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sabato 27 febbraio 2016

TIZIANO BAGAROLO

Un intellettuale marxista rivoluzionario

Di Michele Terra



Il compagno Tiziano Bagarolo morì all'improvviso il 29 settembre del 2010 a seguito di un attacco cardiaco, dovuto a quello che, post mortem, venne diagnosticata come una ipertrofia cardiaca. Per circa una settimana venne considerato persona scomparsa pur essendo deceduto poco dopo il malore che lo colse in un supermercato. Per giorni né le strutture sanitarie né le forze dell'ordine si erano degnati di avvisare i familiari. Tiziano aveva solo 54 anni, in gran parte passati nella militanza marxista rivoluzionaria. Il Partito Comunista dei Lavoratori perdeva così uno dei suoi principali dirigenti e fondatori, Tiziano infatti fu tra quei compagni che il giorno successivo le elezioni 2006, che decretando la vittoria del centro-sinistra aprivano la fase governative di Rifondazione Comunista, si recavano presso uno studio notarile di Milano a depositare l'atto di nascita del nuovo partito e relativo simbolo. La costituzione del Partito Comunista dei Lavoratori era una scelta che veniva da lontano, dopo un processo politico durato un quindicennio all'interno del PRC, che aveva visto Tiziano Bagarolo tra i protagonisti, facendo parte per anni del gruppo dirigente più ristretto che, attraverso le varie formule (Proposta per la Rifondazione Associazione Marxista Rivoluzionaria Progetto Comunista, le aree congressuali interne al Prc, ecc), lavorava alla costruzione di un nuovo partito comunista rivoluzionario in Italia.
Bagarolo riuscì a coniugare rigore teorico e ruoli dirigenti con rapporti personali tra compagni e compagne basate sul rispetto  e la correttezza. Forse fu proprio per quest'ultima sua caratteristica che un sedicente trotzkista del sedicente gruppo Pdac, piuttosto che tacere, al momento della scomparsa del nostro compagno, scelse di infangare la memoria su Facebook.
Grande è la mole di scritti che ci ha lasciato Tiziano spaziando dalla storia del movimento operaio dalle origini fino al nuovo millennio, articoli su questioni internazionali, ma soprattutto sulle tematiche ambientali.
Bagarolo fu sicuramente uno dei primi e tra migliori analisti a coniugare il marxismo, nella sua versione più autentica e rivoluzionaria, con le tematiche dell'ecologia, fin dall'emergere con prepotenza di questi "nuovi" argomenti sullo scenario politico italiano. In realtà fu proprio lui ad insegnarci che le tematiche di un'ecologia di classe erano tutt'altro che nuovi, anzi si agganciavano tenacemente nelle tradizioni del movimento operaio: dalla Dialettica della natura di Engels all'ecologia Sovietica.
Uno dei suoi testi principali fu proprio “Marxismo ed Ecologia”, oggi purtroppo introvabile pubblicato nel 1988 per le Nuove Edizioni Internazionali, casa editrice legata alla Lega Comunista Rivoluzionaria che declinava in termini precisi le battaglie ecologiste come lotta di classe contro il capitale.
Un marxista lucido e coerente, un intellettuale militante che avrebbe meritato ben altra attenzione, soprattutto se paragonato allo squallido paesaggio della sinistra italiana, di oggi come negli ultimi decenni, occupata quasi senza soluzione di continuità da personaggi pronti ad ogni capriola, magari bravi analisti e scrittori brillanti ma con il coraggio della coerenza ben nascosto sotto altri valori.
Per fortuna, a oltre cinque anni dalla scomparsa, negli ambienti del  piccolo mondo del trotzskismo e della sinistra di classe italiana la memoria di Tiziano Bagarolo è ancora viva.

Preserveremo la memoria e l’importante contributo al marxismo, e saremo fedeli al metodo politico, di fermezza sui principi e flessibilità nella tattica per realizzare le condizioni della rivoluzione socialista, che Tiziano ha contribuito a dare al nostro partito. 

Partito Comunista dei Lavoratori
Pavia sez. “Tiziano Bagarolo”

giovedì 25 febbraio 2016

RULLANO I TAMBURI SULLA LIBIA. PREPARARE LA MOBILITAZIONE



Rullano i tamburi di una nuova guerra di Libia.
La convocazione oggi a Roma del Consiglio supremo di Difesa, con la presenza della Presidenza della Repubblica, del Capo del governo, dei ministri degli Esteri e della Difesa, delle alte gerarchie militari, è un sintomo inequivocabile dell'accelerazione degli avvenimenti.

Sul governo Renzi si stringe la morsa di una contraddizione irrisolta.

LE PAURE DI RENZI

Da un lato Renzi teme un avventura militare in Africa. Il suo populismo di governo, ossessionato dall'umore dei sondaggi, si nutre della ricerca del consenso. Un'avventura militare in Libia, col costo prevedibile di perdite umane a fronte di imprevedibili sbocchi, potrebbe causare perdita di consensi, innescare una opposizione diffusa alla guerra, aprire una contraddizione sullo stesso versante dell'elettorato cattolico. Renzi ha terrore di una simile eventualità, tanto più alla vigilia delle elezioni amministrative e soprattutto della prova per lui decisiva del referendum istituzionale. Per questo la linea su cui ha sinora attestato il governo è quella della prudenza. Una linea che privilegia la ricerca dell'intesa diplomatica tra i governi di Tobruk e Tripoli a favore di un governo di unità nazionale, legittimato dall'ONU, che possa a sua volta “richiedere” il soccorso militare straniero in una “cornice legale”. In questa cornice l'Italia pretenderebbe un ruolo politico egemone nella missione, già avallato dagli Usa, limitando il più possibile il proprio coinvolgimento militare ad una funzione di addestramento di milizie libiche locali. Il massimo della gloria ( per Renzi e per l'Eni) al minimo prezzo.

Ma dall'altro lato questo disegno cozza ogni giorno di più con la dinamica degli avvenimenti politici.

L'IMPAZIENZA USA E LO SCAVALCAMENTO FRANCESE

Il governo di unità nazionale che dovrebbe insediarsi a Tripoli fatica a strappare il consenso costituzionale previsto del Parlamento di Tobruk. Lunedì prossimo è previsto un nuovo tentativo dall'esito incerto. Ma soprattutto cresce la pressione interventista di altre potenze imperialiste.

