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giovedì 21 maggio 2020

NO ALL'UNITÀ NAZIONALE RIPRENDERE IL CONFLITTO ESTENDERE ED UNIFICARE LE LOTTE

IL PASSO DI CARICA DI CONFINDUSTRIA E IL PASSO DEL GAMBERO DI LANDINI

Editoriale di Marco Ferrando – UdC nr4 Maggio/Giugno



Carlo Bonomi irrompe sullo scena­rio politico della crisi italiana. Non contento di aver determinato come capo di Assolombarda la rinuncia alla zona rossa in Val Seriana, non soddi­sfatto di aver ottenuto la riapertura generale della produzione nonostante l'assenza nelle regioni del Nord di condizioni di sicurezza per i lavoratori, il nuovo Presidente di Confindustria presenta la nuova piattaforma padro­nale. “Occorre rivedere, azienda per azienda, la questione degli orari setti­manali, e delle settimane di lavoro durante l'anno, al di là delle attuali norme contrattuali. È necessaria la cancellazione dell'IRAP e la liberaliz­zazione completa degli appalti”.
Questo programma parla chiaro: mano libera nella gestione della forza lavoro e controllo padronale sulla finanza pubblica. La pressione materiale della più grande crisi del dopoguerra spinge il padronato su una linea d'attacco che sembra riesumare l'impostazione di Marchionne nel 2010: una linea di sfondamento antioperaio fuori dalle regole della vecchia contrattazione.
Il quadro è tuttavia più complicato. Marchionne guidava un'azienda da ricollocare sul mercato mondiale, anche per questo agì in proprio e si separò da Confindustria. Bonomi di Confindustria è il presidente eletto. Una linea Marchionne come linea gene­rale del padronato italiano avrebbe
 una valenza dirompente assai più ampia; richiede un quadro politico istituzionale stabile e al tempo stesso lo sollecita.
Il governo Conte asseconda le pres­sioni di Confindustria, regalandole una pioggia di miliardi a partire dalla cancellazione della prima tranche dell'IRAP. Uno scandalo, tanto più in piena emergenza sanitaria. Ma è un governo segnato dalle contraddizioni esplosive della sua maggioranza, e dalla minaccia dello sfaldamento della sua base parlamentare al Senato. È un governo che ha potuto gestire l'emer­genza sanitaria – cui deve anzi parados­salmente la sopravvivenza – ma non ha la forza per gestire la “ricostruzione”. Men che meno una politica d'urto. Il grande capitale sogna non a caso un governo Draghi con ampia e stabile base parlamentare, come vagheg­gia la nuova direzione di Repubblica voluta dagli Agnelli. Tuttavia, nelle condizioni date non è una soluzione disponibile. La fragilità del quadro poli­tico complica la linea Bonomi.
Ma c'è una seconda preoccupazione di Confindustria, che convive contrad­dittoriamente coi suoi piani di guerra. Il timore di un conflitto sociale. Da tempo lo spettro della “rivolta sociale” inquieta l'immaginario della borghe­sia. I padroni hanno la misura della profondità della crisi italiana. Sentono lo smottamento sociale di ampi settori di piccola borghesia condannati alla rovina. Sanno che milioni di salariati saranno investiti da una valanga, che gli ammortizzatori sono precari, che i costi del debito pubblico da accollare ai salariati saranno imponenti. Reggerà la società italiana a una prova così
 impegnativa, in un quadro politico e istituzionale tanto fragile? Questo è l'interrogativo su cui si esercitano da tempo gli ambienti della borghe­sia liberale.
Gli scioperi operai del mese di marzo hanno scosso gli industriali, persino al di là della loro oggettiva portata. Perché hanno materializzato il rischio di una frattura sociale ingovernabile. La reazione padronale a questo rischio non è stata la rottura col sindacato e la CGIL, ma l'opposto. La ricerca dell'accordo con la burocrazia, del suo coinvolgimento, della sua compromis­sione nello spegnimento del conflitto. I protocolli d'accordo tra padroni e burocrati sulla sicurezza nei luoghi di lavoro sono fatti di cartapesta ma hanno un grande significato poli­tico. Stanno a dire che il padronato vuole coprirsi le spalle nelle fabbriche usando il sindacato come ammortiz­zatore. La linea della FCA, che dopo dieci anni riabilita la FIOM coinvol­gendola nella gestione della ripresa produttiva, è al riguardo emblematica.
Proprio perché è sospinto dalla profon­dità della crisi a un salto obiettivo della propria offensiva, il padronato chiede alla burocrazia sindacale di sminare preventivamente il terreno. E la buro­crazia sindacale risponde. “Occorre evitare che la paura dei lavoratori si trasformi in rabbia”: questa frase di Maurizio Landini riassume con straor­dinaria efficacia la politica della buro­crazia. Il gruppo dirigente della CGIL si candida a controllore del conflitto sociale agli occhi del padronato.
L'enfasi posta nei protocolli d'intesa è la valorizzazione del proprio ruolo di burocrazia. “In questa grande crisi è vostro interesse collaborare con noi, perché solo noi possiamo offrirvi la pace sociale”: questa è la risposta della direzione sindacale alle preoccu­pazioni padronali. La paura di essere scaricati dai padroni rimpiazza la difesa dei lavoratori.
Il risultato di questa politica è uno solo: incoraggia i padroni a proseguire la propria offensiva. La burocrazia smina il terreno, l'offensiva padronale avanza.
L'assenso pubblico di Landini a un decreto governativo che taglia l'IRAP, cioè il principale sostegno fiscale alla sanità, è solo un risvolto penoso di una politica generale: mostrare un volto disponibile e accomodante per dire al padronato che con la CGIL ci si può intendere. Il risultato è che ora i padroni non solo ignorano le piattaforme contrattuali di milioni di lavoratori, ma mettono in discussione una volta di più la stessa cornice del contratto nazio­nale. Il passo del gambero di Landini sospinge il passo di carica dei padroni.
I lavoratori sono abbandonati dai propri stati maggiori alla paura di una crisi terribile e al salto della offensiva padronale.
Il tutto senza una piattaforma di rife­rimento, senza una linea di mobilita­zione e resistenza.
Costruire una direzione alternativa del movimento operaio, politica e sinda­cale, è più che mai all'ordine del giorno.

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