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giovedì 4 ottobre 2018

DEMOLIRE L’ARTIFICIOSA OTTICA NAZIONALISTA E DEL COMUNE INTERESSE DEL PAESE



La retorica dell'unità nazionale, dei supremi interessi della nazione, della patria borghese è nemica dei lavoratori e deve essere rispedita al mittente. Ogni grande sconfitta della sinistra è stata accompagnata dal cedimento di fronte alla visione di interessi comuni tra capitalisti e lavoratori, quale ne sia la giustificazione. Lo fu durante la prima guerra mondiale quando i socialdemocratici accettarono di entrare in guerra per conto dei propri Paesi; lo è stato nel dopoguerra quando all'apice del conflitto sociale il PCI berlingueriano teorizzò l'idea del compromesso storico e della politica di solidarietà nazionale, al posto di dare il colpo al governo della DC attirando a sé anche la forza del movimento giovanile.

La sinistra moderna, figlia del revisionismo post '89, ha incarnato il peggiore tradimento sociale degli ultimi decenni, e per questo paga le conseguenze. Non solo ha fatto propria la visione della società capitalistica, sposando apertamente gli interessi dei grandi gruppi finanziari, ma cosa ancora peggiore, ha riposto in questi gruppi e nelle loro organizzazioni internazionali (Unione Europea, ecc…) la propria fiducia per la costruzione di un sistema di convivenza internazionale non vedendone il carattere intimamente reazionario. 
Il fallimento di questa illusione fa precipitare i lavoratori e le classi popolari dalla padella alla brace.

Il trionfo dei "sovranisti" altro non è che questo: la risposta al fallimento di una visione di legame tra gli interessi dei lavoratori e dei capitalisti a livello globale, con la ripresa della formula delle nazioni e degli opposti interessi nazionali. 
Una disputa tutta interna a settori del capitale in cui le classi popolari sono poste alla coda delle diverse fazioni.  La strategia di sfondamento dell'elettorato tradizionalmente socialdemocratico si fonda proprio sulla chiamata alle armi dell'unità nazionale, creando una immedesimazione unitaria di tutto il popolo, indipendentemente dalla propria appartenenza di classe nel destino comune della nazione. Così il conflitto tra gruppi capitalistici sull'appropriazione di quote di ricchezza viene dipinto come scontro tra l'Italia e l'Europa, come fossero entità astratte e unitarie, e così via per le crescenti dispute tra paesi. Il nazionalismo è il piano inclinato su cui si costruisce il futuro scontro, che a cento anni dalla Prima Guerra Mondiale non ammette a sinistra sconti e sottovalutazioni. Ogni cedimento alla sua retorica è un tradimento dell'interesse finale dei lavoratori, un nuovo rischio di compromissione nei disegni dei capitalisti.
I neofascisti che avranno la strada spianata dal populismo oggi al governo, hanno già chiara la propria strategia. A noi il compito di demolire la retorica dell'ottica nazionalista e del comune interesse del Paese, oggi come ieri nemica dei lavoratori.

Come ebbe a dire Gramsci d'altronde, tanto l'inconsistenza socialdemocratica che la retorica della destra nazionaliste sono unite da un comune denominatore: «la politica di evitare il problema fondamentale, il problema del potere, e di deviare l'attenzione e le passioni delle masse su obiettivi secondari, di nascondere ipocritamente la responsabilità storico-politica della classe dominante, riversando le ire popolari sugli strumenti materiali e spesso inconsapevoli della politica della classe dominante»
Compito dei comunisti disvelare questa politica e riportare sempre la questione al problema fondamentale, far sì che quel problema sia percepito dalle masse e costruire su di esso una moderna strategia politica.

PCL Pavia 

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