Gli Usa hanno retto sinora il gioco di Renzi. Perchè Obama cerca in Renzi, anche al di là della partita libica, un contrappeso alla Merkel in Europa. E Renzi cerca a sua volta nell'appoggio dell'amministrazione americana una leva importante per il proprio gioco negoziale , sia nella Ue che nel Mediterraneo( da qui la contropartita offerta agli Usa del prolungamento della presenza italiana in Afghanistan e della spedizione militare a Mosul). Ma l'imperialismo americano ha difficoltà a reggere in tempi indefiniti una posizione di attesa. Non vuole avventurarsi direttamente- almeno sotto l'attuale amministrazione- in nuove spedizioni militari rovinose come in Irak. Ma ha bisogno di garantire “risultati” da esibire sul fronte interno e internazionale nella guerra all'Isis. Non può subire, dopo la Siria, una nuova espansione dell' Isis in Nord Africa, se non al prezzo di un ulteriore aggravamento della propria crisi di “gendarme del mondo”. Da qui l'attivazione preparatoria delle basi Nato in Europa, a partire dalla base di Sigonella, e l'inizio di operazioni selettive di guerra dai cieli sulla Libia. Accanto a una pressione sempre più incalzante sul governo italiano per spingerlo ad una maggiore disponibilità interventista.

Parallelamente cresce la pulsione interventista di Gran Bretagna e Francia. L'imperialismo francese, in particolare, sgomita da tempo con l'imperialismo italiano per l'egemonia sul Nord Africa. Lo stesso interventismo di Sarkosy in Libia nel 2011 seguì questa logica. Per la vecchia potenza coloniale francese si tratta di garantire uno sbocco sul mare alla propria area d'influenza centro africana. A supporto di Total contro Eni. Oggi la Francia cerca di inserirsi nell' empasse della trama diplomatica a guida italiana per conquistare posizioni sul fronte libico. Da qui l'accertata presenza di truppe speciali francesi a Bengasi in supporto diretto al generale Haftar, sponsorizzato dall'Egitto. Il caso Regeni allarga gli spazi di inserimento della Francia quale sponda egiziana in concorrenza con l'Italia. La presenza di proprie truppe sul campo rafforza il peso negoziale della Francia e la sua possibile incidenza sulle soluzioni politico/ militari della crisi libica. Per l'imperialismo italiano è una minaccia seria.

L'INTERVENTISMO ITALIANO

Su questo sfondo generale cresce, non a caso, un fronte interventista in Italia. La stessa grande stampa borghese che esalta i successi di Renzi contro il movimento operaio, ma gli suggerisce prudenza nel negoziato con Bruxelles e con la Germania, chiede a Renzi di uscire dall'immobilismo in Libia. Gli articoli di Panebianco sul Corriere della Sera non sono un fatto isolato. La grande stampa borghese non ha i problemi di consenso di Renzi, e lo chiama alle proprie responsabilità di comandante in capo dell'imperialismo italiano. E' l'orientamento de La Stampa. E' in forme più caute l'orientamento di La Repubblica. E' sicuramente l'orientamento di Sole 24 Ore, organo di Confindustria, che già ad inizio Gennaio uscì con un editoriale cristallino “...Avere una presenza militare diretta in Libia significherebbe poter partecipare con un peso reale all'inevitabile tavolo negoziale che deciderà del suo futuro”. Il grande capitale non vuole sacrificare i propri interessi economici e strategici all'ossessione elettorale del renzismo. Chiede a Renzi di non fare il politicante ma “lo statista”. Gli chiede di non subire il senso comune “pacifista” ma di “preparare coraggiosamente l'opinione pubblica ad una inevitabile missione militare” ( Panebianco).

Il governo italiano è ben esposto a questa pressione. Renzi si è presentato al capitalismo italiano come l'uomo del riscatto degli interessi tricolori nel mondo. L'uomo che glorifica il made in Italy sui mercati mondiali, che apre nuove frontiere agli investitori italiani dall'Iran all'Argentina, che nella stessa partita negoziale in Europa salvaguarda gli interessi del capitale finanziario italiano, come si vede sulla questione banche ( oltrechè naturalmente i propri interessi elettorali). In particolare il governo Renzi va perseguendo un disegno di (piccola) potenza italiana in Nord Africa: si è costruito il profilo di principale alleato dello Stato sionista in Europa, e di primo interlocutore finanziario e commerciale con l'Egitto. L'interesse dell'Italia alla Libia non è solo la rivendicazione dei propri diritti di vecchia potenza coloniale, ma si pone in continuità con questo disegno strategico, in perfetta collisione con l'interesse francese. La borghesia italiana chiama dunque Renzi ad onorare le sue promesse e ad essere all'altezza dei propri sogni di gloria.

UNA SPARTIZIONE “OTTOMANA” DELLA LIBIA ?

Quale sarà dunque l'esito di questa irrisolta contraddizione tra ambizione strategica e paura elettorale? Difficile dire. Ma il nodo si fa sempre più stretto.
Intanto si moltiplicano le voci di un possibile piano B, avallato dall'Italia, nel caso di definitivo fallimento dell'operazione diplomatica. Un piano- illustrato dettagliatamente dall'informatissima Repubblica- che punterebbe a scaricare il Parlamento laico di Tobruk a vantaggio delle forze islamiste di Tripoli, e passerebbe per una spartizione della Libia in tre ( Tripolitania, Cirenaica, Fezzan) con la Tripolitania presidiata da forze militari preponderanti italiane ( fino a 5000 soldati). Inutile ricordare che la Tripolitania è il cuore degli insediamenti Eni, e che la spartizione della Libia ricalcherebbe esattamente l'antica organizzazione amministrativa ottomana. Non è chiaro se in questa ipotesi la Francia si prenderebbe la Cirenaica ( in tandem con l'Egitto) o il Fezzan ( quale prolungamento della propria area di influenza in centro Africa). Ma il solo fatto che queste ipotesi siano fatte circolare non è solo un fattore di pressione ultimativa sul Parlamento di Tobruk per indurlo ad accettare la soluzione apparecchiata di unità nazionale. E' anche la misura indiretta dello stallo in atto, e della fame imperialista che grava sulla Libia.

L'URGENZA DELLA MOBILITAZIONE CONTRO LA GUERRA

Per queste stesse ragioni è più che mai importante l'avvio della mobilitazione contro la guerra, e la necessità di allargare il fronte dell'opposizione su questo terreno a tutte le forze disponibili, anche di carattere puramente pacifista. Le prime iniziative ( 16 Gennaio) hanno visto una partecipazione modesta, per quanto politicamente preziosa. Ma la possibile accelerazione degli avvenimenti può diventare un fattore di allargamento del fronte. E' ciò di cui il governo ha terrore, e a ragione. Perchè un movimento di massa contro la guerra potrebbe trasformarsi davvero in una slavina per il renzismo, capace di riaprire tanti giochi.
Di certo il Partito Comunista dei Lavoratori farà come sempre la propria parte, a partire dalle manifestazioni previste per il 12 Marzo. Portando in ogni mobilitazione unitaria una caratterizzazione classista e coerentemente anti imperialista. Ciò che significa prima di tutto opposizione al proprio imperialismo e al tricolore dell'Eni.
Partito Comunista dei Lavoratori            

DOBBIAMO CREDERCI!



