALVIMAIO!

Lo scontro sulla TAV ha assunto oggi una valenza politica che trascende la questione specifica.

La TAV è diventata una croce per il governo reazionario SalviMaio, in particolare per il M5S. Il M5S di governo ha già capovolto le proprie promesse elettorali in relazione alla vicenda TAP, esponendosi ad una contestazione frontale delle popolazioni salentine e di settori significativi di propri attivisti. Una nuova capitolazione di M5S sulla TAV potrebbe innescare un effetto valanga in termini di credibilità pubblica del partito, ben al di là della Val Susa. Al tempo stesso la Lega di Salvini, già in tensione col proprio blocco imprenditoriale del Nord, ha difficoltà a subire un vero blocco della TAV, e preme sul M5S per rimuovere ogni veto. Paralizzato dalle proprie contraddizioni, il governo ha sinora cercato di guadagnare tempo con la favola della verifica costi-benefici, cercando in realtà un punto di mediazione interna (eliminare alcuni lavori considerati superflui come la stazione di Susa e mantenere il tunnel di base). Nei fatti, come sul resto, cerca di camuffare la continuità col passato attraverso soluzioni cosmetiche e accorgimenti-truffa.
Respingere le mediazioni-truffa, battersi per bloccare il TAV, è anche una forma di opposizione politica a un governo reazionario, xenofobo, truffaldino e ai suoi progetti di stabilizzazione.

Con queste motivazioni il PCL parteciperà alla manifestazione dell' 8 dicembre a Torino contro la TAV. Non lo faremo certo in una logica di sostegno al M5S, o anche solo di pressione critica nei suoi confronti. Lo faremo in una logica di opposizione aperta al governo di M5S e Lega, contro ogni forma di illusione nel grillismo. Per questo il nostro striscione dirà: NO alla TAV, NO al decreto sicurezza, NO al governo SalviMaio.

Partito Comunista dei Lavoratori

giovedì 6 dicembre 2018

Intervento di Franco Grisolia - Congresso CGIL Milano

"Né Colla, né Landini, ma lotta di classe!"



SOCIALISMO E CULTURA



“Bisogna disabituarsi e smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui l’uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da empire e stivare di dati empirici; di fatti bruti e sconnessi che egli poi dovrà casellare nel suo cervello come nelle colonne di un dizionario per poter poi in ogni occasione rispondere ai vari stimoli del mondo esterno. Questa forma di cultura è veramente dannosa specialmente per il proletariato. Serve solo a creare degli spostati, della gente che crede di essere superiore al resto dell’umanità perché ha ammassato nella memoria una certa quantità di dati e di date, che snocciola ad ogni occasione per farne quasi una barriera fra sé e gli altri. Serve a creare quel certo intellettualismo bolso e incolore […] che ha partorito tutta una caterva di presuntuosi e di vaneggiatori, più deleteri per la vita sociale di quanto siano i microbi della tubercolosi o della sifilide per la bellezza e la sanità fisica dei corpi. Lo studentucolo che sa un po’ di latino e di storia, l’avvocatuzzo che è riuscito a strappare uno straccetto di laurea alla svogliatezza e al lasciar passare dei professori crederanno di essere diversi e superiori anche al miglior operaio specializzato che adempie nella vita ad un compito ben preciso e indispensabile e che nella sua attività vale cento volte di più di quanto gli altri valgano nella loro. Ma questa non è cultura, è pedanteria, non è intelligenza, ma intelletto, e contro di essa ben a ragione si reagisce. […]La cultura è una cosa ben diversa. È organizzazione, disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti e i propri doveri. Ma tutto ciò non può avvenire per evoluzione spontanea, per azioni e reazioni indipendenti dalla propria volontà, come avviene nella natura vegetale e animale in cui ogni singolo si seleziona e specifica i propri organi inconsciamente, per legge fatale delle cose. L’uomo è soprattutto spirito, cioè creazione storica, e non natura. Non si spiegherebbe altrimenti il perché, essendo sempre esistiti sfruttati e sfruttatori, creatori di ricchezza e consumatori egoistici di essa, non si sia ancora realizzato il socialismo. Gli è che solo a grado a grado, a strato a strato, l’umanità ha acquistato coscienza del proprio valore e si è conquistato il diritto di vivere indipendentemente dagli schemi e dai diritti di minoranze storicamente affermatesi prima. E questa coscienza si è formata non sotto il pungolo brutale delle necessità fisiologiche, ma per la riflessione intelligente, prima di alcuni e poi di tutta una classe, sulle ragioni di certi fatti e sui mezzi migliori per convertirli da occasione di vassallaggio in segnacolo di ribellione e di ricostruzione sociale. Ciò vuol dire che ogni rivoluzione è stata preceduta da un intenso lavorio di critica, di penetrazione culturale, di permeazione di idee attraverso aggregati di uomini prima refrattari e solo pensosi di risolvere giorno per giorno, ora per ora, il proprio problema economico e politico per se stessi, senza legami di solidarietà con gli altri che si trovavano nelle stesse condizioni. […]
È attraverso la critica della civiltà capitalistica che si è formata o si sta formando la coscienza unitaria del proletariato, e critica vuol dire cultura, e non già evoluzione spontanea e naturalistica. Critica vuol dire appunto quella coscienza dell’io che Novalis dava come fine alla cultura. Io che si oppone agli altri, che si differenzia e, essendosi creata una meta, giudica i fatti e gli avvenimenti oltre che in sé e per sé anche come valori di propulsione o di repulsione. Conoscere se stessi vuol dire essere se stessi, vuol dire essere padroni di se stessi, distinguersi, uscire fuori dal caos, essere un elemento di ordine, ma del proprio ordine e della propria disciplina ad un ideale. E non si può ottenere ciò se non si conoscono anche gli altri, la loro storia, il susseguirsi degli sforzi che essi hanno fatto per essere ciò che sono, per creare la civiltà che hanno creato e alla quale noi vogliamo sostituire la nostra. […]”


