Confindustria
va all'attacco ma chiede alla CGIL di disarmare le resistenze
In Italia
occorre «una democrazia negoziale costruita e radicata su una grande alleanza
pubblico-privato su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per
mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le
rappresentanze del mondo dell'impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo
settore, della ricerca e della cultura. [...] una solida cornice di impegni
decennali.» (Carlo Bonomi, Il Sole 24 Ore, 17 giugno)
Questo
concetto della democrazia negoziale è la cifra della nuova politica di
Confindustria. A Bonomi non basta la democrazia borghese tradizionale, quella
per cui il parlamento “democraticamente eletto” (con leggi elettorali più o
meno truffaldine, coi mezzi di informazione in mano ai capitalisti, coi mille
strumenti di condizionamento e controllo della classe lavoratrice, dalle
burocrazie sindacali al clero sino ai partiti borghesi, che son tutti sul libro
paga dei padroni, come rivelano i loro stessi bilanci) esprime a sua volta il
governo quale comitato d'affari della borghesia. No, Bonomi non si accontenta
di soluzioni ordinarie. Vuole tenere il governo borghese sotto pressione,
sottoporlo alla propria vigilanza, costringerlo a un rapporto vincolante e quotidiano
con le richieste di Confindustria. Cui non basta un proprio governo, vuole
anche dettargli direttamente il passo, i tempi, la direzione di marcia (gli
«impegni decennali»), ben oltre i limiti della legislatura. In altri termini,
vuole commissariare l'esecutivo. Quello di oggi e di domani.
Non è una
petizione casuale. È in arrivo una massa gigantesca di risorse finanziarie di
provenienza europea che Confindustria vuole intascare. Ma soprattutto avanza la
più grande crisi del dopoguerra che scuote il capitalismo italiano come nessun
altro in Europa. E Confindustria chiede infatti misure di guerra.
Confindustria
chiede un impegno decennale nella riduzione del debito pubblico (gonfiato dai
trasferimenti alle imprese, dalle garanzie statali sui crediti alle imprese,
dai continui tagli di tasse ai capitalisti, oltre che dalla profonda
recessione), e per questo denuncia una spesa sociale troppo sbilanciata sulla
spesa previdenziale. Colpire la spesa per le pensioni è dunque il primo impegno
decennale che Confindustria chiede al governo; la condizione per incassare la
fiducia di banche e assicurazioni che investono sui titoli pubblici, tenere
bassi gli interessi, ottenere finanziamenti a buon mercato.
Confindustria
chiede l'abbattimento del costo del lavoro: taglio del cuneo fiscale a
vantaggio delle imprese, e a carico della fiscalità generale (dunque dei
lavoratori); cancellazione definitiva delle causali sui contratti a termine,
visti da ora in poi come unica vera forma contrattuale e la via più agile per i
licenziamenti; taglio delle ferie in agosto e massima flessibilità degli orari
per recuperare produttività, ordini e commesse; distruzione annunciata di un
milione e mezzo di posti di lavoro (secondo cifre confindustriali);
ammortizzatori a più basso costo (“basta finanziamenti a pioggia” a sostegno
del reddito) per liberare altri miliardi a favore dei profitti. Perché la
pioggia di miliardi è produttiva se ingrassa i capitalisti, è assistenziale se
sorregge i disoccupati, tra i quali i licenziati dai capitalisti. Questo è il
secondo impegno decennale.
Ma
Confindustria non si avventura da sola su questa linea d'attacco. Non segue la
linea Marchionne del 2010-2011, quella dello scontro frontale con la FIOM e la
CGIL. Al contrario. Prova a coinvolgere la CGIL nella «democrazia negoziale»,
ad assorbirla nella «solida cornice di impegni decennali»: Bonomi offre a
Landini un posto al tavolo della concertazione, in cambio della sua funzione di
ammortizzatore e controllore delle possibili resistenze della classe al
programma confindustriale. “Non è il momento del conflitto, è il momento della
mediazione sociale” ha replicato prontamente Landini, mostrando di aver colto e
raccolto il segnale. La direzione è chiara: l'emergenza della grande crisi
sospinge l'unità nazionale tra padroni e burocrazie, dove i padroni guidano e i
burocrati seguono. Come sempre.
Rompere il
patto sociale in gestazione, unire l'azione delle forze d'avanguardia attorno a
una piattaforma indipendente, portare la piattaforma di lotta tra le masse per
costruire un grande fronte unico di mobilitazione e resistenza, costruire nella
lotta una direzione alternativa del movimento operaio e sindacale: sono i
compiti dell'avanguardia di classe nella prova di forza che si prepara in
autunno.
Partito
Comunista dei Lavoratori
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