Il tema del
programma acquista durante le tornate elettorali una notevole attenzione e un
vasto uditorio. È utile approfittare di questo momento per fare chiarezza su
quali sono le ragioni di un programma rivoluzionario, cosa lo contraddistingue
e a che cosa serve. Questo è fondamentale soprattutto a sinistra, per fare
chiarezza tra un programma di rivoluzione sociale e tutte le diverse
declinazioni di illusioni riformiste
IL PROGRAMMA
E LE RIVENDICAZIONI
Durante le elezioni quasi tutti i programmi si configurano come un lungo elenco
di rivendicazioni. Il punto cruciale da osservare è che una rivendicazione, pur
radicale, non serve a qualificare un programma come rivoluzionario. Di più; un
insieme di rivendicazioni radicali, da solo, non si qualifica come un programma
rivoluzionario. È importante capire questo punto, per capire le ragioni di un
programma rivoluzionario.
Una rivendicazione che viene percepita dal senso comune come particolarmente
radicale è quella della nazionalizzazione. È una parola d'ordine che accomuna i
programmi di diverse liste e anche di diversi riferimenti internazionali. Nel
programma di Potere al Popolo si parla di “ripubblicizzazione delle industrie e
delle infrastrutture strategiche privatizzate negli anni passati“; il laburista
Jeremy Corbyn, cui Liberi ed Uguali cerca esplicitamente di riferirsi,
rivendica la “nazionalizzazione di imprese vitali come acqua, energie,
trasporti” e “istruzione universitaria gratuita” rivendicazione ripresa pari
pari da Grasso; lo stesso Melenchon nel suo programma per le presidenziali
francesi, parlava di “Nazionalizzazioni possibili in caso di interesse generale
dello Stato“.
La nazionalizzazione dunque, riportando alcuni settori strategici nelle mani
dello stato, configura il programma di cui fa parte come un programma
rivoluzionario? La risposta è ovviamente negativa.
Per una duplice ragione.
In primo luogo se la nazionalizzazione non è esplicitamente rivendicata come
senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori, non entra minimamente in
conflitto con la proprietà dei mezzi di produzione dei soliti pochi padroni,
imprenditori, capitalisti, cui viene elargito in cambio un sostanzioso
indennizzo, come per altro previsto dalla stessa Costituzione. L'indennizzo e
l'assenza di controllo operaio sulla produzione ha come conseguenze che da un
lato assicura ai padroni un compenso economico che sarà presto reinvestito in
altri settori, dall'altro che non c'è un passaggio di proprietà da una classe
(i padroni) ad un altra (i lavoratori), ma lo stato si fa garante della
proprietà privata, in attesa di poterla riconsegnare ai suoi padroni borghesi,
come il record di privatizzazioni operate in Italia negli ultimi vent'anni ha
drammaticamente confermato.
In secondo luogo, una singola rivendicazione radicale, fosse anche una di
quelle centrali (che intervenga cioè sul sistema bancario o su un settore
industriale strategico) fino alle sue estreme conseguenze (l'esproprio), non
configura da sola un programma rivoluzionario. Perché? Su questo punto si darà
più lunga spiegazione in un paragrafo successivo dedicato, ma qui si possono
anticipare due temi centrali, che si intrecciano tra loro: in prima istanza le
istituzioni borghesi non sono il terreno di trasformazione sociale. Nessun
programma di riforma radicale opererà mai, attraverso il parlamento borghese,
una trasformazione sociale o un passaggio di potere da una classe ad un'altra,
in secondo luogo e come in parte implicato dal primo passaggio, non ci sarà
alcuna trasformazione sociale senza il coinvolgimento della massa di salariati
senza, cioè, la discesa in campo dei lavoratori con la loro forza organizzata,
che spezzino le istituzioni borghesi e ne costruiscano di nuove, basate sulla
loro autorganizzazione a partire dai luoghi di lavoro. Il programma
rivoluzionario deve cioè convincere e dunque ottenere la simpatia non della
maggioranza di generici elettori, ma la maggioranza dei lavoratori.