(Antonio Gramsci, Socialismo e Cultura, da Il Grido del Popolo del 29 gennaio 1916)

domenica 2 dicembre 2018

MILANO 1 DICEMBRE - PRIMO PASSO DI UNA LUNGA BATTAGLIA




Che non sarebbe stata una giornata da lasciar passare sotto silenzio lo si capiva già dai primi minuti successivi all'ora di concentramento. Il corteo appariva già partecipato ed energico tanto che la testa era obbligata a spostarsi progressivamente su viale Romagna. Che i numeri fossero imponenti era evidente già da Città Studi, quando il viale della circonvallazione era completamente pieno di manifestanti, ma solo giunti alla discesa del cavalcavia dell’Ortica si è potuto concretamente abbracciare con lo sguardo la fiumana scesa in strada per dire NO alla riapertura dei CPR e al Decreto Sicurezza fortemente voluto dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini che non ha perso l’occasione di svilire la mobilitazione definendola come ritrovo dei “soliti kompagni”. Le adesioni alla mobilitazione, quasi 200, erano già comunque indice di un’opposizione diffusa nella metropoli e non solo alla deriva salviniana. Grande assente il PD pronto a sventolare, a seconda delle convenienze, la bandiera dell’antifascismo, ma incapace di mettere in discussione le sue scelte politiche disastrose degli ultimi anni compresa quella di Minniti di aprire i CPR. Una giornata come quella di ieri, nonostante il freddo glaciale, riscalda il cuore e ci fa tornare a casa con la convinzione che questo non è che il primo passo di una lunga battaglia che combatteremo in molti senza esclusione di colpi.

venerdì 30 novembre 2018

MANIFESTAZIONE REGIONALE CONTRO IL CPR DI VIA CORELLI ED IL DECRETO SICUREZZA

Sabato, 1 Dicembre 2018 alle ore 14,30 - Milano Piazzale Piola (M2 Piola - filobus 90-91 bus 62) Milano



Il Pcl Lombardo aderisce alla manifestazione ed invita i propri iscritti e simpatizzanti a partecipare. L'appuntamento è a partire dalle 14,30 in piazzale Piola angolo via Pacini.

giovedì 29 novembre 2018

ALLA RADICE DELLA VIOLENZA SULLE DONNE



Dopo il 25 Novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, il governo ha approvato il DDL “Codice Rosso “, una corsia preferenziale per le denunce, indagini più rapide sui casi di violenza alle donne e l'obbligo per i pm di ascoltare le vittime entro tre giorni. 
Se da un lato, molti identificano la donna come soggetto intrinsecamente fragile, dall'altro, all'interno di questa cornice, bisogna anche smascherare la natura di classe che risiede alla radice della violenza sulle donne.
La prima violenza subita dalla donna nel sistema capitalista risponde alla subordinazione sociale cui è da sempre sottoposta: il lavoro precario e sottopagato, l'insicurezza di un orario di lavoro stabile, la cura dei figli, del marito magari disoccupato, degli anziani della famiglia che non avendo una copertura previdenziale colpiscono duplicemente la donna, sfruttata sul lavoro da un lato e costretta ad occuparsi alle mancanze dello Stato sociale dall’altro.
il capitalismo, in questa fase del suo sviluppo, ha spinto la donna sfruttata sotto il giogo dell'oppressione patriarcale, individuando in quest’ultimo come un valido alleato allo sfruttamento dell'intera classe lavoratrice.
La violenza di genere, come ogni prodotto del capitalismo, potrà essere estirpata attraverso una nuova organizzazione, dove le donne e gli uomini saranno nelle medesime condizioni,  con l'unità di classe, per la costruzione di una società dove lavoratrici, lavoratori e la maggioranza della società, hanno diritto a decidere del proprio futuro, senza doversi affidare a sfruttatori, speculatori, parassiti.
Un governo dei lavoratori e delle lavoratrici è l'unico governo che può garantire queste condizioni. Per questo è l'unica vera alternativa.


PCL Pavia

mercoledì 28 novembre 2018

IL PASSO DEL GAMBERO DEL GOVERNO TRUFFA



Il 27 settembre, esattamente due mesi fa, il vicepremier Luigi Di Maio annunciava l'«abolizione della povertà» dai balconi di Palazzo Chigi, mentre il suo sodale-concorrente Matteo Salvini prometteva l'abolizione della Legge Fornero, opponendo alla UE il fatidico, e già sentito, “me ne frego”.

Due mesi dopo, il contrordine. Dopo la bocciatura della Commissione Europea, dopo l'impennata dei tassi di interesse sui titoli di Stato combinata con la diserzione delle aste, dopo le pressioni del capitale finanziario e di Confindustria, il governo SalviMaio pone all'ordine del giorno la “rimodulazione” della manovra economica. Il termine è aulico, la sostanza inequivoca: "quota 100" e reddito di cittadinanza saranno entrambe oggetto di revisione.
Intendiamoci, né la Lega né il M5S possono ammainare di colpo le rispettive bandiere, tanto più alla vigilia delle elezioni europee. La confezione d'immagine sarà dunque il più possibile salvaguardata. Ma sotto la confezione, il contenuto della merce sarà ulteriormente svuotato e impoverito, nella direzione richiesta dal capitale finanziario. Il gambero allunga il suo passo, naturalmente all'indietro.


C'ERA UNA VOLTA L'ABOLIZIONE DELLA FORNERO

L'abolizione della famigerata legge Fornero è durata solamente per la campagna elettorale. Già il contratto di governo trasformava l'abolizione della Fornero in "quota 100" (somma dell'età anagrafica e contributiva). Poi la stessa “quota 100” ha visto l'introduzione del vincolo dei 38 anni di contributi, ciò che inevitabilmente alza la quota richiesta per centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici, con una forte penalizzazione delle donne; e inoltre comporta un'inevitabile riduzione dell'assegno, per via dei minori contributi, per tutti coloro che andranno in pensione anticipatamente rispetto ai 67 anni (il tetto della pensione di vecchiaia stabilito dalla Fornero che resta intatto).

