L'incoronazione
di Nicola Zingaretti a nuovo segretario del PD è stata celebrata da tanta stampa
liberale, Repubblica in testa, come il segno di una svolta attesa. Un settore
significativo della borghesia liberale, rimasta orfana di una rappresentanza
politica diretta, saluta con entusiasmo una possibile ripresa del PD. È la
speranza del ritorno al “normale” bipolarismo tra centrodestra e
centrosinistra, che rimpiazzi l'attuale governo dei parvenu e ripristini
l'agognata alternanza, il pendolo che per vent'anni ha incardinato in Italia il
corso delle politiche borghesi di austerità.
È una via
che non appare in discesa. Le destre (diversamente) reazionarie che governano
l'Italia hanno ancora un capitale di consenso complessivamente maggioritario,
grazie al tappeto che i governi del PD hanno loro offerto. E il vento europeo
non promette nulla di buono. Tuttavia è vero che la crisi del blocco sociale
del M5S e il capovolgimento dei rapporti di forza nella maggioranza possono
minare la tenuta politica del governo, tanto più a fronte di un compito
temerario: varare una legge di stabilità zavorrata in partenza da 23 miliardi
per le clausole Iva sullo sfondo di una possibile recessione economica. Quale
alternativa di governo in caso di frana dell'attuale esecutivo? Questo è
l'interrogativo che la borghesia liberale si pone. La speranza di una rinascita
del PD si pone in questo orizzonte.
Ma cosa
c'entra tutto questo con la sinistra? Una parte di popolo della sinistra appare
risucchiata dall'illusione di ritorno nel PD. Un tempo fu l'illusione per
Bersani, dopo la stagione liberal di Veltroni. Oggi è l'illusione per
Zingaretti, dopo (e contro) la stagione del renzismo. Ogni volta si cerca nel
PD il volto amico di una possibile sinistra rediviva, ma ogni volta si prende una
inevitabile facciata. La natura politica e sociale di un partito non dipende
dal nome del segretario, ma dalle sue relazioni materiali con le classi sociali
e la loro lotta. Certo, la fisionomia del gruppo dirigente non è irrilevante, e
sicuramente il renzismo ha incarnato, coi suoi tratti populisti e bonapartisti
di consorteria di provincia, un corso politico particolarmente reazionario del
partito. Ma quel corso politico potè farsi strada nel PD grazie alla natura
borghese del partito, ai suoi legami organici col capitale, alla sua vocazione
antioperaia. Questa natura cambia forse con Zingaretti segretario? No. Cambia
il corso politico del partito, subentra una gestione più collegiale e meno
pirotecnica, si confeziona un'immagine pubblica meno respingente e più attenta
in apparenza alle ragioni sociali; ma il cambio d'abito di stagione non cambia
la natura del partito che l'indossa. E i primi fatti lo documentano
eloquentemente.
Il primo
atto di Nicola Zingaretti è stato osannare il TAV. Il secondo è stato
applaudire al manifesto europeo di Macron. Non si tratta di scelte casuali. Il
nuovo segretario del PD ha voluto segnalare al capitale italiano ed europeo che
il partito non ha cambiato la propria ragione sociale; ha voluto assicurare la
borghesia che può ancora affidarsi al PD. Del resto: Gentiloni presidente del
PD mette un timbro inconfondibile di continuità, non meno del sostegno a
Zingaretti dell'area Franceschini e di Minniti, o del corteggiamento di
Calenda. Lo stesso programma del nuovo segretario ne fa fede: nessuna revisione
delle misure antioperaie del renzismo (l'articolo 18 resta soppresso), nessuna
revisione delle politiche di Minniti sull'immigrazione, a parte il richiamo
rituale ai valori democratici e progressisti. Sarebbe questa... la svolta?
Certo, Nicola Zingaretti non è così ingenuo da ripercorrere i sentieri suicidi di Bersani. Se
dopo le europee il governo Conte cadrà non offrirà (probabilmente) i voti del
PD a un nuovo governo Monti chiamato a varare lacrime e sangue, né spenderà
precocemente la carta incauta di un'apertura al M5S. Chiederà probabilmente
elezioni politiche, proverà a rilanciare il PD, rifare i suoi gruppi
parlamentari (oggi prevalentemente renziani), ricostruire un campo di
centrosinistra con chi a sinistra gli farà da stampella. Con quale obiettivo?
Quello di sempre: riconquistare il governo del capitalismo italiano,
amministrare i suoi interessi, riverniciare il tutto con un po' di salsa
progressista. Con chi governare lo vedrà in base agli equilibri del nuovo
Parlamento, e senza escludere nessuna soluzione, neppure quella di un governo
con il M5S.
Il movimento
operaio e le sue ragioni sociali non hanno nulla da spartire col PD, oggi come
ieri.
La demarcazione dal PD di un campo di classe dei lavoratori e delle lavoratrici resta una necessità inaggirabile, che l'esperienza dei fatti confermerà ogni giorno, contro ogni illusione.
La demarcazione dal PD di un campo di classe dei lavoratori e delle lavoratrici resta una necessità inaggirabile, che l'esperienza dei fatti confermerà ogni giorno, contro ogni illusione.
Partito Comunista dei Lavoratori
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