Il Parlamento
catalano ha votato la dichiarazione di indipendenza della Catalogna, nella
forma di Repubblica. Dopo le funamboliche oscillazioni di Puigdemont, alla
ricerca disperata di una soluzione concordata con Madrid, l'intransigenza
reazionaria del governo spagnolo e la pressione di massa indipendentista hanno
imposto uno sbocco che nessuno degli attori in scena aveva né voluto né
previsto.
La
dichiarazione di rottura della Catalogna con il governo e con la monarchia di
Spagna è un fatto importante e progressivo. Corrisponde al diritto di
autodeterminazione della Catalogna, quale nazionalità politicamente oppressa.
Corrisponde alla volontà espressa dal voto referendario del primo ottobre,
difeso dalla repressione poliziesca.
Corrisponde alla volontà manifestata dallo
sciopero generale in Catalogna del 3 ottobre. Corrisponde alla mobilitazione di
massa dell'ultima settimana contro l'arresto dei dirigenti indipendentisti e
contro il colpo di stato di Madrid portato con l'applicazione dell'articolo 155
della Costituzione spagnola (scioglimento del governo catalano,
commissariamento del Parlament, cambio dei vertici della Tv regionale,
destituzione dello stato maggiore dei Mossos e suo rimpiazzo con forze militari
di Madrid). Un corso politico reazionario che reca l'impronta inconfondibile di
metodi franchisti. E che a maggior ragione valorizza la natura democratica del
movimento indipendentista e repubblicano di Catalogna.
Ma la
dichiarazione di indipendenza, per quanto progressiva, è solo una
dichiarazione. Le grandi questioni storiche non si risolvono con carte da
bollo, si risolvono sul terreno dei rapporti di forza.
Si prepara
in queste ore uno scontro frontale tra Catalogna repubblicana e governo
spagnolo che può concludersi solo con un vincitore. L'applauso scrosciante del
Senato spagnolo a Rajoy nel momento in cui poche ore fa chiedeva pieni poteri
contro la Catalogna è lo specchio simbolico della determinazione reazionaria di
Madrid. Rajoy ha oggi il mandato pieno dello Stato spagnolo, delle gerarchie
militari, della magistratura, della Guardia Civil, per “ripristinare la legge e
l'ordine” in Catalogna.
Si può essere certi che onorerà il mandato, con tutti
gli strumenti che l'apparato spagnolo gli consente.
Di fronte
alla precipitazione annunciata, si pone l'esigenza di un cambio di linea del
movimento indipendentista. Il nazionalismo borghese che guida la Generalitat ha
dimostrato in queste settimane tutti i limiti politici che derivano dalla sua
natura sociale. Appelli alla Unione Europea, ricerca di una soluzione “pactada”
con Rajoy, suppliche interminabili di dialogo con gli avversari della
Catalogna, in un gioco tutto istituzionale fatto di furbizie tattiche, continui
rimandi delle decisioni, illusioni e speranze su una via d'uscita concordata e
indolore.
Parallelamente nulla sul fronte sociale, mentre 1500 imprese della
borghesia catalana fuggivano dalla Catalogna, e nulla sul fronte
dell'organizzazione della resistenza di massa a Madrid. Ora tutto questo corso
politico è stato smentito nel modo più clamoroso dalla dinamica degli
avvenimenti.
Ora, nelle
ore di fuoco che si annunciano, non c'è più spazio per rinvii e furbizie. Ora
si tratta di mettersi al passo del livello di scontro che la dichiarazione di
indipendenza ha aperto, e che la reazione di Madrid imporrà.
Organizzazione
della difesa di massa della Repubblica Catalana, estensione e centralizzazione
progressiva dei comitati di difesa della Repubblica, nati per difendere il
diritto di voto del primo ottobre e poi generalizzatisi in molte realtà cittadine
e di quartiere; sciopero generale contro ogni intervento, militare o
giudiziario, del governo spagnolo; nazionalizzazione delle banche e delle
imprese fuggitive, sotto il controllo dei lavoratori, in tutta la Catalogna;
abolizione del debito pubblico della Catalogna verso la Spagna; appello al
movimento operaio spagnolo per un fronte comune contro la repressione di Madrid
e il governo reazionario di Rajoy, per un programma comune di svolta sociale.
Una svolta
di linea del movimento indipendentista è l'unica che può tenere aperta la
partita. Ma richiede un cambio di direzione. Solo la classe lavoratrice
catalana, mettendosi alla testa della grande mobilitazione della gioventù, può
costruire la nuova direzione del movimento indipendentista. Nuova direzione
significa a sua volta nuova prospettiva.
I fatti dimostrano che senza la
rottura con la borghesia catalana, senza misure anticapitaliste, senza la
costruzione di un altro potere a partire dalle fabbriche, dai luoghi di lavoro,
dai quartieri, difficilmente la dichiarazione di indipendenza si trasformerà in
realtà. L'obiettivo di uno “Stato sovrano, democratico e sociale” sottoscritto
dal fronte popolare tra Puigdemont e CUP, che dovrebbe inverarsi attraverso un
processo costituente dentro l'ossatura dello Stato borghese di Catalogna, a
braccetto dei partiti nazionalisti borghesi e secondo la “Legge di Transizione”
con questi concordata, è una pura finzione letteraria, che lega le mani ai
lavoratori e alla loro mobilitazione indipendente.
Tutto lascia
pensare che la Repubblica di Catalogna o sarà socialista o non sarà.
Nell'appellarci
a tutte le sinistre italiane, politiche e sindacali, perché si schierino senza
riserve al fianco della Catalogna contro la monarchia di Spagna, e perché
promuovano la protesta unitaria sotto i consolati spagnoli, ci impegniamo a
portare nelle iniziative solidali di mobilitazione questo punto di vista. Che è
lo stesso punto di vista dei marxisti rivoluzionari catalani e spagnoli.
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