La crisi del
nazionalismo latinoamericano ha trovato in Venezuela il suo punto di massima
precipitazione. La crisi ha una precisa base materiale, connessa alla crisi
capitalistica internazionale iniziata nel 2008.
Il Venezuela è il paese che ha i maggiori giacimenti petroliferi del mondo. Il
modello capitalistico venezuelano si reggeva e si regge sull'esportazione del
petrolio. Il regime “bolivariano” ha fatto dell'esportazione petrolifera la
fonte di finanziamento di misure sociali per ampi settori di massa, attraverso
il sistema delle cosiddette missiones. Misure sociali sicuramente più limitate
di quelle elargite a suo tempo, in un altro contesto storico, dal nazionalismo
peronista in Argentina, e tuttavia capaci di assicurare al chavismo una vasta
base di appoggio negli strati popolari, urbani e rurali. L'appoggio popolare, a
sua volta, diveniva la principale leva negoziale del regime nazionalista nel
proprio rapporto con la borghesia venezuelana (innanzitutto la Federcameras),
con gli stati imperialisti (a partire dagli USA), con le loro multinazionali
(in particolare nel campo estrattivo). L'organizzazione attiva della base di
massa del chavismo era in funzione di questa politica. L'osmosi del regime con
l'apparato militare, attraverso l'offerta di ruoli centrali agli ufficiali in
campo economico (aziende statali) e istituzionale (governatorati), metteva in
sicurezza questo equilibrio sociale.
All'interno di questo equilibrio non sono certo mancate contraddizioni profonde
tra il regime nazionalista e l'imperialismo, perché il chavismo è, a suo modo,
politicamente autonomo dall'imperialismo, a differenza dei vecchi partiti
borghesi venezuelani. Tuttavia il regime nazionalista, lungi dal rompere con
l'imperialismo, ha sempre salvaguardato un rapporto di collaborazione: ha
pagato regolarmente il debito pubblico al capitale finanziario internazionale;
ha tutelato le grandi imprese americane ed europee, anche nel caso di parziali
interventi di nazionalizzazione, attraverso il sistema di lauti indennizzi (a
volte superiori alle stesse quotazioni di borsa); ha risparmiato le proprietà
della ricca borghesia venezuelana spesso intrecciata con gli interessi
imperialisti. Ciò che ha inoltre alimentato lo sviluppo abnorme di una nuova
borghesia affaristica e corruttrice (la cosiddetta “boliborghesia”), cresciuta
nello spazio di intermediazione del regime col capitale finanziario, e per
questo indissolubilmente legata al chavismo.
È quello che larga parte della sinistra ha chiamato... il “socialismo del XXI
secolo”.
LA CRISI PROFONDA DEL CHAVISMO
Questo equilibrio sociale ha retto sino a che ha retto la rendita petrolifera.
La rendita assicurata da un barile di petrolio a (oltre) cento dollari
consentiva un ampio spazio di manovra al regime nazionalista e alla sua autorappresentazione
propagandistica di baluardo del popolo. Tutto si teneva: i sussidi e i servizi
a favore delle periferie assieme alla corruzione dilagante e al pagamento del
debito. Ma proprio per questa ragione il crollo del prezzo del petrolio sino a 40
dollari (per poi risalire di poco) ha minato le fondamenta dell'intero
edificio, confermando una dipendenza strutturale del Venezuela dal greggio che
il chavismo non ha mai neppure scalfito.
La recessione che ha colpito il Venezuela ha pochi paragoni al mondo: nei soli
due ultimi anni il PIL è calato del 18%, si prevede un ulteriore calo del 4%
quest'anno. L'inflazione è salita al 600%. La penuria di luce elettrica, acqua
corrente, medicinali, beni alimentari segna la vita quotidiana delle masse popolari.
I prezzi calmierati sanciti dal governo sono aggirati da un mercato nero sempre
più vasto e incontrollato. Tutto ciò mentre la borghesia venezuelana osserva la
crisi dalle lussuose terrazze di Caracas e porta all'estero i propri capitali
attraverso il canale delle banche.
