“Bisogna
disabituarsi e smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in
cui l’uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da empire e stivare di
dati empirici; di fatti bruti e sconnessi che egli poi dovrà casellare nel suo
cervello come nelle colonne di un dizionario per poter poi in ogni occasione
rispondere ai vari stimoli del mondo esterno. Questa forma di cultura è
veramente dannosa specialmente per il proletariato. Serve solo a creare degli
spostati, della gente che crede di essere superiore al resto dell’umanità
perché ha ammassato nella memoria una certa quantità di dati e di date, che
snocciola ad ogni occasione per farne quasi una barriera fra sé e gli altri.
Serve a creare quel certo intellettualismo bolso e incolore […] che ha
partorito tutta una caterva di presuntuosi e di vaneggiatori, più deleteri per
la vita sociale di quanto siano i microbi della tubercolosi o della sifilide
per la bellezza e la sanità fisica dei corpi. Lo studentucolo che sa un po’ di
latino e di storia, l’avvocatuzzo che è riuscito a strappare uno straccetto di
laurea alla svogliatezza e al lasciar passare dei professori crederanno di
essere diversi e superiori anche al miglior operaio specializzato che adempie
nella vita ad un compito ben preciso e indispensabile e che nella sua attività
vale cento volte di più di quanto gli altri valgano nella loro. Ma questa non è
cultura, è pedanteria, non è intelligenza, ma intelletto, e contro di essa ben
a ragione si reagisce. […]La cultura è una cosa ben diversa. È organizzazione,
disciplina del proprio io interiore, è presa di possesso della propria
personalità, è conquista di coscienza superiore, per la quale si riesce a
comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri
diritti e i propri doveri. Ma tutto ciò non può avvenire per evoluzione
spontanea, per azioni e reazioni indipendenti dalla propria volontà, come
avviene nella natura vegetale e animale in cui ogni singolo si seleziona e
specifica i propri organi inconsciamente, per legge fatale delle cose. L’uomo è
soprattutto spirito, cioè creazione storica, e non natura. Non si spiegherebbe
altrimenti il perché, essendo sempre esistiti sfruttati e sfruttatori, creatori
di ricchezza e consumatori egoistici di essa, non si sia ancora realizzato il
socialismo. Gli è che solo a grado a grado, a strato a strato, l’umanità ha
acquistato coscienza del proprio valore e si è conquistato il diritto di vivere
indipendentemente dagli schemi e dai diritti di minoranze storicamente
affermatesi prima. E questa coscienza si è formata non sotto il pungolo brutale
delle necessità fisiologiche, ma per la riflessione intelligente, prima di
alcuni e poi di tutta una classe, sulle ragioni di certi fatti e sui mezzi
migliori per convertirli da occasione di vassallaggio in segnacolo di
ribellione e di ricostruzione sociale. Ciò vuol dire che ogni rivoluzione è
stata preceduta da un intenso lavorio di critica, di penetrazione culturale, di
permeazione di idee attraverso aggregati di uomini prima refrattari e solo
pensosi di risolvere giorno per giorno, ora per ora, il proprio problema
economico e politico per se stessi, senza legami di solidarietà con gli altri
che si trovavano nelle stesse condizioni. […]
È attraverso
la critica della civiltà capitalistica che si è formata o si sta formando la
coscienza unitaria del proletariato, e critica vuol dire cultura, e non già
evoluzione spontanea e naturalistica. Critica vuol dire appunto quella
coscienza dell’io che Novalis dava come fine alla cultura. Io che si oppone
agli altri, che si differenzia e, essendosi creata una meta, giudica i fatti e
gli avvenimenti oltre che in sé e per sé anche come valori di propulsione o di
repulsione. Conoscere se stessi vuol dire essere se stessi, vuol dire essere
padroni di se stessi, distinguersi, uscire fuori dal caos, essere un elemento
di ordine, ma del proprio ordine e della propria disciplina ad un ideale. E non
si può ottenere ciò se non si conoscono anche gli altri, la loro storia, il
susseguirsi degli sforzi che essi hanno fatto per essere ciò che sono, per
creare la civiltà che hanno creato e alla quale noi vogliamo sostituire la
nostra. […]”
(Antonio
Gramsci, Socialismo e Cultura, da Il Grido del Popolo del 29 gennaio 1916)
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