Precipita
l'economia, volano i bond aziendali americani
L'economia
americana precipita dentro la recessione mondiale e il calo annunciato del
commercio internazionale, una recessione ben più profonda di quella “storica”
del 2008/2009, sia negli USA che nel mondo.
Privi
persino (dello straccio) delle protezioni sociali e sanitarie europee, gli
Stati Uniti sono esposti all'onda d'urto della crisi più di ogni altro paese
imperialista. La china della recessione è stata tanto più ripida perché
preceduta dalla più lunga stagione positiva nella storia economica USA
(2010-2020). Venti milioni di nuovi disoccupati nel solo arco di poche
settimane misurano la tragedia sociale che la crisi trascina con sé. Ed è solo
l'inizio.
In un quadro
tanto drammatico ci si attenderebbe una caduta generale di tutti i valori
economici. Così non è. I bond aziendali americani stanno conoscendo proprio
oggi un autentico boom, attraendo investimenti finanziari da tutto il mondo,
banche italiane incluse. A cosa si deve tanto successo? Alle politiche
finanziarie della Federal Reserve, quella che europeisti borghesi e sovranisti
di casa nostra additano ad esempio virtuoso in contrapposizione alla BCE.
Dopo aver
acquistato in soli due mesi 1500 miliardi di titoli di stato USA ed altri 600
miliardi di bond legati ai mutui, la Fed ha iniziato ad acquistare a mani basse
i bond emessi dalle aziende USA: cioè i titoli finanziari che i capitalisti
americani mettono sul mercato per rifarsi del calo dei profitti prodotto dalla
crisi. Se la Fed dirotta una pioggia di miliardi verso i bond aziendali, i bond
vedono salire il proprio valore alle stelle, e dunque attraggono come una
calamita speculatori e affaristi di tutto il mondo. Il grande flusso degli
acquirenti esteri moltiplica a sua volta il valore dei bond, con comprensibile
soddisfazione dei grandi azionisti che li emettono, i quali investono il
ricavato nell'acquisto delle proprie azioni (buy-back) per sostenere il loro
valore di Borsa a Wall Street.
Nulla
potrebbe spiegare meglio la follia del capitalismo quanto il divario tra
produzione e finanza. Da un lato sovrapproduzione di merci, chiusure di
aziende, licenziamento di milioni di lavoratori e lavoratrici. Dall'altro il
casinò del mercato finanziario nel quale gli stessi capitalisti che distruggono
il lavoro reale arricchiscono le proprie fortune. È una divaricazione che può
innescare alla lunga nuovi crolli, premessa di possibili riprese. Ciò che in
ogni caso misura è il parassitismo delle classi dominanti. Non solo quello dei
capitalisti americani, ma dei capitalisti del mondo intero.
Molti
economisti borghesi cosiddetti progressisti parlano di economia reale e della
finanza come di due mondi separati; il primo virtuoso, il secondo patologico.
Nella sostanza si tratterebbe di proteggere l'economia capitalista dalle
esagerazioni e turbolenze del mercato finanziario. La stessa lettura della
crisi del 2008 è stata piegata a questa rappresentazione di comodo. Ma le cose
stanno altrimenti. L'enorme espansione del parassitismo finanziario è alimentata
dalla crisi dell'economia reale, dalla sovrapproduzione di merci e capitali. È
la caduta del saggio di profitto nell'economia reale a spingere i capitali in
eccesso in direzione della speculazione finanziaria. Lenin inquadrava questo
aspetto nella natura stessa dell'imperialismo moderno. Un secolo dopo, il
raggio di espansione del parassitismo capitalista ha conosciuto un ampliamento
enorme, come in nessuna altra epoca precedente.
È un indice
di maturità della rivoluzione socialista quale unica soluzione della crisi
dell'umanità.
Costruire la
coscienza di questa verità nelle lotte di classe di ogni giorno è il compito
internazionale dei comunisti.
Partito
Comunista dei Lavoratori
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