Se una singola rivendicazione radicale non trasforma un programma in un
programma rivoluzionario, nemmeno un insieme di rivendicazioni radicali è
sufficiente a configurare un programma rivoluzionario.
Un programma come quello di Potere al Popolo, molto lungo e dettagliato,
contiene molte rivendicazioni anche radicali, ma l'insieme di queste
rivendicazioni non trasforma quella proposta in un programma rivoluzionario,
vediamo perché.
Scorrendo le rivendicazioni ci imbattiamo in alcune proposte che tutti nella
sinistra radicale trovano accettabili, persino di buon senso: cancellazione di
JobsAct, Fornero e Collegato Lavoro; riduzione dell'orario di lavoro a 32 ore
settimanali; una patrimoniale; la nazionalizzazione della banca d'Italia e via
discorrendo. Che cosa manca, dunque? Manca il passaggio da semplice elenco di
rivendicazioni radicali a progetto anticapitalista. Per evitare che un
programma sia solo una lista di petizioni di principio, occorre che ci sia una
proposta programmatica anticapitalista reale. È impossibile combattere la
disoccupazione e rivendicare l'abolizione delle controriforme del lavoro, senza
rivendicare la ripartizione del lavoro esistente tra tutti, tramite la
riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario. Ma se in ogni parte del
mondo e dell'Italia il capitalismo estende gli orari di lavoro, riduce i
salari, precarizza le condizioni di lavoro, come trasformiamo queste
rivendicazioni da semplici oggetti del desiderio a rivendicazioni reali? Si può
fare questo passaggio solamente assumendo il governo dei lavoratori come
orizzonte politico generale, la rottura dell'ordinamento sociale esistente e la
sua ricostruzione su basi socialiste.
Questo snodo centrale vale per ogni aspetto del programma.
Se si vuole avere la più piccola speranza di realizzare anche solo uno degli
aspetti di un vasto programma di trasformazione sociale, bisogna mettersi in
rotta di collisione con l'esistente. Su tutte le illusioni del caso è meglio
sgomberare il campo da dubbi: l'esperienza degli ultimi 30 anni ci ha
dimostrato che non esisterà mai alcun governo di centrosinistra amico degli
sfruttati e dei lavoratori e che allo stesso modo non ci sarà alcun governo che
opererà in rotta con il sistema sotto la pressione di alcun presunto “controllo
popolare” o “pressione dal basso”.
Nell'epoca del capitalismo in crisi, non ci sono mezze misure che possono
reggere il confronto con la brutalità e la ferocia con cui i padroni si stanno
riprendendo tutto quello che sono stati costretti a cedere con trent'anni di
lotte straordinarie nel dopoguerra.
IL PROGRAMMA ED IL FINE
Il programma rivoluzionario è costantemente orientato verso il fine. Il fine è
la rottura del sistema sociale capitalista e la riorganizzazione della società
su basi socialiste. In questo senso le rivendicazioni che costituiscono il
programma rivoluzionario devono soddisfare tre caratteristiche: a) devono
partire dalle condizioni immediate, oggettive, della classe sociale di
riferimento; b) devono funzionare da ponte tra queste condizioni immediate e il
livello di coscienza attuale della classe lavoratrice e l'obbiettivo finale,
ovvero la rivoluzione, dunque devono essere esplicitamente contro la proprietà
capitalistica; c) devono essere collegate al solo strumento che quel fine e di
conseguenza quelle stesse rivendicazioni è in grado di mettere in atto, ovvero
il governo dei lavoratori e delle lavoratrici.
La battaglia per la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario è un
classico esempio.
