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giovedì 30 aprile 2020

IL PCL SOSTIENE LE MOBILITAZIONI PROMOSSE DAL SI COBAS E DA ADL COBAS IL 30 APRILE E 1 MAGGIO



Il governo, spinto da Confindustria e le altre associazioni padronali, vuole avviare la "fase due". I dati giornalieri dell'epidemia da coronavirus attestano, però, ancora alti tassi di contagio e purtroppo numerosi decessi. Non vi sono le condizioni di sicurezza per riaprire tutte le attività produttive. Inoltre mancano i presidi sanitari più elementari, a partire dalle mascherine, e non si può testare la popolazione per mancanza di tamponi, laboratori attrezzati e reagenti.
Al padronato questo non interessa. Chiede a gran forza la ripresa dei propri profitti a costo di sacrificare la sicurezza di milioni di lavoratori, dei loro familiari e di tutti a causa del rischio di propagazione del contagio.

Il PCL ha già denunciato le responsabilità criminali di Confindustria e consociate, che con la complicità di governo e istituzioni locali non hanno preso le misure necessarie alla protezione della popolazione, come si è visto in Lombardia, dove la malattia ha provocato migliaia di vittime.
Non si può adesso affidare il controllo della sicurezza sul lavoro, compresi gli spostamenti, alle stesse autorità che hanno provocato il disastro, come vogliono i protocolli di cartapesta firmati da governo, Confindustria e burocrazia di CGIL, CISL e UIL.
Il controllo deve essere delle lavoratrici e dei lavoratori, mediante le proprie organizzazioni.

Il PCL è da sempre impegnato nella costruzione di un fronte unico politico e sindacale che si basi sugli interessi della classe lavoratrice e la sua indipendenza dalle politiche e dagli interessi di padronato, banche e governo. Tanto più oggi, quando la crisi sanitaria a cui hanno contribuito decenni di tagli alla sanità pubblica ha già provocato una profonda crisi economica che sta sfociando in una durissima crisi sociale con milioni di disoccupati e l'impoverimento della maggioranza della popolazione.
Pertanto il PCL sostiene tutte le iniziative politiche e sindacali che si muovano nella stessa direzione, come le iniziative di mobilitazione, fino eventualmente allo sciopero, promosse dal SI Cobas e da ADL Cobas nelle giornate del 30 aprile e 1 maggio. Valuta positivamente le indicazioni rivendicative alla base della mobilitazione, e ritiene che esse possano incontrarsi con le rivendicazioni avanzate dal nostro partito:

- Controllo indipendente dei lavoratori sulle condizioni di lavoro
- Blocco dei licenziamenti, compresi i precari
- Salario al 100% per le lavoratrici e i lavoratori in cassa integrazione
- Indennità di quarantena per tutti coloro che si ritrovano senza lavoro e senza reddito
- Riduzione generale dell'orario di lavoro a parità di salario
- Rilancio e nuovi investimenti massicci nella sanità pubblica. Nazionalizzazione della sanità privata e dell'industria farmaceutica senza indennizzo per i grandi azionisti
- Imposizione immediata di una tassazione patrimoniale straordinaria: il 10% del patrimonio del 10% più ricco della popolazione

La sicurezza sia in mano alle lavoratrici e ai lavoratori. La crisi la paghino i padroni che l'hanno provocata.
Non più governi complici di banchieri e capitalisti!
Per il governo dei lavoratori!

Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 29 aprile 2020

IL 1° MAGGIO I RIVOLUZIONARI DI TUTTO IL MONDO RICORDANO LA STORICA CONQUISTA

Ormai da anni il 1° Maggio, giornata internazionale di lotta del proletariato e degli sfruttati di tutto il mondo, è stato snaturato dai sindacati di regime e trasformato in una giornata di festa all’insegna del pacifismo, dell’unità nazionale. Il 1° Maggio i rivoluzionari di tutto il mondo ricordano che la storica conquista delle 8 ore fu un importante passo sulla strada dell’emancipazione operaia e che nel 1886 fu bagnata dal sangue proletario degli operai statunitensi, e che la lotta contro l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo continua. La lotta per le otto ore fu la prima lotta mondiale di un proletariato che si riconosceva come classe internazionale. Il 1° Maggio gli operai scioperavano e scendevano in piazza, nelle strade, si radunavano in conferenze e assemblee per dimostrare l’unità degli sfruttati, la solidarietà internazionale, riconoscendosi come classe con gli stessi interessi. Oggi, dopo 134 anni, lo slogan: 8 ore per lavorare, 8 ore per dormire e 8 ore per educarci, è ancora attuale. Gli sviluppi della scienza e della tecnica renderebbero possibile un’altra notevole riduzione d’orario, ma oggi persino la “storica” conquista delle 8 ore è messa in discussione e vanificata dalla “modernità” del capitalismo e dalla flessibilità della giornata lavorativa. La parola d’ordine che portò alla conquista legale delle 8 ore e all’unità del proletariato internazionale nella lotta contro il capitale recitava: “l’offesa verso uno riguarda tutti” e si basava sul principio della solidarietà di classe senza tenere conto della qualifica, della nazionalità o della “razza”. Il contrario di quello che succede oggi, dove il proletario immigrato, lo “straniero” e l’operaio italiano diventano “concorrenti” e “nemici”. Il razzismo, fomentato da chi ha interesse ad acuire la concorrenza fra lavoratori mettendo i proletari gli uni contro gli altri, serve solo ad alimentare guerre fra poveri, abbassare i diritti e il salario a tutti a tutto vantaggio dei capitalisti. Ormai da anni è cambiato anche il lessico comune. Le parole padroni e operai – borghesi e proletari – sono state sostituite da “datori di lavoro” e “risorse umane”. Le guerre imperialiste e di rapina sono chiamate “missioni di pace”. La storia e la realtà di ogni giorno dimostrano che il lavoratore isolato come “libero” venditore della propria forza-lavoro è alla completa mercé del padrone. È giunto il momento in cui la classe operaia, per liberarsi dalle sue catene, deve smettere di delegare agli intellettuali borghesi di “sinistra” o ad altri il proprio futuro e la costruzione del suo partito ma sia lei stessa l’artefice del proprio destino.


 

martedì 28 aprile 2020

CI HA LASCIATO GIULIETTO CHIESA



Ci ha lasciato Giulietto Chiesa. Non siamo mai stati politicamente d’accordo con lui né quando sosteneva posizioni di tipo riformistico (prima nel vecchio PCI e in un secondo tempo, da indipendente, a fianco di Di Pietro) né ovviamente quando è passato a posizioni di tipo “campista” mescolate a un un’idea di inaccettabile complottismo.
Però due cose di lui vanno ricordate. Innanzitutto è stato un grande giornalista, che ha perfettamente raccontato la fine dell’URSS: i suoi articoli, negli anni Ottanta e Novanta, sono stati illuminanti nel descrivere prima la crisi e la disgregazione dell’Unione Sovietica e poi la nascita di un processo che ha portato al regime di Putin. Poi, non solo ha sempre avuto rapporti corretti con il nostro partito, ma è grazie alla sua firma di europarlamentare che, bypassando le vergognose leggi che impediscono a una piccola forza di candidarsi, siamo riusciti a essere presenti alle elezioni europee del 2009 (nelle quali non abbiamo potuto eleggere il compagno Marco Ferrando solo perché pochi mesi prima delle elezioni venne votata la nuova legge proposta da Veltroni che poneva lo sbarramento al 4%).
Con Chiesa e il suo piccolo gruppo ci siamo ritrovati poi, negli anni 2011-2012, nel fronte unico che ha dato vita al “movimento no debito”, sfociato in una grande manifestazione con decine di migliaia di lavoratori e giovani contro il governo Monti e la sua politica.
È per questo che vogliamo qui ricordare Giulietto Chiesa e salutarlo con dispiacere.


Partito Comunista dei Lavoratori

IL 1° MAGGIO E LA GRANDE CRISI

Venerdì 1° maggio, ore 17:30, assemblea in diretta streaming sulla pagina Facebook del PCL





Questo 1° maggio ha come sfondo uno scenario internazionale inedito, che intreccia la pandemia con una nuova grande recessione. Una recessione che trascina con sé una nuova offensiva capitalistica contro le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle lavoratrici.
In Italia la crisi conosce una particolare intensità, sia per la particolare intensità del contagio, sia per le condizioni preesistenti di una crisi capitalistica irrisolta dopo la grande depressione del 2008/2012.