L’unico possibile governo amico è il governo dei lavoratori basato sulla loro forza e sulla loro organizzazione.
L’unico governo, che possa nazionalizzare le banche che rapinano, che possa abolire il debito pubblico verso le stesse e liberare una gigantesca massa di risorse pubbliche da investire nella sanità ,nelle pensioni, nel lavoro, nella scuola, che possa, in parole povere, esercitare una democrazia vera.
Perché una democrazia vera non c’è.
Una democrazia vera c’è quando i lavoratori, gli sfruttati, gli oppressi, una popolazione povera conquistano nelle proprie mani il diritto di decidere della società in cui vogliono vivere e quindi del loro futuro, del destino delle giovani generazioni.
Bisogna ricondurre le lotte quotidiane a questa prospettiva di alternativa  di rivoluzione, oppure la radicalità della crisi e la crisi storica del capitalismo si riverserà sulle condizioni delle popolazioni  della maggioranza dell’umanità con esiti drammatici, più drammatici di quelli che oggi viviamo e dal punto di vista sociale ,e dal punto divista politico.
Questo è il bivio cui si trova la nostra forza, la nostra determinazione. Siamo convinti che oggi possiamo aprire un livello di confronto politico, programmatico di prospettiva più avanzato che in passato.
Solo una alternativa di società e di potere può liberare l'umanità da questa dittatura. Solo la rivoluzione socialista può cambiare le cose.
Il Partito Comunista dei Lavoratori  si batte in ogni lotta per questa prospettiva.

Mercoledì 2 marzo dalle 9.30 alle 12.30
PAVIA - Piazzale della Stazione FF.SS.
In caso di pioggia via Indipendenza (davanti ASL)

INCONTRO CON IL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

sarà distribuito materiale informativo e
UNITÀ DI CLASSE” il Giornale Comunista dei lavoratori

Partito Comunista dei Lavoratori

  Pavia  sez. “ Tiziano Bagarolo”  

mercoledì 24 febbraio 2016

Adesione del PCL alla manifestazione nazionale LGBT il 5 marzo a Roma




È in corso nel Parlamento italiano uno squallido mercimonio sulla pelle dei diritti.
Lo stralcio dell'articolo 5 dal progetto di legge sulle Unioni Civili ripropone una logica di esclusione e discriminazione ai danni delle coppie omosessuali e dei figli/e interni/e alla coppia.
La campagna depistante contro l'”utero in affitto” da parte del fronte reazionario ha ottenuto il proprio vero obiettivo: portare un progetto di legge già gravato da compromessi e rinunce al di sotto della soglia della decenza.

A questo sbocco hanno condotto, con varie responsabilità, attori politici diversi.
Vi ha concorso il M5S: che dichiarando, su comando di Casaleggio, la “libertà di coscienza” dei propri parlamentari attorno al tema delle adozioni, ha dato alla legge il primo colpo di piccone, al solo scopo di prenotare il voto reazionario alle proprie liste e candidati nelle elezioni di ogni ordine e grado, in vista soprattutto dei ballottaggi.
Vi ha concorso in misura determinante il PD di Renzi: che ha usato cinicamente il primo voltafaccia del M5S come alibi di comodo per scaricare l'articolo 5 e puntare al patto di maggioranza col NCD di Alfano. La soluzione migliore per lisciare il pelo all'elettorato reazionario in vista delle amministrative, del referendum istituzionale, delle future elezioni politiche.
L'annuncio da parte della minoranza PD del proprio voto di fiducia al governo, nonostante il “dissenso”, misura ancora una volta la sua capitolazione al renzismo persino sul terreno dei diritti democratici e civili.

La Chiesa cattolica ha dato naturalmente la propria benedizione all' intera operazione. Sia attraverso le dichiarazioni della CEI, sia attraverso la segreteria di Stato vaticana, sia attraverso il portavoce personale di Papa Francesco. A riprova, se ve n'era bisogno, dell'immutabile opposizione dell'istituzione Chiesa alla pienezza dei diritti dei gay e delle lesbiche, e più in generale ai principi elementari dell'uguaglianza. Altro che “progressismo” papalino!

Contro la svendita in atto, l'intero fronte lgbt e delle famiglie arcobaleno ha indetto per il 5 Marzo a Roma una grande manifestazione nazionale unitaria. Il Partito Comunista dei Lavoratori (PCL) aderisce e parteciperà a questa manifestazione, contro il governo Renzi e l'intero blocco reazionario, portandovi l'insieme delle proprie rivendicazioni, ben oltre la legge Cirinnà:

per la piena uguaglianza dei diritti delle persone e delle coppie, indipendentemente dal loro orientamento sessuale, contro ogni retorica familista;
per il diritto al matrimonio dei gay e delle lesbiche;
per il diritto alle adozioni di coppie e singoli;
per la liberazione della sessualità da ogni forma di repressione e demonizzazione bigotta;
per una ripartizione generale del lavoro, attraverso la riduzione dell'orario di lavoro a parità di paga, che consenta a tutti e tutte di definire in piena libertà la forma delle proprie relazioni sentimentali e sessuali, senza subordinarsi ai vincoli imposti dal bisogno materiale;
per la piena libertà e gratuità di divorzio e di aborto nelle strutture pubbliche ( contro l'ipocrisia dell'”obiezione di coscienza” che va cancellata).
per l'abrogazione del Concordato e di ogni privilegio e ingerenza clericale nella vita delle persone .

Per una prospettiva anticapitalista e socialista: l'unica che possa liberare l'umanità di ogni sesso dal retaggio oscurantista e reazionario.


Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 17 febbraio 2016

Comunicato stampa sugli arresti in sanità Lombardia



I recenti arresti di politici, imprenditori e funzionari lombardi, tra cui spicca il nome di Fabio Rizzi, leghista e capogruppo in Commissione sanità della regione, segna una scellerata continuità tra le Giunte Formigoni e Maroni in tema di malaffare e sottrazione di risorse pubbliche al settore sanità, il più importante capitolo di spesa della Regione Lombardia. Attività criminosa tanto più odiosa poiché colpisce il fondamentale diritto alla salute di tutti i cittadini.

La Lega Nord ed altre forze di destra, anziché vagheggiare di linee preferenziali per le cure agli italiani (prima gli italiani) dovrebbero vergognarsi per come gestiscono il settore sanitario.
Nel mondo televisivo l'onnipresente Salvini recita la parte del duro e puro contro il sistema. Il mondo reale invece ci presenta da anni la natura sistemica della Lega con le sue malefatte a danno dei lavoratori e degli strati più deboli della società.

