IL PASSO DI
CARICA DI CONFINDUSTRIA E IL PASSO DEL GAMBERO DI LANDINI
Editoriale
di Marco Ferrando – UdC nr4 Maggio/Giugno
Carlo Bonomi
irrompe sullo scenario politico della crisi italiana. Non contento di aver
determinato come capo di Assolombarda la rinuncia alla zona rossa in Val
Seriana, non soddisfatto di aver ottenuto la riapertura generale della
produzione nonostante l'assenza nelle regioni del Nord di condizioni di
sicurezza per i lavoratori, il nuovo Presidente di Confindustria presenta la
nuova piattaforma padronale. “Occorre rivedere, azienda per azienda, la
questione degli orari settimanali, e delle settimane di lavoro durante l'anno,
al di là delle attuali norme contrattuali. È necessaria la cancellazione
dell'IRAP e la liberalizzazione completa degli appalti”.
Questo
programma parla chiaro: mano libera nella gestione della forza lavoro e
controllo padronale sulla finanza pubblica. La pressione materiale della più
grande crisi del dopoguerra spinge il padronato su una linea d'attacco che
sembra riesumare l'impostazione di Marchionne nel 2010: una linea di
sfondamento antioperaio fuori dalle regole della vecchia contrattazione.
Il quadro è
tuttavia più complicato. Marchionne guidava un'azienda da ricollocare sul
mercato mondiale, anche per questo agì in proprio e si separò da Confindustria.
Bonomi di Confindustria è il presidente eletto. Una linea Marchionne come
linea generale del padronato italiano avrebbe
una valenza dirompente assai più ampia;
richiede un quadro politico istituzionale stabile e al tempo stesso lo
sollecita.
Il governo
Conte asseconda le pressioni di Confindustria, regalandole una pioggia di
miliardi a partire dalla cancellazione della prima tranche dell'IRAP. Uno
scandalo, tanto più in piena emergenza sanitaria. Ma è un governo segnato dalle
contraddizioni esplosive della sua maggioranza, e dalla minaccia dello
sfaldamento della sua base parlamentare al Senato. È un governo che ha potuto
gestire l'emergenza sanitaria – cui deve anzi paradossalmente la
sopravvivenza – ma non ha la forza per gestire la “ricostruzione”. Men che meno
una politica d'urto. Il grande capitale sogna non a caso un governo Draghi con
ampia e stabile base parlamentare, come vagheggia la nuova direzione di
Repubblica voluta dagli Agnelli. Tuttavia, nelle condizioni date non è una
soluzione disponibile. La fragilità del quadro politico complica la linea
Bonomi.
Ma c'è una
seconda preoccupazione di Confindustria, che convive contraddittoriamente coi
suoi piani di guerra. Il timore di un conflitto sociale. Da tempo lo spettro
della “rivolta sociale” inquieta l'immaginario della borghesia. I padroni
hanno la misura della profondità della crisi italiana. Sentono lo smottamento
sociale di ampi settori di piccola borghesia condannati alla rovina. Sanno che
milioni di salariati saranno investiti da una valanga, che gli ammortizzatori
sono precari, che i costi del debito pubblico da accollare ai salariati saranno
imponenti. Reggerà la società italiana a una prova così
impegnativa, in un quadro politico e
istituzionale tanto fragile? Questo è l'interrogativo su cui si esercitano da
tempo gli ambienti della borghesia liberale.
Gli scioperi
operai del mese di marzo hanno scosso gli industriali, persino al di là della
loro oggettiva portata. Perché hanno materializzato il rischio di una frattura
sociale ingovernabile. La reazione padronale a questo rischio non è stata la
rottura col sindacato e la CGIL, ma l'opposto. La ricerca dell'accordo con la
burocrazia, del suo coinvolgimento, della sua compromissione nello spegnimento
del conflitto. I protocolli d'accordo tra padroni e burocrati sulla sicurezza
nei luoghi di lavoro sono fatti di cartapesta ma hanno un grande significato
politico. Stanno a dire che il padronato vuole coprirsi le spalle nelle
fabbriche usando il sindacato come ammortizzatore. La linea della FCA, che
dopo dieci anni riabilita la FIOM coinvolgendola nella gestione della ripresa
produttiva, è al riguardo emblematica.
Proprio
perché è sospinto dalla profondità della crisi a un salto obiettivo della
propria offensiva, il padronato chiede alla burocrazia sindacale di sminare
preventivamente il terreno. E la burocrazia sindacale risponde. “Occorre
evitare che la paura dei lavoratori si trasformi in rabbia”: questa frase
di Maurizio Landini riassume con straordinaria efficacia la politica della
burocrazia. Il gruppo dirigente della CGIL si candida a controllore del
conflitto sociale agli occhi del padronato.
L'enfasi
posta nei protocolli d'intesa è la valorizzazione del proprio ruolo di
burocrazia. “In questa grande crisi è vostro interesse collaborare con noi,
perché solo noi possiamo offrirvi la pace sociale”: questa è la risposta
della direzione sindacale alle preoccupazioni padronali. La paura di essere
scaricati dai padroni rimpiazza la difesa dei lavoratori.
Il risultato
di questa politica è uno solo: incoraggia i padroni a proseguire la propria
offensiva. La burocrazia smina il terreno, l'offensiva padronale avanza.
L'assenso
pubblico di Landini a un decreto governativo che taglia l'IRAP, cioè il
principale sostegno fiscale alla sanità, è solo un risvolto penoso di una
politica generale: mostrare un volto disponibile e accomodante per dire al
padronato che con la CGIL ci si può intendere. Il risultato è che ora i padroni
non solo ignorano le piattaforme contrattuali di milioni di lavoratori, ma
mettono in discussione una volta di più la stessa cornice del contratto nazionale.
Il passo del gambero di Landini sospinge il passo di carica dei padroni.
I lavoratori
sono abbandonati dai propri stati maggiori alla paura di una crisi terribile e
al salto della offensiva padronale.
Il tutto
senza una piattaforma di riferimento, senza una linea di mobilitazione e
resistenza.
Costruire
una direzione alternativa del movimento operaio, politica e sindacale, è più
che mai all'ordine del giorno.
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