Dopo aver affrontato domenica 19 aprile, con una nostra iniziativa nazionale, il tema dell'emergenza sanitaria e delle responsabilità criminali del capitalismo nel suo innesco, nella sua propagazione, nei suoi tassi di mortalità, affrontiamo ora il risvolto sociale e politico della nuova grande crisi in Italia, e dunque i temi e i terreni di una risposta di classe e di massa del movimento operaio. Contro ogni forma di “unità nazionale”, politica e sindacale.

 VENERDÌ 1° MAGGIO - ORE 17.30
Diretta streaming sulla pagina Facebook del Partito Comunista dei Lavoratori


Introduce Federico Bacchiocchi, segreteria nazionale PCL

con:

Lorenzo Mortara, operaio YKK
Elena Felicetti, coord. precari della scuola
Cristian Briozzo, ex lavoratore Poste
Donatella Ascoli, commissione donne PCL
Luigi Sorge, operaio FCA

Conclusioni di Marco Ferrando, portavoce nazionale PCL


Non mancare!

Partito Comunista dei Lavoratori

lunedì 27 aprile 2020

Estratto del libro " MARXISMO E ECOLOGIA DI TIZIANO BAGAROLO

“Marxismo ed ecologia”, pubblicato dalle Nuove Edizioni Internazionali negli anni ’80, pur nel suo grande significato non rappresenta che una piccola parte del contributo di Tiziano.





LEGGI L'ESTRATTO DEL LIBRO

domenica 26 aprile 2020

GLI USA NEGANO A CUBA I VENTILATORI POLMONARI. SOLIDARIETÀ AL POPOLO DI CUBA




Non basta l'embargo storico che gli USA esercitano contro la Cuba postrivoluzionaria, con le sue conseguenze rilevanti di lungo corso sulle condizioni della popolazione cubana. Ora gli USA hanno negato l'esportazione a Cuba di ventilatori polmonari, strumento decisivo contro l'epidemia del coronavirus.
Di più. Hanno annunciato ritorsioni commerciali contro i paesi e le aziende che dovessero aiutare lo stato cubano.
A far questo è lo stesso imperialismo canaglia che in casa propria nega ai lavoratori americani un servizio sanitario pubblico, moltiplicando gli effetti mortali dell'epidemia, a partire dalla città di New York. Un imperialismo con un governo criminale che per un mese ha negato l'esistenza stessa della pandemia lasciando la popolazione povera indifesa, priva di protezioni, colpita non a caso principalmente negli uomini e donne di colore.

Non ci identifichiamo acriticamente nel regime burocratico che oggi esiste a Cuba. Ci battiamo perché i lavoratori e le lavoratrici cubani possano realmente governare il paese attraverso proprie strutture indipendenti di autorganizzazione democratica e di massa, come nell'URSS dei tempi di Lenin e di Trotsky. Ci battiamo per legare questa prospettiva rivoluzionaria a quella della rivoluzione socialista in tutta l'America Latina. Ma proprio per difendere questa prospettiva rivoluzionaria, difendiamo Cuba e la sua economia pianificata dai progetti di restaurazione capitalista, coltivati anche da settori di burocrazia oggi al potere. Una economia pianificata che ha garantito protezioni sociali e sanitarie oggi inesistenti non solo in Sud America ma in larga parte del mondo capitalista.
A maggior ragione difendiamo Cuba incondizionatamente dalle minacce e dalle aggressioni dell'imperialismo, a partire dall'imperialismo yankee.

Il fatto che la più grande potenza economica e tecnologica del mondo neghi oggi a Cuba i ventilatori polmonari dà la misura della miseria morale del capitalismo e dell'imperialismo. Non si tratta certo di una forma di attenzione privilegiata per la popolazione americana, abbandonata anzi alla pandemia nelle condizioni peggiori. Si tratta invece della stessa politica odiosa che l'imperialismo USA riserva da un secolo ai popoli oppressi del mondo intero. L'”America first” di Donald Trump l'ha resa solo più odiosa ed evidente.

Gli imperialismi europei, e tra questi l'imperialismo italiano, sono corresponsabili di questa politica. Non solo in virtù dell'Alleanza Atlantica, ma del proprio essere imperialisti, segnati dalla stessa vocazione alla rapina e allo sfruttamento, seppur con forze disponibili minori. L'unico interesse che hanno per Cuba, coi loro deboli distinguo dalla politica USA, è quello che passa per la speranza di partecipare un giorno alla spartizione delle sue spoglie, ritagliandosi il proprio spazio nella restaurazione capitalistica dell'isola.

