UNITÀ DI CLASSE
– Giornale Comunista dei Lavoratori
Editoriale di Marco Ferrando
Il governo
brinda al mantenimento delle promesse, ma le promesse si riducono ad elemosine
truffaldine. E il prezzo dell'intesa col capitale finanziario, in sede
nazionale ed europea.
ELEMOSINE E
TRUFFA
La fatidica
"abolizione" della Legge Fornero si riduce alla parentesi di tre anni
cui le donne e moltissimi lavoratori non riusciranno peraltro ad accedere. Per
il resto rimane l'età pensionabile a 67 anni, che continuerà a lievitare verso
l'alto per il meccanismo immutato delle aspettative di vita, e resta il sistema
contributivo quale mannaia per la giovane generazione. Il reddito di
cittadinanza si riduce a un reddito minimo, quale esiste in tanti paesi
capitalisti: una cifra irrisoria e temporanea, condizionata alla disponibilità
di lavoro (precario) da un capo all'altro d'Italia, in una logica di
concorrenza tra disoccupati (tra chi ha i requisiti e chi no) e di
schiacciamento dei salari verso il basso; mentre le imprese ottengono in premio
nuove massicce regalie fiscali e contributive. Per di più entrambe le elemosine
sono subordinate, nero su bianco, alla tenuta dei conti. Se il deficit
concordato con l'Unione Europea viene sforato le concessioni sociali saranno
sforbiciate. In ogni caso a pagare le elemosine sono chiamati i beneficiari.
Sia
attraverso nuovi prestiti sul mercato finanziario e relativi interessi; sia
attraverso lo spostamento in avanti del carico di spesa sul 2020 e 2021 ( 23
miliardi di clausola sull'Iva il 2020, e ben 28,8 miliardi sul 2021); sia
attraverso un insieme di misure di "austerità" scritte nero su bianco
in finanziaria: blocco delle indicizzazioni delle pensioni dai 1520 euro lordi
, come previsto dalla Fornero; taglio di 4 miliardi sulla scuola; blocco delle
assunzioni per il 2019 in larga parte delle pubbliche amministrazioni, con un
nuovo colpo alla sanità; liberalizzazione degli aumenti delle tasse locali; 18
miliardi di nuove privatizzazioni nel solo 2019 ( a proposito di chi in estate,
dopo il caso Autostrade, alludeva alle "nazionalizzazioni").
Sarebbe
questa la "manovra del popolo"?
LA
SECESSIONE DEI RICCHI?
Non è tutto.
Il governo Conte ha avviato una operazione di vera e propria secessione dei
ricchi. Si tratta del negoziato con le regioni del Nord attorno al nodo delle
autonomie. Il progetto delle autonomie sbandierato dai governatori di Veneto e
Lombardia si presenta nella veste neutra di una riforma istituzionale: maggiori
competenze alle Regioni, che sarebbero "più vicine ai cittadini"
rispetto allo Stato centrale. In realtà si tratta di una operazione sociale. Le
amministrazioni del Nord a guida leghista vogliono mettere le mani su una quota
maggiore di entrate fiscali attraverso il loro trattenimento sul territorio. O
attraverso il trattenimento in loco del 90% del gettito Irpef prodotto, come
nella richiesta iniziale del governatore del Veneto. O attraverso un calcolo
dei costi dei servizi prodotti che motivi in altra forma lo stesso risultato.
L'obiettivo è dare più soldi e ridurre le tasse alle imprese del proprio
territorio, a spese dei salariati e della popolazione povera del resto d'Italia.
Da un lato si colpisce ogni criterio di solidarietà
Sociale
nella redistribuzione delle risorse: se le regioni del Nord trattengono una
parte più grande del gettito, sono le regioni del Sud, già svantaggiate, che ne
sono private; dall'altro si progetta una regionalizzazione dei rapporti
lavorativi e contrattuali, a partire dalla scuola: insegnanti che fanno lo
stesso lavoro ma hanno salari diversi a seconda della ricchezza maggiore o minore
della propria regione, per fare solo un esempio. E un progetto di attacco al
lavoro salariato che mira alla sua frantumazione corporativa su base territoriale.