Ora il nuovo negoziato con la Commissione Europea trascina una nuova corsa al ribasso. Da un lato si rinvia l'entrata in vigore della riforma e si dilatano i tempi di accesso al pensionamento (le cosiddette finestre, tre mesi nel settore privato, sei nel settore pubblico) con l'obiettivo dichiarato di ridurre la spesa. Dall'altro, si mira a ridurre ulteriormente la platea degli interessati, allungando sino a cinque anni il divieto di cumulo con altre fonti di reddito. Lo scopo complessivo dell'operazione è rivelato dal quotidiano di Confindustria: «traghettare da quota 100 ai 41 anni per tutti per il 2023, quando oltre il 65% dei nuovi pensionati avranno un calcolo misto (retributivo più contributivo) e il coefficiente di trasformazione del montante in pensione a 62 anni sarà più penalizzante rendendo naturale il contenimento delle future uscite» (27 novembre). Detto in linguaggio più semplice, si punta a ridurre il ricorso alla pensione anticipata attraverso la deterrenza della “naturale” riduzione degli assegni. In altri termini, una riforma che doveva “abolire” la Fornero punta a spingere i lavoratori il più possibile a “scegliere” di andare in pensione all'età di vecchiaia prevista dalla Fornero. Mentre, in ogni caso, i giovani d'oggi restano condannati dalla riforma a un immutato destino: chi mai maturerà 38 anni di contributi, col precariato dilagante, e a quanto ammonterà una futura pensione interamente contributiva?


SI CHIAMAVA REDDITO DI CITTADINANZA

Non va diversamente col cosiddetto reddito di cittadinanza.

Nel 2013 il M5S presentava una proposta di legge che prevedeva di stanziare 17 miliardi l'anno a favore di 9 milioni di poveri, attraverso un reddito minimo di 780 euro al mese. Il famoso contratto di governo recepiva questa proposta di legge, aggiungendovi la pensione di cittadinanza per i pensionati poveri.
Poi il disegno di legge di bilancio presentato dal governo, ed oggi all'esame della Camera, ha dimezzato al piede di partenza la proposta di legge originaria: i fondi stanziati passano da 17 a 9 miliardi, la platea dei destinatari passa da 9 milioni a 5 milioni. Più precisamente, in base all'indicatore della ricchezza familiare (Isee), assunto come parametro di riferimento della povertà assoluta, si tratterebbe di 1.800.000 famiglie cui destinare mediamente 370 euro al mese.
La riduzione di cifra e platea si è combinata non a caso con una progressiva moltiplicazione di vincoli: obbligo di otto ore settimanali di lavoro gratuito presso il comune, obbligo di partecipazione a corsi di formazione, obbligo di accettazione, entro il limite di tre, delle offerte di lavoro (anche precarie, e dalla seconda offerta senza limiti distanza geografica dalla residenza), esclusione degli stranieri con meno di cinque anni di residenza. Di fatto, un incentivo al lavoro precario, nella logica della concorrenza al ribasso dei salari.

Ora il negoziato con la UE, combinato con le pressioni di Lega e Confindustria, comporta un ulteriore passo indietro. Da un lato si sposta in avanti la data di partenza del reddito (di tre mesi, probabilmente) e si parla di una sua durata sperimentale di 18 mensilità. Dall'altro, si trasforma il reddito in un incentivo per l'impresa o per l'agenzia interinale che assume il disoccupato: tre mensilità intascate dall'impresa o dall'agenzia (Di Maio), o addirittura l'intera corresponsione all'impresa dei sussidi previsti (proposta di Armando Siri, Lega). Così, dopo i 18 miliardi di sgravi contributivi regalati da Renzi per tre anni alle imprese, queste verrebbero a intascare in tutto o in parte la posta equivalente del reddito “di cittadinanza”. È l'ennesima forma di assistenza alle imprese nel nome della lotta alla povertà. Il Sole 24 Ore del 27 marzo plaude alla nuova offerta: “Reddito di cittadinanza, sgravi alle aziende”, titola festoso. Così il presidente di 4.Manager Stefano Cuzzilla: «Se confermato è un cambio di passo positivo a favore delle politiche attive che auspichiamo siano ulteriormente incentivate». I padroni sentono l'inconfondibile profumo dei soldi, e non si sbagliano.


UN GOVERNO DEI CAPITALISTI COL CONSENSO (SINORA) DELLE LORO VITTIME

Vedremo in corso d'opera lo sbocco del negoziato con la Commissione Europea e all'interno dello stesso governo. Ma la direzione di marcia è tracciata. Il “governo del cambiamento” è la finzione scenica di un governo truffa. Si cambia tutto per non cambiare nulla. Si continua a detassare le imprese, mentre i salariati reggono sulle proprie spalle l'80% del carico fiscale. Si continua a pagare il debito pubblico alle banche, con tassi di interesse oltretutto in crescita, riducendo a elemosina le concessioni sociali.
Siamo in presenza di un governo dei capitalisti con sembianze mutate. Un governo che continua a ingrassare i padroni col consenso (sinora) delle sue vittime. Fino a quando?


