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venerdì 22 maggio 2020

IL SINDACALISMO DI BASE E CLASSISTA ALLA PROVA DEL COVID-19

Di Federico Bacchiocchi – Unità di Classe Maggio/Giugno 2020



L’epidemia da coronavirus, lo stato di emergenza sanitaria e il suo trascina­mento su una profonda crisi econo­mica dovuta alle misure di isolamento sociale contro il contagio virale, costi­tuiscono un grande banco di prova per le capacità di risposta della classe lavo­ratrice, a partire dalle sue organizza­zioni politiche e soprattutto sindacali.
Il padronato ha già sciorinato la sua ricetta. La crisi compromette in gran parte i profitti del settore maggiorita­rio del capitalismo italiano. Non tutto: alcuni comparti al contrario vedono un grande aumento dei profitti dovuti proprio ai provvedimenti sanitari. È il caso del commercio alimentare, di quello elettronico, del commer­cio online (Amazon), della logistica. Tuttavia, sicuramente la crisi colpisce al cuore i settori strategici del capitali­smo italiano: automobile, moda e lusso, turismo, solo per fare degli esempi.
Il neopresidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha espresso il suo mandato al governo: deroghe sistematiche alla contrattazione collettiva nazionale su mansioni, orari, ferie e turni, defiscaliz­zazione ulteriore dei profitti, ad esem­pio la cancellazione dell’IRAP, credito bancario alle imprese garantito dallo Stato, ossia dall’erario pubblico, abbat­timento della cosiddetta burocrazia, da intendersi in molti casi con l’aboli­zione del normale controllo di legalità.
Confindustria è coerente: bisogna fare ogni sacrificio, per quanto straordina­rio, per ricostruire le normali condi­zioni del profitto capitalistico, dell’ar­ricchimento del padronato, con buona pace della classe lavoratrice attana­gliata dell’aumento del tasso di sfrut­tamento, dal dimagrimento salariale, da un’ondata di massiccia disoccupa­zione e sottoccupazione, dall’ulteriore perdita di diritti (il diritto di sciopero e di manifestazione), da nuovi tagli a sanità, scuola e servizi sociali. Un’autentica tempesta perfetta.
In altri scritti abbiamo già denun­ciato la complicità della burocrazia dei maggiori sindacati, CGIL, CISL e UIL, nello spianare la strada a questo progetto (“Liquidità alle imprese!”, raccomanda Landini). La pantomima andata in scena sul Protocollo di Intesa sulla sicurezza delle condizioni di lavoro firmato a marzo, con il corollario della scandalosa autocertificazione delle aziende, che senza garanzie sanitarie hanno potuto continuare la loro atti­vità, e addirittura lo squallido sotter­fugio del silenzio-assenso, è servita solamente ad ingannare le lavoratrici e i lavoratori, a cominciare da quelli iscritti a questi sindacati, e metterli nelle condizioni di accettare i nuovi sacrifici imposti dalla ricostruzione capitalista post epidemia.
Qui vogliamo occuparci di quella parte di avanguardia di classe che si ricono­sce nel composito mondo del sindaca­lismo di base e classista.
In questo mondo alberga con buona approssimazione l’avanguardia più combattiva della classe lavoratrice italiana, con l’eccezione di alcuni settori, come quello dell’industria automobi­listica e metalmeccanica ad esempio, dove è scarsamente radicata, mentre il ruolo più conflittuale è sostenuto dall’Opposizione CGIL.
Com’è del tutto ovvio, la crisi sanita­ria ha investito questo settore scon­volgendone la normale attività sinda­cale. I sindacati di base, o conflittuali, si presentavano ai nastri di partenza dell’emergenza epidemica non proprio in condizioni di forza e sviluppo. Tutt’altro. Sono da tempo ormai attra­versati da tendenze all’autoreferenzia­lità e al settarismo di organizzazione, il che comporta una serie di frammen­tazioni, rari tentativi di unione, spesso poi falliti e dunque nuove separazioni. Praticamente tutte le organizzazioni sono attraversate da questi processi che, al di là di ogni possibile valuta­zione di legittimità, obbiettivamente indeboliscono questo settore d’avan­guardia nel suo complesso e soprat­tutto ne limitano la capacità di presa sulla massa delle lavoratrici e dei lavo­ratori, sindacalizzati o meno.
Le ragioni politiche ed ideologiche di vecchia data che giustificano tale frammentazione, ragioni di cui non è nell'economia di questo articolo discu­tere la legittimità, pur ritenendo di avere solidi argomenti per farlo, mili­tano evidentemente contro la possi­bile unità d’azione tra queste forze. In condizioni normali ciò basta a costitu­ire un danno per la capacità di costruire vertenze sostenute dalla forza dell’u­nità di lavoratrici e lavoratori nei diversi settori. In condizioni straordinarie, come l'attuale crisi sistemica indotta dall'emergenza sanitaria, ne favori­scono il più completo disarmo a fronte dell'attacco padronale.
