La retorica dell'unità nazionale, dei supremi interessi della nazione,
della patria borghese è nemica dei lavoratori e deve essere rispedita al
mittente. Ogni
grande sconfitta della sinistra è stata accompagnata dal cedimento di fronte
alla visione di interessi comuni tra capitalisti e lavoratori, quale ne sia la
giustificazione. Lo fu durante la prima guerra mondiale quando i
socialdemocratici accettarono di entrare in guerra per conto dei propri Paesi;
lo è stato nel dopoguerra quando all'apice del conflitto sociale il PCI
berlingueriano teorizzò l'idea del compromesso storico e della politica di
solidarietà nazionale, al posto di dare il colpo al governo della DC attirando
a sé anche la forza del movimento giovanile.
La sinistra moderna, figlia del revisionismo post '89, ha incarnato il peggiore tradimento sociale degli ultimi decenni, e per questo paga le conseguenze. Non solo ha fatto propria la visione della società capitalistica, sposando apertamente gli interessi dei grandi gruppi finanziari, ma cosa ancora peggiore, ha riposto in questi gruppi e nelle loro organizzazioni internazionali (Unione Europea, ecc…) la propria fiducia per la costruzione di un sistema di convivenza internazionale non vedendone il carattere intimamente reazionario.
La sinistra moderna, figlia del revisionismo post '89, ha incarnato il peggiore tradimento sociale degli ultimi decenni, e per questo paga le conseguenze. Non solo ha fatto propria la visione della società capitalistica, sposando apertamente gli interessi dei grandi gruppi finanziari, ma cosa ancora peggiore, ha riposto in questi gruppi e nelle loro organizzazioni internazionali (Unione Europea, ecc…) la propria fiducia per la costruzione di un sistema di convivenza internazionale non vedendone il carattere intimamente reazionario.
Il
fallimento di questa illusione fa precipitare i lavoratori e le classi popolari
dalla padella alla brace.
Il trionfo dei "sovranisti" altro non è che questo: la risposta al fallimento di una visione di legame tra gli interessi dei lavoratori e dei capitalisti a livello globale, con la ripresa della formula delle nazioni e degli opposti interessi nazionali.
Il trionfo dei "sovranisti" altro non è che questo: la risposta al fallimento di una visione di legame tra gli interessi dei lavoratori e dei capitalisti a livello globale, con la ripresa della formula delle nazioni e degli opposti interessi nazionali.
Una disputa
tutta interna a settori del capitale in cui le classi popolari sono poste alla
coda delle diverse fazioni. La strategia di sfondamento dell'elettorato
tradizionalmente socialdemocratico si fonda proprio sulla chiamata alle armi
dell'unità nazionale, creando una immedesimazione unitaria di tutto il popolo,
indipendentemente dalla propria appartenenza di classe nel destino comune della
nazione. Così il conflitto tra gruppi capitalistici sull'appropriazione di
quote di ricchezza viene dipinto come scontro tra l'Italia e l'Europa, come
fossero entità astratte e unitarie, e così via per le crescenti dispute tra
paesi. Il nazionalismo è il piano inclinato su cui si costruisce il futuro
scontro, che a cento anni dalla Prima Guerra Mondiale non ammette a sinistra
sconti e sottovalutazioni. Ogni cedimento alla sua retorica è un tradimento
dell'interesse finale dei lavoratori, un nuovo rischio di compromissione nei
disegni dei capitalisti.
I
neofascisti che avranno la strada spianata dal populismo oggi al governo, hanno
già chiara la propria strategia. A noi il compito di demolire la retorica
dell'ottica nazionalista e del comune interesse del Paese, oggi come ieri
nemica dei lavoratori.
Come ebbe a dire Gramsci d'altronde, tanto l'inconsistenza socialdemocratica che la retorica della destra nazionaliste sono unite da un comune denominatore: «la politica di evitare il problema fondamentale, il problema del potere, e di deviare l'attenzione e le passioni delle masse su obiettivi secondari, di nascondere ipocritamente la responsabilità storico-politica della classe dominante, riversando le ire popolari sugli strumenti materiali e spesso inconsapevoli della politica della classe dominante».
Come ebbe a dire Gramsci d'altronde, tanto l'inconsistenza socialdemocratica che la retorica della destra nazionaliste sono unite da un comune denominatore: «la politica di evitare il problema fondamentale, il problema del potere, e di deviare l'attenzione e le passioni delle masse su obiettivi secondari, di nascondere ipocritamente la responsabilità storico-politica della classe dominante, riversando le ire popolari sugli strumenti materiali e spesso inconsapevoli della politica della classe dominante».
Compito dei
comunisti disvelare questa politica e riportare sempre la questione al problema
fondamentale, far sì che quel problema sia percepito dalle masse e costruire su
di esso una moderna strategia politica.
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