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venerdì 31 luglio 2015

LA POVERTÀ NASCOSTA




Una persona su tre a rischio povertà.
In Italia negli ultimi tre anni, dal 2011 al 2014, le famiglie assolutamente povere sono cresciute a livello nazionale di 390 mila nuclei, con un incremento del 37,8% al Sud e del 34,4% al Centro-Nord. La regione italiana con il più alto rischio di povertà è la Sicilia (41,8%), seguita dalla Campania (37,7%).
La povertà assoluta è aumentata al Sud rispetto al 2011 del 2,2% contro il +1,1% del Centro-Nord. Nel periodo 2011-2014 al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute di oltre 190 mila nuclei in entrambe le ripartizioni, passando da 511 mila a 704 mila al Sud e da 570 mila a 766 mila al Centro-Nord.
A livello di reddito, guadagna meno di 12 mila euro annui quasi il 62% dei meridionali, contro il 28,5% del Centro-Nord.
Particolarmente pesante la situazione economica in Campania (quasi il 66% dei nuclei guadagna meno di 12mila euro annui), Molise (70%) e Sicilia (72%).

Nei prossimi anni si rischia uno 'tsunami' demografico.
Dal 2001 al 2014 la popolazione è cresciuta a livello nazionale di circa 3,8 milioni, di cui 3,4 milioni al Centro-Nord e 389 mila al Sud. In dieci anni, dal 2001 al 2014 sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord oltre 1 milione 667 mila persone, di cui 526 mila under 34 e 205 mila laureati.
Il Sud  sarà quindi interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico dalle conseguenze imprevedibili, destinato a perdere 4,2 milioni di abitanti nei prossimi 50 anni, arrivando così a pesare per il 27,3% sul totale nazionale a fronte dell'attuale 34,3%".

Questa è la fotografia reale del Paese
Questa situazione, però, è oggi capitalizzata da altri nemici del mondo del lavoro, non meno pericolosi del bullo fiorentino. Salvini e  Beppe Grilllo. Si presentano come amici del popolo cercando di aizzarlo contro i migranti per distoglierlo dall'opposizione a industriali e banchieri! (Salvini). E che tutto si risolve con un reddito di cittadinanza: contrapponendo disoccupati e lavoratori, fregando entrambi (Grillo)

CHE FARE?
Bisogna liberarsi di truffatori e ciarlatani, delle tre destre che oggi si contendono il potere: quella di governo (Renzi) e le due di “opposizione” (Salvini e Grillo). Le une e le altre vogliono solo lucrare voti e potere, dividendo gli sfruttati a vantaggio dei capitalisti.
E' necessario che la classe lavoratrice unisca le forze attorno a un programma che risponda unicamente agli interessi dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati. Un programma che rivendichi la ripartizione del lavoro, la riduzione dell'orario a parità di paga e il salario ai disoccupati che cercano lavoro. Un programma contro il capitale finanziario, che faccia pagare la crisi a chi l'ha provocata, a difesa dei salari, del lavoro, della scuola, della sanità, delle pensioni.
C'è bisogno di una sinistra che ricostruisca tra i lavoratori e le lavoratrici la coscienza della propria classe. Tutti quelli che negli ultimi 20 anni hanno parlato di sinistra  si sono ciclicamente venduti alla classe dominante e ai suoi partiti, in cambio di ministeri e assessorati. Non solo hanno distrutto la sinistra, ma l’hanno screditata a tal punto, che oggi milioni di lavoratori preferiscono astenersi dal voto, sfiduciati, o farsi ingannare dagli imbroglioni “populisti”.
I lavoratori hanno bisogno di un loro partito, autonomo e contrapposto a tutti i loro nemici, unicamente dedito alla loro causa. Un partito che li possa rappresentare e difendere contro il capitalismo. Una partito che riconduca ogni lotta degli sfruttati alla prospettiva di un governo dei lavoratori: l'unico governo che possa fare pulizia.

Il Partito Comunista dei Lavoratori, l'unico partito che non ha mai tradito gli operai, si batte in ogni lotta per questa prospettiva.

Partito Comunista dei Lavoratori
Pavia sez. “Tiziano Bagarolo”

domenica 19 luglio 2015

“ AIUTIAMOLI A (morire) CASA LORO”



La squallida tragedia nel palcoscenico del quartiere  Casale  San  Nicola di Roma è stata affidata alla regia dei fascisti di Casa Pound e ai Salvini che svolazzano su queste rovine di società gettando micce con le quali contano di monetizzare alle prossime elezioni.
Scritta da mesi, hanno urlato, pianto , esibito disperazione, bestemmiato, con i neonati in braccio, tirando banane e pietre a ragazzi neri, con lo sconforto negli occhi, chiamati "scimmie".
Sono entrati negli alloggi assegnati al gruppo di rifugiati, hanno preso suppellettili, lenzuola, vettovaglie, indumenti, materassi... li hanno portati in cortile e incendiati.
Hanno attaccato il pullman che portava stranieri, 19 in tutto!, tirando bottiglie, zolle di terra, "salutando" con il braccio destro teso, braccio nudo che scopriva tatuaggi d’inequivocabile appartenenza ai neonazisti nostrani.
Così i 19 "pericolosissimi barbari" sono stati “accolti”, lo stesso è successo, quasi contemporaneamente, in altre città.
Però: "non siamo razzisti"!
La stessa frase che da mesi, noiosamente a morte, ripete a pappagallo il coso felpato barbuto.
E a pappagallo i poveretti imparano la lezione e la recitano.
"E’ un esodo biblico, aiutiamoli pure, non a spese nostre e a casa loro, prima gli italiani!", 
Ma loro non sono razzisti!
Oggi andranno a messa, quella delle dieci, ben vestiti a festa, a battersi il petto mea culpa.
Ma Cristo è crocefisso e non può più cacciarli fuori dal Tempio a calci nel sedere.
"Noi non siamo razzisti"; ma sciacalli, ipocriti,  inutili... sì.

Rifiutiamo il razzismo in ogni luogo, a partire dal posto di lavoro. Il movimento operaio scacci qualsiasi forma di fascismo e razzismo dai propri ambiti di organizzazione. La classe operaia non ha nazione, è una e internazionale! Unità tra lavoratori italiani e immigrati contro i padroni! 


Partito Comunista dei Lavoratori 
Pavia sez. “Tiziano Bagarolo”

giovedì 16 luglio 2015

CON I LAVORATORI E LE LAVORATRICI DELL’IKEA, PER DIFENDERE DIRITTI E SALARI, PER COSTRUIRE UNA RESISTENZA DI MASSA CONTRO L’OFFENSIVA DEI PADRONI!!!



In queste settimane IKEA, il colosso svedese oramai presente in tutto il nostro paese, ha presentato le proprie richieste per il contratto integrativo aziendale (CIA).

