La
burocrazia sindacale ai tempi del coronavirus
La
burocrazia sindacale ai tempi del coronavirus
«Va
assicurata subito la liquidità alle imprese [...] È importante prevedere forme
di prestito agevolato e misure fiscali che tutelino le imprese, anche il sistema
bancario può svolgere un importante ruolo sociale. Ma le imprese non devono
chiudere, né delocalizzare...»
Queste sono
le parole che Maurizio Landini ha voluto riservare al quotidiano di
Confindustria in una lunga intervista di domenica 5 aprile, alla vigilia del
Consiglio dei ministri che avrebbe varato 400 miliardi di garanzie pubbliche a
favore delle banche perché facciano prestiti alle imprese.
Il
significato dell'intervista non sta negli appelli platonici ai padroni perché
non chiudano. Sta nella pubblica perorazione della richiesta centrale di
Confindustria: “dateci soldi e datecene tanti”. Non a caso Il Sole 24 Ore ha
incorniciato l'intervista col titolo “Urgente la liquidità alle imprese”. Come
dire: messaggio ricevuto e rilanciato.
Il gioco è
trasparente. Confindustria cerca tutte le sponde possibili per difendere gli
interessi dei propri associati. Assolve in definitiva il proprio ruolo. La
sponda sindacale, se è disponibile, è di prim'ordine per i padroni. Ma in
questo caso la sponda della burocrazia CGIL non è servita loro per (cercare di)
rimuovere gli scioperi di fabbrica, come in occasione del protocollo d'intesa
sulla sicurezza. No. È servita solamente per battere cassa, con un'eco più
forte, presso il Consiglio dei ministri. Così come i padroni usarono a fine
febbraio un comunicato congiunto Confindustria/sindacati contro gli eccessivi
“allarmismi” sul coronavirus nel nome de “L'Italia non si ferma”. Anche allora
gli industriali si fecero forti nel rapporto col governo della complicità
sindacale. Purtroppo erano gli stessi giorni in cui Confindustria lombarda
poneva il veto (criminale) alla soluzione Codogno per Bergamo e Brescia.
Ma la
funzione di un segretario della CGIL è quella di sostenere le cause degli
industriali presso il governo? Qualcuno dirà che quella di Landini è una
tattica intelligente per ottenere contropartite vantaggiose sul terreno
sindacale. Ma di quali contropartite stiamo parlando? I padroni stanno forzando
ovunque per riaprire le fabbriche attraverso la pressione sulle prefetture
mettendo in gioco la salute dei lavoratori. E ora, dopo aver beneficiato, col
plauso CGIL, dei 400 miliardi di garanzie pubbliche a favore dei prestiti
bancari, chiedono di “non sperperare denaro pubblico” per dare reddito a chi
finisce su una strada (magari dopo essere stato usato come lavoratore in nero
da un padrone evasore). Di più: chiedono liberi voucher in agricoltura,
“assoluta e totale libertà di deroga negli appalti” (Bonomi), nuova
flessibilità in fabbrica per “ritrovare la produttività” (Bazoli), e
naturalmente un progetto di rientro prima o poi dal nuovo debito accumulato
dallo Stato. Tradotto in prosa: nuovi sacrifici per gli operai.
Sarebbero
queste le contropartite della disponibilità mostrata da Landini?
Il paradosso
è che oggi la concertazione sindacale, in buona parte, è praticata solo dalle
direzioni sindacali, non dai padroni. È una concertazione... unilaterale, se
così si può dire. Ma ugualmente vantaggiosa per lor signori. Perché i padroni
sanno, col loro fiuto di classe, qual è il vero rischio. Leonardo del Vecchio,
fondatore di Luxottica, lo ha esplicitato chiaramente: «Ho vissuto le bombe e
la guerra, la fame e la povertà. Da tutto questo ne potremo uscire solo in due
modi: con la rabbia lasciata correre per le strade, o puntando sul sacrificio e
sulle energie di tutti» (La Repubblica, 4 aprile). E per i sacrifici di «tutti»
(?), e soprattutto per contenere «la rabbia», la burocrazia sindacale è uno
strumento sperimentato.
Partito
Comunista dei Lavoratori
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