Si parte da alcune condizioni immediate: da un lato abbiamo l'insieme delle
condizioni dei lavoratori in Italia, fatto di un tasso di disoccupazione
permanentemente sopra il 10%, l'allungamento dell'età pensionabile,
l'estensione e lo spezzettamento degli orari di lavoro, milioni di ore di cassa
integrazione. La riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga rompe con
questo paradigma, allargando il numero dei lavoratori effettivi senza
impoverirli. Il lavoro esistente deve essere suddiviso tra tutti i lavoratori,
quelli oggi a lavoro e quelli disoccupati o parzialmente impiegati e sulla base
di ciò deve essere calcolata la durata della settimana lavorativa. Il salario
deve rimanere quello precedente e comunque non inferiore ad un minimo fissato
per legge di almeno 1500 euro.
La distribuzione dell'orario di lavoro a parità di paga attraverso la redistribuzione
del lavoro stesso, emerge quindi come necessità dalle condizioni oggettive
della classe lavoratrice ad oggi.
In che modo questa rivendicazione si pone come ponte con il fine?
I padroni, i capitalisti e i loro guardaspalle oppongono una presunta
irrealizzabilità ad ogni rivendicazione che migliorerebbe le condizioni di vita
dei lavoratori e peggiorerebbe quelle delle loro tasche. Il senso comune, la
stampa, i media, parlano di “interesse nazionale” e rilanciano la vecchia
menzogna del patto sociale per cui “se stanno bene i padroni, allora staranno
bene anche i lavoratori”. Questa truffa è ormai completamente smascherata dalla
realtà. Dovunque il capitalismo e i suoi governi difendono il benessere dei
padroni a discapito di quello dei lavoratori. I profitti sono garantiti e
tutelati dissanguando i lavoratori e i proletari in generale. La contraddizione
tra le uniche rivendicazioni progressive che l'insieme del movimento dei
lavoratori può accettare per migliorare le proprie condizioni immediate di vita
e il profitto dei capitalisti svela il trucco della società borghese: nel
capitalismo in crisi non c'è nessuna compatibilità possibile tra salari,
diritti e salute dei lavoratori da un lato e profitti dei padroni dall'altro.
Dal capitalismo gli sfruttati e gli oppressi non hanno più niente da ottenere.
Se non ci si vuole rassegnare alla disperazione e allo sconforto, bisogna
trovare una via diversa. Per imporre quelle misure progressive necessarie al
miglioramento delle condizioni immediate è necessario allora un tipo di governo
diverso, non un governo del capitalismo, pur in salsa “centrosinistra”, ma un
governo contro il capitalismo. Un governo dei lavoratori e delle lavoratrici,
che organizzi la loro forza e imponga queste misure di emergenza sociale.
L'instaurazione di un governo dei lavoratori e la riuscita di queste
rivendicazioni è cosa che passa dalla lotta, dall'unificazione del fronte dei
lavoratori e dall'assunzione di questo fronte di una direzione politica
esplicitamente anticapitalista e rivoluzionaria.
Si potrebbe fare lo stesso tipo di ragionamento per la sola rivendicazione
dell'abolizione della Legge Fornero. La cancellazione della legge Fornero è una
rivendicazione sacrosanta. Dal fronte padronale viene opposta l'irrealizzabilità
e l'irresponsabilità di tale proposta per i costi che ricadrebbero “sulla
società”. Ma l'aumento dell'età pensionabile rappresenta già, di fatto, lo
scaricamento dei costi sociali della crisi sulle spalle dei lavoratori! Da un
lato bisogna quindi che l'abolizione della Fornero non sia una semplice
petizione astratta e dall'altro bisogna ribaltare la logica
dell'insostenibilità dei costi, sbandierata dai padroni. La risposta di fronte
a questo bivio è semplice: è necessario abolire la Fornero per migliorare le
condizioni di vita di milioni di lavoratori e per farlo è necessario abolire
unilaterlmente il debito pubblico verso banche e assicurativi che costa ogni
anno 70 miliardi di soli interessi, liberando così le risorse necessarie ad un
nuovo sistema pensionistico. Sono questi i “costi sociali” da prendere in
considerazione! Quelli che ingrassano le tasche di un manipolo di possidenti e
azionisti a discapito della maggioranza della società. Ma quale governo si
porrebbe in aperta rottura con il capitalismo a tal punto da mettere in
discussione il sistema strangolatore del debito? Ancora una volta l'esperienza
diretta ci mostra come sperare di fare questo tipo di operazioni dentro il
sistema borghese conduce inevitabilmente alla tragedia. Il tradimento di Tsipras
in Grecia è una lezione indelebile. Ancora una volta solo un governo dei
lavoratori e delle lavoratrici può imporre questo tipo di rivendicazioni
progressive.