La crisi di consenso del chavismo, ulteriormente aggravata dalla morte di Ugo
Chavez, ha trovato una espressione inequivocabile nelle elezioni politiche
dell'Assemblea Nazionale del 6 dicembre 2015. Per la prima volta il chavismo
perdeva la maggioranza in Parlamento a vantaggio della destra della MUD. Le
dimensioni della sconfitta (MUD al 56%, PSUV al 40%) davano la misura del
tracollo. Si configurava così quella sorta di dualismo di poteri tra Assemblea
Nazionale da un lato, governo e regime chavista dall'altro, che segna l'attuale
precipitazione della crisi politica.
FUORI E CONTRO LA MOBILITAZIONE REAZIONARIA E FILOIMPERIALISTA
La mobilitazione di massa animata dalla MUD ha il segno indiscutibile della
reazione.
Il personale politico del MUD, a partire da Voluntad Popular, è in larga parte
lo stesso che aveva puntato al rovesciamento golpista di Chavez nel 2002. Esso
cerca di sfruttare l'onda lunga della svolta a destra in Argentina e Brasile ai
fini della propria rivincita. Ha il sostegno politico e materiale
dell'imperialismo USA, che ambisce riprendere il controllo politico diretto del
Venezuela attraverso il proprio personale fiduciario, tanto più in un contesto
in cui la Russia e soprattutto la Cina hanno allargato la propria presenza nel
paese.
Il programma della MUD punta a smantellare l'intero sistema delle missiones
chaviste per imporre una drastica svolta liberista: privatizzazione generale,
liberalizzazione dei prezzi, vendita delle case popolari, licenziamenti di
massa nella pubblica amministrazione, cancellazione dei sussidi. La bandiera
propagandistica delle libere elezioni, della lotta alla corruzione, di una
libera costituente, avvolge questo preciso contenuto sociale, antioperaio e
antipopolare.
La destra venezuelana ha sicuramente conquistato una base attiva nelle libere
professioni, nella piccola borghesia, in settori popolari (in particolare
studenteschi), facendone uno strumento di mobilitazione di massa. Le
contraddizioni politiche tradizionali all'interno della MUD (tra un settore
borghese liberale disposto a negoziare col chavismo e il settore più
apertamente golpista) sembrano temporaneamente congelate dalla polarizzazione
dello scontro col governo e dalla crisi dello stesso spazio negoziale. La
parola d'ordine unificante della mobilitazione della destra è oggi “dimissioni
di Maduro”. Il suo metodo di lotta l'occupazione delle piazze.
Da questo punto di vista, appaiono totalmente sbagliate le posizioni di quei
settori della sinistra trotskista che in nome dell'opposizione al chavismo si
schierano, formalmente o di fatto, al fianco della mobilitazione in atto. È il
caso della LIT e della sua sezione venezuelana (UST), che ha appoggiato il
referendum revocatorio promosso dalla destra con la parola d'ordine “via
Maduro”. È il caso della UIT e della sua organizzazione in Venezuela (PSL) che
il 20 aprile ha pubblicamente rivendicato il pieno sostegno alla mobilitazione
della MUD, salvo richiedere "un'altra sua direzione politica”. La stessa
rivendicazione da parte della FT-QI di “una costituente libera e sovrana”, pur
combinandosi con una denuncia della natura reazionaria della MUD, rischia oggi
di avallare, al di là di ogni intenzione, la campagna “democratica” della
destra.
I marxisti rivoluzionari non possono collocarsi all'interno o al fianco di una
mobilitazione reazionaria, sia pure con proprie parole d'ordine. Valeva per
piazza Maidan in Ucraina, vale per l'attuale mobilitazione della destra
venezuelana. La denuncia della sua natura, la sconfitta dei suoi obiettivi, la
disgregazione del suo campo, sono e debbono essere un aspetto centrale della
politica rivoluzionaria.
NESSUN SOSTEGNO POLITICO A MADURO
Questo significa allora sostegno politico a Maduro? Per nulla.
Il governo chavista è il primo responsabile della crisi sociale e della stessa
avanzata della destra. Il suo modello economico e sociale è fallito. La sua
pretesa di continuare a pagare il debito pubblico al capitale finanziario (70
miliardi negli ultimi tre anni), riducendo parallelamente le importazioni
alimentari, concorre alla miseria popolare. La sua volontà di preservare la
proprietà privata di quella stessa industria alimentare (Polar) che promuove il
sabotaggio economico imboscando prodotti per il mercato nero è complice della
crisi. La sua difesa delle banche private copre di fatto l'evasione fiscale e
l'esportazione di capitali all'estero, colpendo al cuore la bilancia dei
pagamenti.
