In Grecia le
elezioni politiche, come già le precedenti europee, confermano la legge fisica
della lotta di classe. Come disse l'avvocato Agnelli: occorrono a volte governi
di sinistra per fare le politiche di destra. Salvo aggiungere che per questa
stessa ragione è la destra che poi ritorna in sella.
Il partito
Nuova Democrazia, la tradizionale destra greca, era un partito con le ossa
rotte prima dell'esperienza Tsipras, travolto assieme al PASOK dal crollo di
credibilità dei vecchi partiti di governo. Il crollo dell'economia greca, il
lungo calvario dei memorandum, l'esperienza della crudele austerità dettata
dalla troika, avevano sospinto dopo il 2008 una potente radicalizzazione del
movimento operaio e popolare nel segno del rigetto delle politiche dominanti.
L'ascesa elettorale di Syriza dal 4% del 2009 al 36% del 2015 fu semplicemente
la registrazione distorta di questa ribellione di massa. Il trionfo dell'oxi
contro la troika, con il ripudio del suo ricatto, ne rappresentò il naturale
prolungamento. Se la destra oggi è tornata al governo della Grecia è perché
quella enorme domanda di svolta è stata clamorosamente tradita. Un tradimento
che ha trascinato con sé il riflusso della mobilitazione e della coscienza, a
tutto vantaggio della reazione.
I
sostenitori italiani di Tsipras, più o meno critici, per ultimo Salvatore
Prinzi (Potere al Popolo), dicono che sì, forse Tsipras “ha sbagliato”, ma
dopotutto non aveva alternative. Se avesse rotto con la UE «avrebbe fatto la
fine di un Allende o peggio di un Masaniello», del resto il popolo non era così
radicale come sembrava, ecc. ecc. Non potendo riverire Tsipras nel momento
della sua disfatta (come fecero invece nel momento della sua ascesa, seminando
illusioni a piene mani), gli intellettuali riformisti assolvono
retrospettivamente la sua politica come obbligata, scaricando sulle masse la
responsabilità dell'accaduto. In altri termini, il popolo ha in definitiva il
governo che si merita; dedichiamoci quindi al piccolo cabotaggio del mutualismo
(«C'è da togliere illusioni, proponendo allo stesso tempo cose concrete,
fattibili»), senza troppi grilli per la testa.
La verità è
ben diversa. Dopo sei anni di straordinaria mobilitazione di massa, che aveva
distrutto il vecchio sistema politico greco e portato Syriza al governo,
l'alternativa c'era. Ma poteva porsi solo sul terreno di una rottura
anticapitalista; solo sul terreno di misure che rompessero le compatibilità di
sistema (cancellazione del debito pubblico, nazionalizzazione delle banche,
esproprio degli armatori); solo sul terreno della costruzione di strutture di
autorganizzazione di massa che supportassero queste misure e concentrassero
nelle proprie mani il potere. Le classi dominanti greche ed europee avrebbero
reagito? Naturalmente. O qualcuno pensa che “il potere del popolo” possa
realizzarsi senza resistenze dei capitalisti? Ma la linea di scontro sarebbe
stata chiara non solo in Grecia ma su scala continentale. La rottura della
Grecia col capitale finanziario che l'affamava avrebbe potuto diventare un
fattore di mobilitazione internazionale del movimento operaio, di sviluppo
della sua coscienza e di possibile contagio, anche a beneficio dei rapporti di
forza nella Grecia stessa. Vittoria assicurata? Solo gli imbecilli possono
pensarlo. Ma certo quella era l'unica via possibile per vincere.
Tsipras ha
perseguito la via esattamente opposta: la via sicura per condannare alla
sconfitta la domanda di svolta che aveva raccolto. La leggenda per cui Tsipras
avrebbe voluto il cambiamento ma i rapporti di forza l'hanno impedito è una
falsificazione dei fatti. Syriza rappresentava nella sua nascita ed evoluzione
un classico soggetto riformista. Ben prima del 2015 Tsipras s'era attivato su
scala internazionale alla ricerca di una legittimazione presso gli ambienti
dominanti, negli USA e in Europa. Il governo di Syriza con ANEL (un partito
reazionario di destra) fu sin dall'inizio, nella sua stessa composizione, un
segnale di collaborazione con gli imperialismi europei e con le classi dominanti
greche, a partire dagli armatori. Da subito Tsipras ha accettato il piano
inclinato del negoziato coi creditori della troika, gli affamatori dei
lavoratori greci cui questi si erano ribellati. La capitolazione clamorosa del
luglio 2015 fu dunque il destino annunciato di una intera politica. I quattro
anni successivi hanno solamente misurato l'enormità del suo prezzo, in termini
economici e politici.
Per quattro
anni il governo Tsipras ha pagato le cambiali al capitale finanziario
mettendole sul conto della popolazione povera di Grecia, proprio come i governi
precedenti. “Abbiamo restituito una Grecia coi conti in ordine”, “abbiamo
riportato la Grecia in Borsa”, dichiara oggi Tsipras in occasione del passaggio
di consegne. Ha ragione. Pensioni tagliate, salari falcidiati, aumento delle
imposte indirette, privatizzazioni su larga scala (porti, areoporti, servizi
idrici inclusi): i conti sono stati risanati nell'unico modo che il capitalismo
conosce. I titoli pubblici greci sono tornati appetibili per i creditori grazie
all'umiliazione del debitore. Insomma, un vero banchetto per i capitalisti a
spese dei lavoratori e dei disoccupati. E non si tratta di misure una tantum.
Tsipras ha assicurato al capitale finanziario la continuità di avanzi primari
del 3,5% per gli anni a venire come pegno della propria credibilità, ciò che
significa la continuità strutturale dei tagli alla spesa sociale per
rassicurare le banche. Del resto le pubbliche lodi dei governi europei al
ritrovato “realismo” di Tsipras si sono sprecati in questi anni. E non solo per
ragioni economiche. Il governo Tsipras è stato per molti aspetti la soluzione
politica migliore per gli imperialismi dell'Unione Europea. Infatti solo un
governo come quello di Syriza poteva imporre alla classe lavoratrice la
continuità dei memorandum in modo relativamente pacifico, contenendo e
disperdendo le resistenze sociali. Laddove aveva fallito la vecchia
socialdemocrazia del PASOK è invece riuscita la nuova socialdemocrazia di
Syriza. Questo è il vero e unico successo di Tsipras.
Torneremo
sulla vicenda greca per approfondirla. Ma certo l'esperienza del governo
Tsipras è la documentazione viva del fallimento del riformismo come strumento
di emancipazione, sullo sfondo della grande crisi del capitalismo. Razionalizzare
questo fallimento è la prima necessaria condizione per costruire una
prospettiva alternativa: classista, anticapitalista, rivoluzionaria.
Partito
Comunista dei Lavoratori
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