Il Partito Comunista dei lavoratori chiede le immediate dimissioni dei personaggi coinvolti ed elezioni regionali anticipate. Ritiene inoltre necessaria la costituzione di organismi popolari di controllo composti dai lavoratori della sanità ed utenti per la puntuale verifica di appalti, spese e funzionamento delle strutture sanitarie, a partire da Asl ed Ospedali.

Partito Comunista dei Lavoratori – Coordinamento regionale Lombardo

lunedì 15 febbraio 2016

LA VITTORIA DI SALA ALLE PRIMARIE DEL CENTROSINISTRA A MILANO

LA VITTORIA DI SALA È UNA PIETRA TOMBALE SULLE ILLUSIONI "ARANCIONI". È L'ORA DI COSTRUIRE UNA NUOVA SINISTRA, QUELLA A DIFESA DEI LAVORATORI!




La vittoria di Sala alle elezioni primarie per la candidatura a sindaco di Milano ha sancito la fine del corso arancione di Pisapia, o meglio, di quella illusione che in questi cinque anni ha incantato il popolo della sinistra milanese. 
Si grida allo scandalo perché Sala è uomo di destra che non può rappresentare gli interessi della povera gente di Milano, ma la vittoria di Sala non è altro che un semplice cambio di guardia all'interno del centrosinistra milanese. L'obiettivo di fondo rimane sempre la gestione degli interessi dei poteri forti della città. La realtà dei fatti è che Pisapia nel 2011 era candidato a gestire gli interessi della borghesia e dei poteri forti della città, ruolo che oggi, anno 2016, è interpretato da Sala. 
Ci sembra che i cinque anni di amministrazione Pisapia parlino chiaro a riguardo, e che i lavoratori e gli sfruttati di questa città nulla abbiano guadagnato da questa esperienza. Ne è la prova la continuità delle scelte politiche rispetto alla giunta Moratti sulle questioni essenziali: Pgt, realizzazione dell'Expo, gestione dell'Erp e servizi sociali, privatizzazioni. 

La sinistra milanese riapre i cantieri politici ma il risultato probabile avrà contorni incerti e soprattutto in nome e in difesa dell'eredità della primavera arancione, tant’è che persino coloro che in questo momento criticano duramente le scelte del centrosinistra milanese stanno comunque sostenendo la maggioranza guidata da Pisapia, sino alla fine. 

Noi del Partito Comunista dei Lavoratori pensiamo ci sia bisogno di ben altro. Già cinque anni fa, unico partito della sinistra milanese, ci presentammo autonomamente alle elezioni comunali con una nostra lista, denunciando già da allora la natura illusoria delle promesse della coalizione guidata da Pisapia e sostenuta da tutto il resto della sinistra milanese. 
Dopo cinque anni ci ripresentiamo con coerenza autonomamente con una nostra lista e con un nostro candidato sindaco, Natale Azzaretto. 
Perché è una sola la sinistra che bisogna costruire: quella a difesa dei lavoratori e degli sfruttati di questa città e di questa società. Contro il capitalismo e le sue logiche di profitto e sfruttamento. Contro le giunte e i partiti di centrosinistra e centrodestra che sono al servizio di queste logiche. 

Per una vera alternativa di società! Per il potere dei lavoratori!

Partito Comunista dei Lavoratori - Sezione di Milano

DALL'EDITORIALE DI MARCO FERRANDO “Unità Di Classe” febbraio 2016




Nessuno sciopero generale contro una legge di stabilità che taglia la sanità per detassare i profitti.

Nessuna iniziativa generale per contrastare l’attacco padronale al contratto nazionale di lavoro e imporre l’apertura dei contratti pubblici.

Nessuna continuità della mobilitazione contro la “buona scuola”. Mentre l‘accordo contrattuale dei chimici accoglie la piattaforma padronale sulla organizzazione del lavoro, e la stessa FIOM rivede al ribasso la propria piattaforma per rientrare nelle compatibilità confindustriali.

Questo è stato il desolante panorama d’autunno. per volontà della burocrazia sindacale, con l’avallo della sinistra politica “riformista”. Non è l’effetto spiacevole di pavidità e titubanze, ma una scelta precisa.

La CGIL non ha voluto assumersi la responsabilità di un’iniziativa di lotta per non rompere con CISL e UIL. La FIOM ha fatto lo stesso con la CGIL. Altro che “occupazione delle fabbriche” come Landini ha più volte evocato. Maurizio Landini si è accordato con Susanna Camusso su una partita di scambio: nessuno sciopero generale contro padronato e governo in cambio della prospettiva del referendum su articolo 18 e scuola.

Ma un referendum a data da destinarsi, senza mobilitazione ed anzi sullo sfondo di un ulteriore arretramento dei livelli di lotta, non rischia di esporre il movimento operaio un suicidio programmato?

sabato 13 febbraio 2016

UNA TRUFFA ISTITUZIONALE CONTRO I LAVORATORI


La riforma istituzionale predisposta dal governo Renzi è una truffa contro i lavoratori e contro le lavoratrici.

Il Senato non sarà abolito. Semplicemente non sarà più eletto. In compenso senatori non eletti, designati tra i consiglieri regionali e i sindaci, avranno il potere di decidere sulle... leggi costituzionali. Una enormità! Solo la Camera voterà la fiducia al governo. Ma sarà una Camera eletta con una legge truffa, che trasforma una minoranza in maggioranza: al primo turno basterà avere il 40% dei voti per avere il 55% dei deputati; al secondo turno il partito vincente conquisterà comunque il 55% dei seggi, anche se al primo turno avesse preso il 20%. Il primo partito avrà dunque in mano il Parlamento italiano, Camera e Senato, indipendentemente dal suo grado di consenso nella società, come dal numero dei votanti. Il governo, espressione di quel partito, dominerà il Parlamento. Dunque controllerà di fatto la nomina della Presidenza della Repubblica e dei giudici costituzionali. Il Capo del governo diventerà perciò stesso una sorta di padrone d'Italia. E' il sogno dell' uomo solo al comando. Il sogno bonapartista di Matteo Renzi. (Ma anche di Grillo e Casaleggio, che non a caso sostengono la nuova legge elettorale voluta da Renzi).