Partito Comunista dei Lavoratori

domenica 25 novembre 2018

SOLIDARIETÀ A RI-MAFLOW E AL COMPAGNO MASSIMO LETTIERI

Ordine del giorno del Comitato Centrale del PCL





Il Comitato Centrale del Partito Comunista dei Lavoratori esprime la totale solidarietà ai compagni dell'occupazione dello stabile dell'ex fabbrica metalmeccanica Maflow, di Trezzano sul Naviglio.
Se lo Stato e la magistratura hanno messo in mostra fin da subito la propria sudditanza alle logiche del mercato e agli interessi del capitale, opponendo ogni sorta di ostacolo possibile al progetto e allo sforzo dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolte, fino all'arresto vessatorio del presidente della neonata cooperativa Massimo Lettieri – cui va tutta la nostra solidarietà e vicinanza, oggi questo attacco viene spinto fino alla minaccia di sgombero dello stabile in data 28 novembre 2018.
Il Comitato Centrale del PCL si impegna a sostenere attivamente la resistenza allo sgombero e ribadisce la propria solidarietà all'occupazione e al compagno Massimo Lettieri, così come a tutte le altre occupazioni e resistenze alle dismissioni industriali. Invitiamo a sostenere economicamente l'attività colpita dalle misure giudiziarie finalizzate a stroncare gli sforzi dei lavoratori e delle lavoratrici.
Vengano processati ed arrestati i padroni, che hanno delocalizzato e costretto alla fame e all'occupazione i lavoratori e le lavoratrici, requisendo loro proprietà e beni al fine di finanziare la ripresa di un'attività produttiva.
Venga nazionalizzato sotto il controllo dei lavoratori e delle lavoratrici tutto il progetto, al fine di regolarizzare e fornire dei finanziamenti e permessi necessari l'attività lavorativa.
Venga immediatamente liberato e vengano fatte decadere immediatamente tutte le accuse nei confronti del compagno Massimo Lettieri.

Partito Comunista dei Lavoratori

venerdì 23 novembre 2018

NESSUNO SI ASPETTAVA L'INQUISIZIONE SPAGNOLA! IL 24 NOVEMBRE TUTTE E TUTTI IN PIAZZA!



Testo del volantino che verrà distribuito al corteo di Non Una di Meno
Nessuno si aspettava l'inquisizione spagnola. Eppure le politiche clericali, familiste e discriminatorie del governo giallo-verde nei confronti delle donne, dei minori, così come delle persone LGBT evidenziano il trionfo del peggior oscurantismo religioso.
Dall'attacco alla salute sessuale delle donne e alla 194 alla nuova santificazione della famiglia patriarcale e nazionalpopolare attraverso i “premi di maternità” dal retrogusto fascista, passando per la delegittimazione dei centri antiviolenza e dei consultori, ma anche attraverso il Disegno di legge Pillon, che concepisce i figli come “proprietà” dei genitori e non come soggetti di diritto, e che castiga le donne che vogliono abbandonare i (tanti) mariti violenti o comunque le scoraggia – anche attraverso il ricatto economico – dal desiderio di iniziare una nuova vita, rendendo l'esperienza della separazione e del divorzio macchinosa, economicamente dispendiosa e dolorosa.

Dopo anni di denunce e battaglie per far emergere la realtà della violenza domestica, e dopo altrettante mobilitazioni portate avanti per costruire gli strumenti di difesa e di autonomia delle donne e dei minori, è evidente che la politica del governo giallo-verde è quella di spazzare via le conquiste del movimento femminista e di far tornare a essere la violenza maschile sulle donne e sui figli un affare privato, di cui non si deve parlare, non si deve sapere, e che comunque non può divenire un “pretesto” per mettere in discussione l'istituto familiare e la subalternità femminile alla famiglia.

Questo perché la sacra famiglia è innanzitutto un supplente di quel welfare che lo Stato non intende più garantire alle classi popolari e lavoratrici per poter abbassare le tasse ai capitalisti e pagare il debito delle banche, ma è anche il terreno della costruzione dell'egemonia della Chiesa cattolica, ossia della più grande monarchia assoluta esistente al mondo, corresponsabile di genocidi nella lunga storia dell'umanità, alleata dei regimi fascisti (da Mussolini a Franco a Pinochet), coinvolta su scala planetaria nella pratica o copertura della pedofilia criminale sino alle più alte sfere; quella che ha il coraggio di chiamare assassine le donne che interrompono la propria gravidanza, e sicari i medici che le aiutano.

Le sfide che hanno di fronte a sé le donne e tutti i soggetti oppressi della società sono grandi. Per questo è necessaria la costruzione di un fronte vasto che unifichi il movimento delle donne, la rete dei centri antiviolenza, tutte le associazioni democratiche e antifasciste, le organizzazioni dei lavoratori e delle lavoratrici per costruire un'opposizione a questo governo e alle sue politiche reazionarie.
Ma è anche necessario prendere atto che non ci sarà alcuna liberazione delle donne che non preveda la messa in discussione dei privilegi politici ed economici della Chiesa cattolica in Italia come nel mondo: per questo rivendichiamo l’abolizione unilaterale del Concordato fra Vaticano e Stato, l’esproprio senza indennizzo di tutte le grandi proprietà immobiliari ecclesiastiche, e in definitiva l’abolizione di tutti i privilegi fiscali, giuridici, normativi, assicurati alla Chiesa cattolica, a partire dalla truffa dell’8 per mille e dall’insegnamento religioso confessionale nella scuola pubblica.