Difendere Cuba dall'embargo criminale USA e lottare contro l'imperialismo di casa nostra sono dunque due aspetti inseparabili della politica rivoluzionaria. Politica che non ha nulla a che spartire coi sovranismi, tanto più col sovranismo in un paese imperialista.


Partito Comunista dei Lavoratori

NUOVO PROTOCOLLO, VECCHIA TRUFFA

La nuova intesa tra governo, padroni, burocrazie sindacali



Non potendo portare la realtà al livello dell'esigenza umana, il protocollo adatta l'esigenza alla realtà. Quella del capitalismo, un'organizzazione della società che in Italia spende 30 miliardi annui in spese militari ma non può dare all'operaio nemmeno una mascherina




Il 24 aprile governo, padroni e burocrazie sindacali hanno stipulato un nuovo protocollo d'accordo per “la ripartenza”. Le direzioni sindacali lo hanno presentato come sviluppo del precedente protocollo d'intesa del 14 marzo. In realtà ne rappresenta in larga parte la ricopiatura. L'unica vera novità è il riferimento a non meglio precisati comitati territoriali che dovrebbero vigilare sul rispetto delle norme sanitarie nelle proprie zone. Per il resto nulla di nuovo. Una lunga serie di «possono...» quando si parla dei padroni, di «devono...» quando si parla dei lavoratori. I lavoratori «devono» (giustamente) restare a casa in caso di febbre superiore a 37,5 gradi e informare subito l'azienda se manifestano sintomi di influenza. L'azienda «potrà» disporre di misure protettive. La responsabilità della sicurezza è un obbligo per l'operaio, una facoltà per il suo padrone.

In realtà l'intera logica del protocollo è la “sicurezza” degli operai secondo le disponibilità dei padroni. Una modica quantità di salute compatibile con la legge del profitto, e con le sue miserie. Che questa sia il vero significato dell'intesa lo dimostra l'esempio banale delle mascherine, il dispositivo di protezione individuale elementare. Il protocollo riesce a dire tutto e il suo contrario sull'argomento. Dice che saranno le intese aziendali ad indicare i dispositivi di protezione individuale da adottare «sulla base del complesso dei rischi valutati». Dunque non esiste una prescrizione generale. Poi afferma che le mascherine dovranno essere garantite solo qualora il lavoro imponga di lavorare a distanza minore di un metro. Ma anche che l'adozione «è evidentemente legata alla disponibilità in commercio» delle stesse. Ma se «evidentemente» in commercio non se ne trovano?
Di più. Si dice che qualora un lavoratore accusi sintomi da Covid-19 dovrà essere posto in isolamento e «dotato, ove già non lo fosse, di una mascherina chirurgica». “Ove già non lo fosse”: dunque l'accordo riconosce, incidentalmente, che l'adozione della mascherina non è dovuta. Insomma, la defatigante trattativa notturna per stipulare l'intesa, di cui ci parlano le cronache, è stata spesa per trovare l'equilibrio fra tutto e il suo opposto. Tra il sì, il no, il forse. Un equilibrio effettivamente non facile, ma nulla a che fare con la sicurezza dei lavoratori.

L'esempio banale delle mascherine demolisce alla radice l'intero castello di carta del protocollo. Se non c'è garanzia neppure del dispositivo di protezione più elementare, se anzi neppure il protocollo la richiede, di cosa stiamo parlando?
La verità è che il protocollo non richiede la mascherina perché nella realtà se ne trovano poche. Secondo il Politecnico di Torino occorrerebbero 35 milioni di mascherine al giorno per coprire la ripartenza. Secondo Il Sole 24 Ore addirittura 40. Ma le 87 aziende rapidamente convertitesi alla loro produzione (perché attratte da incentivi fiscali) ne sfornano al massimo 3 milioni (tre!) su scala giornaliera, mentre il commercio mondiale alza ovunque barriere nazionali protezioniste a difesa dei propri articoli sanitari. Dunque, per dirla con la parole del protocollo, non c'è una adeguata disponibilità di commercio delle mascherine. Per non parlare dei loro prezzi e delle immonde speculazioni in materia.
Non potendo portare la realtà al livello dell'esigenza umana, il protocollo adatta l'esigenza alla realtà. Quella del capitalismo. Quella di un'organizzazione della società che in Italia spende quasi 30 miliardi annui in commesse militari ma non riesce ad assicurare all'operaio neppure venti centimetri di stoffa per la sua protezione dal contagio.

