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giovedì 9 novembre 2017

IL GROVIGLIO POLITICO ITALIANO



Il risultato delle elezioni regionali siciliane è di per sé inequivocabile. La coalizione di centrodestra conquista la maggioranza relativa, il M5S manca il successo atteso ma registra un consolidamento, la coalizione tra PD e Alfano conosce una pesante sconfitta annunciata, il blocco MDP-SI-PRC supera la soglia di sbarramento ma non raggiunge le percentuali sperate.

Al di là delle specificità regionali, questo risultato d'insieme assume una valenza politica nazionale.

Il renzismo ha totalmente fallito, e da tempo, i due obiettivi strategici su cui puntava: lo sfondamento nel blocco sociale di centrodestra grazie all'attacco frontale al lavoro (Jobs Act), e l'incursione nell'elettorato grillino grazie alle pose concorrenziali populiste (critica di Bankitalia, critica della UE, promesse a futura memoria su tasse e pensioni...). Questo fallimento non si traduce nell'immediata caduta della segreteria Renzi, perché il segretario dispone di una maggioranza autosufficiente nella Direzione Nazionale del PD, e perché la nuova legge elettorale approvata gli mette in mano il pieno controllo sulle prossime liste elettorali del partito. Ma certo la crisi del renzismo consuma in Sicilia un nuovo capitolo del proprio romanzo, con effetti sull'insieme del quadro politico. Per la prima volta si delinea la possibilità di una competizione diretta tra centrodestra e M5S per il primato nazionale, che releghi il PD in terza posizione.

Gli stati maggiori del PD, in apprensione per il proprio futuro, premono su Renzi perché lavori a ricomporre una coalizione competitiva per le prossime elezioni politiche. Renzi stesso per rimanere in sella mima la disponibilità all'apertura. Ma apertura in quale direzione? Sulla sua destra, il partito di Alfano è letteralmente esploso dopo il mancato ingresso nel parlamento siciliano, e in ogni caso il suo apporto elettorale sarebbe insignificante se non negativo. Sulla sua sinistra, Pisapia è evaporato nel nulla (...da cui in realtà non si era mai scostato), mentre MDP, che già registra gli effetti di una scissione tardiva e disastrosamente gestita, non sembra disponibile al suicidio definitivo facendo blocco con Renzi nel momento della sua disfatta: prima di una ricomposizione (annunciata) col PD vuole vedere il cadavere del suo segretario. In questo quadro tutto sembra precipitare verso la disfatta definitiva del renzismo.

Ma a favore di quale prospettiva? M5S e centrodestra giocano alla contrapposizione diretta l'uno contro l'altro per beneficiare di un bipolarismo simulato, e accrescere le difficoltà del PD. Il M5S gioca a presentarsi come l'unica vera alternativa a Berlusconi, puntando a capitalizzare una quota crescente di elettorato PD nel nome del voto utile contro la rimonta della destra. Berlusconi all'opposto gioca a presentarsi come l'unico vero argine al populismo del M5S nel nome della governabilità contro l'”avventura”, con la significativa benedizione di Angela Merkel e del PPE. Entrambi usano la contrapposizione bipolare come leva di polarizzazione elettorale e di possibile sfondamento.

Ma un conto è la simulazione, un conto la realtà. L'assetto politico generale resta ancora al momento tripolare, e dentro l'assetto tripolare né il M5S né il centrodestra sembrano in grado di conquistare la maggioranza dei seggi nel prossimo Parlamento. Un simile sbocco richiederebbe infatti, con la nuova legge elettorale, la conquista del 45% dei voti sul livello proporzionale, e parallelamente del 70% dei voti al livello maggioritario dei collegi (calcoli di D'Alimonte). Una combinazione difficilmente raggiungibile, proibitiva per il PD, improbabile per centrodestra e M5S. Anche nel caso di un ipotetico crollo del PD nei collegi tradizionali di centro Italia (per l'effetto di una presenza concorrenziale a sinistra), la contesa tra centrodestra e M5S tenderebbe infatti a sancire un relativo equilibrio, non uno sfondamento unilaterale.

Resta l'ipotesi di scuola di un governo PD-Forza Italia per lo scenario post-voto. È un'ipotesi sicuramente contemplata dagli stati maggiori dei due partiti, e dal commentario di retroscena del giornalismo borghese. Ma presenta due problemi rilevanti.
Il primo è numerico. Nessuna proiezione dei sondaggi attuali indica una possibile maggioranza parlamentare PD-Forza Italia nelle due Camere. La crisi del PD, e l'accresciuta forza contrattuale della Lega nella spartizione con FI dei collegi del Nord, rende oggi ancor più difficile un simile esito.
Il secondo problema è politico. Un governo PD-Forza Italia non solo implicherebbe lo sfascio delle rispettive coalizioni elettorali, ma innescherebbe una dinamica destabilizzante in entrambi i partiti e nel rapporto coi rispettivi elettorati. Sia nel PD, esposto più che mai alla crisi di rigetto del renzismo; sia in Forza Italia, dove buona parte degli eletti nei collegi del Nord dovrebbe rompere quel patto con la Lega che ha reso possibile la propria elezione.
A differenza che in Germania, dove un governo di unità nazionale tra CDU e SPD aveva spalle relativamente larghe, un governo PD-FI, se anche fosse numericamente possibile, sarebbe solo un ulteriore capitolo del processo di decomposizione degli equilibri borghesi.

È un caso che già si pensi all'eventuale ricorso a nuove elezioni nel caso di un prossimo parlamento ingovernabile?

La crisi italiana si avvita. I padroni non sono mai stati tanto forti nei luoghi di lavoro, ma faticano a tradurre questa forza in un equilibrio politico-istituzionale stabile, mentre debito pubblico e crisi bancaria misurano un nodo irrisolto, senza punti di paragone nei paesi imperialistici europei. L'Italia è e resta dunque un anello debole dell'unione capitalistica europea. Ma solo l'irruzione di un'azione di massa del movimento operaio sul terreno della lotta di classe può entrare nel varco di questa contraddizione e aprire una prospettiva politica nuova per gli sfruttati.


Partito Comunista dei Lavoratori

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