di Piero Nobili
Partito Comunista dei Lavoratori
Ottanta anni
fa in Italia venivano promulgate le leggi razziali. Prima con la pubblicazione
del "Manifesto della razza", una specie di decalogo del buon ariano
redatto da un gruppo di accademici, e poi con un decreto varato dal Gran
Consiglio del fascismo che stabilisce i comportamenti da tenersi nei confronti
degli ebrei, l'Italia fascista rende esecutiva una legislazione anti ebraica.
La stampa
del regime apre subito una campagna anti semitica. Esce la rivista "La
difesa della razza", diretta da Telesio Interlandi, che ha come segretario
di redazione Giorgio Almirante, colui che nel secondo dopoguerra sarà per lungo
tempo il segretario del M.S.I.
Per la
penisola vengono organizzate conferenze che esaltano l'idea della
"supremazia della razza ariana", che plaudono alla romanità cattolica
è fascista, baluardo della civiltà contro ebraismo e bolscevismo.
Sull'argomento
vengono interpellati zoologi ed esperti di craniometria, mentre il pregiudizio
del confronti dei cittadini di origine ebraica cresce a dismisura. Sul finire
del 1938 la legislazione in materia viene meglio precisata: Sono impediti i
matrimoni misti, e gli ebrei sono banditi dalla vita pubblica, dalle scuole,
non possono esercitare le professioni liberali, non possono avere domestici
ariani, e via dicendo.
Negli anni a
seguire saranno quasi 180 i provvedimenti razziali adottati dal fascismo. Uno
degli ultimi obbligava al lavoro coatto gli ebrei. Solo l'ingresso dell'Italia
in guerra, frena la decisione di Mussolini di allontanare tutti i cittadini di
origine ebraica dall'Italia. Questi reietti rimangono bloccati in un paese che
non li vuole.
Con le leggi
razziali il regime configura due tipi di cittadinanza: una piena e una
oltremodo limitata. In questo modo vengono poste le basi della successiva
estensione anche all'Italia della pratica nazista della deportazione di massa
nei campi di sterminio. Nel 1938, la "politica della razza" imposta
da Mussolini viene accolta senza particolari clamori. Molti elementi vi
contribuiscono: In primo luogo il conformismo e l'assuefazione verso un regime
dittatoriale ormai consolidato. Assai timido è l'atteggiamento della Chiesa
cattolica che non incoraggia in alcun modo prese di posizioni critiche. In una
certa misura, nella società pesano anche gli stereotipi anti ebraici da secoli
instillati dall'educazione religiosa per cui gli ebrei restano il "popolo
deicida".
Basti
pensare,che ancora in quel tempo la Liturgia della Settimana Santa iniziava con
"Oremus pro perfidis judeis" (preghiamo per i perfidi giudei).
L'IDEOLOGIA RAZZISTA
La
responsabilità della persecuzione razziale ricade anche sulla casa regnante dei
Savoia. I regi decreti firmati da Vittorio Emanuele III,la solerzia applicativa
delle leggi da parte degli apparati pubblici legati alla corona, ben lungi dal
dimostrare un presunto cedimento del Re soldato, rilevano invece una profonda
compromissione della monarchia con il fascismo. A maggior ragione nel 1938,
quando con l'approssimarsi della guerra, tra la dinastia sabauda e il fascio
littorio si sviluppa una dinamica di rinegoziazione dei rispettivi ambiti di
potere, in previsione dei possibili benefici che l'imperialismo italiano
avrebbe potuto trarre dal conflitto che si andava preparando. Le leggi razziali
di Mussolini rappresentano la quintessenza del suo progetto gerarchico,
razzista e oppressivo. Come un ininterrotto filo nero macchiato di sangue, esso
si dipana per tutto il ventennio: prima la distruzione delle organizzazioni del
movimento operaio, con migliaia di militanti di sinistra uccisi e incarcerati
nella "più spietata guerra civile e anti proletaria" come la definì
Gramsci, poi lo sviluppo delle politiche
razziali in Africa durante gli anni dell'impero, ed infine la
persecuzione degli ebrei.