Partito comunista dei lavoratori - sezione di Roma

mercoledì 21 novembre 2018

I DELITTI CONTRO I LAVORATORI CONTINUANO A RESTARE IMPUNITI



I governi cambiano e si susseguono, ma gli operai continuano a essere sfruttati e a morire come prima, più di prima, perché nella democrazia borghese, sono solo forza lavoro da usare quando l'industria tira e da licenziare quando non servono più a valorizzare il capitale.
Pur di aumentare i profitti, i padroni risparmiano anche i pochi centesimi sulle misure di sicurezza, sostenuti in questo da leggi che tutelano la proprietà privata dei mezzi di produzione. Anche nei pochi casi in cui sono inquisiti, se la cavano monetizzando la morte, la salute e la vita umana degli sfruttati.
In ogni caso, i loro delitti contro i lavoratori continuano a restare impuniti.
Le vittime del profitto e della brutalità del sistema capitalista sono considerati incidenti di percorso, danni ed effetti collaterali considerati "normali" al di sotto di una certa soglia. I padroni e i mass-media da loro controllati chiamano i morti sul lavoro "morti bianche", come se i lavoratori  fossero morti per caso, cioè alla disattenzione degli operai stessi.
Ogni anno oltre mille persone muoiono sul posto di lavoro, altre decine di migliaia per malattie professionali, più di 4mila solo per malattie legate all'amianto.
Tuttavia se i morti per malattia professionale sono invisibili agli occhi della popolazione, quelli sul lavoro generano comunque un moto di indignazione, rabbia e, raramente,  mobilitazione nelle fabbriche, nei cantieri, nelle campagne, nei luoghi di lavoro.
Lo stesso non avviene per tutti i morti causati dal profitto.
Per esempio con la privatizzazione di una serie di servizi, primi fra tutti la sanità, la salute  della popolazione più povera è molto diminuita in quanto impossibilitata a curarsi al di là delle chiacchiere dei governi che, oltretutto,  hanno aumentato l'età pensionabile cianciando di un'aumentata aspettativa di vita.
Tutto questo avviene senza alcuna reazione perché questi morti nessuno li vede.
I morti per il profitto non sono il frutto di una disgrazia ma una scelta cosciente del capitalismo.
Certo non possiamo aspettare che il capitalismo crolli da solo. Dobbiamo creare pratiche unitarie di lotta su tematiche e obiettivi anticapitalisti rimettendo al centro il soggetto rivoluzionario, il proletariato.
Solo un'azione di lotta generale può unire gli sfruttati, aprire dal basso una pagina nuova.
Non serve a nulla cambiare l'amministratore delegato del capitale, illudendosi ogni volta che possa difendere il lavoro. E' necessaria un'altra società, libera dai padroni e dallo sfruttamento, dove siano finalmente i lavoratori a comandare.


PCL Pavia 

venerdì 16 novembre 2018

DISTINGUERE TRA BIECA PROPAGANDA E REALTÀ


Il governo Lega e M5S, una volta al potere, ha tolto giù la maschera e si rimangia tutte le promesse della campagna elettorale trovando una giustificazione per tutto pur di non perdere il consenso dell'elettorato. 

La caratteristica di questo governo populista, repressivo, oppressivo, di attacco all'emancipazione femminile e ai diritti civili è quella di strumentalizzare le percezioni delle persone impaurite, farle proprie e trasformarle in misure reazionarie.

Il governo giallo/verde porta avanti una visione e una politica nazionalista per affermare una supremazia nazionale contro ogni ipotesi di solidarietà tra popoli. Si propongono ai capitalisti come quelli capaci di superare le contraddizioni con l'uso della forza, del bastone, senza mediazioni con il movimento operaio per garantire il sistema capitalista. 
Il decreto sicurezza, per esempio, non è rivolto solo contro gli stranieri, che comunque hanno la peggio, ma intende colpire le lotte con eventuali blocchi stradali e ferroviari di studenti, dei senza casa e degli operai che riiniziano a dare segnali di insofferenza allo stato di cose presenti.
Fabbriche in mano agli stranieri che chiudono, imprese italiane che delocalizzano alla ricerca di sempre maggiori profitti. Le cose certe sono quelle che abbiamo visto con il cedimento sulle necessità del capitale con l'Ilva di Taranto, il gasdotto Tap pugliese e con la riattivazione dei voucher. Altro che governo del cambiamento! 

Lega e M5S proseguono la linea salva banche e dei condoni, dei loro predecessori. Lasciano campo libero alle formazioni fasciste, più che mai funzionali al sistema, alla repressione e allo spargimento della paura. 

Dall'altra parte il PD, dopo la sua fallimentare politica riformista che ha spianato la strada alla deriva populista, è passato ad una sorta di "opposizione",  insieme a Forza Italia, entrambi concentrati sulla propria “conservazione”. 

Occorre, dunque, distinguere tra bieca propaganda e realtà e, di conseguenza, mobilitarsi e organizzarsi per respingere le misure contro il movimento operaio e la parte più debole e sfruttata che devono essere il perno della difesa dei propri interessi di classe nella prospettiva di una società socialista che pensi veramente ai bisogni della maggioranza.

PCL sezione di Pavia

giovedì 15 novembre 2018

16 NOVEMBRE: SECONDA MOBILITAZIONE STUDENTESCA

Da Milano (Largo Cairoli h9) a Roma, da Torino a Venezia, da Firenze a Cagliari, da Bologna a Messina



La scuola e i problemi degli studenti sono ai margini del dibattito pubblico, sommersi da una campagna elettorale infinita che da mesi riempie le pagine dei giornali, pianificando la maggior confusione possibile attorno ad ogni tema. Eppure sono sempre più evidenti le contraddizioni di un'istruzione classista e piegata al profitto.

Dietro alla propaganda asfissiante c'è la realtà delle scelte politiche, quelle che contano davvero per la condizione degli studenti. Il capitolo dedicato all'istruzione nella nota di aggiornamento al DEF mette nero su bianco la continuità rispetto alle politiche sull'istruzione dei precedenti governi. Nessun intervento concreto sulle questioni che gli studenti vivono ogni giorno, dalle barriere economiche per un accesso reale al diritto allo studio alla sicurezza dell'edilizia scolastica. Non a caso i pilastri della Buona Scuola non vengono messi in discussione, anzi il governo ha avuto la massima cura nel rassicurare l'UE garantendo il rispetto degli obiettivi europei sulla scuola.

Se il comportamento di un governo si misura con le leggi e i provvedimenti, questa è la realtà che smonta tutte le menzogne della propaganda. Il cambiamento deve passare dalla messa in discussione della scuola di classe voluta dai padroni e dall'Unione Europea e costruita dai governi. Senza un'inversione di rotta ci sono soltanto prese in giro per gli studenti e misure peggiorative.