IL RUOLO DELLA MASSA
Il programma rivoluzionario è un programma per un'alternativa di società. Per
questo a differenza dei vari programmi riformisti buoni per ogni tornata
elettorale, il programma rivoluzionario è uno strumento di lotta quotidiano
indispensabile per il partito della rivoluzione.
Affrontare il tema del programma rivoluzionario ci dà la possibilità di
indagare alcuni aspetto fondamentali della politica comunista. In questo
paragrafo si tratterà di tre punti: a) la risposta alla domanda posta nel primo
paragrafo, cioè perché le rivendicazioni radicali anche coerenti da sole non
bastano a configurare un programma di rivoluzione; b) in che cosa consiste la
politica rivoluzionaria e in che modo questa si distingue dalla politica
riformista vicino e lontano dalle elezioni; c) perché presentare un programma
rivoluzionario durante una tornata elettorale è parte della politica
rivoluzionaria. Abbiamo visto nel primo paragrafo di questo breve testo come un
insieme di rivendicazioni da sole non configurino un programma rivoluzionario e
abbiamo osservato, nel secondo paragrafo, come le rivendicazioni necessitino di
un metodo transitorio e di uno stretto collegamento tra i bisogni immediati
della classe e il fine del socialismo per poter configurare un programma
rivoluzionario. Mancano però ancora alcuni ingredienti perché si possa parlare
di politica e programma conseguentemente rivoluzionari. Non c'è processo
rivoluzionario possibile senza l'irruzione delle masse nella lotta e non c'è
lotta di massa che possa diventare un processo rivoluzionario senza un partito
comunista con un programma e una politica rivoluzionaria. O il programma
rivoluzionario è uno strumento per la conquista della simpatia delle masse
operaie, sfruttate e oppresse al progetto del comunismo, oppure è poco più di
una lista della spesa.
Per questo un programma rivoluzionario è tale solo ed esclusivamente se è il
programma di un partito conseguentemente marxista rivoluzionario. Per essere
tale un partito comunista deve essere in opposizione a tutti i governi
padronali, quale che sia il colore del loro schieramento e deve tutelare
l'autonomia degli interessi di classe del proletariato; deve avere la capacità
di collegare gli obbiettivi di lotta immediati, con la prospettiva
anticapitalista di fondo; deve assumere una prospettiva socialista
internazionale; deve, da ultimo, battersi per un governo dei lavoratori, ovvero
per la presa del potere da parte della classe lavoratrice. In questo quadro
l'enorme massa dei diciassette milioni di lavoratori salariati gioca un peso
ineliminabile. Un partito comunista che vuole essere tale, deve orientare la
sua politica su questo ordine di grandezza, alla conquista di questa
maggioranza della società, rifuggendo ogni tentazione minoritaria o settaria.
Negli ultimi anni la forza di questa massa è rimasta inespressa, imbrigliata
dalla burocrazia sindacale, disillusa dai tradimenti della sinistra riformista,
corteggiata dalle sirene del populismo. Si tratta di lavorare in
controtendenza, per rilanciare l'entusiasmo, per unificare il movimento dei
lavoratori attraverso il più ampio fronte unico di lotta possibile, su
obbiettivi chiari e anticapitalisti.