Il padronato italiano ha aperto proprio in questo periodo una nuova, pesante offensiva contro lavoratori e lavoratrici del nostro paese. Confindustria, Confcommercio e anche diverse imprese al loro esterno (dalla nuova FIAT alle grandi catene commerciali) vogliono rivedere il sistema contrattuale: vogliono aver mano libera sull’organizzazione del lavoro (orari, turni, pause, ecc) e vogliono rendere il più possibile variabili gli stipendi (soprattutto per poterli diminuire, all’occorrenza, anche sotto i minimi dei contratti nazionali). Vogliono cioè sfruttare subito i nuovi rapporti di forza determinati dal Job act (licenziamenti, videosorveglianza e demansionamento). La rinuncia alla lotta da parte delle direzioni sindacali, dopo lo sciopero del 12 dicembre, oltre che permettere al governo di perfezionarne liberamente i decreti, ha infatti stimolato l’appetito del capitale.

Le richieste di IKEA sono in linea con questa nuova offensiva del padronato, in linea con ciò che tante altre aziende stanno facendo in tutta Italia (dall'industria al commercio): riduce i costi per aumentare i profitti. Il “costo“ è quello dei lavoratori e delle lavoratrici. Il profitto è quello degli azionisti. Altro che “collaborazione“ tra capitale e lavoro!!!.
IKEA, con la brutalità di cui i padroni sono capaci, ha spiegato che siccome la concorrenza è spietata e le commesse sono poche, dal momento che “l'Italia del 2015 non è più quella del 2000”, si deve accettare pesanti riduzioni al salario: un taglio netto alle maggiorazioni per il lavoro domenicale e festivo, la cancellazione dell’importo fisso del premio aziendale. Un taglio che per molti dei 6 mila dipendenti (70% part time) comporta una riduzione di almeno 200 euro al mese, indispensabili per la sopravvivenza.  

I lavoratori e le lavoratrici di IKEA, questa volta, hanno reagito!!!! I sindacati hanno dichiarato tali proposte “inaccettabili”. Sono state costruite mobilitazioni e iniziative di lotta, sino ad uno sciopero nazionale di otto ore in tutta IKEA (11 Luglio scorso).  Uno sciopero molto riuscito (tra il 75 e l' 80% di adesioni): una bella dimostrazione di forza di lavoratori e lavoratrici.
Una reazione importante. Perché in una grande azienda, con migliaia di lavoratori e lavoratrici, presente in tutto il paese, si sta combattendo contro questa offensiva. Si contrappone una rigidità alla flessibilità totale che viene oggi richiesta in tutti i posti di lavoro: la rigidità di uomini e donne che chiedono di esser riconosciute come persone, e non come una semplice variabile della contabilità aziendale. Il 22 luglio è stato fissato un nuovo incontro tra le parti.

SALARI E DIRITTI DEI LAVORATORI E DELLE LAVORATRICI IKEA NON DOVRANNO ESSER TOCCATI!!!


Il Partito Comunista dei Lavoratori (PCL) è a fianco di questa lotta, che è lotta di tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici italiane, contro l'Azienda e in solidarietà dei 6 mila lavoratori e lavoratrici IKEA, contro ogni peggioramento delle loro condizioni lavorative e salariali.

Partito Comunista dei Lavoratori

martedì 14 luglio 2015

LA BARBARIE DEL CAPITALISMO EUROPEO. IL FALLIMENTO DEL RIFORMISMO DI TSIPRAS. LA RIVOLUZIONE SOCIALISTA UNICA SOLUZIONE




I creditori strozzini dell'Unione Europea, della BCE, del FMI ( la famigerata Troika) hanno stretto il cappio al collo della Grecia. Un paese già condannato alla catastrofe umanitaria viene nuovamente messo a saccheggio: ulteriore taglio alle pensioni, nuove tasse sui beni alimentari, nuova svendita dei beni nazionali ai creditori, ulteriore distruzione dei diritti sindacali. 
Il tutto sotto il commissariamento diretto degli strozzini. 
Il NO di massa del popolo greco ai creditori è stato svenduto da Tsipras in sette giorni ai nemici dei lavoratori greci. Il capitalismo tedesco a guida Merkel è il capofila degli strozzini europei. Gli stessi capitalisti tedeschi che precarizzano il lavoro in Germania ( mini job) puntano a garantire le proprie banche e la cassaforte del proprio Stato con il saccheggio della Grecia. 
Ma gli altri capitalismi europei non sono da meno. Il governo Renzi e i suoi amici capitalisti, gli stessi che tagliano i diritti sindacali ai lavoratori italiani, plaudono alla svendita dei lavoratori greci. 
Lo stesso vale per il governo Hollande, grande architetto dietro le quinte dell'intesa greca. Tutti i capitalismi creditori sono complici della rapina, quale che sia il colore del proprio governo. 
Se Renzi e Hollande “criticano” sottovoce la Merkel è solo perchè vorrebbero avere più ampi spazi nelle proprie manovre di bilancio per tagliare le tasse ai propri capitalisti e poter fare qualche altra concessione elettorale truffa. La campagna “per lo sviluppo e la crescita” riguarda solo crescita e sviluppo dei profitti. I populismi reazionari di Grillo e Salvini non sono meno ipocriti. 
Le loro grida sul “colpo di Stato della Germania” in Grecia serve solo a dirottare contro il nemico esterno lo sguardo dei lavoratori italiani, distogliendolo dalla lotta contro i propri capitalisti e il proprio Stato. Come se un capitalismo nazionale, con propria moneta nazionale, non fosse ugualmente sfruttatore dei propri lavoratori, e creditore strozzino di altri popoli. 
La Gran Bretagna della sovrana sterlina non è quella che vara in casa i contratti a zero ore e le peggiori leggi anti sindacali, mentre conserva diritti para coloniali su altre nazioni? La verità che emerge una volta di più dai fatti di Grecia è la crudeltà e il fallimento del capitalismo, in ogni paese e su scala continentale. Il sogno di riformarlo è una utopia. 
La pretesa di Tsipras di un “compromesso onorevole” con il capitalismo strozzino della Troika ( e con gli armatori greci) si è risolta in una capitolazione vergognosa. 
Che tradisce la lotta e le speranze di un popolo. I partiti della sinistra italiana ( Sel, Prc) già suicidatisi in passato nei governi di centrosinistra- votando precarietà del lavoro , tagli sociali, missioni di guerra- si sono aggrappati all'immagine di Tsipras per cercare di risorgere. Ma hanno impugnato la bandiera di Tsipras proprio mentre Tsipras la ammainava . E oggi arrivano a dire che se fossero nel Parlamento greco... voterebbero l'accordo di capitolazione. 
Non dubitiamo. Chi tradisce una volta tradisce sempre: è la coerenza del suicidio politico. I lavoratori italiani, come i lavoratori greci, come tutti i lavoratori europei hanno bisogno di un'altra sinistra. Non la sinistra del capitalismo, ma una sinistra rivoluzionaria.
Che unisca i lavoratori al di là delle frontiere. Che avanzi un programma di ripudio del debito verso gli strozzini, di nazionalizzazione delle banche, di esproprio dei capitalisti, a favore di un governo dei lavoratori. L'unico governo che possa liberare il lavoro, nella prospettiva storica degli Stati uniti socialisti di Europa. Il capitalismo o lo si rovescia o lo si subisce. 
Una volta di più, questo ci insegna la Grecia. Dare un partito a questa verità è l'impegno del Partito Comunista dei Lavoratori in Italia, e del Partito operaio rivoluzionario ( EEK) in Grecia.

 PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

No all'ignobile capitolazione! Respingerla nelle strade e in Parlamento!




Comunicato di emergenza dell'EEK

Tsipras e Tsakalotos, calpestando il "no" del referendum e la dignità del popolo greco, si sono assoggettati, disonorati e calpestati essi stessi firmando la "lista degli orrori", come lo stesso Spiegel ha definito il nuovo memorandum-ukase.

I tiranni dell'UE e dell'FMI, con il sostegno totale del fronte nero Nuova Democrazia-Potami-Pasok-mass media, così come degli yes-man di Syriza, si sono avviati al completamento del loro colpo di stato antipopolare sulla base delle votazioni parlamentari di martedì e mercoledì e assegnando il paese ad un più o meno formale governo "nazionale", sottomesso e rimpastato senza fastidiosi individui - un gruppo di servi volontari di Berlino, Bruxelles e Washington.

Insieme alla stragrande maggioranza del popolo indignato e tradito, l'EEK fa appello ai parlamentari di Syriza che ancora rispettano la maggioranza popolare che ha votato per loro a respingere risolutamente la lista degli orrori della troika. Cosa temono? Che cada il governo dei capitolatori, un governo che è già nelle mani di Merkel e dei suoi lacchè ND, Potami, Pasok, e dei ladri capitalisti nazionali e internazionali? Nel caso in cui questa vergognosa maggioranza parlamentare venisse meno, anche le elezioni anticipate darebbero alle masse l'opportunità di esprimere il loro verdetto, come hanno già fatto il 5 luglio.

Ma più di tutto facciamo appello ai lavoratori e al movimento popolare, che hanno dimostrato la loro forza di resistenza e capacità di lotta il 3 e il 5 luglio, affinché passino all'azione, discutano collettivamente, si organizzino per mandare all'aria la scandalosa capitolazione e tutti i memorandum con uno sciopero generale politico a oltranza.

Ufficio Politico dell'EEK, 13 luglio 2015

È morto il compagno Vito Basilico







È con grande dispiacere che abbiamo appreso, con oltre due settimane di ritardo, la scomparsa, il 21 giugno, a 89 anni, del nostro compagno Vito Basilico, storica figura di dirigente del movimento operaio. Il ritardo è dovuto al fatto che il compagno, da tempo malato, non partecipava più da diversi anni alle nostre riunioni. Circa una volta al mese uno di noi lo sentiva e di tempo in tempo passava a trovarlo, anche per consegnarli, al momento relativo, la nuova tessera annnuale del partito. Purtroppo la figlia del compagno, che non viveva con lui, non faceva politica, ci conosceva poco e non ci ha informato del fatto.
Vito Basilico fu, negli anni delle grandi lotte operaie del 1968-71, il principale leader degli operai e del consiglio di fabbrica della Pirelli di Milano, allora un'azienda grandissima, con molte migliaia di lavoratori.
Militante del Pci e dirigente nazionale del sindacato dei lavoratori della gomma della Cgil, diresse lotte che, insieme a quelle della Fiat e dell'Alfa, furono la punta più alta di una lotta di massa che creò una situazione prerivoluzionaria. Dirigente corerente, critico e classista si scontrò spesso con la burocrazia dirigente della Camera del lavoro di Milano e del nazionale Cgil ( il nostro sito ha pubblicato nel 2009 una sua intervista su quegli anni, consultabile qui http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=1556 ).
Contemporaneamente si sviluppava la sua critica alla politica del Pci, che divenne rottura di fronte alla strategia del "compromesso storico" con la Democrazia Cristiana. Così, con un gruppo di attivisti sindacali da lui influenzati, si schierò, nella primavera del 1976 a favore del blocco elettorale di estrema sinistra che aveva il nomhee di " Democrazia Proletaria". Quando, con varie traversie, questo si trasformò in partito, Vito ne divenne militante. Con esso entrò nel 1991 nella neonata "Rifondazione Comunista". Sempre coerente e uno dei pochi quadri politici che, invecchiando, invece di andare a destra, radicalizzava a sinistra le sue pozizioni, nel dibattito interno al partito si schierò con la nostra corrente, aderendo prima alla Associazione Marxista Rivoluzionaria, poi al momento della scissione dal Prc, al nostro partito.
Nei primi tempi della nostra vita, nonostante l'età e vari acciacchi, veniva ogni tanto alle nostre riunione, arrivando sulla sua immancabile bicicletta, con cui girava sempre estate e inverno. Più tardi ,le sue difficoltà fisiche gli impedirono di essere presente nella nostra sede, ma rimase sempre iscritto al partito, come detto, parlando con una certa frequenza al telefono con nostri compagni, che lo andavano a trovare alcune volte l'anno.
Con Vito Basilico scompare una grande pagina di storia della lotta di classe e del movimento operaio.
Lo ricorderemo con un più ampio articolo nel prossimo numero del nostro giornale e con una riunione pubblica alla ripresa della piena attività politica a settembre.
Partito Comunista dei Lavoratori - sezione di Milano

lunedì 13 luglio 2015

IL TRADIMENTO DI TSIPRAS



L'accordo siglato tra Tsipras e la Troika sancisce una nuova pesante intensificazione dello strozzinaggio finanziario della Grecia da parte del capitale internazionale. Nessun gioco di prestigio, nessuna recita ad effetto, potrà nascondere questa verità. La splendida vittoria del NO ai creditori è stata svenduta e capovolta di segno nel giro di una settimana. Tsipras ha consegnato la Grecia, mani e piedi legati, ai suoi strozzini. Le borse europee festeggiano con comprensibile entusiasmo la resa di Tsipras. I governi imperialisti celebrano la propria ritrovata ( e faticosa) intesa sulla pelle del popolo greco.

