
Il governo
SalviMaio si è rafforzato in questi mesi. La sua base di consenso si è
allargata, anche tra i lavoratori. M5S e Lega avevano un consenso complessivo
del 50% il 4 marzo, oggi i sondaggi assegnano loro oltre il 60%, con uno
sfondamento impressionante della Lega. Le campagne d'ordine contro i migranti,
la gestione pubblica della tragedia di Genova, il successo d'immagine
dell'accordo Ilva hanno rafforzato la percezione diffusa di un governo di
svolta presso ampi strati popolari. In ogni caso hanno alimentato una
aspettativa positiva. Il governo non cresce solamente o prevalentemente per
quello che fa o per quello che promette, cresce innanzitutto perché appare
contro “quelli di prima”. Per questo l'opposizione liberale del PD, dal
versante degli interessi delle imprese, come gli ammonimenti di provenienza UE
su immigrazione e conti pubblici, sono oggi un fattore di rafforzamento del
governo SalviMaio.
Inoltre il governo capitalizza la crisi verticale delle opposizioni liberali.
PD e Forza Italia vedono precipitare ulteriormente le proprie fortune, sotto
ogni aspetto. Il loro consenso sociale cala (PD) o crolla (FI). I loro assetti
interni sono scompaginati dal tramonto delle vecchie leadership (Renzi e
Berlusconi) e dalla estrema difficoltà a trovarne di nuove. Le loro prospettive
politiche sono buie: il PD è orfano del centrosinistra e lontano mille miglia
da un possibile ritorno al governo, che è la sua stessa ragione di vita; Forza
Italia vede dileguarsi il miraggio di una possibile ricomposizione di governo
con Salvini, a fronte dello sfondamento della Lega e di un riequilibrio
irreversibile dei rapporti di forza. Il risultato d'insieme di questi fattori è
l'assenza di ogni soluzione di ricambio politico del governo in carica,
nell'immediato e per la prossima fase; ciò che può allargare le disponibilità
di dialogo dell'establishment col governo in carica, al di là delle
contraddizioni esistenti.
Ma soprattutto pesa l'assenza di una opposizione sociale al nuovo governo dal
versante di classe.
La CGIL è del tutto paralizzata dalla preoccupazione di salvaguardare e
sviluppare il patto col padronato e dalla lotta interna per la successione alla
Camusso. Mentre il candidato emergente, Maurizio Landini, è più aperto al
dialogo col governo giallo-verde della destra interna filo-PD (Colla). L'USB,
che pure ha avuto un ruolo positivo nella lotta dei braccianti di Rosarno e
Foggia, continua ad essere segnata da una ambiguità di fondo verso il M5S che
condiziona il suo rapporto col governo. L'esaltazione dell'accordo Ilva da
parte di FIOM e USB ha rappresentato non solo un falso sotto il profilo
sindacale, ma un'insperata sponda politica al governo - in particolare a Di
Maio - e alla sua presa tra i lavoratori.
UN GOVERNO PER TUTTO IL PADRONATO
Contrariamente al suo successo d'immagine tra i salariati, il governo
giallo-verde non ha nulla a che spartire coi loro interessi. È vero, non prende
ordini direttamente dalle grandi famiglie del capitale (Benetton) come i
governi precedenti (inclusi quelli appoggiati da Rifondazione Comunista). Esso
cerca di costruire un nuovo equilibrio politico col capitale finanziari:
allargamento delle partecipazioni statali, promozione di propri fiduciari ai
vertici delle istituzioni finanziarie (Consob) e dell'amministrazione pubblica,
negoziazione delle politiche di bilancio. Ma il suo fine preminente è la
protezione e rappresentanza della piccola e media impresa, cui vuole estendere
i privilegi di cui gode la grande: riduzione ulteriore e massiccia della
tassazione sui profitti (Ires), estensione del super-ammortamento, flat tax
prioritaria al 15% per le partite Iva e le libere professioni, condono fiscale
rivolto principalmente ai piccoli e medi imprenditori (con un tetto al
milione?). Lega e M5S sgomitano tra loro per la rappresentanza di questi
interessi sociali. La Lega con l'occhio al capitalismo dei distretti, il M5S
con l'occhio alle libere professioni. Entrambi alla ricerca di una propria
solida radice nella società del capitale, comunque dominata dal capitale
finanziario, quello che compra i titoli di Stato, quello che incassa gli
interessi sul debito, quello che si proietta su scala europea e mondiale.
Quello dei grandi gruppi capitalistici cui in questi giorni Di Maio sta
procurando lucrosi affari in Cina.
