L'imperialismo
italiano non va in quarantena
La vicenda
della liberazione di Silvia Romano, per una probabile intercessione turca, ha
messo in allarme il Corriere della Sera. Non c'entra nulla in questo caso la
questione del riscatto pagato né tanto meno la conversione religiosa
dell'interessata, che hanno suscitato tanto livore sui social. Il quotidiano di
Banca Intesa si occupa di questioni ben più rilevanti. Più precisamente
dell'”interesse nazionale” dell'Italia nei confronti della Turchia.
Un
editoriale ispirato di Franco Venturini muove l'allarme: cosa si aspetta
Erdogan dall'Italia in cambio della liberazione della prigioniera?
«La Turchia
di Erdogan, anche in questo periodo di pandemia, non ha ceduto un centimetro
delle sue ambizioni e talvolta della sua arroganza militare. Ankara alimenta
una politica di penetrazione nei Balcani occidentali come fa la Russia, in
competizione con quella della UE e della NATO, pur essendo la Turchia un socio
di rilievo dell'Alleanza. Ancora più spinti e costosi sono i suoi insediamenti
in Africa, dove comincia a rivaleggiare seriamente con Cina e Russia. [...] E
ci sono, soprattutto, la Libia e il Mediterraneo. Le navi militari turche che
allontanano dalle acque di Cipro chi ha titolo (come l'ENI) per effettuare
prospezioni. Le mire non dissimulate sulle ricchezze energetiche della
Tripolitania (dove gli interessi prevalenti sono di nuovo italiani) e anche
delle acque contigue.»
Suonato
l'allarme (“mamma li turchi!”) il Corriere invoca una politica estera energica
a difesa dell'interesse nazionale, contro ogni possibile viltà.
«Serve una
linea politico-economica e anche militare che non c'è [...] S'intende che siamo
ormai abbondantemente fuori gioco nel Corno d'Africa come, colpevolmente, in
molte altre contrade del Continente Nero. [...] A Tripoli in particolare, quale
è la nostra linea? [...] Serraj ha trovato nella Turchia un padrino ben più convincente
e prontissimo a usare la forza o a fornire armamenti moderni, noi ci siamo
collocati nella terra di nessuno in posizione equidistante [...] Eppure la
partita italo-turca, e la credibilità reciproca, si giocano in Libia e nel
futuro delle sue ricchezze energetiche. Mentre Erdogan spara volentieri e sogna
una rivincita neo-ottomana, l'Italia balbetta [...] e non ha un fronte politico
interno in grado di appoggiare un uso intelligente (come in verità è stato
fatto a Misurata) dello strumento militare. [...] Ora si tratta di affrontare
quel che bolle in pentola.»
Ora, non
abbiamo capito cosa propone esattamente il Corriere della Sera all'amata
Italia. Porsi anche lei come padrino di Serraj, o puntare tutto sulla carta
Haftar? Ciò che abbiamo capito è che in ogni caso occorre «usare la forza» e
non balbettare, per affermare il nostro posto al sole in Tripolitania e
sbarrare il passo alla Turchia. Del resto, dopo aver «colpevolmente» disertato
in Corno d'Africa e nel «Continente Nero», si può forse rinunciare al controllo
della Libia? Il principale quotidiano del capitalismo italiano, da sempre
sensibile all'interesse di ENI, non potrebbe tollerare un affronto simile.
Che dire?
L'imperialismo torna sempre sul luogo del delitto. Più di un secolo fa l'imperialismo
straccione tricolore, sotto la guida del liberale Giolitti, strappò la Libia
all'Impero ottomano in disfacimento, entrando così nel grande gioco coloniale.
Gas asfissianti, campi di concentramento, massacri di civili per piegare la
resistenza berbera furono pane quotidiano delle forze italiane di occupazione.
Il fascismo riprenderà e allargherà questa macelleria. Oggi il liberale
Corriere della Sera aggiorna la bandiera dell'imperialismo italiano in Africa,
ripulendola dei suoi crimini, e chiedendo un rilancio. Che avvenga in piena
pandemia non sorprende nessuno. Come nessuno si sorprende del grande rilancio
di Fincantieri nella produzione di navi militari, col via libero unanime del
Parlamento italiano. Non ospedali, ma sommergibili e fregate lanciamissili.
È la patria
del Corriere, non sarà mai la nostra. Altro che sovranismo!
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