Neppure la forma è stata salvata. Tsipras aveva presentato la vittoria del NO al referendum come leva di un possibile “accordo migliore” con i creditori. E' accaduto l'opposto. L'accordo siglato coi creditori strozzini, sette giorni dopo, è infinitamente più pesante della bozza d'accordo respinta dal referendum. Su ogni voce di merito: pensioni, IVA, privatizzazioni, diritti sindacali, contrattazione. Nei vincoli istituzionali: che sanciscono un più stretto commissariamento del governo greco nell'applicazione e supervisione dell'accordo. Nella imposizione ultimativa del calendario: tre giorni di tempo assegnati al Parlamento greco per votare resa e rapina. Infine nel pignoramento umiliante dei beni e tesori nazionali della Grecia quale garanzia per i creditori.

Vedremo nei prossimi giorni la dinamica politica, in Grecia e in Europa, dell'accordo siglato. Ma la pretesa di Tsipras di venderlo come un proprio “successo negoziale” è tanto imbarazzante quanto penosa. “Abbiamo difeso l'anomalia di un governo di sinistra dal tentativo politico di rovesciarlo” dichiarano i dirigenti di Syriza fedeli al capo. Ma dove sta l'”anomalia” di un governo che gestisce la perfetta continuità dei famigerati memorandum, per di più con l'annunciato soccorso parlamentare dei vecchi screditati partiti borghesi ?

Le sinistre italiane “tsipriote” che in questi mesi hanno impugnato la bandiera di Tsipras come leva di una propria possibile resurrezione si trovano con un pugno di mosche. La verità presenta sempre il conto. Lo spazio riformistico è da tempo crollato in Europa. L'alternativa vera è tra prospettiva anticapitalista e regressione storica. Un partito riformista che accetta il quadro capitalista finisce con l'accettare e gestire la regressione. La capitolazione di Tsipras ai creditori è solo la metafora di questa realtà.

Di certo la costruzione del partito rivoluzionario, in Grecia, in Italia, in Europa, trova nei fatti di Grecia una nuova clamorosa conferma.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

sabato 11 luglio 2015

PER UN PARTITO RIVOLUZIONARIO


Editoriale di
Marco Ferrando

Si sono da tempo consumate due lunghe parabole che hanno attraversato, incrociandosi, la sinistra italiana degli ultimi 25 anni. La prima è quella partita dallo scioglimento del PCI dopo il crollo del muro di Berlino, nel nome dell'accesso, a lungo sognato, al governo del capitalismo, è la parabola di un trasformismo politico senza fine (PDS, DS, PD) che unico caso in Occidente ha condotto un partito stalinista a convertirsi in un partito borghese liberale, alla fine scalabile da un parvenu reazionario di smisurate ambizioni. Il renzismo è in fondo il castigo postumo del dalemismo. La seconda parabola é quella partita dalla nascita di Rifondazione Comunista: un partito nato come “ cuore dell'opposizione" ma con la testa rivolta verso il governo. Un partito che ha compromesso nelle coalizioni di governo nazionali e locali l'intero patrimonio di consenso, aspettative (e illusioni) che inizialmente aveva raccolto. Il combinarsi delle due parabole ha lasciato senza riferimento politico il popolo della sinistra. Il vuoto prodottosi è grande, tanto più sullo sfondo di una crisi sociale profonda, che ha ampliato lo spazio dell'incursione velenosa, in vasti settori di lavoratori, del populismo reazionario anti operaio. Sia esso calvinista, grillino, o renziano. E' dunque naturale che tanti lavoratori, militanti sindacali, attivisti di movimento, protagonisti di lotte di opposizione e resistenza sociale, si interroghino apertamente sul futuro della sinistra e chiedano, in qualche modo, una sua rinascita. Ma a questa domanda si possono dare due risposte diverse, tra loro inconciliabili. 

IL LABORATORIO INCONCLUDENTE DELLA SINISTRA "RIFORMISTA" 

La prima é quella che provano a fornire i gruppi dirigenti della disfatta, sia essa politica o sindacale. Il loro scopo è quello di sopravvivere in un modo o in un altro al proprio fallimento, rilanciando la stessa politica fallita. Il renzismo apre uno spazio politico elettorale a sinistra? Proviamo a occuparlo. Se lo occuperemo potremmo ricostruire un nostro peso politico contrattuale che ci permette di bussare nuovamente alla porta di un rinato centrosinistra, riconquistando assessorati c ministeri. Cosi ragionano tutti i fautori della conclamata “sinistra di governo”. Il governo del capitalismo, a braccetto coi partiti borghesi, resta l'alfa e l'omega dei loro orizzonti, al di là delle chiacchiere. Anche per questo si apre tra loro una guerra infinita di posizionamento.

UNA RISPOSTA DI CLASSE E ANTICAPITALISTA 

La seconda risposta è quella che fornisce il Partito Comunista dei Lavoratori. E’ una risposta che muove dalle rotture con le politiche della disfatta, ponendosi apertamente su un terreno di classe e anticapitalistico. Partiamo da un principio di realtà. L’epoca del riformismo possibile si è chiusa da tempo. Lo spazio riformatore in Europa fu consentito nel secondo dopoguerra dal boom economico della ricostruzione e dalla presenza dall'URSS quale peso al capitalismo. Allora il governo borghese del capitalismo poteva significare riforme, pur di impedire una rivoluzione. 
Oggi il governo del capitalismo significa implacabile distruzione di tutte le riforme sociali del dopoguerra, quale che sia la formula politica del governo. 
Cosa mostra la stessa esperienza in corso del governo Siryza? Il programma di riforme sociali su cui Tsipras ha ottenuto il successo é ormai carta straccia. Il negoziato tra governo greco e Stati capitalisti strozzini si pone sul terreno imposto dagli strozzini, quello della continuità delle privazioni per la popolazione povera di Grecia. L’unica politica di Tsipras é il tentativo di minimizzare le privazioni. Può esservi su questo terreno il “ compromesso onorevole” che Tsipras si ostina a richiedere? 
E in ogni caso sarebbe questa la svolta promessa? 
La verità é che la rottura anticapitalistica è l'unica possibile prospettiva di svolta. E quindi l'unico orizzonte per una sinistra capace di futuro. O la prospettiva di un governo dei lavoratori, o il rischio di una deriva reazionaria: questo è il bivio strategico di fondo che si pone di fronte al movimento operaio europeo. L'esigenza di una sinistra di classe e rivoluzionaria nasce da qui. Non è la memoria ideologica c nostalgica di un epoca remota. E' proprio l'opposto: l'esigenza posta dalla svolta d'epoca del nostro tempo, contro la nostalgia del riformismo perduto dei “trent’anni gloriosi" del dopoguerra. 
Una sinistra di classe, in primo luogo. Cioè una sinistra di parte, che assume apertamente il lavoro salariato come riferimento centrale dello propria azione. E dunque una sinistra di opposizione ai governi del capitale, comunque composti e ad ogni livello. Ma anche una sinistra nemica di ogni populismo, sia esso reazionario o "democratico", comunque proteso alla rappresentanza elettorale di una “cittadinanza” senza classe. 
Ricostruire tra i lavoratori la coscienza di rappresentare una classe autonoma contro ogni forma di intossicazione interclassista è il primo compito di una sinistra vera. Una sinistra rivoluzionaria in secondo luogo. Cioè una sinistra che in ogni lotta immediata di opposizione e resistenza sociale, in ogni movimento e confitto, lavori a connettere le rivendicazioni contingenti allo scopo finale; il rovesciamento della dittatura dei capitalisti. l'affermazione del potere dei lavoratori. Perché non c'è rivendicazione di progresso, qui e ora, che non cozzi con la dittatura del capitale finanziario. 
Senza liberare la società, da questa piovra, non c'è emancipazione possibile per gli sfruttati. Sinistra riformista o sinistra rivoluzionaria, dunque: come un secolo fa questa è la scelta che ogni avanguardia di lotta si troverà nuovamente di fronte. I partiti comunisti un secolo fa nacquero recuperando il programma di Marx contro un riformismo che lo aveva snaturato e che aveva esaurito il suo tempo. Oggi, come allora, la crisi delle basi materiali del riformismo ripropone l'attualità della rivoluzione socialista come unica prospettiva di liberazione. 
Ridare un partito a questo programma è il nostro compito.

Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 8 luglio 2015

SIAMO TUTTI MIGRANTI



L’immigrazione non è un problema di polizia, ma di adeguate politiche sociali di inserimento e integrazione. La negazione dei diritti, l’esclusione e il razzismo non costruiscono sicurezza ma favoriscono la violenza contro i più deboli e portano a meno diritti per tutti. La sicurezza si costruisce con percorsi di accoglienza e di integrazione sociale culturale e politica.

Ventimiglia urla e racconta; quelle manganellate colpiscono ognuno di noi, sono rivolte fisicamente ad alcuni ma feriscono tutti. I fatti dimostrano che la repressione contro i migranti è la stessa identica repressione contro le lavoratrici e i lavoratori, contro movimenti sociali e in difesa dei territori. Le classi dirigenti europee costruiscono caos, disordine, portano all’esasperazione e poi mostrano il loro volto più brutale contro chi ne subisce le violente e disumane conseguenze . .

La verità è che i governi borghesi d'Europa, senza eccezione alcuna, cercano una soluzione per sé, non per i migranti. Di fronte alla più grande migrazione di massa del secondo dopoguerra, ogni regime borghese cerca il massimo utile per gli interessi della propria classe col minimo prezzo in termini di consenso. A questo sono servite e servono le leggi anti migranti nella UE. Non hanno bloccato la migrazione, perché nessuna migrazione dalla fame e dalla morte può essere bloccata. In compenso hanno trasformato la vita di grandi masse di migranti in un inferno “clandestino” quotidiano, merce ricattabile per il massimo profitto delle imprese, e per di più oggetto di aggressioni xenofobe e concorrenze elettorali. .

Di fronte alla nuova tragica impennata del flusso migratorio, per di più “incontestabile” trattandosi di profughi, si cerca di mascherare il loro respingimento con argomenti “umanitari” e persino “democratici”. In realtà otterranno solo due risultati: renderanno ancor più difficile e disperata la fuga, accrescendo il rischio di morte. Creeranno una nuova leva di massa di cosiddetti “clandestini” da sfruttare entro le proprie frontiere. .

Quanto agli accoglimenti “legali”, ridotti al minimo, ogni Stato capitalistico cercherà di scaricare sull'altro il fardello dei relativi costi di accoglienza .E sicuramente ridurrà al minimo, sotto ogni più elementare livello di decenza, i “costi” di accoglienza della “propria quota”. Non senza, prive di pudore ,mangiatoie di sprechi e ruberie, gestite da cooperative “bianche” e “rosse” sulla pelle dei migranti, ridotti ad appestati senza diritti nei campi di detenzione senza colpa. .

Partito Comunista dei Lavoratori
Pavia sez. “Tiziano Bagarolo”

martedì 7 luglio 2015

LA CRISI GRECA DI FRONTE A UN PASSAGGIO CRUCIALE.

Il NO plebiscitario alla Troika apre uno scenario nuovo. Nessun "compromesso onorevole" con gli strozzini è possibile. Il potere dei lavoratori è l'unica soluzione progressiva.


La vittoria referendaria del NO alla Troika, straordinaria nella sua ampiezza, apre una nuova fase della crisi greca. Una fase cruciale per il futuro del movimento operaio, non solo in Grecia ma nell'intera Europa.
E' utile dunque ricostruire una dinamica degli avvenimenti che ha spiazzato più volte tutti gli attori politici.

COME E PERCHE' SI E' GIUNTI AL REFERENDUM

A fine Giugno ( 25 Giugno) il governo Syriza/ Anel era a un passo dall'accordo con i creditori: un accordo ben poco “onorevole”, che prevedeva l'aumento dell'età pensionabile, la cancellazione delle pensioni di anzianità, l'aumento dell'Iva anche su una fascia di consumi alimentari, l'aumento pesante della contribuzione pensionistica e sanitaria per i lavoratori. Quando Tsipras si preparava a gestire un difficilissimo passaggio interno e parlamentare su questa ipotesi di accordo, già di fatto accettata, ecco il colpo di scena. I creditori buttano all'aria l'accordo. La svolta dei creditori è dovuta all'effetto combinato di pressioni convergenti: l'irrigidimento improvviso della Lagarde capo del FMI, che per puntare ad ottenere i voti degli azionisti BRICS per la propria riconferma alla presidenza del fondo, avanzava nuove richieste ultimative; la sponda immediatamente trovata nella Spagna a guida PP, timorosa dell'ascesa di Podemos e interessata alla umiliazione di Tsipras; la corsa del blocco nordico ad appoggiare l'intransigenza FMI; le difficoltà crescenti della Merkel- sino al giorno prima impegnata nella mediazione col governo greco- di fronte alla differenziazione interna al proprio gruppo parlamentare. La corda dell'accordo ufficioso già scritto veniva dunque spezzata .

Il ricorso di Tsipras al referendum del 5 Luglio è stata la risposta alla rottura dei creditori. Non l'effetto di una diretta pressione di massa sul governo, quanto un calcolo politico del suo premier. Tsipras, già in difficoltà, non aveva lo spazio politico per aprire una nuova negoziazione al ribasso sull'ultimatum della Troika . Avrebbe significato la rottura interna di Syriza , la disgregazione della base parlamentare del governo, la rottura dello stesso asse con Anel. La convocazione del referendum, esclusa pubblicamente pochi giorni prima, diventava nella nuova situazione l'unico modo di cercare di salvare Syriza e il proprio governo; l'unico modo per cercare di ottenere con la vittoria del No il rilancio del negoziato conclusivo con i creditori. La pubblica promessa di Tsipras di “un accordo in 48 ore” dopo la vittoria del No significava esattamente questo: l'accordo ufficioso pre referendum era già stato raggiunto, si trattava solo di recuperarlo e siglarlo.

