Un governo padronale di cartapesta si
regge sul sostegno di Maurizio Landini, a tutto vantaggio di Matteo Salvini (e
Meloni). L'intero scenario politico si riassume in questa verità
Editoriale del nuovo
numero di Unità di Classe
Il governo che si annunciava di
svolta è in realtà il governo della continuità. Continuità non solo di un
Presidente del Consiglio buono per ogni stagione, ma soprattutto delle
politiche dominanti. Tutte le peggiori misure antioperaie dell'ultimo decennio,
dal Jobs Acts alla legge Fornero, restano intatte, ed anzi si preannuncia il de
profundis di "quota 100". Restano intatti nella loro sostanza i
famigerati decreti sicurezza, usati come clava contro gli immigrati, ma anche
contro i picchetti e i blocchi stradali di chi difende il posto di lavoro. Si
salvaguarda l'accordo infame col governo libico, che finanzia i carcerieri di
carne umana ammassata in luoghi di tortura e di stupri. Si rivendica la
continuità di tutte le missioni militari ed anzi si amplia l'acquisto a suon di
miliardi dei famosi F-35, mentre si assicura alla NATO l'aumento richiesto del
bilancio della Difesa. Si rilancia ed anzi si accelera un progetto di
“autonomia differenziata”, a vantaggio delle imprese del Nord e a carico della
popolazione povera del Sud e di tutti i lavoratori del Sud e del Nord.
IL CAPITALE INGRASSA, I
LAVORATORI PAGANO
Quanto alle politiche di bilancio,
hanno onorato fedelmente i patti europei. Quattordici miliardi versati nel
Fondo europeo di stabilità, una cassa di mutuo soccorso del capitale
finanziario di tutta Europa a carico dei lavoratori di tutta Europa. Ventitré
miliardi per disinnescare le clausole Iva nel 2020, ed altri quarantasette
miliardi per disinnescare quelle del 2021 e 2022, in omaggio alle richieste dei
creditori. Altri sette miliardi versati in forme diverse nel portafoglio delle
imprese, le stesse che nel solo 2019 hanno fatto in borsa 21 miliardi di
capitalizzazione e dividendi, cui si aggiungono un altro miliardo di soldi
pubblici a beneficio dei grandi azionisti della Banca Popolare di Bari, ed
altri miliardi annunciati a vantaggio di quegli acquirenti privati di ex Ilva e
Alitalia, che già pongono come condizione d'acquisto nuove migliaia di esuberi
e licenziamenti.
Chi paga il conto di tanta manna? I
lavoratori e le lavoratrici: penalizzazione dei contratti pubblici, nulla su
scuola e università, nulla in fatto di investimenti pubblici in opere sociali e
risanamento ambientale (alla faccia della retorica sul clima!), mentre si fanno
altri quattordici miliardi di deficit sul mercato finanziario da ripagare in
futuro con tagli annunciati. Il tutto mascherato come in passato da piccole
mance caritatevoli: una riduzione irrisoria del cuneo fiscale senza che i
padroni versino un euro, il pannicello caldo del superamento del superticket in
una sanità pubblica che resta allo sfascio, i bonus per gli asili nido in un
paese che non conosce asili in quasi tutto il Mezzogiorno. L'unica differenza è
che le mance sono più esigue di quelle non meno ingannevoli del passato.
MAURIZIO LANDINI, LA
GUARDIA DEL CORPO DI CONTE
Il punto è che tutta questa politica
non si regge sulla forza politica del governo. Il governo è anzi sotto ogni
profilo un governo dai piedi di argilla che vive alla giornata, preso in
ostaggio dalla disgregazione interna del M5S, dai rilanci destabilizzanti di
Matteo Renzi, dalla crisi irrisolta del PD. La politica padronale si regge
sulle spalle della sinistra. Di tutta la sinistra parlamentare, a partire da
Sinistra Italiana di Fratoianni, che aveva giurato sei mesi fa “mai più col PD”
e che oggi si ritrova al governo con Renzi. Ma soprattutto della burocrazia
dirigente della CGIL, Maurizio Landini in testa, che offre al governo la
propria ciambella di salvataggio attraverso l'ennesima proposta di “patto col
governo e con le imprese”, un rilancio in grande stile della concertazione con
l'avversario. Per di più nel momento in cui il governo perpetua tutte le misure
di precarizzazione del lavoro, e i padroni rifiutano persino di discutere gli
aumenti contrattuali rivendicati dai metalmeccanici. Il tutto accompagnato
dalla rinuncia a qualsiasi mobilitazione vera, mascherata con la farsa innocua
di qualche comizio ad uso telecamere.
