In tutto il
mondo i governi adottano misure sempre più stringenti per contenere la pandemia
da coronavirus: accentrando i poteri, rafforzando la sorveglianza digitale e
introducendo limitazioni alla mobilità e alla libertà di espressione. In un
momento di paura e di smarrimento, ampie fette della popolazione accettano
provvedimenti che, in condizioni normali, risulterebbero intollerabili. Alcune
di queste misure sono un concentrato di ipocrisia: in Italia si sanzionano i
cittadini che superano i duecento metri oltre la propria abitazione, mentre in
nome del profitto si consente la circolazione di milioni di lavoratori
comandati per eseguire produzioni per nulla essenziali; si fanno alzare in volo
i droni per scovare i runners, ma non si chiudono nemmeno le fabbriche che
sorgono laddove si concentra maggiormente il focolaio dell’infezione.
IL MODELLO
UNGHERESE
Con il
pretesto dell’emergenza sanitaria alcuni leader approfittano di questa fase
eccezionale per abusare del proprio potere e rinforzarlo a dismisura. Il
contrasto della pandemia rischia così di favorire una tendenza autoritaria che,
in nome dell’eccezionalità, sospende le garanzie democratiche e alimenta una
spirale repressiva tesa a neutralizzare ogni possibile contestazione all’ordine
costituito.
Emblematico
è ciò che è avvenuto in Ungheria, dove il primo ministro Viktor Orbán si è
attribuito i pieni poteri, che gli consentiranno d’ora in avanti di governare
per decreto senza rendere conto a nessuno. Le norme approvate dalla destra
nazionalpopulista definiscono una cornice semidittatoriale: chiusura del
parlamento, blocco delle elezioni e facoltà di sospendere o cambiare le leggi
già in vigore. Il tutto a tempo indeterminato. Inoltre, la legge introdotta lo
scorso 30 marzo prevede pene severissime per chi violasse il coprifuoco e
diffondesse “notizie false”. A questo proposito solo le "fonti
ufficiali" potranno esprimersi sull’andamento della pandemia. Visti i
precedenti, è facile prevedere che i soggetti passibili di questa sanzione, che
prevede il carcere, saranno individuati tra coloro che oseranno avanzare
qualsiasi critica nei confronti della politica, sanitaria e non, del governo
magiaro.
A stretto
giro di posta anche la Slovenia ha, in modo edulcorato, ricalcato il modello
magiaro. Il premier Janez Janša, conferendosi i poteri speciali, ha costituito
un presidio di comando che togliendo alla sanità la gestione dell’emergenza, ha
messo in mora la stessa Costituzione del paese, che non contempla un simile
stravolgimento.
La deriva
reazionaria che si sta sviluppando in questa parte d’Europa governata da
esecutivi di destra e di estrema destra non giunge inaspettata, è il frutto di
anni di avvelenamento politico, sociale, civile e culturale. L’avanzata dei
sovranisti si è nutrita di un mix demagogico fatto di muri innalzati, di
barriere inaccessibili, di protezionismo arcigno e di chiusura delle frontiere.
Queste misure hanno alimentato l’illusione che il nazionalismo possa, in
qualche modo, meglio difendere le comunità locali dai venti gelidi della crisi.
Dopo decenni di crescita, la contrazione economica ha generato insicurezza,
frustrazione e paura della povertà. La débâcle del movimento operaio e delle
sue organizzazioni ha agevolato questo processo regressivo, perché non trovando
ostacoli sul suo cammino, la deriva reazionaria s’è imposta modificando i
caratteri stessi della società.
UN PERICOLO
ALL'ORIZZONTE
Ciò che sta
avvenendo in questa parte d’Europa indica un potenziale pericolo che potrebbe
estendersi: lo smottamento in direzione post-democratica e autoritaria del
continente; lo stato d’emergenza che si muta rapidamente in stato d’eccezione.
Le
difficoltà nell'affrontare un’emergenza sanitaria che rivela sempre più
chiaramente il completo fallimento dei governi capitalisti, incapaci persino di
assicurare le mascherine al personale sanitario, può suggerire agli stessi
l’adozione di una governabilità marcatamente autoritaria; l’inveramento di una
democrazia immunodepressa che si nutre di uno stato d’eccezione permanente.
A maggior
ragione nel momento in cui la crisi sanitaria si combina con quella economica,
moltiplicando lo shock sulla popolazione. Nei prossimi mesi le ricadute sociali
saranno pesanti.
Il Fondo
Monetario Internazionale prevede per l’anno in corso un impatto devastante
della pandemia sull’economia mondiale, con un calo consistente del PIL, mentre
l’agenzia delle Nazioni Unite prevede un incremento «drastico e devastante» dei
licenziamenti e delle riduzioni dei salari e dell’orario di lavoro. A questo
proposito, l’autorevole rivista statunitense The Nation nel suo numero di marzo
scrive: «La combinazione dei salvataggi plutocratici e della precarietà
crescente, insieme al pericolo per l’incolumità fisica della classe lavoratrice
è esplosiva. È difficile non vedere come tutto ciò possa durare senza una
rottura dell’ordine sociale». Nella nuova, inedita fase che si sta aprendo, le
classi dominanti sono consapevoli che neanche i regimi più consolidati in
apparenza sono al riparo dalla lotta di classe, che prima o poi si può
riaffacciare e presentare il conto.
Proprio per
contrastare le prevedibili reazioni dei lavoratori, e per prevenire lo sviluppo
di movimenti antisistemici in grado di incrinare lo status quo capitalista, le
classi dominanti possono trovarsi nelle condizioni di dover ridefinire i propri
strumenti: adeguando le forme istituzionali al nuovo contesto di crisi
concentrata e accelerata che si sta affermando; affinando i dispositivi
repressivi, rendendo più pervasive le forme di controllo sociale.