È un caso se questa riforma istituzionale entusiasma Confindustria, i banchieri, i governi europei? No di certo. Il governo dell'uomo solo al comando è un esecutore ideale dei poteri forti. Più rapido ed efficiente nel varare misure di rapina contro i salari, contro il lavoro, contro i diritti sociali. Non è un caso se Renzi vende il proprio disegno istituzionale ai mercati finanziari come misura della propria credibilità. Anche quando chiede in Europa “maggiore flessibilità” (per poter detassare ancora i padroni e finanziare operazioni populiste acchiappa voti), porta in dote la riforma istituzionale: è il marchio di garanzia di un'efficace aggressione al lavoro.

Renzi ha messo in gioco il proprio futuro politico nel referendum sulla “riforma”? Bene: sarà una ragione in più per liberarsi insieme di una legge reazionaria e del governo più anti operaio degli ultimi 55 anni. Votando NO al referendum.

Ma la lotta per bocciare la riforma Renzi e il suo governo è inseparabile dalla necessità di una mobilitazione generale e di massa, che intrecci le rivendicazioni sociali della classe lavoratrice col recupero delle rivendicazioni democratiche più elementari: a partire dalla battaglia per una legge elettorale interamente proporzionale. L'unica soluzione che legando la rappresentanza al consenso stabilisca l'uguaglianza di ogni voto. Le sinistre italiane (SEL, PRC), che negli ultimi 20 anni hanno ciclicamente governato col PD sul piano nazionale e locale, gestendo austerità e sacrifici per i lavoratori, si sono non a caso inginocchiate alla “governabilità” della Seconda Repubblica, abbandonando persino la battaglia per la proporzionale. Una sinistra che scelga di stare sino in fondo con i lavoratori contro il capitalismo che li sfrutta può e deve rilanciare questa battaglia democratica.

Il PCL, l'unico partito che si batte contro il capitalismo per una Repubblica dei lavoratori, rivendica con forza la propria coerenza anche sul terreno della democrazia.

Partito Comunista dei Lavoratori

lunedì 8 febbraio 2016

Foibe: tra mito e realtà, intervista ad Alessandra Kersevan





L’intervista è a cura di Alessandro Doranti  (dal sito SenzaSoste.it) 

Non è mai stato semplice trattare la questione delle foibe: stereotipi consolidati, revisionismo, metodologie di lavoro inesatte e giochi politici dei vari schieramenti hanno sempre invaso il terreno della ricerca storica. In questi ultimi anni è stata ottenuta la costruzione di una verità ufficiale, fin troppo sbrigativa e di comodo, che ha dato il via a commemorazioni, monumenti, lapidi, intitolazioni di strade.

Alessandra Kersevan, ex insegnante ed oggi paziente ricercatrice di storia e cultura della sua regione, il Friuli, da anni lavora al recupero della memoria storica in merito agli avvenimenti del confine orientale.

A Trieste la storia non comincia il 1° maggio 1945…
Sì, Sembra un'osservazione banale, eppure di fronte a tante cose che sono state scritte in questi anni sulle vicende del confine orientale occorre chiarire e ricordare che il fascismo in questa regione è stato più violento che in qualsiasi altra parte d'Italia: sloveni e croati, oltre cinquecentomila persone che abitavano le terre annesse dallo stato italiano dopo la prima guerra mondiale furono oggetto di persecuzioni razziali e ogni tipo di angherie: divieto di usare la loro lingua, chiusura delle scuole, delle associazioni ed enti economici sloveni e croati, arresto degli oppositori, esecuzioni di condanne a morte decise dal Tribunale Speciale. Con l'aggressione nazifascista alla Jugoslavia, nel 1941, la nostra regione divenne avamposto della guerra e le persecuzioni contro sloveni e croati, anche cittadini italiani, divennero ancora più gravi: interi paesi furono deportati nei campi di concentramento come Arbe/Rab, oggi in Croazia, ma allora annessa all'Italia dopo l'aggressione alla Jugoslavia, Gonars in provincia di Udine, Renicci di Anghiari in provincia di Arezzo, Chiesanuova di Padova, Monigo di Treviso, Fraschette di Alatri in provincia di Frosinone, Colfiorito in Umbria, Cairo Montenotte in provincia di Savona e decine e decine di altri, praticamente in tutte le regioni d'Italia. Fra 7 e 11 mila persone, donne, uomini, bambini, intere famiglie, morirono in questi campi, di fame e malattie. A Trieste nel 1942 fu istituito per la repressione della resistenza partigiana l'Ispettorato Speciale di Polizia per la Venezia Giulia, che si macchiò di efferati delitti contro gli antifascisti in genere, ma soprattutto contro sloveni e croati.

Da chi è stato inaugurato l'uso delle foibe?
Ci sono testimonianze autorevoli (per esempio dell'ispettore di polizia De Giorgi, colui che nel dopoguerra fu incaricato dei recuperi dalle foibe) che furono proprio uomini dell'Ispettorato speciale, in particolare quelli della squadra politica, la cosiddetta banda Collotti, a gettare negli "anfratti del Carso" degli arrestati che morivano sotto tortura. Comunque andando anche più indietro nel tempo, già durante la prima guerra mondiale, che fu combattuta soprattutto in queste terre, le foibe venivano usate come luogo di sepoltura "veloce" dopo le sanguinose battaglie, e nell'immediato dopoguerra i fascisti pubblicavano testi di canzoncine in cui si minacciava di buttare nelle foibe chi si ostinava a non parlare "di Dante la favella".

Che funzione aveva la Banda Colotti?
La banda Collotti era la squadra politica dell'Ispettorato speciale guidata appunto dal commissario Gaetano Collotti. Con la sua squadra batteva il Carso triestino per reprimere la resistenza che già nel '42 era iniziata in queste zone. Si macchiarono di efferati delitti, torturando e uccidendo centinaia di persone. Come Resistenzastorica stiamo pubblicando con la casa editrice Kappa Vu la ricerca di Claudia Cernigoi sulla banda Collotti. Nel corso di alcuni anni di ricerche Cernigoi è riuscita a trovare una quantità consistente di documentazione. Eppure in questo dopoguerra nessuno, neppure gli istituti storici di Trieste e di Udine, avevano pubblicato nulla sull'argomento.