Il regime ha tentato di uscire dalla crisi ricercando un dialogo di
pacificazione con l'opposizione della MUD, attraverso i canali della diplomazia
internazionale (il Vaticano e Zapatero). Ma il risultato è stato quello di
agevolare la sua campagna reazionaria. Maduro è giunto persino a ricercare
buoni rapporti con la nuova amministrazione Trump, con la donazione di 500.000
dollari per le celebrazioni della investitura del nuovo presidente USA
attraverso la PDSVA. Ma il risultato è il pubblico sostegno di Trump alla
mobilitazione della MUD nel nome improbabile della libertà.
Di fronte al vicolo cieco del regime, di fronte alle crepe interne al chavismo
che minacciano la sua tenuta, Maduro ha cercato nell'ultima fase una soluzione
bonapartista alla crisi, in più direzioni. Prima col tentativo di attribuire i
poteri parlamentari alla Corte Costituzionale controllata dal chavismo,
tentativo bloccato da settori chavisti della magistratura (Luisa Ortega) e alla
fine revocato. Poi con il lancio pubblico e solenne, nel giorno del primo
maggio, di una “costituente operaia, veramente operaia” per ridisegnare la
costituzione del '99. È il tentativo estremo del chavismo di riattivare la
propria base sociale d'appoggio, profondamente incrinata, ma ancora presente in
diverse fabbriche e aziende.
Ma la rivendicazione del potere della classe operaia”in bocca a Maduro ha lo
stesso valore che aveva il socialismo del XXI secolo sulla bocca di Chavez. La
cosiddetta costituente viene convocata da una Commissione presidenziale guidata
dall'attuale ministro dell'educazione (Elías Jaua), sotto il controllo del
regime. Alla sua elezione non possono concorrere i partiti, e peraltro diversi
partiti della sinistra venezuelana si vedono tuttora privati di un
riconoscimento legale. La sua composizione di 500 delegati costituenti vedrebbe
per la metà rappresentanti “della classe operaia” designati in realtà dalla
burocrazia sindacale chavista (in un contesto in cui le elezioni sindacali
nelle aziende sono bloccate per decreto); per l'altra metà da esponenti
designati dalle associazioni d'impresa, dalle professioni liberali, da
strutture comunali controllate dal chavismo. L'Assemblea costituente “veramente
operaia” si riduce dunque a una finzione burocratica, alla ricerca di una
collaborazione istituzionale e “patriottica” tra le classi sociali sotto il
controllo del regime bolivariano.
PER UNA MOBILITAZIONE DI CLASSE INDIPENDENTE
Una reale mobilitazione “veramente operaia” è invece l'unica via per indicare
una soluzione progressiva della crisi venezuelana. Ma può svilupparsi solamente
in piena autonomia dal regime chavista e in aperta opposizione al governo
Maduro.
La linea della sinistra critica chavista, è finita su un binario morto. È la
linea seguita da Marea Socialista (sezione osservatrice del Segretariato
Unificato della Quarta Internazionale), che ha rotto col PSUV nel 2015, e, in
forme diverse, dal PCV (Partito Comunista Venezuelano) stalinista. Una linea
che ha a lungo rivendicato una correzione a sinistra della linea del governo
nel nome di un mitologico “chavismo originario”. Questa linea si è scontrata con
la natura irriformabile del regime nazionalista, con la sua sua politica
organica di subordinazione e irregimentazione del movimento operaio e popolare
in funzione della salvaguardia del proprio potere e della collaborazione con la
borghesia. Il fatto che sia Marea Socialista sia il PCV si siano visti
respingere la semplice richiesta del proprio riconoscimento giuridico come
partiti indipendenti dà la misura del loro scacco. Il sostegno critico di Marea
Socialista alla linea del dialogo con la MUD con la parola d'ordine delle
elezioni esprime una politica insieme codista verso il chavismo ed equivoca di
fatto verso la mobilitazione della MUD: una somma di subalternità.
Una mobilitazione “veramente operaia” richiede invece un programma di lotta
indipendente, in aperta contrapposizione alla politica del chavismo come alla
mobilitazione della destra. Un programma straordinario di emergenza imposto
dalla drammaticità della crisi. Un programma di rottura anticapitalista e
antimperialista.