Per non vedere questa enormità occorre essere ciechi. Per non provare scandalo di fronte ad essa occorre essere cinici. Da inguaribili rivoluzionari non siamo né l'uno né l'altro.

Partito Comunista dei Lavoratori

sabato 25 aprile 2020

ORA E SEMPRE, RESISTENZA!

Tra il ‘43 e il ‘45 la resistenza partigiana e la ribellione operaia presentarono il conto alla dittatura fascista. Furono i giovani a capo della rivolta. Una rivolta sospinta non solo da aspirazioni democratiche, ma anche dalla volontà di farla finita con la borghesia italiana che si era servita del fascismo. Era la speranza di “una rossa primavera”. Ma quella speranza fu tradita. Stalin aveva pattuito con gli imperialismi vincitori una spartizione delle zone di influenza. L'Italia doveva restare nel campo capitalista. Il PCI di Togliatti fu il fedele esecutore della linea. La Resistenza fu subordinata alla collaborazione con la DC. I governi di unità nazionale tra DC e PCI disarmarono i partigiani, restituirono le fabbriche ai capitalisti, diedero l'amnistia a decine di migliaia di torturatori fascisti. E ricominciò, in forme democratiche, la solita vecchia storia: il potere dei padroni, lo sfruttamento dei lavoratori. Sono passati più di settant'anni dalla Resistenza, ma le sue migliori aspirazioni sono più attuali che mai. Il problema dell'umanità resta come allora il capitalismo, che ovunque ha tagliato gli ospedali per ingrassare le banche e gli armamenti, che ha devastato l'ambiente favorendo le pandemie, che annuncia oggi nella sola Europa 25 milioni di nuovi disoccupati, che nutre i razzismi, legittima i fascisti, moltiplica le guerre. Anche oggi c'è bisogno di una rivoluzione! Che questa volta vada sino in fondo! Che questa volta trovi un suo partito! Per un antifascismo anticapitalista! 

ORA E SEMPRE, RESISTENZA!



 

venerdì 24 aprile 2020

COMUNICATO STAMPA DI MILANO ANTIFASCISTA ANTIRAZZISTA METICCIA E SOLIDALE.

GIÙ LE MANI DAL 25 APRILE




Approfittando dell’assenza forzata del popolo che riempie le piazze nella giornata del 25 Aprile e sfruttando vigliaccamente il senso civico nel rispetto per il bene comune di milioni di persone, i fascisti escono dalle fogne dell’inconsistenza in cui sono stati relegati dalla solidarietà generale per tentare di sporcare la giornata della vittoria sul nazifascismo. Sarebbe intollerabile che ciò avvenga approfittando dell’emergenza.

Non è la prima volta, ma quest’anno le destre usano cinicamente e in maniera vergognosa l’eccezionalità della situazione per infangare la Giornata della Liberazione e tentare di stravolgerne il significato profondo. La chiamata in strada lanciata attraverso alcuni gruppi Telegram di cui si parla in questi giorni incita a trasgredire le disposizioni in nome di una fantomatica libertà che è solo una rievocazione del nostalgico e tragico menefreghismo. 

Menefreghismo verso il popolo, le persone, le istituzioni democratiche ma guarda caso sempre al servizio di qualche interesse padronale, degli affari e dei potenti. Gli ideatori di questa provocazione cercano di scimmiottare in dimensione provinciale il trumpismo aggressivo che negli Usa nega i pericoli della pandemia per servire i grandi interessi del capitale e della finanza che non possono rallentare e perdere decimali di profitto.

Nel loro piccolo, servi come sempre, pensano di fare da battistrada ai meschini Trump di casa nostra, incitando l’apertura subito e totale, denunciando la “dittatura della quarantena” e guarda caso proprio nella giornata del 25 Aprile. 