LA VITTORIA PLEBISCITARIA DEL NO SPIAZZA TUTTI GLI ATTORI

Tuttavia lo scontro sul referendum ha complicato il gioco di tutti gli attori politici.

La mancata estensione della copertura finanziaria della BCE alle banche greche ( ELA) determinava la chiusura delle banche e una drammatizzazione brutale dello scontro
Un vasto fronte imperialista, economico e politico, puntava apertamente alla vittoria del Si attraverso la pressione drammatizzata del ricatto. L'obiettivo diventava la crisi politica del governo Syriza/ Anel, pur nella difficoltà di individuare con chiarezza una soluzione parlamentare di ricambio. La Merkel si schierava apertamente per questa prospettiva. Sull'altro versante lo stesso Tsipras dopo la chiusura delle banche ha temuto il rischio di una sconfitta e ha cercato, con la sponda francese, una riapertura negoziale a pochi giorni dal voto. Un varco rapidamente chiuso dal veto tedesco.

La vittoria del NO, per la sua ampiezza plebiscitaria, ha dunque sorpreso tutti i protagonisti del braccio di ferro. In Europa e nella stessa Grecia. Br> La vittoria ha avuto un ampiezza straordinaria nelle città e nella gioventù, con percentuali superiori all' 80%. Ha sancito il rifiuto di massa della continuità della rapina da parte dei lavoratori, dei disoccupati, della popolazione povera di Grecia. L' enorme manifestazione di massa in piazza Syntagma a conclusione della campagna del No ( 4 Luglio) era il preannuncio della vittoria nelle urne. Una sua fotografia anticipata. In questo senso la grande vittoria del NO è stata il sottoprodotto di una ripresa di radicalizzazione politica dei sentimenti di massa e della mobilitazione popolare. Per cinque mesi la negoziazione estenuante del governo Tsipras con i creditori strozzini, col continuo preannuncio di nuovi possibili sacrifici, aveva agito come fattore di congelamento e demotivazione della mobilitazione . La rottura degli accordi da parte dei creditori, e il conseguente scontro referendario, ha costituito viceversa il principale catalizzatore della ribellione. Non è la prima volta nella storia che la reazione diventa l'involontaria levatrice di una possibile rivoluzione.

TSIPRAS PROMUOVE L'UNITA' NAZIONALE COI PARTITI BORGHESI SCONFITTI

Il quadro è ora assai complicato, anche per Tsipras.

Tsipras ha mantenuto fede al copione. Un minuto dopo la vittoria referendaria contro i creditori , il governo ha subito riproposto... ai creditori strozzini l'accordo già ipotizzato, secondo il piano preventivamente deciso. Non solo. Tsipras ha invocato l'unità nazionale di tutti i partiti e di tutte le classi. Ha chiesto e ottenuto la benedizione del Presidente ( reazionario) della Repubblica già a suo tempo designato in funzione della politica di distensione a destra. Ha promosso l'incontro di caminetto con i capi dei partiti borghesi battuti e umiliati dal voto, chiedendo a tutti la “solidarietà nazionale” , promettendo a tutti “responsabilità istituzionale”, offrendo così ai creditori la certezza dei voti parlamentari ai sacrifici connessi all'accordo. Ha coinvolto le gerarchie militari nella funzione di affiancamento della polizia per la “gestione dell'ordine pubblico”, per lisciare il pelo dell'Esercito. Ha messo sul piatto del negoziato con i creditori persino la testa del fedele Varoufakis, per offrire agli strozzini un utile premio simbolico di consolazione e favorire politicamente l'accordo.

La ragione di tutto questo è una sola: dopo l'atto clamoroso del referendum e la straordinaria vittoria, Tsipras pensa di essersi coperto a sinistra e di potersi sbilanciare a destra. Ritenendo di poter far accettare più facilmente all'intero corpo di Syriza e alla propria base di massa le contropartite di un accordo con gli strozzini. Meglio se combinato con una ristrutturazione del debito o un allungamento dei tempi di pagamento.

MA LE CONTRADDIZIONI PRECIPITANO.

Ma la promessa di un accordo “in 48 ore” si rivela temeraria . La vittoria referendaria del NO ,per la sua portata, ha infatti moltiplicato le contraddizioni interne al fronte imperialista. La partita non è solo economica, ma politica, oggi più di ieri.

Dal punto di vista economico diversi fattori militano a favore dell'accordo fra la Troika e la Grecia. Gli Usa e la Cina vogliono l'accordo perchè temono come la peste un aggravamento della crisi capitalistica in Europa. (Oltrechè per ragioni geopolitiche, nel caso in particolare degli Usa). La Bundesbank tedesca chiede alla Merkel di non perdere i miliardi di crediti verso la Grecia. Francia e Italia, potenze creditrici, chiedono di “aiutare” la Grecia a rimborsare.. le casseforti di Francia e Italia. Un'ammirevole generosità. Persino il FMI fa filtrare alle spalle della Lagarde una ragionevole e possibile ristrutturazione dell'impagabile debito greco, per continuare a sorreggere il debitore con la propria corda usuraia. Le proporzioni economiche relativamente modeste della crisi greca, misurata su scala continentale, suggerirebbero dunque un 'equa soluzione di ordinario strozzinaggio , come rivendica candidamente, da osservatore, Romano Prodi.

Ma dal punto di vista politico, il quadro è destabilizzato.
Sale la pressione populista nazionalista in diversi paesi capitalistici “contro i soldi ai greci”,da parte di quelle stesse canaglie che hanno finto di applaudire la vittoria del No “contro la Merkel” ( Salvini e Le Pen). La Germania e i paesi nordici hanno ancora più difficoltà a far digerire alla propria “opinione pubblica” e ai propri compositi Parlamenti nuove “elargizioni alla Grecia” dopo che l'hanno dipinta nei giorni dello scontro referendario come “inaffidabile scroccona” e “sanguisuga parassitaria” . La Spagna del PP teme ancor più di ieri l'effetto di trascinamento della vittoria di Syriza sull'ascesa di Podemos , e dunque l'effetto politico di nuove concessioni a Tsipras che possano ulteriormente arrotondare la sua vittoria. Un pezzo centrale della Socialdemocrazia europea, a partire dal SPD ( Gabriel), è terrorizzata dagli effetti di ricomposizione a sinistra che un'ulteriore vittoria simbolica di Tsipras potrebbe determinare ai suoi danni ( ascesa della Linke in Germania ad esempio) e si schiera pertanto sul versante anti greco.