Domani, 16 novembre, tornano nelle piazze di tutta Italia per dare forza alla protesta mostrando la realtà che vivono ogni giorno, fatta di sfruttamento in alternanza, scuole che crollano e costi altissimi per studiare.
Una protesta per un'istruzione diversa che sia modellata sui reali bisogni dei giovani, una protesta per togliere la maschera a un governo che finge di cambiare e lascia tutto come prima.

PCL sezione di Pavia

mercoledì 14 novembre 2018

LE RUSPE A CINQUE STELLE DI SALVINI



Il ministro degli Interni e la sindaca di Roma si disputano il controllo dell'Urbe ma si accordano contro i migranti. Le ruspe di questa mattina contro il Baobab di Roma, con centinaia di migranti gettati su una strada, hanno avuto l'imprimatur di entrambi. “Nessuno spazio di illegalità sarà più tollerato”, ha tuonato via facebook il ruspante Matteo Salvini. Una concezione della legalità a proprio uso e consumo. I suoi amici fascisti di CasaPound, sostenitori dichiarati del suo governo, possono tranquillamente continuare ad occupare interi palazzi nel centro di Roma a due passi da stazione Termini, ma gli immigrati non possono disporre neppure di tende di fortuna. Neppure gli immigrati “regolari”, già coperti dalla protezione umanitaria, che ora il Decreto sicurezza espelle dagli SPRAR, e che avevano trovato in questi giorni un rifugio proprio presso il Baobab. Tutti in strada, si arrangi chi può, nel nome della legge e dell'ordine. Lo stesso ordine che offre condoni su condoni ai grandi evasori fiscali; lo stesso che benedice il licenziamento di una lavoratrice Ikea, dopo vent'anni di lavoro, colpevole di aver violato la “disciplina aziendale” per provvedere al proprio figlio disabile.
Quest'ordine non è riformabile. È un mondo capovolto che si appoggia sulla testa. Solo una rivoluzione può rimetterlo in piedi.


Partito Comunista dei Lavoratori

martedì 13 novembre 2018

ALTERNATIVA RIVOLUZIONARIA E DI CLASSE.



Il grande capitale ha bisogno del populismo, specie quello di destra, per impedire che la protesta sociale si rivolga contro il suo sistema e per aggredire la classe operaia.
Anche se non si fa dirigere da esso, il capitale si serve del populismo, gli prepara il terreno, perché ha serie difficoltà a mantenere la sua dittatura con i vecchi metodi, i vecchi partiti, i vecchi uomini.
Si scontra con i dirigenti populisti, piccolo borghesi, quando questi demagoghi vogliono attuare un controllo sulla vita economica, quando si spingono oltre il quadro delle compatibilità espresse dall’oligarchia.
La piccola borghesia populista non può avere una politica indipendente dal capitale e non può risolvere i problemi creati, appunto, dal capitalismo.
Con il populismo al potere lo Stato non perde la sua natura di classe; lo sfruttamento non diminuisce, ma aumenta; la pressione sulla classe operaia cresce senza sosta; le conquiste e i diritti degli operai e delle loro organizzazioni sono un bersaglio costante.
Davanti alla crescita del populismo e del fascismo, il lavoro per lo sviluppo della politica di fronte unico proletario è necessario per opporre alla demagogia populista la propaganda comunista, sviluppata in maniera semplice e comprensibile per gli operai e i giovani proletari, le donne, la povera gente.
L’alternativa da costruire al nazional-populismo è quella rivoluzionaria e di classe.
Ogni passo in avanti in questo senso da forza all’organizzazione della classe operaia, dal suo essere classe indipendente, dal suo costituirsi in Partito distinto e contrapposto a tutti i partiti delle classi proprietarie.


Partito Comunista dei Lavoratori – sezione di Pavia

domenica 11 novembre 2018

ROMA: 10 NOVEMBRE

Intervento del compagno Marco Ferrando, portavoce nazionale del PCL. Contro il governo, per il più ampio fronte unitario di classe e di massa! Contro le frontiere dei capitalisti, per un'alternativa socialista, per il potere dei lavoratori!


 

venerdì 9 novembre 2018

LA CONDIZIONE ODIERNA D'ARRETRATEZZA



Sono passati centouno anni dalla rivoluzione bolscevica e il movimento operaio è ai minimi storici.
In particolare in Italia i dati sulle ultime elezioni politiche ci forniscono un quadro in cui la gran parte delle masse popolari ha votato e continua ad aver fiducia di Lega e Movimento 5 Stelle.
Lo scollamento tra la sinistra partitica e le masse è sempre più evidente, così come è evidente chi, a vario titolo, vorrebbe intestarsi il vuoto politico ed elettorale lasciato a sinistra da un Partito Democratico sempre più debole.
Necessita uno sguardo retrospettivo per imboccare la strada corretta.
Sarebbe il caso di chiedersi dunque: come riuscirono i Bolscevichi a costruire il rapporto con le masse e come le conquistarono?

“…fino a che questo governo sarà sottomesso all'influenza della borghesia, il nostro compito potrà consistere soltanto nello spiegare alle masse in modo paziente, sistematico, perseverante, conforme ai loro bisogni pratici, agli errori della loro tattica. Fino a che saremo in minoranza, svolgeremo un'opera di critica e di spiegazione degli errori, sostenendo in pari tempo la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai Soviet dei deputati operai, perché le masse possano liberarsi dei loro errori sulla base dell'esperienza.”( V. Lenin "Sui compiti del proletariato nella rivoluzione attuale (Tesi d'Aprile)". Scritto il 4 e 5 (17 e 18) aprile 1917 Pubblicato il 7 (20) aprile 1917 nella Pravda n° 26)

In queste parole si evidenzia il lavoro politico dei bolscevichi.
Essi non tentarono l'avventura ma si posero da subito la necessità di conquistare la maggioranza della classe operaia, non dicendo ciò che le masse volevano sentirsi dire, ma con un lavoro "paziente" di "spiegazione degli errori".
La posizione espressa dai bolscevichi dunque non aveva nulla di semplice. Partiva da un'analisi che richiedeva la comprensione degli interessi di classe, poneva le classi popolari di fronte ad una grande sfida e non illusero, anzi, mettevano le classi popolari di fronte anche all'ipotesi peggiore.
Questa opera di sincerità fu premiata e, a mano a mano che le parole dei bolscevichi si realizzavano nella realtà, il loro consenso e la loro autorevolezza crebbero.