Ecco, il governo del capitalismo
italiano si regge su Maurizio Landini. Quello che dieci anni fa era l'eroe
della sfida a Marchionne e che tutta la sinistra cosiddetta radicale (non noi)
elevava a feticcio è diventato la guardia del corpo di Conte. E purtroppo la
prostrazione umiliante della CGIL non ha solamente conseguenze sindacali, ma
politiche, e di prima grandezza. Alimenta la ripresa di Salvini, e la scalata
di Meloni, presso larghi settori di classe lavoratrice. E priva i movimenti
democratici contro Salvini (le “sardine”) di un riferimento sociale di classe
favorendo la loro subordinazione al PD.
Non c'è svolta possibile dello
scenario italiano senza chiamare in causa la politica della burocrazia CGIL.
Non è una questione sindacale, ma politica. Salvini non avrebbe la forza che ha
tra i lavoratori senza il lasciapassare, a suo tempo, alla legge Fornero. Né
oggi conoscerebbe la ripresa che ha senza la politica subalterna e passiva
della principale organizzazione di massa del movimento operaio italiano.
PER UNA PIATTAFORMA DI
LOTTA GENERALE, PER UN PROGRAMMA DI RIVOLUZIONE
Occorre dunque un cambio di rotta e
direzione. Questo cambio va costruito in ogni singola lotta di resistenza,
spesso oggi isolata e abbandonata a sé stessa. Ma va costruito anche e
soprattutto dando battaglia ovunque per un'altra prospettiva generale. La
grande lotta dei ferrovieri, degli insegnanti, degli infermieri, in Francia,
nonostante anche lì una (diversa) resistenza delle burocrazie, indica le
potenzialità di una alternativa. È falso che i lavoratori sono deboli, che le
lotte siano destinate alla sconfitta. È vero invece che 17 milioni di salariati
in Italia sono una forza enorme, che va semmai organizzata e impiegata, facendo
emergere una piattaforma di lotta unificante, ponendo il tema di uno sciopero
generale prolungato per sostenerla e di una grande assemblea nazionale di
delegati eletti per approvarla. Il PCL si batterà in ogni luogo di lavoro, in
ogni organizzazione sindacale di classe perché questa alternativa emerga,
conquisti settori crescenti dell'avanguardia, sappia imporsi all'attenzione
della grande massa dei lavoratori e delle lavoratrici.
È necessario che il coordinamento
nazionale unitario delle sinistre di opposizione, emerso dalla grande assemblea
del 7 dicembre, investa in questo lavoro. Finalmente si è prodotto un fatto
unitario a sinistra, contro la logica settaria della frammentazione
dell'iniziativa di avanguardia, o peggio ancora di veti incrociati e
preclusioni reciproche. Ma ora occorre che l'unità d'azione diventi per
l'appunto azione. Le campagne unitarie per la riduzione dell'orario, per la
nazionalizzazione delle aziende che licenziano ed inquinano, per la
cancellazione dei decreti sicurezza, per il ritiro delle missioni militari,
possono dare un contributo importante, se sono sviluppate in una direzione
coerentemente anticapitalista e se sono investite in una battaglia vera,
concentrata, di massa in ogni luogo di lavoro, in ogni sindacato di classe, in
ogni movimento progressivo.
Come PCL ci batteremo per questo.
Abbiamo contribuito in modo determinante alla nascita del coordinamento
unitario delle sinistre di opposizione, contro resistenze settarie o timidezze.
Ci batteremo ora con ugual vigore perché il campo dell'unità d'azione si
allarghi e perché cresca nell'avanguardia l'influenza politica di un programma
di rivoluzione.
La costruzione e il rilancio del
Partito Comunista dei Lavoratori sono per questo tanto più indispensabili.
La ritirata è finita. Inizia una
stagione nuova.
Marco Ferrando
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