E un colpo all'unità dei lavoratori, e dunque alla loro forza, ad esclusivo vantaggio
dei loro padroni, al Nord e al Sud.
IL GOVERNO
SI AVVALE DELL'ASSENZA DI UNA OPPOSIZIONE.
Il punto
critico è che il governo conserva un elevato consenso a livello di massa,
perché le sue truffe non appaiono ancora come tali. Non conta la realtà ma l'apparenza.
Per meglio dire l'apparenza è un tassello della realtà. Il governo continua
infatti a beneficiare, nella percezione di massa, della memoria dell'austerità
dei governi passati.
L'opposizione
liberale di PD e FI alle misure sociali del governo, nel nome del rigore dei
conti, rafforza questo effetto ottico.
Tra Lega e
M5S c'è e ci sarà una lotta a coltello per la spartizione del consenso, con un
indubbio rafforzamento della Lega a scapito del suo alleato rivale. Ma un
diverso equilibrio nel rapporto di forza tra le due destre avviene nel quadro
di un consenso complessivo sostanzialmente immutato. Mentre le odiose campagne
xenofobe e la recita nazionalista contro Macron mantengono una sintonia col
senso comune di ampi strati popolari, depistando le loro insoddisfazioni.
Questo
quadro d'insieme non è certo privo di contraddizioni. Lega e M5S rispondono a
blocchi sociali diversi. La Lega è sotto la pressione di una borghesia del Nord
che punta alle grandi opere, a partire dalla Tav, e chiede l'ulteriore riduzione
fiscale promessa. Il M5S è sotto la pressione di un blocco sociale meridionale
che chiede protezione e garanzie, a partire da reddito e lavoro. Prima
l'accordo di governo, poi la legge di stabilità, hanno trovato un punto di
equilibrio tra esigenze politiche diverse. Ma l'equilibrio è provvisorio e
instabile. Lo è dal punto di vista politico, perché una eccessiva divaricazione
tra M5S e Lega alle elezioni europee potrebbe destabilizzare l'alleanza. Lo è
dal punto di vista economico sociale, se solo si pensa al negoziato sulle
autonomie regionali o alla composizione della prossima legge finanziaria sotto
l'enorme peso delle clausole Iva.
PER UN'
ALTRA DIREZIONE DEL MOVIMENTO OPERAIO E SINDACALE.
Tuttavia,
l'esperienza di questi mesi conferma una volta di più una lezione di fondo:
nessuna contraddizione politica tra le due destre al governo potrà essere
capitalizzata a sinistra senza una ripresa dell'iniziativa di massa
dell'opposizione di classe.
È
l'arretramento progressivo del movimento operaio di questi anni ad aver sospinto
la stagione populista. È solo una ripresa di lotta di massa che può cambiare lo
scenario italiano. L'esperienza internazionale ci dice che una ripresa di massa
può essere innescata da fattori imprevedibili. Ma l'avanguardia della classe e
dei movimenti sociali ha la responsabilità di affrettare i processi e lavorare
all'innesco: attraverso il metodo dell'unità d'azione, una proposta di
piattaforma generale unificante, la chiarezza di un progetto anticapitalista.
Il solo che può contrapporsi alla reazione.
La CGIL ha
concluso il proprio congresso, dopo una lotta sorda all'interno della
burocrazia dirigente, senza la minima indicazione in termini di mobilitazione.
L'immagine pubblica di Landini può mascherare ma non rimuovere questa realtà.
La verità è che Landini ha coronato le proprie ambizioni di carriera dopo il
peggior contratto della storia dei metalmeccanici e grazie ad esso; ed ora a
braccetto con CISL e UIL si limita a pietire l'attenzione del governo. Ma i lavoratori
non hanno bisogno dell'attenzione di Salvini e di Maio, che in ogni caso
rispondono ad altri interessi sociali. Hanno bisogno di una direzione nuova e
di lotta che sappia ricostruire tra le masse la fiducia nella propria forza e
la riconoscibilità delle proprie ragioni indipendenti. Costruire controcorrente
una direzione alternativa del movimento operaio è parte inseparabile, tanto più
oggi, del rilancio dell'opposizione di massa.
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