Nel presente queste riflessioni sono assolutamente attuali.
Le forze politiche che oggi pongono l'obiettivo di attuare delle riforme nell'ambito di questo sistema, soffrono dello stesso offuscamento di prospettiva contro cui tuonava Lenin, poiché non tengono conto dello scontro tra le classi e dei rapporti di forza esistenti.

La condizione odierna d'arretratezza è colpa anche di chi ha abdicato al proprio ruolo d'avanguardia assumendo posizioni riformiste, mischiandosi in ampie coalizioni elettorali alla ricerca di un più ampio consenso seguendo la logica che di fronte ad una condizione arretrata suggerisce "compagni arretriamo".
La storia della Rivoluzione d'Ottobre ci insegna l'esatto contrario. Persino in una situazione rivoluzionaria, quando le masse spingevano verso sinistra, i bolscevichi tennero fede al proprio compito.

Partito Comunista dei Lavoratori
Pavia “sez. “Tiziano Bagarolo”

giovedì 8 novembre 2018

SANTI PRIVILEGI, GOVERNO GENUFLESSO



La Corte di Giustizia Europea ha sentenziato che lo Stato italiano dovrà recuperare enormi arretrati sulla vecchia imposta comunale relativa ai beni ecclesiastici (scuole, cliniche, alberghi, strutture turistiche...). Qualcosa che oscilla tra i 4 e i 5 miliardi.

Si tratta di privilegi scandalosi, garantiti dai famigerati Concordati e soprattutto codificati da tutti i governi capitalistici, gli stessi che in questi decenni hanno imposto ai lavoratori lacrime e sangue con la benedizione del clero. Il governo Amato, nel mentre picconava pensioni e risparmi, decretava l'esenzione fiscale per i beni del clero (1992). Il governo Berlusconi, che tagliava otto miliardi alla scuola pubblica, confermava la loro esenzione totale (2005). Il governo Prodi (Rifondazione Comunista inclusa) sanciva che l'esenzione avrebbe riguardato solo “gli edifici adibiti ad attività non esclusivamente commerciali” (2007), laddove l'avverbio “esclusivamente” serviva alla Chiesa per mantenere l'esenzione per una miriade di proprietà finalizzate al lucro ma provviste di una cappella. Una truffa. Oggi le scuole cattoliche di ogni ordine e grado (8800) che hanno rette inferiori ai settemila euro sono esentate da IMU e TARI. Lo stesso vale per le strutture sanitarie assistenziali cattoliche (ambulatori, ospedali, case di cura...) che sono convenzionate con la struttura sanitaria nazionale. Per non parlare degli alberghi ecclesiastici (uno su quattro a Roma) che al 50% non versano un euro di IMU. Si potrebbe continuare.

E ora? Ora assistiamo all'imbarazzato mutismo di tutti gli attori politici di fronte alla sentenza europea. Per applicare la sentenza della Corte Europea sarebbe necessaria una legge. Ma chi vuole intestarsi questa legge, o anche solo la sua proposta? Nessuno.

I vecchi partiti liberali di centrosinistra e centrodestra, organicamente legati al capitale, e dunque anche al Vaticano, se ne guardano bene. Il loro europeismo si arresta di fronte alla Chiesa. I nuovi partiti borghesi populisti oggi al governo fanno lo stesso. Altro che “governo del cambiamento”! Il M5S ha pubblicamente dichiarato che ha da tempo archiviato la pratica (“se ne occupava in passato il senatore Perilli, che ora non sta trattando alcun provvedimento inerente alla sentenza”). Come dire un conto l'opposizione, un conto il governo. La Lega ha dichiarato che la sentenza europea è un'operazione “contro l'Italia, perché sanno benissimo che non potremo chiedere alla Chiesa quelle cifre”. Del resto, chi poteva attendersi il contrario? Il premier Conte ardente fedele di Padre Pio; Di Maio reverente verso le lacrime di San Gennaro; Salvini impugnatore di crocifissi durante i comizi, potrebbero mai entrare in collisione con la Chiesa? Non si tratta peraltro di convinzioni individuali, religiose o meno. Si tratta dei legami materiali tra il capitale finanziario con cui i partiti borghesi - di ogni colore - governano e il fiorente capitalismo ecclesiastico che del capitale finanziario internazionale è parte integrante e inseparabile.

La sentenza europea può forse servire a Bruxelles nel negoziato in corso col governo italiano sulle politiche di bilancio. Di certo non servirà per incassare i soldi evasi dalla Chiesa.

La verità è che solo la classe lavoratrice può porre nel proprio programma la totale abolizione dei privilegi clericali, perché è l'unica classe che può rovesciare il capitale, e dunque il capitalismo ecclesiastico. Partiti borghesi e populisti stanno tutti dall'altra parte della barricata, compreso il governo “del popolo”, più che mai genuflesso all'Altare.

Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 7 novembre 2018

IL NOSTRO 7 NOVEMBRE



Organizzazioni e partiti che hanno rimosso dal proprio programma la Rivoluzione d'ottobre le riservano generalmente ogni 7 novembre una dedica rituale e retorica spesso infarcita di falsificazioni storiche. Per noi vale esattamente l'opposto. Noi cerchiamo di far vivere la Rivoluzione d'ottobre nella nostra politica di ogni giorno, immettendo la tensione verso il fine in ogni battaglia quotidiana: sul terreno sindacale, femminile, studentesco, antirazzista, antifascista, internazionalista. Perché solo il rovesciamento dello Stato borghese, la conquista proletaria del potere, il governo dei lavoratori e delle lavoratrici, possono dare prospettiva a tutte le rivendicazioni e ragioni delle masse oppresse e sfruttate. Oggi come un secolo fa.