Secondo una
corrente storiografica molto in voga, la base di tale scelta è da ricercare
nell'accordo tra Germania e Italia in cui l'Italia accettava la politica del
nazismo e la sua concezione razziale. Secondo Renzo De Felice (che pone il
fascismo fuori dal cono d'ombra dell'olocausto), l'antisemitismo era troppo
importante per l'ideologia nazista perché non dovesse essere accettata da un
alleato che volesse essere tale.
È Mussolini
voleva essere alleato di Hitler, convinto di poter godere dei vantaggi
garantiti dalle espansionismo nazista. In realtà l'ideologia razzista è fin
dall'inizio connaturata al fascismo. Già nel 1921, Mussolini sottolinea con
enfasi la necessità di essere orgogliosi della nostra razza italica. Sempre in
quegli anni, Giovanni Preziosi parlava di complotto o coalizione "ebraico-
massonica- plutocratica che congiurava contro la nazione". Il razzismo
fascista è essenzialmente un razzismo biologico, ossia basato su quella
concezione pseudo-scientifica secondo la quale l'umanità è divisa in razze, il
cui diverso valore biologico (oltre che storico e culturale) giustifica l'
inevitabile dominio di alcune sulle altre. Le leggi razziali del 1938, non sono
un errore, un incidente di percorso, come accredita invece quella vulgata,
revisionismo storico, che sostiene la falsa idea che il fascismo, fosse in fin
dei conti una dittatura bonaria che si sarebbe macchiata di un'unica colpa:
l'avere introdotto nel 1938 una legislazione anti ebraica.
Lo stesso
Berlusconi, pochi anni fa in occasione della giornata della Memoria sostenne lo
stesso concetto: per tanti versi Mussolini aveva fatto bene ma il fatto delle
leggi razziali è stata la peggiore colpa.
Anche
Roberta Lombardi, esponente di primo piano del M5S ha recentemente convalidato
questa tesi dicendo che l'ideologia fascista "prima che degenerasse, aveva
una dimensione nazionale di comunità attinta a piene mani dal socialismo, un
altissimo senso dello Stato e la tutela della famiglia.
UN PUNTO DI ARRIVO
Le leggi
razziali del 1938, rappresentano dunque un punto di arrivo, e non di partenza.
La politica
di vera e propria discriminazione razziale introdotta nelle colonie africane
assoggettati al regime lo dimostra. Le popolazioni indigene cadute sotto il
dominio dell'Italia fascista subiscono ogni sorta di violenza. "Non c'è
città o villaggio, in Etiopia, dove non siano state rizzate delle forche",
scrive lo storico del colonialismo italiano Angelo del Boca. Mussolini riprende
la tradizione della prima fase dell'espansione coloniale italiana, accentuando
la metodica spietatezza, già presente nel periodo antecedente: la deportazione
di intere popolazioni e la loro segregazione in campi di concentramento diventa
la norma, mentre l'uso intensivo delle armi chimiche per le uccisioni di massa,
rappresenta plasticamente la brutalità del regime. Inoltre, prima del 1938,
nelle colonie viene introdotta una normativa razzista che legittima la
repressione dei dominati. In questo modo, viene sancita la superiorità
dell'italiano nei confronti dei sudditi africani, e il diritto a segregare,
discriminare e punire. Un vero e proprio apartheid che precede e prepara le
norme antisemite promulgate nel 1938. In questa riduzione a esseri inferiori
dei colonizzati va segnalata la condizione delle donne che subiscono "una
segregazione nella segregazione". Considerate alla stregua di animali,il
regime favorirà la consuetudine da parte degli ufficiali di prendere con sé una
donna locale come domestica o schiava sessuale.
Il
cosiddetto "madamato" sarà uno dei grani della corona del rosario
fatta di massacri, stupri e schiavitù Imposta dal fascismo in Etiopia. Come
scriveva Leon Trotsky proprio in quel periodo: "la sola caratteristica del
fascismo che non sia mascherata, è la volontà di potenza, di dominio,
saccheggio. Il fascismo è una soluzione chimicamente pura dell'imperialismo".
In un frangente storico in cui il fascismo viene "normalizzato", e
dalla pancia del paese affiorano pulsioni di estrema destra è utile e
necessario coltivare la memoria storica di ciò che è venuto. Una memoria
storica da trasmettere ai più giovani, se si
vuole controbattere con efficacia a quella narrazione neofascista, che
oggi utilizzando svariate declinazioni e sfumature, si sta riproponendo con
forza.
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