Al capitale finanziario il governo SalviMaio offre un accordo vantaggioso: “Noi
rispettiamo i vincoli di fondo del debito pubblico e del fiscal compact, le
leggi antioperaie dei precedenti governi, incluso la distruzione dell'articolo
18 che è la principale vittoria vostra nella guerra contro il lavoro. Tutto
questo non lo tocchiamo. Voi lasciateci uno spazio di manovra per soddisfare la
piccola e media borghesia, e ingannare salariati e disoccupati. Perché solo
così potremo portarvi in dote il loro consenso, che è la garanzia della vostra
stabilità”.
Tutta la bagarre che oggi attraversa il governo sulla prossima legge di
bilancio ruota attorno alla ricerca di questo accordo. Di Maio e Salvini
battono cassa, il ministro dell'economia Tria tiene il freno, a garanzia di
Bankitalia e d'intesa con Mattarella. Vedremo quale sarà la risultante.
LE PROMESSE SOCIALI ALLA PROVA
Ma se si garantisce al capitale il pagamento del debito pubblico e dei suoi
interessi (in crescita), e insieme una riduzione ulteriore del prelievo fiscale
sui profitti, cosa resterà delle promesse sociali su Fornero e reddito di
cittadinanza? Qualcosa di sicuro resterà, perché Salvini e Di Maio non sono
votati al suicidio. Ma cosa? L'abolizione della Fornero è già diventata la sua
riforma, e la sua riforma sembra combinare un anticipo dell'età pensionabile
con la riduzione degli assegni per via del ricalcolo contributivo. Il reddito
di cittadinanza - condizionato all'accettazione di lavoro precario - sembra
ridursi alla sola povertà assoluta, dimezzando il proprio bacino di
riferimento.
Ma soprattutto chi paga il conto? Se si finanzia l'operazione col deficit si
finisce col pagarlo con gli interessi alle banche, attingendo prima o poi al
portafoglio dei salariati. Se la si finanzia col taglio delle spese, si finisce
col comprimere, al di là delle chiacchiere, le prestazioni sociali. Se la si
finanzia con l'aumento delle imposte, si riduce a una partita di giro in cui
pagano sempre i soliti noti. Intanto si tagliano i fondi alle periferie, si
ipotizza un aumento selettivo dell'Iva, si discute persino del taglio
(improbabile) degli 80 euro. L'unica cosa certa è che i lavoratori salariati
continuano a reggere sulle proprie spalle l'80% del carico fiscale, l'articolo
18 resta distrutto, i contratti a termine sono portati dal 20% dell'organico
aziendale (Poletti) al 30% (Di Maio). A proposito di lotta al precariato!
Mentre centinaia di migliaia di lavoratori immigrati, forzatamente
“clandestini” per le leggi infami che li vogliono tali, saranno più vessati e
sfruttati di prima, e dunque usati come arma di ricatto contro i salariati
italiani per nutrire le campagne xenofobe.
Sarebbe questo un governo di svolta per la classe operaia? Non prendiamoci in
giro.
PER UN'OPPOSIZIONE DI CLASSE AL GOVERNO DELLE DESTRE
Il problema allora è entrare nella contraddizione tra le aspettative e la
realtà. Lo può fare solo un'opposizione di classe, che punti a liberare i
salariati da un blocco sociale costruito contro di loro. Che fa di loro i
portatori d'acqua, e la borghesia (grande, media, piccola) la beneficiaria
dell'incasso.
Un'opposizione di classe richiede tre cose.
La prima è la nettezza dell'opposizione a un governo reazionario. Tutte le
posizioni di stampo sovranista, che in forme diverse aprono brecce a sinistra,
vanno denunciate per quello che sono: un cedimento alla pressione reazionaria,
alle sue ideologie e alle sue suggestioni. Non siamo in presenza di un governo
da “incalzare con una politica di pressione”, critica. Siamo in presenza di un
governo da combattere. Senza ambiguità.
La seconda è che un'opposizione di classe è tale se muove da un'angolazione opposta
a quella liberale del PD. Tutte le posizioni neofrontiste che teorizzano il
blocco democratico col PD contro le destre, sono oggi di fatto un aiuto alle
destre e alla tenuta del loro blocco sociale. L'autonomia dal PD è la
condizione stessa della ricostruzione di una opposizione classista credibile.
La terza è la costruzione di un fronte unitario di massa che punti a unire
nell'azione tutte le forze disponibili all'opposizione di classe. Tutte le
posizioni autocentrate, che in campo sindacale o politico mirano unicamente a
preservare il proprio spazio a scapito dell'unità d'azione ed anzi contro di
essa, rappresentano oggi, ancor più di ieri, un fattore di disorientamento e
dispersione.
La prossima legge di stabilità può e deve essere l'occasione di un'azione
generale di contrasto delle misure filopadronali, a partire da quelle fiscali.
