La nuova
intesa tra governo, padroni, burocrazie sindacali
Non potendo
portare la realtà al livello dell'esigenza umana, il protocollo adatta
l'esigenza alla realtà. Quella del capitalismo, un'organizzazione della società
che in Italia spende 30 miliardi annui in spese militari ma non può dare
all'operaio nemmeno una mascherina
Il 24 aprile
governo, padroni e burocrazie sindacali hanno stipulato un nuovo protocollo
d'accordo per “la ripartenza”. Le direzioni sindacali lo hanno presentato come
sviluppo del precedente protocollo d'intesa del 14 marzo. In realtà ne
rappresenta in larga parte la ricopiatura. L'unica vera novità è il riferimento
a non meglio precisati comitati territoriali che dovrebbero vigilare sul
rispetto delle norme sanitarie nelle proprie zone. Per il resto nulla di nuovo.
Una lunga serie di «possono...» quando si parla dei padroni, di «devono...»
quando si parla dei lavoratori. I lavoratori «devono» (giustamente) restare a
casa in caso di febbre superiore a 37,5 gradi e informare subito l'azienda se
manifestano sintomi di influenza. L'azienda «potrà» disporre di misure
protettive. La responsabilità della sicurezza è un obbligo per l'operaio, una
facoltà per il suo padrone.
In realtà
l'intera logica del protocollo è la “sicurezza” degli operai secondo le
disponibilità dei padroni. Una modica quantità di salute compatibile con la
legge del profitto, e con le sue miserie. Che questa sia il vero significato
dell'intesa lo dimostra l'esempio banale delle mascherine, il dispositivo di
protezione individuale elementare. Il protocollo riesce a dire tutto e il suo
contrario sull'argomento. Dice che saranno le intese aziendali ad indicare i
dispositivi di protezione individuale da adottare «sulla base del complesso dei
rischi valutati». Dunque non esiste una prescrizione generale. Poi afferma che
le mascherine dovranno essere garantite solo qualora il lavoro imponga di
lavorare a distanza minore di un metro. Ma anche che l'adozione «è
evidentemente legata alla disponibilità in commercio» delle stesse. Ma se
«evidentemente» in commercio non se ne trovano?
Di più. Si
dice che qualora un lavoratore accusi sintomi da Covid-19 dovrà essere posto in
isolamento e «dotato, ove già non lo fosse, di una mascherina chirurgica». “Ove
già non lo fosse”: dunque l'accordo riconosce, incidentalmente, che l'adozione
della mascherina non è dovuta. Insomma, la defatigante trattativa notturna per
stipulare l'intesa, di cui ci parlano le cronache, è stata spesa per trovare
l'equilibrio fra tutto e il suo opposto. Tra il sì, il no, il forse. Un
equilibrio effettivamente non facile, ma nulla a che fare con la sicurezza dei
lavoratori.
L'esempio
banale delle mascherine demolisce alla radice l'intero castello di carta del
protocollo. Se non c'è garanzia neppure del dispositivo di protezione più
elementare, se anzi neppure il protocollo la richiede, di cosa stiamo parlando?
La verità è
che il protocollo non richiede la mascherina perché nella realtà se ne trovano
poche. Secondo il Politecnico di Torino occorrerebbero 35 milioni di mascherine
al giorno per coprire la ripartenza. Secondo Il Sole 24 Ore addirittura 40. Ma
le 87 aziende rapidamente convertitesi alla loro produzione (perché attratte da
incentivi fiscali) ne sfornano al massimo 3 milioni (tre!) su scala
giornaliera, mentre il commercio mondiale alza ovunque barriere nazionali
protezioniste a difesa dei propri articoli sanitari. Dunque, per dirla con la
parole del protocollo, non c'è una adeguata disponibilità di commercio delle
mascherine. Per non parlare dei loro prezzi e delle immonde speculazioni in
materia.
Non potendo
portare la realtà al livello dell'esigenza umana, il protocollo adatta
l'esigenza alla realtà. Quella del capitalismo. Quella di un'organizzazione
della società che in Italia spende quasi 30 miliardi annui in commesse militari
ma non riesce ad assicurare all'operaio neppure venti centimetri di stoffa per
la sua protezione dal contagio.
Per non
vedere questa enormità occorre essere ciechi. Per non provare scandalo di
fronte ad essa occorre essere cinici. Da inguaribili rivoluzionari non siamo né
l'uno né l'altro.
Partito Comunista
dei Lavoratori
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