Si può finalmente rispondere alla domanda iniziale: perché le rivendicazioni
radicali anche coerenti da sole non bastano a configurare un programma di
rivoluzione? Il programma rivoluzionario è tale solo se è parte di un progetto
rivoluzionario che comprende un partito coerentemente comunista e che si batte
per la conquista della direzione politica della maggioranza degli sfruttati.
Da ciò conseguono importanti considerazioni in merito alla politica
rivoluzionaria. O il partito ha una proiezione di massa e un intervento sulla
massa oppure il suo programma è un'arma spuntata.
Questo è un elemento cruciale di distinzione politica. Prendiamo l'esempio del
PC guidato da Marco Rizzo. Dal PC di Rizzo ci distanziano enormi abissi, sia in
termini di storia politica (Rizzo fu parte di quel gruppo dirigente che spaccò
il PRC per sostenere il Governo D'Alema bombardiere di Belgrado), sia intermini
di costruzione del partito (basta leggere lo statuto del PC di Rizzo per
rendersi conto che non c'è nessuna traccia di centralismo-democratico e del
funzionamento dei partiti comunisti delle origini), sia come riferimenti
politici (il PC di Rizzo sostiene la monarchia dinastica della famiglia Kim in
Corea del Nord). Ma quello che interessa qui è analizzare come dietro slogan e
rivendicazioni, si può nascondere una prassi politica che niente ha a che
vedere con la politica rivoluzionaria.
Formalmente il PC di Marco Rizzo rivendica alcune parole d'ordine coerenti: ad
esempio la nazionalizzazione senza indennizzo di alcune aziende come l'Alitalia
e la Piaggio. Ma questo non contribuisce in nessun modo a caratterizzare il
partito di Rizzo in un partito rivoluzionario e non solo per quanto detto poco
sopra. Il PC di Rizzo ricalca in sedicesimi in Italia la metodologia di
intervento politico del fratello maggiore KKE in Grecia. Tenta di costruire una
scalata al sindacalismo di base, nel tentativo di emulare il controllo del KKE
sul PAME, costruendo un intervento assolutamente settario e completamente
sganciato da ogni prospettiva di massa. Il KKE si è caratterizzato in negativo
per il suo ruolo nefasto durante la stagione di straordinarie mobilitazioni in
Grecia contro i governi della Troika precedenti a Syriza. Il PAME si è
sistematicamente opposto a rivendicare lo sciopero generale prolungato, ha
costantemente organizzato le sue manifestazioni, i suoi cortei e i suoi
scioperi distaccati e in opposizione alle enormi manifestazioni di massa che
sconquassarono la Grecia in quei mesi, ha tenuto la sua forza organizzata in
disparte, quando non l'ha usata per... difendere il parlamento greco dai
manifestanti stessi, di fatto operando per dividere il fronte dei lavoratori
invece di unificarlo e tutto al servizio di una logica di sopravvivenza e
continuità d'apparato. Il PC di Rizzo, fuori da un contesto tumultuoso come
quello della Grecia in rivolta, riproduce pedissequamente lo stesso tipo di
costruzione ed intervento.
Per sviluppare una politica rivoluzionaria coerente bisogna necessariamente
lavorare all'unificazione del fronte di lotta dei lavoratori, a prescindere
dalla loro collocazione sindacale, bisogna combattere senza tregua le
burocrazie sindacali, bisogna dare ad ogni singola lotta, ogni singola
vertenza, la prospettiva generale di unificazione in un'unica grande vertenza
del mondo del lavoro che assuma le rivendicazioni anticapitaliste del programma
rivoluzionario come proprie.