Ma non basta l'azione di contrasto, c'è bisogno di una piattaforma generale del
mondo del lavoro che tracci una linea di demarcazione verso il governo e
indichi una prospettiva di mobilitazione. Senza una piattaforma autonoma, i
lavoratori vengono abbandonati a corpo morto al martello della demagogia della
destra, riducendosi a discutere e a commentare le sue promesse o le sue misure,
magari accontentandosi del cambio di registro della propaganda, o di qualche
elemosina sociale. In ogni caso, restando in una posizione subalterna, che
gioca di rimessa, a tutto vantaggio dei propri avversari.
- Per il recupero dell'articolo 18 e la sua estensione a tutti i
lavoratori e lavoratrici
- Per la cancellazione di tutte le le leggi di precarizzazione del
lavoro e l'assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori precari
- Per la piena uguaglianza di diritti tra lavoratori italiani e
immigrati
- Per la riduzione generale dell'orario a 32 ore, pagate 40
- Per la reale abolizione della legge Fornero, età pensionabile a 60
anni o 35 di lavoro, finanziata dalla tassazione progressiva dei grandi
patrimoni, profitti, rendite
- Per un salario dignitoso ai disoccupati che cercano lavoro,
finanziato dall'abolizione dei trasferimenti pubblici alle imprese
- Per la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio
si tutte le aziende che delocalizzano o licenziano o inquinano
- Per la nazionalizzazione di tutte le aziende e servizi privatizzati
negli ultimi venticinque anni, senza indennizzo e sotto controllo sociale, a
partire dai beni comuni (autostrade, servizi idrici, trasporti...)
Una piattaforma generale di questo tipo mira a unire tutto ciò che il capitale e
il governo vogliono dividere, e al tempo stesso disegna una linea di frontiera
che separa chi sta di qua e chi sta di là. Chi sta col padronato, chi sta col
lavoro salariato. Una linea di frontiera che punta al recupero di quella grande
massa di lavoratori oggi irretita dal governo giallo-verde anche perché priva
di una prospettiva propria, di una ragione sociale indipendente in cui credere
e per cui battersi.
PER UN PUNTO DI VISTA DI CLASSE E ANTICAPITALISTA SULLO STESSO TERRENO
DEMOCRATICO
Non si tratta di confinare l'opposizione al governo entro il perimetro
economico sociale. Tanto più in presenza di un governo reazionario, l'esigenza
di un'opposizione sul terreno democratico non può essere né rimossa né
sottovalutata.
È il caso del rilancio dell'iniziativa antifascista in aperto contrasto delle
iniziative squadriste che si vanno moltiplicando sulla scia del salvinismo.
È il caso della mobilitazione contro le campagne xenofobe e a difesa dei
diritti dei migranti, a partire dal diritto a corridoi sicuri e a
un'accoglienza dignitosa. È il caso della mobilitazione a difesa dei diritti
delle donne e di tutte le minoranze oppresse contro l'orientamento
particolarmente misogino e reazionario del nuovo ministro della famiglia. Del
resto, l'esperienza delle mobilitazioni del movimento LGBT nello scorso giugno,
ma anche le manifestazioni antirazziste, come quella di Milano, hanno misurato
l'esistenza nonostante tutto di una disponibilità all'opposizione democratica
contro la reazione a volte persino sorprendente, dati i tempi. Lo stesso
successo di partecipazione alle proiezioni del film sul caso Cucchi negli
ultimi giorni testimonia l'esistenza di questa risorsa.
E tuttavia occorre essere chiari. Nessuna opposizione di tipo esclusivamente
democratico è oggi in grado di smuovere il blocco sociale reazionario se non si
collega a ragioni sociali riconoscibili a livello di larghe masse. Di più. Una
mobilitazione di tipo esclusivamente democratico, confinata nel proprio
recinto, per quanto importante e necessaria, rischia di essere usata dal
governo in carica come strumento di consolidamento del proprio blocco
nazional-popolare contro “il democraticismo delle élite”, come recita la
propaganda delle destre. Per questo è necessario portare anche sul terreno democratico
la necessità di un punto di vista di classe.
A chi dice “non c'è lavoro, casa, asili per noi italiani, come fa ad esservi
per i migranti?” non puoi rispondere solo col giusto richiamo alla difesa dei
loro diritti. Devi indicare una alternativa di società capace di ripartire il
lavoro tra tutti, di assicurare a tutti una casa, di sviluppare un grande piano
di nuovo lavoro in fatto di risanamento ambientale, sicurezza antisismica,
sicurezza della viabilità: ciò che implica una prospettiva di rottura anticapitalista
(riduzione generale dell'orario, esproprio delle grandi proprietà immobiliari,
abolizione del debito pubblico verso le banche e loro nazionalizzazione senza
indennizzo...) e dunque la lotta per un governo dei lavoratori e delle
lavoratrici.
Non si può contrastare la polarizzazione reazionaria oggi in atto se non con un
lavoro di polarizzazione classista e anticapitalista. Non si può contrastare il
programma della reazione se non con un programma di rivoluzione.
Partito
Comunista dei Lavoratori