Definiamo le foibe. Chi ci è finito dentro? Donne? Bambini? Quanti in tutto? Perché c'è così grande attenzioni su queste esecuzioni, mentre in altre zone ce ne furono in numero assai maggiore?
Nelle foibe non sono finite donne e bambini, i profili di coloro che risultano infoibati sono quasi tutti di adulti compromessi con il fascismo, per quanto riguarda le foibe istriane del '43, e con l'occupatore tedesco per quanto riguarda il '45. I casi di alcune donne infoibate sono legati a fatti particolari, vendette personali, che non possono essere attribuiti al movimento di liberazione. Questo diventa evidente quando si vanno ad analizzare i documenti, cosa che purtroppo la gran parte degli "storici" in questi anni non ha fatto, accontentandosi di riprendere i temi e le argomentazioni della propaganda neofascista. Va detto inoltre che i numeri non sono assolutamente quelli della propaganda di questi anni: è ormai assodato che in Istria nel '43 le persone uccise nel corso della insurrezione successiva all'8 settembre sono fra le 250 e le 500, la gran parte uccise al momento della rioccupazione del territorio da parte dei nazifascisti; nel '45 le persone scomparse, sono meno di cinquecento a Trieste e meno di mille a Gorizia, alcuni fucilati ma la gran parte morti di malattia in campo di concentramento in Jugoslavia. Uso il termine "scomparsi", ma purtroppo è invalso l'uso di definire infoibati tutti i morti per mano partigiana. In realtà nel '45 le persone "infoibate" furono alcune decine, e per queste morti ci furono nei mesi successivi dei processi e delle condanne, da cui risultava che si era trattato in genere di vendette personali nei confronti di spie o ritenute tali. C'è poi l'episodio della foiba Plutone, da cui furono estratti 18 corpi, in cui gli "infoibatori" erano appartenenti alla Decima Mas e criminali comuni infiltrati fra i partigiani, e furono arrestati e processati dagli stessi jugoslavi. Insomma se si va ad analizzare la documentazione esistente si vede che si tratta di una casistica varia che non può corrispondere ad un progetto di "pulizia etnica" da parte degli jugoslavi come si è detto molto spesso in questi anni.
La grande attenzione a questi fatti è funzionale alla criminalizzazione della resistenza jugoslava che fu la più grande resistenza europea. Di riflesso si criminalizza tutta la resistenza, e si è aperto il varco per criminalizzare anche quella italiana, come sta dimostrando ora Pansa con i suoi libri.

Gli studiosi delle foibe. Chi sono?
Sono di svariati generi. Quelli che noi chiamiamo un po' ironicamente i "foibologi" sono tutti esponenti della destra più estrema, alcuni, come Luigi Papo hanno fatto addirittura parte della milizia fascista in Istria, di coloro cioè che collaborarono con i nazisti nella repressione della resistenza. Altri, più giovani, come Marco Pirina, sono stati esponenti di organizzazioni neofasciste negli anni della strategia della tensione (lui per esempio risulta coinvolto nel golpe Borghese). Poi c'è il filone degli storici che facevano riferimento al CLN triestino (organizzazione non collegata con il CLNAI) che fu il massimo organizzatore dell'"operazione foibe" a Trieste nel dopoguerra. Mentre può essere abbastanza facile capire le manipolazioni della "storiografia" fascista, è molto più difficile difendersi dalle manipolazioni della storiografia ciellenista, perché questi hanno un'aura di antifascismo che fa prendere per buone tutte le cose che scrivono. In realtà leggendo i loro libri ti accorgi che sono citazioni di citazioni da altri libri (spesso memorie di fascisti) non sottoposte a verifica. Il problema è che su tutta questa questione delle foibe ha pesato nel dopoguerra il clima della guerra fredda: voglio ricordare che un importantissimo documento di fonte alleata agli inizi del '46 diceva: sospendiamo, non avendo trovato nulla di interessante, le ricerche nel pozzo della miniera di Basovizza, ma perché gli Jugoslavi non possano dire che è stata tutta propaganda contro di loro, diremo che lo abbiamo fatto per mancanza di mezzi tecnici adeguati. Ha pesato e pesa inoltre molto la questione dei confini, e il sentimento delle "terre ingiustamente perdute", che anche se con toni un po' diversi, coinvolge anche gli storici che fanno riferimento politicamente al centro sinistra. Ci sono però anche tantissimi storici seri. Per "seri" intendo quelli che non si accontentano di quello che è già stato scritto, ma che cercano nuova documentazione, la analizzano, la confrontano con quanto è già stato pubblicato e inseriscono gli avvenimenti nel contesto in cui sono avvenuti. Questo è il metodo storiografico che tutti dovrebbero usare, ma, sembrerà incredibile, nella questione della foibe e dell'esodo anche storici accademici e "blasonati" si sono lasciati andare a metodi da propagandisti più che da storici, preferendo le citazioni di citazioni di citazioni, piuttosto che la fatica della ricerca.

La foiba di Basovizza. C'è una lapide che commemora le vittime, eppure la storia sembra molto diversa…
La documentazione esistente, una documentazione piuttosto corposa, dice che nella miniera di Basovizza non ci furono infoibamenti. Già nell'estate del '45, quindi pochissimo tempo dopo i pretesi infoibamenti, gli angloamericani procedettero per mesi a ricognizioni nel pozzo della miniera (infatti non si tratta di una foiba in senso geologico), in seguito alle denunce del CLN triestino che diceva che dovevano essere stati infoibati alcune centinaia di agenti della questura di Trieste. Poiché non fu trovato nulla di "interessante", nei primi mesi del '46 le ricerche furono sospese, come ho già spiegato prima. Tutto questo risulta da una gran quantità di documenti di fonte alleata, negli archivi di Washington e di Londra. Quindi nella "foiba" non ci sono i "500 metri cubi" di infoibati che sono scritti nella lapide, e neppure i duemila infoibati citati in libri. Dopo che Claudia Cernigoi  ha riportato questi documenti nel suo libro "Operazione foibe a Trieste" la cosa dovrebbe essere evidente a tutti che si occupano dell'argomento. Ma si fa finta di niente. Il comune di Trieste adesso ha ristrutturato il monumento sulla foiba e presto verrà il presidente del Senato Marini a inaugurarlo. La menzogna vive ormai di vita propria, e non si riesce a fermarla.

Le leggende sulle foibe.
Ho già spiegato che le biografie della gran parte degli uccisi sono di persone coinvolte a vario titolo nel regime fascista prima e nell'occupazione nazista poi. Come ben mette in luce Claudia Cernigoi nel suo libro, in una città come Trieste il collaborazionismo interessò tantissime categorie di persone, e molti di quelli che vengono definiti "civili" erano in realtà e collaborazionisti, delatori di professione, spioni di quartiere che denunciavano gli ebrei. Per esempio ai rastrellamenti sul Carso con la banda Collotti partecipavano anche persone che non erano ufficialmente appartenenti alla questura. Come gruppo di Resistenzastorica abbiamo condotto una ricerca sulla vicenda di Graziano Udovisi, conosciuto come "l'unico ad essere uscito vivo dalla foiba" e presentato come una vittima "solo perché italiano". Da questa ricerca è emerso, oltre alla assoluta falsità del suo racconto, che egli dal '43 al '45 era stato tenente della Milizia Difesa Territoriale, in un gruppo dal nome significativo di "Mazza di Ferro", specificamente preposto alla repressione della guerriglia, e che nel '46 fu condannato per crimini di guerra a 2 anni e 11 mesi di reclusione. Eppure nel 2005 Graziano Udovisi è diventato "uomo dell'anno", premiato con l'Oscar della Rai per una sua intervista a Minoli, che lo ha presentato come uno che è stato "infoibato" "solo perché italiano. Come ho già detto: storici, giornalisti e tutti coloro che scrivono di queste cose in questi anni di Giornate del Ricordo, dovrebbero sapere che intorno a queste vicende c'è tanta propaganda, e che quindi bisogna informarsi bene prima di scrivere.