Scala mobile dei salari, per proteggersi dal carovita. Difesa del lavoro e
blocco dei licenziamenti, con l'esproprio sotto controllo dei lavoratori di
tutte le aziende che licenziano. Cessazione immediata del pagamento del debito
pubblico al capitale finanziario, per destinare le risorse così risparmiate
alla protezione sociale e alimentare. Nazionalizzazione delle banche e loro
unificazione in un unica banca pubblica, sotto controllo sociale, per stroncare
la fuga dei capitali. Controllo operaio sulla produzione, per il colpire
sabotaggio economico. Nazionalizzazione sotto controllo operaio e senza
indennizzo dell'industria petrolifera e del commercio con l'estero, per
troncare gli artigli della speculazione e della corruzione.
Senza queste misure di svolta non vi sarà alcuna via d'uscita dalla crisi. Solo
una mobilitazione indipendente della classe operaia attorno a questo programma
di svolta può ricomporre un blocco sociale alternativo, disgregare il blocco
reazionario, capovolgere i rapporti di forza, aprire la via di una alternativa
anticapitalista.
PER UN GOVERNO DEI LAVORATORI BASATO SULLA LORO FORZA
Questo programma di mobilitazione è inseparabile dall'autorganizzazione
democratica di massa.
Una autorganizzazione “veramente operaia” passa per la rivendicazione di libere
elezioni sindacali. Ma anche per la libera elezione nei luoghi di lavoro di
consigli di lavoratori, quali strutture di controllo della economia, nel campo
della produzione e della distribuzione (innanzitutto oggi dei beni alimentari e
dei medicinali), nella prospettiva di un loro coordinamento e centralizzazione
su scala nazionale. Un congresso nazionale di delegati eletti nei luoghi di
lavoro, a partire dalle fabbriche, può diventare riferimento centrale e punto
di aggregazione per più ampi strati di popolazione povera, immiseriti dalla
crisi, segnati dalla disperazione, che rischiano oggi di cercare a destra ciò
che non trovano a sinistra.
Un'organizzazione indipendente della classe lavoratrice ha diritto a provvedere
alla propria autodifesa, con tutti i mezzi necessari. Anche intervenendo nelle
contraddizioni dell'esercito. La destra filoimperialista si rivolge alle
gerarchie militari per chiedere loro un golpe reazionario contro Maduro. Maduro
cerca di assicurarsi il sostegno fedele dell'apparato militare offrendogli
ruolo politico e ricche prebende. Il movimento operaio non può certo fare
affidamento sui generali chavisti. Può e deve rivolgersi ai soldati e ai gradi
inferiori dell'esercito venezuelano per assicurarsi il loro sostegno contro ogni
golpe reazionario, così come contro ogni repressione del regime. Ma può farlo
solo sviluppando innanzitutto la propria forza organizzata di massa.
La prospettiva indipendente di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici,
basato sulla forza della classe operaia, sulla sua mobilitazione, sulla sua
capacità di autodifesa, è l'unica reale prospettiva di svolta per le masse
oppresse del Venezuela. Non esistono soluzioni istituzionali progressive della
crisi in corso al di fuori di una soluzione socialista.
LA MATURAZIONE DI UN'AVANGUARDIA DI CLASSE
La classe operaia venezuelana è oggi prevalentemente passiva e disorientata,
sotto il peso della delusione verso il chavismo e della drammatica crisi
sociale. È l'aspetto politico più problematico della crisi in corso.
Ma settori di avanguardia della classe vanno maturando un orientamento nuovo e
più avanzato. Sono ad esempio i settori che si sono raccolti attorno alla
Plataforma del pueblo en lucha, che rivendica la cessazione del pagamento del
debito e la nazionalizzazione dell'industria petrolifera. Questa piattaforma è
divenuta un punto di confluenza di ambienti classisti della sinistra e di
settori di sinistra del chavismo (Fronte Nazionale Simon Bolivar). Al di là
della linea politica errata dei gruppi dirigenti di queste sinistre, emerge un
settore della classe operaia che cerca una propria via d'uscita dalla crisi
politica e sociale. I marxisti rivoluzionari venezuelani possono sviluppare in
questo bacino d'avanguardia un lavoro prezioso di propaganda e agitazione, in
funzione della propria politica di raggruppamento e della costruzione del
partito rivoluzionario della classe. Che resta in Venezuela, come ovunque, la
questione strategica decisiva.
Marco
Ferrando