Ma la coscienza del pericolo di essere travolti si sta facendo strada, seppure a fatica, nel corpo militante e in taluni casi nei quadri dirigenti di queste orga­nizzazioni. Perciò sono state promosse iniziative e messi in cantiere processi che tentano di dare un risposta.
In tutte pesa l'inerzia della linea poli­tico-sindacale seguita in precedenza.
In questo quadro si collocano iniziative come lo sciopero generale indetto da USB il 25 marzo 2020 sul tema delle condizioni di sicurezza sul lavoro non garantite dal Protocollo d'Intesa tra Governo, Confindustria e CGIL, CISL e UIL. Uno sciopero giusto ma proclamato con modalità autocentrate, se non settarie, in ogni caso senza il coinvolgimento delle altre organiz­zazioni sindacali. Probabilmente ciò ha fruttato un incasso di visibilità per USB, ma non ha giovato all'incisività e alla riuscita dello sciopero.
Altre organizzazioni non sono arrivate ad indire lo sciopero generale, limitan­dosi, come la CUB, a mettere a dispo­sizione delle lavoratrici e dei lavoratori dei pacchetti di ore di sciopero sempre a tutela delle proprie condizioni di sicu­rezza dal contagio.
Il Si Cobas a sua volta ha promosso scio­peri nel settore della logistica e tentato perfino picchetti, da ultimo nelle gior­nate del 31 aprile e 1° maggio, colpiti dalla repressione poliziesca.
Un quadro composito di iniziative, dunque, ma senza una linea unitaria.
La constatazione dell'insufficienza delle proprie forze prese singolarmente si è infine fatta strada tra gli attivisti e alcune organizzazioni hanno cercato di aprire percorsi che tenessero conto di questa istanza.
Così il Si Cobas ha promosso il patto d'azione tra diverse forze politiche, sindacali e sociali, attraverso una serie di assemblee di impronta unitaria e la ricaduta su un programma vertenziale avanzato di difesa integrale di salari, occupazione, diritti, sanità e servizi sociali, finanziati da una patrimoniale straordinaria e dal drastico taglio delle spese militari.
Questo percorso, di cui il PCL è parte­cipe, segna, a nostro parere, uno sviluppo nella tradizionale azione poli­tica e sindacale del Si Cobas, segnato spesso da elementi di forte autocen­tratura, e determina molto positiva­mente una possibile svolta nel quadro frammentato dell'intervento del sinda­calismo di base e di classe.
L'impegno alla costruzione di un'As­semblea nazionale dei delegati e delle delegate aperto a tutte le lavoratrici e i lavoratori combattivi, di tutti i settori ed indipendentemente dall'apparte­nenza di sigla, ribadisce ancora di più, se possibile, la concretezza della strada presa verso la dimensione di massa dell'unità d'azione.
Su un binario parallelo è collocato il percorso dell'Assemblea degli Autoconvocati, sostenuta da militanti di varie organizzazioni politiche e sinda­cali, a cui anche i compagni del PCL stanno dando il loro apporto. Il segno unitario è il tratto prevalente dell'As­semblea, che si è già riunita più volte con modalità telematiche.
Per questo la nostra indicazione è quella di intrecciare i percorsi, nella logica dell'intervento che ci caratte­rizza, teso a coniugare unità e radi­calità di proposta in funzione di una prospettiva rivoluzionaria.
Infine, anche l’iniziativa di piazza ha conosciuto un importante momento unitario.
È il caso della manifestazione “Per una fase 2 delle lotte”, promossa congiunta­mente dal SGB, ADL Cobas e Si Cobas l'8 maggio davanti alla Regione Emilia- Romagna, con l'intento di segnare la fine del lockdown delle manifestazioni di piazza per sostenere le rivendica­zioni di difesa e rilancio dello stato sociale, del diritto alla salute e sicu­rezza sui luoghi di lavoro, della difesa del salario, della tassazione patrimo­niale e dello stop alle opere inutili. Sono state programmate altre iniziative nel frattempo.
Su questa stessa pagina ospitiamo l’ar­ticolo del compagno Massimo Betti, dirigente di SGB, che descrive bene i contenuti e gli obbiettivi della mani­festazione, nonché dei possibili nuovi sviluppi.
Insomma, siamo di fronte ad azioni ancora limitate per seguito ed incisi­vità, che raccolgono una parte ancora minoritaria dell'avanguardia di classe e indubbiamente sono ancora molto al di sotto di ciò che sarebbe necessario. Tuttavia, sono germogli preziosi di unità d'azione tra forze diverse del sindaca­lismo di classe, al servizio della ripresa delle mobilitazione e della costruzione difficile ma possibile del più ampio fronte unico della classe lavoratrice: il solo modo per resistere all'attacco padronale, alla crisi capitalistica e alla sua catastrofe. Se non ora, quando?

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