L'atteggiamento della destra e della sinistra.
Non si vede una grande differenza. La destra fascista ha trovato in questo argomento la possibilità di ribaltare il discorso delle responsabilità nella seconda guerra mondiale, passando da carnefici a vittime, con la possibile riabilitazione dei repubblichini di Salò ecc. La sinistra ha trovato l'occasione per prendere le distanze dal proprio passato partigiano, con tutta una serie di distinguo e di "ammissioni" in cui le foibe erano funzionali in quanto venivano attribuite a partigiani, sì, ma "slavi" (e si sa che il razzismo antislavo è molto diffuso) e quindi la resistenza italiana poteva restarne fuori. La miopia di una simile posizione la si vede oggi, con un'operazione come quella di Giampaolo Pansa, che attacca direttamente la resistenza italiana.
C'è da dire, inoltre, che l'"operazione foibe" è funzionale alla politica estera italiana, tradizionalmente "espansionistica" verso la penisola balcanica. Anche in questo senso, centrodestra e centrosinistra non si distinguono. Noi di Resistenzastorica abbiamo una raccolta impressionante di dichiarazioni di esponenti del centro sinistra in senso neoirredentista, cioè tese alla rivendicazione delle "terre perdute", tema che oltre ad essere stato sempre tipico della destra, sembrerebbe oggi anche antistorico, nel momento dell'allargamento dell'UE. Eppure le dichiarazioni ci sono, anche di personaggi come Fassino.

Che cosa significa oggi commemorare i morti delle foibe?
Come ho spiegato, commemorare i morti nelle foibe significa sostanzialmente commemorare rastrellatori fascisti e collaborazionisti del nazismo. Per gli altri morti, quelli vittime di rese dei conti o vendette personali, c'è il 2 di novembre.

Che cosa andrebbe fatto per restituire dignità alla memoria storica del paese?
Per quanto riguarda la dignità del paese, credo che l'unica cosa da fare sia smettere quella convinzione nazionale che gli italiani siano sempre stati "brava gente", che dovunque sono andati hanno portato la civiltà, anche quando bruciavano i villaggi della Croazia, o impiccavano i ribelli libici. Gli italiani debbono rendersi conto che la repubblica italiana non ha mai fatto veramente i conti con le responsabilità del fascismo. Dietro al discorso delle foibe c'è proprio l'interesse di continuare a nascondere queste responsabilità. Infatti la proposta italiana di incontro trilaterale fra i presidenti di Italia, Slovenia, Croazia, sui luoghi della memoria, inserendo la Risiera di San Sabba, il campo di concentramento di Gonars (o quello di Arbe) e la foiba di Basovizza, non è altro che un tentativo di gettare fumo negli occhi, di far dimenticare i crimini di guerra italiani in quei territori equiparando la foiba di Basovizza alla Risiera, unico campo di concentramento nazista con forno crematorio, in cui morirono oltre 3000 persone, soprattutto partigiani italiani, sloveni e croati, o ai campi di concentramento in cui morirono almeno settemila sloveni, croati, serbi, montenegrini. Il presidente della Repubblica dovrebbe andare di propria iniziativa ad Arbe in Croazia, o a Gonars a rendere omaggio alle vittime del fascismo, e a chiedere scusa agli ex jugoslavi. Questo dovrebbe essere la prima cosa da fare. Poi dovrebbe far pubblicare i risultati della commissione storica italo-slovena, che il governo italiano si era impegnato a pubblicare ma non ha mai fatto. Poi il governo di centro sinistra potrebbe obbligare la RAi a trasmettere in prima serata il documentario 
"Fascist legacy / L'eredità fascista", sui crimini di guerra italiani in Etiopia, Libia e Jugoslavia
. Questo documentario della BBC fu acquistato nell'89 dalla RAI, ma mai trasmesso.

domenica 7 febbraio 2016

IL PCL ALLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE



Il PCL ha tenuto venerdì 5 Febbraio a Roma una conferenza stampa nazionale per presentare le proprie scelte per le elezioni amministrative. Il nostro partito sarà presente alle prossime elezioni amministrative in tutte le principali città ( Torino, Milano, Bologna, Roma, Napoli) con proprie liste indipendenti e propri candidati a sindaco. I candidati a sindaco del PCL saranno: Alessio Ariotto , avvocato del lavoro, a Torino; Natale Azzaretto, insegnante, a Milano; Ermanno Lorenzoni , pensionato ex ferroviere, a Bologna; Massimo Civitani, studente universitario, a Roma; Paolo Prudente, dipendente comunale, a Napoli. Già presente alle elezioni politiche del 2008 e del 2013, alle elezioni europee del 2009, in diverse competizioni elettorali locali, il PCL si presenta alle prossime elezioni amministrative in contrapposizione alle tre destre che oggi si contendono la rappresentanza del capitalismo italiano su scala nazionale e locale: il PD di Renzi e il suo governo, il più reazionario del dopoguerra; la destra salviniana e lepenista, che sguazza nella guerra fra poveri; il M5S, nemico del lavoro, che punta ad una Repubblica plebiscitaria via web. SEL e Sinistra Italiana, anche quando si presentano in forma autonoma, non hanno credibilità: perchè hanno amministrato ininterrottamente col PD condividendone le responsabilità; perchè continuano ad amministrare col PD il resto di Italia, nonostante il renzismo; perchè puntano a ricomporre in prospettiva il centrosinistra, cioè l' alleanza col PD. Siamo in presenza di una sinistra vittima della sindrome di Stoccolma, nazionalmente orfana del centrosinistra ma incapace di elaborare il lutto e di rompere definitivamente il cordone ombelicale col PD. Il PC di Marco Rizzo, che pare si presenti in alcune città, è guidato da un segretario che si è compromesso nei governi Prodi e D'Alema, compresi i bombardamenti su Belgrado; inneggia a Stalin e ai suoi crimini anti-comunisti; loda Kim Il Sung, contro ogni senso del grottesco. Il PCL è l'unico partito della sinistra che non si è mai compromesso con la borghesia italiana, i suoi partiti, i suoi governi, né sul piano nazionale, né sul piano locale. Rivendichiamo le ragioni del lavoro in contrapposizione agli interessi del capitalismo. Consideriamo il capitalismo un sistema sociale fallito che ovunque scarica la propria crisi sulle condizioni dei lavoratori. Chiunque governi questo sistema può solo gestire la miseria che esso genera (vedi Tsipras). Non abbiamo l'ambizione di governare il capitalismo ma di rovesciarlo. Ci battiamo ad ogni livello, nazionale e locale, per la prospettiva del governo dei lavoratori, un governo che concentri nelle mani dei lavoratori e della maggioranza della società le leve fondamentali dell'economia, e riorganizzi la società su nuove basi. L'unico governo, per semplificare, che possa nazionalizzare le banche, espropriare le aziende che licenziano, nazionalizzare Ilva senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto controllo operaio . Sul piano locale, come sul piano nazionale, i nostri programmi rifiutano la logica delle compatibilità del capitalismo. Rivendichiamo ad esempio l'annullamento del debito dei comuni verso le banche, la stabilizzazione di tutti i lavoratori precari, la requisizione dei grandi patrimoni immobiliari sfitti detenuti da banche e assicurazioni, l'esproprio delle grandi proprietà immobiliari ecclesiastiche. Sono misure incompatibili col capitalismo perchè è il capitalismo ad essere incompatibile con le esigenze sociali più elementari, a partire dalla casa e dal lavoro. La presentazione elettorale del PCL mira a far conoscere un programma anticapitalista ai più ampi settori di massa, a incoraggiare la ribellione sociale, a sviluppare la coscienza politica degli sfruttati in direzione di una prospettiva rivoluzionaria. Perché "solo una rivoluzione può cambiare le cose”.