E' dunque evidente, tanto più in questo quadro, che un eventuale accordo con gli strozzini prevederebbe contropartite punitive per i lavoratori greci di certo non minori che prima del referendum. Perchè solo misure punitive potrebbero controbilanciare agli occhi dei creditori gli inconvenienti politici dell'accordo. Ma questo diverrebbe un nuovo problema per Tsipras e per i suoi rapporti di massa. Dov'è finito più che mai oggi quel “programma riformista di Salonicco” su cui Syriza vinse le elezioni?

IL CONFRONTO DELLE LINEE A SINISTRA NEL VIVO DELL'ESPERIENZA GRECA

L'idea che Syriza riuscisse in qualche modo a stabilizzare il quadro politico greco è naufragata in cinque mesi. Questa è la prima lezione di fondo degli avvenimenti. Tutte le contraddizioni sono precipitate sul fronte economico, politico, sociale. In Grecia e in Europa. L'idea di un compromesso “onorevole” tra lavorati greci e capitale finanziario internazionale è relegata sempre più nel mondo delle fiabe. Mentre la crisi greca mette alla prova l'intero equilibrio politico istituzionale della UE, tra spinte all'integrazione e spinte alla dissoluzione.

In questo quadro, tutte le opzioni strategiche delle sinistre riformiste, socialdemocratiche o staliniste, sono polverizzate una dopo l'altra dai fatti di Grecia.

La pretesa della “Riforma sociale e democratica” dell'Unione capitalistica continentale- avanzata dalla Sinistra Europea e da Tsipras- ne esce a pezzi, sotto ogni versante. L'Unione tra Stati imperialisti del vecchio continente, a partire dal nucleo fondante franco tedesco, si regge sulla spoliazione della classe operaia e della popolazione povera di ogni paese. Nessuna riforma può cancellare la sua costituzione materiale. Lo stesso NO agli strozzini del popolo greco segna di fatto un rifiuto del capitalismo europeo.

L'idea di una possibile via d'uscita attraverso una ricollocazione geostrategica del capitalismo greco al fianco dei BRICS- sostenuta da correnti neostaliniste, anche all'interno di Syriza- è anch'essa ridicolizzata dalla vicenda greca. Non solo ignora la natura capitalistica o neo imperialistica dei paesi chiave dei BRICS, a partire da quella Cina che oggi acquista a prezzi di saldo settori chiave dell'economia greca ( il porto del Pireo). Ma ignora lo spiacevole dettaglio che ha visto proprio i BRICS tra i principali usurai del FMI ai danni del popolo greco, in prima fila nel rilanciare i peggiori ultimatum del Fondo all'ombra di Lagarde. Il NO greco agli strozzini europei non chiede di cambiare padrone.

Infine esce distrutta nella propria credibilità la corrente stalinista del KKE greco e la sua filiera internazionale. Questo partito, impegnato in una metodica divisione del movimento operaio greco, è giunto a boicottare il referendum contrapponendosi al NO . Si è dunque opposto alla dinamica di ribellione di massa contro la Troika. Le frasi sull'”opposizione sia a Syriza sia alla Troika” sono penose. La verità è che lo stalinismo greco si è comportato nelle urne come nelle piazze. Con una logica autocentrata di apparato, unicamente preoccupato di conservare il proprio spazio, in aperta opposizione alla domanda popolare di massa. La vittoria plebiscitaria del No ai creditori è il crollo politico e morale dello stalinismo greco.

LA RIVOLUZIONE, UNICA SOLUZIONE

L'unica soluzione progressiva della crisi greca passa per la rottura anticapitalista. Per il ripudio del debito ai creditori strozzini: perchè ogni negoziazione del debito espone a vergognosi ricatti e contropartite. Per la nazionalizzazione delle banche greche e la loro concentrazione in una unica banca pubblica: perchè è l'unica via per bloccare la fuga dei capitalisti, proteggere i risparmi popolari, rifondare la società greca. Per l'esproprio degli armatori e dei poteri forti del paese: perchè è l'unico modo per fare piazza pulita dei parassiti sfruttatori, concentrando nelle mani dei lavoratori le leve della ricchezza. Solo un governo dei lavoratori, imposto dalla forza di massa, può attuare simili misure. Solo l'EEK ( Partito operaio rivoluzionario) - la sezione greca del CRQI- si batte coerentemente per questa prospettiva.

La straordinaria vittoria del NO alla Troika merita un'alternativa anticapitalista. Il No alla Troika e ai capitalisti ha il diritto di governare la Grecia, liberandola da oppressione, sfruttamento, umiliazioni. Ogni pretesa di subordinare il NO a un nuovo accordo con gli usurai significherebbe vanificare la vittoria. L'EEK si batterà sino in fondo contro ogni possibile tradimento della vittoria popolare, per il potere dei lavoratori in Grecia, per la rivoluzione socialista in Europa.

Ai nostri compagni greci va tutto il sostegno del PCL. La loro lotta è la nostra.

Partito Comunista dei Lavoratori

domenica 5 luglio 2015

L'illusione delle soluzioni riformiste: “europa sociale” o “moneta nazionale”



Le terapie ideologiche che pensano di rimediare all’attuale crisi nel quadro capitalista cadono nel grottesco.

Le formazioni della “Sinistra Europea” (Syriza, Fronte de Gauche, Linke, Izquierda Unida e ciò che resta del PRC) propongono ingegnerie democratiche e Keynesiane: riforma della BCE quale prestatore diretto agli Stati, ristrutturazione “concordata” del debito pubblico; audit per separare il debito “legittimo” da quello “illegittimo”. Queste proposte non solo sono prive di un riferimento di classe; ma muovono alla ricerca utopica di un “compromesso” progressivo col capitalismo europeo, nel momento stesso della sua massima crisi e della massima aggressione al lavoro. Dal punto di vista politico sono un certificato di “responsabilità” e di “realismo” da esibire alle classi dirigenti europee per rivendicare il diritto a un proprio futuro ruolo di governo.

Altre formazioni, per lo più di estrazione stalinista, propongono invece l'uscita dall'Euro: o in direzione delle vecchie monete nazionali (che nel quadro del capitalismo e della sua crisi sarebbe solo un’occasione di saccheggio speculativo su salari e risparmi); o in direzione di una “moneta comune” del Sud Europa, per “un'alleanza tra Stati che possa avere più potere contrattuale a livello continentale”, sulla base di un blocco sociale esteso a “settori di borghesia nazionale” (v. il documento per la 2° Conferenza nazionale della Rete dei Comunisti): una suggestione non solo priva di ogni fondamento, ma che rimuove l'autonomia di classe e che ha come vero risvolto la negazione della rivoluzione socialista. Nel nome dell'ennesima evocazione di una (immaginaria) “tappa democratico-progressiva”.