Il 7 novembre non è dunque per noi una memoria ma un programma. È a questo programma che vogliamo riservare una memoria.

È una memoria particolare. Riguarda la pulsione internazionale della rivoluzione bolscevica, il suo concepirsi come inizio della rivoluzione mondiale e in funzione di essa. È questo l'aspetto del bolscevismo che più è stato rimosso. Anche per questo ci pare importante rievocarlo.
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Il primo atto dell'insurrezione bolscevica di novembre consistette nell'ordine impartito a tutti i comitati di compagnia e di reggimento e di armata sul fronte russo di dare inizio alla fraternizzazione con i tedeschi, di concludere immediati trattati di armistizio provvisorio con le unità militari schierate sull'altro lato del fronte.

La notte dell'8 novembre, al Congresso dei Soviet, Lenin lesse il decreto per la pace:

«Nell'indirizzare questa proposta di pace ai governi e ai popoli di tutti i paesi belligeranti, il governo operaio e contadino di Russia si rivolge in particolare agli operai coscienti delle tre nazioni più progredite dell'umanità [...]: alll'Inghilterra, alla Francia, alla Germania. Gli operai di questi paesi hanno reso i più grandi servigi alla causa del progresso e del socialismo: il movimento cartista in Inghilterra, le rivoluzioni portate avanti in successione dal proletariato francese, l'eroica lotta in Germania contro le leggi eccezionali antisocialiste e il lavoro lungo e ostinato [...] per la creazione di organizzazioni proletarie. [...] Questi esempi ci danno la garanzia che gli operai di questi paesi comprenderanno il loro compito, che consiste nel liberare l'umanità dagli orrori della guerra. Questi stessi operai ci aiuteranno nella nostra lotta per la pace e per la liberazione di tutte le classi lavoratrici dalla schiavitù e dallo sfruttamento nel mondo intero.»

Parallelamente fu lanciato un appello ai soldati tedeschi, stampato in milioni di copie, e non soltanto fatto passare clandestinamente da una parte all'altra del fronte, ma lanciato dagli aeroplani sul territorio della Germania:

«Soldati, fratelli, il 25 ottobre (secondo il vecchio calendario) gli operai e i soldati di San Pietroburgo hanno rovesciato il governo imperialista di Kerenskij e consegnato tutto il potere nelle mani dei soviet dei delegati degli operai, dei soldati, dei contadini. Il nuovo governo [...] ha avuto la fiducia del Congresso panrusso dei soviet. [...] Il nostro programma [...] comprende un'offerta di pace democratica immediata [...], il passaggio senza indennizzo di tutta la terra ai contadini [...], il controllo operaio sulla produzione e le attività industriali [...] Consideriamo nostro compito rivolgerci a voi in particolare in quanto appartenete a un paese che si trova alla testa della coalizione imperialista contro la Russia su un fronte tanto esteso.
Soldati, fratelli, vi chiediamo di schierarvi dalla parte del socialismo con tutte le vostre forze nella lotta per una pace immediata, perché questo è l'unico mezzo per assicurare una pace equa e duratura alle classi lavoratrici di tutti i paesi, e per sanare le ferite che l'attuale guerra criminale, la più criminale della storia, ha inflitto all'umanità.
»

Questo proclama fu accompagnato dall'”Appello alle masse lavoratrici e sfruttate di tutti i paesi”, tradotto in tutte le lingue.

Centinaia di migliaia di prigionieri e disertori tedeschi presentarono domanda di cittadinanza - immediatamente accolta - alla nuova Repubblica sovietica. A migliaia si arruolarono nell'Armata Rossa. Saranno i prigionieri tedeschi e austriaci a opporre la più efficace resistenza agli eserciti imperiali di Germania e Austria che avanzavano in Russia dopo Brest-Litovsk. Il primo maggio 1918, mentre assisteva alla parata a Mosca, l'ambasciatore tedesco, Conte Von Mirbach, trasalì alla vista di una compagnia di soldati tedeschi in marcia con le truppe sovietiche, sotto striscioni rossi coperti di scritte rivoluzionarie nella propria lingua.

Il governo tedesco, scandalizzato, ammonì il potere dei soviet che la propaganda rivoluzionaria costituiva una violazione dell'armistizio e dei negoziati di pace. Ma il governo dei soviet che pure aveva un drammatico bisogno di una pace immediata e per questo trattava, approvò il 23 dicembre la seguente risoluzione:

«In considerazione del fatto che il potere sovietico è basato sul principio della solidarietà internazionale del proletariato e sulla fratellanza dei lavoratori di tutte le nazioni, e che la lotta contro la guerra e contro l'imperialismo può avere successo solo se condotta su scala internazionale, il Consiglio dei Commissari del Popolo ritiene necessario venire in aiuto della corrente della sinistra internazionale del movimento operaio di tutti i paesi, con tutti i mezzi possibili, incluso lo stanziamento di fondi, indipendentemente dal fatto che tali paesi siano in guerra con la Russia o siano ad essa alleati o si dichiarano neutrali. A questo scopo il Consiglio dei Commissari del Popolo decide lo stanziamento della somma di due milioni di rubli [...] per le necessità del movimento operaio internazionale.»

L'Internazionale Comunista sarà costituita nel 1919 al servizio della rivoluzione mondiale, in continuità col programma della rivoluzione d'Ottobre.

Lo stalinismo distruggerà il bolscevismo e l'Internazionale, proprio perché rinnegherà il suo programma. Anche per questo la vera memoria dell'Ottobre è patrimonio del marxismo rivoluzionario, non di altri.


Partito Comunista dei Lavoratori