Più di dieci
morti è il bilancio provvisorio del sanguinoso attacco scatenato questa mattina
dalle forze del regime militare-islamista sudanese che hanno attaccato il
sit-in di massa che da mesi permaneva di fronte al palazzo presidenziale, non
accettando il gattopardesco tentativo dei militari islamisti di continuare il
regime reazionario e autoritario esistente, solo liberandosi del presidente
al-Bashir.
La
rivoluzione sudanese, la più laica delle rivoluzioni sviluppatesi dal 2011 nei
paesi arabi, è pienamente in piedi e siamo sicuri resisterà alla attuale
repressione. Il tentativo dei militari di raccogliere la vandea contadina e
piccolo-borghese più arretrata in nome dello slogan “Viva l’Islam, abbasso i
comunisti”, per il momento non sembra essere riuscito. Il proletariato e le
masse sudanesi hanno una lunga tradizione di lotta e di coscienza di classe.
Non a caso il Partito Comunista Sudanese era un partito di massa, il più grande
del Medio Oriente (Africa del Nord inclusa) dopo quello iracheno, e dirigeva i
sindacati. La sua natura stalinista con una conseguente politica oscillante in
nome del carattere “nazionaldemocratico antimperialista” e non socialista della
rivoluzione, in particolare nei confronti dei militari “progressisti”, a volte
entrando negli scontri tra le diverse fazioni militari e schierandosi dalla
parte dei perdenti, lo hanno portato a subire forti momenti di repressione, in
particolare negli anni ’70; ma non lo hanno distrutto, e la tradizione di
sinistra è rimasta certamente tra i lavoratori, nonostante la irregimentazione
islamica delle strutture sindacali. Ciò spiega lo sviluppo, per il momento
limitato ma reale, degli scioperi nelle fabbriche, a fianco delle mobilitazioni
popolari, giovanili, studentesche, che hanno trovato una leadership provvisoria
nelle associazioni professionali della piccola borghesia (avvocati, etc.
riuniti nello SPA, Sudanese Professionals Association) non irregimentate dal
regime.
Il Partito
Comunista, il cui segretario generale è attualmente in prigione e che nel suo
momento peggiore aveva appoggiato la “rivoluzione nazionale” di al-Bashir, oggi
si è spostato a sinistra e si pronuncia contro il compromesso con i vertici
militari; tuttavia mantiene la prospettiva della rivoluzione
“democratico-nazionale” riproponendo le posizioni dei menscevichi cento anni fa
nella Rivoluzione russa, poi riprese dallo stalinismo.
Invece
quello che si pone in Sudan è la trascrescenza dalla rivoluzione per le libertà
democratiche a quella socialista, senza soluzione di continuità (rivoluzione
permanente).
In questo
quadro, esprimiamo la nostra fraterna solidarietà alla unica organizzazione
trotskista presente nel paese, Socialist Alternative (Alternativa Socialista).
SA non fa parte della nostra corrente internazionale (è la sezione sudanese del
Comitato per un'Internazionale Operaia - CWI). Ma, per quanto la conosciamo,
noi condividiamo la sua politica nella situazione data. SA fa appello allo
sviluppo e coordinamento dei comitati nelle fabbriche, nei quartieri e tra i
ranghi dell’esercito, e al loro coordinamento nella prospettiva di un “governo
dei lavoratori e dei poveri”; solo in questo ambito pone il problema
dell'assemblea costituente. Una politica di tipo bolscevico, che condividiamo.
Il movimento
di massa sudanese si confronterà nei prossimi giorni con scadenze drammatiche.
La stessa direzione ufficiale democratico-piccolo-borghese del movimento ha
deciso, dopo il massacro, di interrompere le trattative con i militari. Esso ha
la necessità della massima attenzione e solidarietà da parte del movimento
operaio e democratico di tutto il mondo. Il PCL non mancherà a questo dovere.
Partito
Comunista dei Lavoratori - commissione internazionale
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