Questa
ricalibratura degli strumenti di dominio avviene su un terreno già arato.
Nell’ultimo trentennio, sullo sfondo del crollo dell’Unione Sovietica e della
sconfitta dell’ultimo ciclo di lotte operaie, la borghesia ha ristabilito un
nuovo paradigma sociale, che vede una drastica riduzione dell’autonomia di
classe dei lavoratori, e una concentrazione di potere e di ricchezza al vertice
della piramide sociale. Da questo processo sono emerse anche le tendenze
strutturali che hanno progressivamente investito i sistemi
politico-istituzionali. In quest’ottica di governance, la demonizzazione delle
lotte sociali e l’affermazione di una contesa politica che si svolge attorno ad
un’agenda dai margini discrezionali molto limitati è diventata una legge
politica inscalfibile.
In questo
quadro nella stessa Unione Europea si teorizza ormai apertamente la necessità
di passare a una democrazia post-parlamentare, perché i problemi posti dalla
globalizzazione sarebbero ormai tanto complessi da richiedere una crescente
dose di delega ai gestori amministrativi.
Inoltre, sul
piano più strettamente coercitivo, gli stravolgimenti operati sono stati
profondi: dalle legislazioni antisciopero vigenti in molti paesi europei al
tentativo di criminalizzare le lotte introdotto in Italia con il decreto
sicurezza, passando per il tentativo di costituzionalizzare lo stato
d’emergenza in Francia. Tutto ciò disegna un quadro normativo teso a salvaguardare
in ogni modo l’accumulazione capitalista. Non a caso in Ungheria, appena
ottenuti i pieni poteri, Orbán ha dato piena attuazione alla riforma del
mercato del lavoro, ribattezzata “legge schiavitù”, che prevede fino a
quattromila ore di straordinario, circa un’ora e mezza di lavoro in più al
giorno che può essere pagata anche tre anni dopo.
VERSO UNO
STATO D'ECCEZIONE PERMANENTE?
La natura
dell’attuale crisi e la sua dimensione globale fanno sì che oggi le scelte
politiche che si realizzano per salvaguardare gli assetti di potere (a
differenza di altri episodi di crisi ciclica del capitalismo) si consumino
all’interno di una cornice emergenziale che rischia di diventare un’ordinaria e
non revocabile prassi di governo.
Le misure di
controllo imposte in questi giorni, il presidenzialismo de facto e la
blindatura della società potranno tornare utili per inibire le lotte, e
garantire una governabilità posta al riparo da qualsiasi possibile
contestazione che provenga dal mondo del lavoro. Inoltre, in questa fase
emergenziale, il cosiddetto “capitalismo della sorveglianza” può conoscere un
nuovo stadio di avanzamento, visto che i sistemi di monitoraggio continuo della
popolazione per segnali biometrici, che si stanno sperimentando al fine di
proteggere la salute pubblica, potrebbero diventare permanenti ed essere
utilizzati per scopi differenti.
È possibile
che l’uscita dalla crisi sanitaria, quando si verificherà, produrrà una
profonda ristrutturazione dei rapporti all’interno della società, rendendo il
distanziamento una normalità che accentua l’individualismo delle persone in una
separatezza tra sé e gli altri, impedendo così il ricongiungimento delle
domande sociali e l’individuazione del nemico comune.
Questi temi,
così rilevanti e così interconnessi con le attuali dinamiche operanti nel
tessuto sociale del paese, dovranno essere al centro della riflessione e
dell'avanguardia e della sinistra di classe. Nella dire un forte e chiaro no
alla gestione capitalista della crisi sarà necessario ricondurre la battaglia
in difesa degli spazi democratici con la critica a questo criminale modello
capitalista, che funge da incubatore e propulsore della riduzione della
democrazia e del peggioramento delle condizioni di vita delle classi
subalterne.
Importante
sarà capire le tendenze principali che si stanno producendo, ma soprattutto
sarà fondamentale rilanciare una concreta dinamica di lotta, perché da questa
crisi si esce soltanto tornando ad organizzarsi sul posto di lavoro e sul
territorio. Solo tornando a lottare per difendere le nostre condizioni di vita
si può scongiurare il futuro di sofferenza sociale e di miseria, che le classi
dominanti stanno preparando.
Piero Nobili
Una analisi lucida della forte compressione dei diritti democratici individuali e collettivi nella situazione di emergenza sanitaria. Ma anche una inquietante prospettiva se i lavoratori non daranno una risposta coniugando la difesa delle libertà democratiche con la difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro. Difesa ancorpiu necessaria per il prospettato aumento della disoccupazione e dell'aumento del debito che si vorrà scaricare sulla classe lavoratrice e suoi alleati e sulla piccola borghesia impoverita. Allora sarà necessario una forte risposta con un fronte unico dei sindacati conflittuali che rompa gli steccati settari e autocentrate delle singole organizzazioni sindacali e con l'avvio di processi unitari. Così come sarà necessario il fronte unico dei partiti della sinistra di classe e di opposizione. Ma questo fronte unico, ampio, unitario, non deve annacquare le posizioni del marxismo rivoluzionario che anzi dovranno essere rafforzate per la conquista di quadri, militanti e della classe in prospettiva di una alternativa di società.
RispondiEliminaComunque queste misure dopo quelle dei decreti sicurezza 1 e 2 il capitale tenterà di mantenerle stabili per rispondere alla crisi che già lo attenagliava prima della emergenza e che adesso è precipitata. Sarà di estrema importanza essere presenti anche per evitare che le masse finiscono in mano alla reazione.
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