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mercoledì 26 novembre 2014

Il Giornale Comunista dei Lavoratori N°7 Novembre 2014



Editoriale di Marco Ferrando
L'attacco frontale all'articolo 18 segna una accelerazione politica del corso bonapartista del governo Renzi. Al di là del suo stesso contenuto di merito- Il merito è grave. Non si tratta di pura manutenzione della versione menomata di un diritto "già cancellato", come a volte si legge. Ma dell’eliminazione conclusiva della figura del giudice, quale ultimo appello del lavoratore illegittimamente licenziato. Si tratta in altri termini dell’effettiva libertà di licenziamento senza giusta causa, come Renzi peraltro ha pubblicamente rivendicato. Gli effetti pratici di tale misura sui rapporti di forza fra le classi sono tutt'altro che trascurabili. Tanto più in un quadro già segnato dalla crescita esponenziale dell'arbitrio padronale nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro. Il plauso ammirato di Fiat e Confindustria non è Casuale. Ma non si tratta solo di articolo 18. La scelta di Renzi é eminentemente politica. E' la scelta di chi reagisce alle proprie crescenti difficoltà di tenuta col rilancio di uno scontro sociale provocatorio con il movimento operaio, nel nome dell’interesse generale “ della nazione". E' il riflesso condizionato di un aspirante Bonaparte. La scelta parallela di una Legge di Stabilità che detassa il padronato, offre i bonus bebè, promuove l'anticipazione truffa del TFR in busta paga, è esattamente il manifesto del "partito della Nazione". Un partito reazionario e "popolare". Nemico dei lavoratori ma a caccia I dei loro voti.
IL COLPO D'ALA DI UN CAPO REAZIONARIO
Le difficoltà del governo ai piedi dell'autunno erano evidenti. L'effetto propagandistico "80 euro" era largamente evaporato sotto il peso della crisi e di nuovi balzelli. I sondaggi denunciavano un calo di popolarità del governo. Alcuni ambienti di grande borghesia accentuavano il proprio scetticismo per la politica autocentrata dell'annuncio. Gli accordi parlamentari con Berlusconi erano messi a rischio dalla guerra interna a Fl, con rischi di ricaduta sull'intera partita delle riforme istituzionali. Come reagire a questa tempesta perfetta'? Col colpo d'ala di un capo reazionario. L'improvvisa apertura dello scontro frontale sull'articolo 18 contro gli stessi sindacati non serve solo a esibire un trofeo in sede UE per cercare di ottenere spazio di manovra più ampio per la detassazione delle imprese (anche). Non serve solo a indebolire la fronda interna a Fl, nell'interesse della tenuta di Berlusconi e quindi del proprio accordo con Berlusconi (anche). Serve a rilanciare il richiamo populista attorno al capo. Serve a ricomporre attorno a se un blocco sociale reazionario anti operaio che sfondi nella piccola e media impresa così come nella gioventù precaria e disoccupata. Serve a rilanciare l'immagine dell'uomo forte senza paura che si rivolge alla "società civile" contro le resistenze della "vecchia politica" e dei "vecchi sindacati" nel nome del nuovo. E che usa il discredito della vecchia politica borghese e delle stesse burocrazie sindacali come leva di accumulo di consenso. Quando Ronzi dice che "D'Alema se non ci fosse bisognerebbe inventarlo" e che "la gente sta con noi e non coi sindacati", rivela la cifra della sua intera operazione. L'operazione è molto pericolosa. Chi a sinistra si era cullato nella rappresentazione tranquillizzante di un Renzi in continuità con Letta deve fare i conti con la realtà. Quella di una tendenza bonapartista qualitativamente nuova. Di una seria minaccia reazionaria per il movimento operaio italiano. Di un progetto di Terza Repubblica ritagliato su misura di un Capo.
IL DISARMO UNILATERALE DELLE SINISTRE