L'avanguardia di classe va liberata da queste fantasie. L'alternativa non è tra euro e moneta nazionale. È TRA CAPITALE E LAVORO. Tutte le rivendicazioni fondamentali della classe operaia e degli sfruttati sono incompatibili col capitalismo europeo; con l'Unione dei capitalisti e dei banchieri, (con le sue istituzioni, leggi, trattati); con ogni quadro capitalistico “nazionale”; con ogni cartello di Stati capitalisti. Il recupero, la difesa, l'ampliamento del salario sociale; la difesa, la riqualificazione, la ripartizione del lavoro; lo sviluppo di un grande piano di nuovo lavoro, richiedono un piano di misure anticapitaliste radicali e un potere che le possa realizzare. In altri termini una prospettiva di rivoluzione e di governi dei lavoratori. In ogni Paese e su scala Europea.

Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 1 luglio 2015

La battaglia per il referendum in Grecia



Lunedì 29 giugno 2015. Più di duecentomila persone si sono riunite in piazza Syntagma, davanti al Parlamento greco, in uno straordinario raduno di massa per il "no" al prossimo referendum del 5 luglio, seguito all'ultimatum di Unione Europea, BCE e FMI alla Grecia per accettare un nuovo ciclo di misure di cannibalismo sociale o per essere sfrattati prima dall'eurozona (la famigerata "Grexit") e poi dall'UE. Tornano i giorni della storica mobilitazione popolare degli anni 2010-2012, quando per la prima volta la troika UE/BCE/FMI, con il volontario appoggio dei governi greci borghesi, imposero i tristemente noti "programmi di salvataggio" legati al memorandum di misure draconiane di "austerity" per salvare le loro banche affamando il popolo di una Grecia in bancarotta.

Negli ultimi cinque anni, la polarizzazione e la radicalizzazione sociale hanno prodotto un enorme svolta a sinistra, che ha infine portato alla vittoria elettorale della sinistra riformista di Syriza il 25 gennaio 2015, sull'aspettativa che essa avrebbe posto fine all'austerità. Cinque mesi di infruttuosi "negoziati" dell'europeista Syriza con l'ostile troika sono alla fine crollati. Il 22 giugno, un disperato governo Tsipras, sotto il ricatto di condizioni di asfissia finanziaria imposto dalla BCE, era sul punto della capitolazione totale, nel momento in cui si disponeva ad accettare un nuovo programma di austerità, peggiore perfino rispetto ai precedenti che i governi neoliberali del PASOK e di Nuova Democrazia (destra) hanno imposto fra il 2010 e il 2014. Ma all'ultimo momento, il 24 giugno, il FMI ha introdotto negli accordi nuove barbariche misure. In quel momento, i segnali di una capitolazione di Syriza già iniziavano a produrre l'effetto di un vasto malcontento popolare e di una vera ribellione nelle fila della stessa Syriza. Tornando ad Atene il 26 giugno, Tsipras deve affrontare il dilemma di un suicido politico suo e del suo governo oppure, in alternativa, di compiere una nuova svolta. Quindi annuncia che l'ultimatum della troika sarebbe stato sottoposto a referendum, e la sua accettazione decisa dallo stesso popolo greco con un "sì" o con un "no".

Questa svolta causa una vera isteria in tutti i centri del capitale globale: Bruxelles, Berlino e Washington innanzitutto. I leader delle istituzioni imperialiste esprimono la loro ira chiedendo ai greci di votare "sì" e di cambiare governo. I collaboratori della troika in Grecia, i partiti dell'opposizione borghese (incluso il nazista Alba Dorata) mettono in scena una reazionaria mobilitazione anticomunista della classe media, chiamata "Stiamo in Europa", che risveglia i ricordi del Cile di Allende nel 1973.

Lo stalinista Partito Comunista di Grecia (KKE), vergognosamente, boicotta il "no" al referendum, sostenendo che un no alla chiara e diretta domanda "Accetti i termini di UE/BCE/FMI, sì o no?" significherebbe indirettamente... un sì al piano di austerità del governo. Stampando e distribuendo una scheda elettorale con il nome del Partito Comunista e i suoi slogan (ovviamente non valida, e quindi considerata nulla), gli stalinisti promuovono un "astensionismo" a tutto favore dei partiti capitalisti e del sistema.

Il Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (EEK), nonostante critichi le politiche di collaborazione di classe e di adattamento all'Unione Europea di Syriza così come l'intera logica dei falsi "negoziati", sta attivamente facendo campagna per il "no" al referendum, avanzando allo stesso tempo un programma transitorio di cancellazione del debito, nazionalizzazione delle banche sotto il controllo dei lavoratori, riorganizzazione dell'economia su nuove basi socialiste, rottura con l'Unione Europea imperialista e unificazione socialista europea.

Oggi abbiamo partecipato, sotto le nostre bandiere, a questa enorme manifestazione in piazza Syntagma, e organizzeremo un raduno davanti alla vecchia università per mercoledì 1 luglio, il giorno successivo al termine finale del pagamento di 1,5 miliardi all'FMI. Altre assemblee pubbliche dell'EEK si terranno nei prossimi giorni in tutte le città greche. Il segretario dell'EEK, Savas Michael-Matsas, ha rilasciato oggi un'intervista al principale notiziario radiofonico dell'ERA presentando le posizioni e l'analisi del partito trotskista e criticando il tentativo del governo di usare il referendum come carta negoziale per un'impossibile ricontrattazione con l'UE. Il maggior quotidiano pro-Syriza, Efsyn, ha pubblicato la risoluzione del Comitato Centrale dell'EEK sul referendum.

Un nuovo capitolo della crisi capitalista mondiale esplosa nel 2007-2008 si è aperto. La resistenza popolare greca, che ha imposto il referendum sull'ultimatum imperialista, ha già prodotto uno tsunami globale in tutti i centri finanziari, e ha portato il panico fra gli stessi imperialisti, che sono all'opera per cercare di realizzare un colpo di stato postmoderno allo scopo di stabilire ad Atene un governo di fiducia di servili tirapiedi. Merkel, Junker, Hollande, il Presidente del Parlamento Europeo Schulz, i leader socialisti europei, stanno intervenendo senza mezzi termini, quotidianamente, per chiedere la vittoria del "sì" e il "regime change".

Questa è guerra di classe. Nonostante le difficoltà, la confusione, il panico causati dal "corralito" greco imposto dalla BCE, stiamo lottando con tutte le nostre forze, con tutto il nostro impegno, con tutta la nostra fiducia in una vittoria finale della classe lavoratrice nello scontro infinito fra rivoluzione e controrivoluzione.

Savas Michael-Matsas - EEK