Con l'emendamento della Lega passato
in commissione bilancio, le donne in dolce attesa potranno lavorare fino al
nono mese di gravidanza, così da utilizzare i cinque mesi di congedo
interamente dopo il parto.
Questo governo, dunque, concede
l'ennesimo regalo ai padroni, nascondendone tutta la porcheria dietro un'apparente
avanzamento delle possibilità di scelta della donna.
Sappiamo, invece, che a pagare sono
le donne delle classi meno abbienti, le sfruttate, malpagate e precarie. Stime
recenti parlano di 350mila donne discriminate per il fatto di essere in stato
di gravidanza o per aver osato avanzare richiesta di conciliare lavoro e vita familiare.
Sono dati sottostimati dal momento che queste ingiustizie si consumano spesso
nel silenzio delle vittime che, per timore di ritorsioni o per non compromettere
ulteriormente la propria situazione lavorativa, decidono di tacere.
Inoltre le donne, al rientro dalla
maternità, il più delle volte, subiscono la non corretta riallocazione al rientro in
azienda, oppure l'assegnazione a turni incompatibili con la condizione di
neomamma, ma perfettamente previsti dal contratto. Emarginata a causa delle
insorte esigenze che per il padrone rappresentano nient'altro che un freno alla
produttività, ad esempio i permessi per allattamento o la richiesta di orari
migliori, la lavoratrice viene così indotta a lasciare il proprio impiego.
Possiamo affermare che lavorare fino
al nono mese di gravidanza sia tutt'altro che un avanzamento dei diritti della
donna, bensì un altro via libera allo sfruttamento più sfrenato.
Le fasce più deboli della popolazione
continuano a subire le contraddizioni del sistema capitalistico: mentre i
ricchi diventano sempre più ricchi, alle donne delle classi popolari viene
riservato di sommare alle fatiche della gravidanza anche quelle del lavoro,
trattate come merci in un momento della vita in cui la tranquillità dovrebbe
essere la condizione primaria.
Nel capitalismo, la sola cosa che
progredisce a ritmi serrati è l'abbrutimento della società, sostenuto da
governi troppo impegnati a servire gli interessi della classe dominante.
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