Le sinistre politiche e sindacali rivelano una volta di più nel nuovo scenario tutta la propria subalternità e inconsistenza. Sul piano politico va in scena il disarmo, lungo una interminabile catena di Sant'Antonio. La vecchia guardia borghese liberale del PD, umiliata da Renzi, tratta il prezzo della propria resa sulla pelle dei lavoratori per salvare la propria pelle. Naturale. “L’opposizione" interna al PD è in mano a un ex renziano "democratico" (Civati) che difende il proprio spazio di testimonianza a futura memoria. SEL che un anno fa si era sperticata nel cantare le lodi di Renzi quale "speranza della sinistra", oggi volge le spalle allo stesso spazio politico di cui potrebbe disporre a sinistra del PD per salvare la residua speranza di essere riconvocata alla corte del centrosinistra dal capo del PD. Con cui peraltro è alleata nelle giunte locali che licenziano i lavoratori (da Genova a Roma) e nelle elezioni amministrative di tutta Italia. Tsipras resta immersa nel caos delle sue insolubili contraddizioni, segnata dall'estraneità alla centralità del lavoro e della lotta di classe. Sul piano sindacale va in scena l'opportunismo. La burocrazia dirigente della CGIL, già responsabile di lungo corso per l'avanzata del renzismo, reagisce al cannone di Renzi col fioretto di scherma. Frasi indispettite. Obiezioni puntute. Nessuna seria azione di lotta, neppure e difesa della propria dignità di apparato e di burocrazia. L'obiettivo è giocare sulla dialettica interna al PD per provare a conquistare il "dialogo" col governo anti sindacale. La manifestazione del 25 Ottobre ha raccolto una grande domanda di opposizione. Ma Camusso non dà a quella domanda alcuna vera prospettiva di mobilitazione. Il vertice FIOM ha svolto tutte le parti in commedia. Da un lato difende l'articolo I8 contro l'attacco del governo. Dall'altro si è candidato a lungo a interlocutore privilegiato del governo più reazionario degli ultimi decenni. Un'enormità. Landini ha offerto per sei mesi una copertina preziosa a Matteo Renzi col manto della propria popolarità ( “difesa della truffa degli 80 euro, nessuno sciopero contro il decreto Poletti, valorizzazione del "governo del cambiamento"). L'obiettivo era ottenere una legge sindacale favorevole sulla rappresentanza (e scalzare Susanna Camusso). Renzi dal canto suo ha usato per mesi la propria relazione privilegiata con le FIOM per prevenire ogni opposizione operaia. Ora Lendini, scaricato da Renzi, evoca “l’occupazione delle fabbriche". Ma alle parole non seguono i fatti (v. acciaierie di Terni) e tutto sembra ridursi a una minaccia rivolta a Renzi per cercare di riconquistare il dialogo perduto ("dialoga con me, non con Marchionne"). Non sappiamo come finirà questo gioco. Sappiamo che non definisce una prospettiva di lotta per gli operai.
PER UN CAMBIO DI ROTTA
E' necessario e urgente un cambio generale di rotta. Un'altra politica. Un'altra direzione del movimento operaio e sindacale. Al progetto sociale e politico più reazionario degli ultimi decenni, è necessario contrapporre un'azione e un progetto di pari determinazione. Che punti ad unire l'azione di classe sul terreno della massima radicalità di lotta. Che eviti la dispersione di mille iniziative autocentrate a favore dell'unificazione delle forze. Che superi la soglia rituale delle manifestazioni di "dissenso" per imboccare la via della mobilitazione di massa prolungata, mirata realmente a vincere. Che incoraggi e promuova l'autorganizzazione di classe e di massa. Che rimuova, su un altro versante, l'eterna illusione di scorciatoie "antagoniste" per affermare la centralità della classe operaia e della lotta di classe quale leva decisiva di un blocco sociale alternativo e di una alternativa anticapitalista. Portare in ogni lotta questa visione generale é più, che mai le cifra della politica di massa del PCL. E la leva della sua costruzione e radicamento nell'avanguardia di classe.

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