Partito Comunista dei Lavoratori

sabato 6 febbraio 2016

COMUNICATO STAMPA

Inceneritori lombardi disponibili alla combustione dei rifiuti provenienti da altre regioni.



Il Partito Comunista dei lavoratori della Lombardia esprime la propria contrarietà per la decisione del governo di dirottare agli inceneritori della nostra regione i rifiuti prodotti in altre aree del Paese. Si tratterebbe di una mole fino a 500mila tonnellate di spazzatura in più da bruciare nei 13 inceneritori regionali, alcuni dei quali molto vecchi e che andrebbero dismessi per via della potenziale nocività, come quelli di Busto Arsizio o di Desio.

La raccolta differenziata nella nostra regione si attesta sul 56%; è necessario favorirne lo sviluppo e la crescita a livello regionale e nazionale; si pensi a regioni come la Sicilia e la Calabria che hanno percentuali di raccolta abbondantemente sotto il 20%  E' bene sottolineare che  più materiali recuperati significano meno rifiuti da bruciare, con conseguente diminuzione dei consumi ed inquinamento. In particolare la separazione ed il recupero della frazione umida è fondamentale per ridurre l’apporto calorico necessario alla combustione dei rifiuti.

 Pcl – Coordinamento regionale lombardo

venerdì 5 febbraio 2016

TERZO SCIOPERO GENERALE CONTRO TSIPRAS




Ieri la Grecia è stata percorsa dal terzo sciopero generale contro il governo Tsipras. La ragione è semplice. Nel rispetto annunciato delle disposizioni della Troika, il governo greco ha varato l'ennesimo programma di lacrime e sangue: un nuovo taglio del 15 % delle pensioni, pari all'1% di PIL, l'aumento dei contributi dei lavoratori, l'innalzamento dell'età pensionabile a 67 anni, ulteriori aumenti delle imposte indirette, l'ampliamento delle privatizzazioni ( vendita del porto del Pireo al gruppo cinese Posco). E' il prezzo pagato al capitale finanziario europeo di cui Tsipras si è fatto amministratore delegato in Grecia.

Per questa ragione la classe operaia greca inizia a riservare al governo Tsipras lo stesso trattamento riservato ai governi che l'hanno preceduto. A parità di governi, parità di opposizione. Il terzo sciopero generale contro il governo Tsipras è stato più esteso e partecipato che in passato. Si è fermato in blocco l'intero settore pubblico e privato, inclusi i servizi fondamentali come la sanità e i trasporti. In alcuni settori lo sciopero si è prolungato sino a domenica. Le manifestazioni sono state imponenti sia ad Atene che a Salonicco. Ma soprattutto sia lo sciopero che le manifestazioni hanno acquisito un carattere più spiccatamente politico. Non scioperi di “aiuto” al governo nel suo negoziato con la Troika, come in occasione del primo sciopero a Luglio. Ma scioperi e manifestazioni di aperta e diretta contrapposizione a un governo visto sempre più per quello che è: l'ennesimo strumento di rapina e saccheggio dei lavoratori e della popolazione povera di Grecia.

Il capitale di fiducia e affidamento che Tsipras era riuscito ad incassare, nonostante tutto, nelle elezioni di Settembre, attorno alla bandiera del “meno peggio”, si va rapidamente esaurendo. A Settembre i lavoratori greci non avevano ancora verificato sulla propria pelle le conseguenze sociali del memorandum firmato. Ora sì. Mentre i partiti della Sinistra Europea ( PRC incluso) continuano a tributare il proprio sostegno al governo Tsipras, confermando una volta di più la propria subalternità al capitalismo, la classe operaia greca si colloca progressivamente all'opposizione di Tsipras. I nostri compagni della sinistra rivoluzionaria greca ( EEK) sono in prima fila nelle mobilitazioni di massa contro il governo. Il PCL è- come sempre- al loro fianco.


PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

DA GENOVA A TARANTO: LA LOTTA DEL PCL AL FIANCO DEGLI OPERAI DELL'ILVA



Intervista sull'Ilva di Taranto a Marco Ferrando. 

Nell'intervista a una emittente locale di Taranto, il portavoce nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori, Marco Ferrando, fa notare come sia in corso la svendita dell'Ilva a soggetti privati che hanno già dichiarato di non volersi sobbarcare né gli attuali livelli di occupazione né i costi del risanamento ambientale. Il PCL è l'unico partito al fianco degli operai dell'Ilva sia a Genova che a Taranto, e pone la necessità dell'estensione della solidarietà da parte degli operai dell'Ilva di Taranto alla lotta degli operai di Genova. IL PCL rivendica la ineludibile necessità della nazionalizzazione dell'Ilva, senza indennizzo per la proprietà e ponendo la produzione sotto controllo operaio. Il portavoce tarantino del partito, Franco Fanelli, usa parole molto dure nei confronti della gestione della vicenda dell'ILVA affermando che occorre smetterla di aspettare la manna dal cielo e che è giunto il momento di passare dalle manifestazioni ad azioni di forza.