In questo quadro dovrebbe risultare chiaro perché presentare un programma
anticapitalista, rivoluzionario, alle elezioni borghesi fa parte della politica
rivoluzionaria. Le elezioni sono un momento di grande attenzione da parte di
grandi masse in generale, ma in fasi storiche come quella attuale, di grande
riflusso delle lotte, di difficoltà del mondo del lavoro e dei movimenti
sociali di costruire momenti di lotta radicale, prolungata o anche
semplicemente di vaste dimensioni, la tribuna che le elezioni offrono è uno
strumento irrinunciabile per parlare alle orecchie di milioni di lavoratori e
lavoratrici, precari, disoccupati e sfruttati.
Il grande circo delle elezioni tartassa le menti degli espropriati con le
promesse elettorali dei populisti di tutti i colori e le inganna con le false
speranze dei riformisti vecchi e nuovi. I rivoluzionari hanno il dovere di
utilizzare questo momento così peculiare per dire attraverso ogni spazio
possibile una parola di verità: che in questo sistema sociale gli sfruttati non
hanno più niente da ottenere, che per strappare qualsiasi risultato progressivo
si deve assumere la prospettiva di rompere con il capitalismo, che l'unico modo
per farlo è fare leva sulla forza di milioni di lavoratori organizzati, che
solo un governo che sia espressione di questa forza può attuare le
rivendicazioni necessarie a migliorare le condizioni immediate di vita della
stragrande maggioranza della popolazione, che solo facendola finita col
capitalismo si può ricominciare a rialzare la china.
CLASSE, DIREZIONE, PARTITO
Si possono trarre importanti lezioni dallo studio di che cos'è un programma
rivoluzionario, che chiamano in causa alcuni degli elementi fondamentali della
politica comunista. Un programma rivoluzionario è innanzitutto un programma di
un partito rivoluzionario. È attraverso il suo programma, attraverso la definizione
dei suoi obbiettivi, che il partito parla alla sua classe sociale di
riferimento. C'è un rapporto dialettico fondamentale qui. Il programma parte
dalle condizioni immediate cui versa la classe di riferimento (ad esempio il
bisogno di ridurre l'orario di lavoro a parità di paga per garantire il lavoro
a una più ampia fetta di proletariato) ma non vi si appiattisce, anzi diventa
uno strumento per elevare la coscienza della classe a cui parla da semplice
difesa dei propri interessi immediati a comprensione che quegli interessi
immediati possono essere soddisfatti solo a patto di entrare nell'ottica di
spezzare il capitalismo e riorganizzare la società su basi socialiste. È questo
uno dei ruoli cruciali del partito, quello di difendere e diffondere la necessità
di una coscienza rivoluzionaria. Il partito però non può accettare di lasciarsi
relegare al ruolo di buon consigliere. È necessario che sviluppi una lotta per
la conquista della direzione del movimento operaio. Con questa formula non si
intende questa o quella soggettività d'avanguardia, politica o sindacale, che
si proclama in tal senso, ma chi materialmente guida la maggioranza della
classe operaia. Uno dei drammi della storia recente in Italia è stato il vuoto
politico che si è generato a sinistra e il ruolo di supplenza che la CGIL ha
avuto come direzione maggioritaria del movimento operaio. Ruolo attraverso cui
ha operato sistematicamente svendite e tradimenti, contribuendo in maniera
incisiva al clima di sfiducia e smobilitazione (su tutti valgano la
smobilitazione della lotta contto il Jobs Act e la paura di andare fino in
fondo sulla Buona Scuola). Oppure più recentemente in Catalogna, il movimento
indipendentista ha espresso una direzione piccolo borghese che ha trasformato
nel giro di poco tempo una straordinaria mobilitazione democratica e
progressiva di massa da un potenziale punto di rottura rivoluzionario degli
equilibri capitalistici in UE ad una grottesca farsa di proporzioni storiche.
Il programma allora assume anche il ruolo di strumento di conquista della
maggioranza e della sua direzione politica. La politica comunista è un rapporto
dialettico costante tra il partito rivoluzionario, la classe di riferimento e
il programma di rottura col capitalismo a cui il partito lotta per conquistare
la maggioranza di questa classe.
Nicola
Sighinolfi