Il 25 Aprile non si tocca

Il nostro 25 aprile sarà quest'anno resistente solidale #25aprilesolidale , potete seguire le nostre iniziative sulle seguenti pagine:

https://www.facebook.com/milanometiccia/

https://www.facebook.com/Memoria-Antifascista-1543102832607293/

https://milanoinmovimento.com/speciali/partigian-in-ogni-strada-25-aprile-storie-della-resistenza-a-75-anni-dalla-liberazione?fbclid=IwAR2XMLZd3isvcGysOfTtivnQyvrkTGgLbWkiOMqWLht6MuFOR1yTUBMqFOs

lunedì 20 aprile 2020

Ricordare Ferruccio Ghinaglia per prendere coscienza del presente

Il 21 aprile 1921 Ghinaglia moriva assassinato dai fascisti. Sere prima in Borgo Ticino, il rione popolare “fortilizio dei socialcomunisti” come dicevano i fascisti, Ghinaglia aveva parlato a una riunione operaia sulla necessità di reagire allo squadrismo.  Al termine del comizio i borghigiani avevano attaccato e disperso un gruppo di fascisti che sui camion tornavano da una delle loro bravate notturne.
La sera del 21, Ghinaglia e i suoi compagni furono presi a rivoltellate.
Colpito alla testa Ghinaglia morì all’istante. Afferma Arturo Bianchi, un fascista della prima ora, che Ghinaglia stava cantando l’Internazionale.
Morto Ghinaglia, il gruppo comunista pavese perse in parte slancio, ma proseguì la sua attività fino agli arresti di massa del 1927.
Doveroso ricordare Ferruccio Ghinaglia in una fase come questa dove elementi di disgregazione e crisi sociale e culturale sembrano prevalere.
Occorre, pertanto, tenere alta la guardia, oggi, periodo permeabile alle tentazioni autoritarie e all’indebolimento progressivo della democrazia e ai suoi riti e alle sue parole d’ordine. Tollerarne o sottovalutarne i sintomi ed i vagiti, più o meno deboli o nascosti dietro una maschera pseudo-culturale, significa aprire un varco al revisionismo, al tentativo di annullare la storia, alla legittimazione di autoritarismi più insidiosi.
La lotta antifascista più coerente è patrimonio di poche forze politiche e ideologiche e non può essere ridotta e riducibile ad un lontano passato ma continua tutt'ora contro nuove tendenze autoritarie e repressive.
L’esempio Ferruccio Ghinaglia, propugnatore della lotta internazionalista in Italia, poderoso alla causa del proletariato, non solo non deve essere dimenticato ma ripreso per una ferma e decisa opposizione alle nuove guerre dell’imperialismo.


Partito Comunista dei Lavoratori – sezione di Pavia


domenica 19 aprile 2020

LA SALUTE VIENE PRIMA DEL PROFITTO

La Sezione Brianza del PCL è incondizionatamente a fianco dei lavoratori, delle loro rappresentanze, che anche in Brianza hanno lottato, scioperato, e che, in alcuni casi continuano a farlo per difendere la loro salute e per non essere considerati una merce, per tornare a lavorare in condizioni di vera sicurezza sui luoghi di lavoro,



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sabato 18 aprile 2020

RIGOROSAMENTE ALLINEATI “ALL’EMERGENZA DEL CAPITALE”



Al potere giova questa emergenza, lo rende più forte, soprattutto se si considera che grazie al virus siamo tutti in casa, che non vi è opposizione e tutti sono disposti a rinunciare anche alle più elementari libertà pur di fare salva la propria vita. 

Evocava Marx “l'ideologia rovescia il mondo capovolto e lo fa apparire falsamente vero”. 

Oggi affidiamo anima e corpo ai tanti virologi televisivi e ai tanti tecnici delle task forces. Quelli, per inciso, che fino a febbraio dicevano che non c’era alcun pericolo e ora dicono che non si tornerà mai più alla normalità. Nulla sarà più come prima! Col virus dovremo imparare a convivere. 

Insomma, i rapporti di forza, saranno maggiormente riorganizzati, soprattutto al rientro sollecitato nelle fabbriche per continuare a garantire il profitto dei padroni, irreversibilmente: reclusione, niente spazio pubblico, niente assemblee, e soprattutto niente proteste.

Uno stato di polizia quale in parte già è: in nome dell’emergenza, certo, che, appunto, si protrarrà chissà fino a quando… 

Guai a chi osa dissentire e provare a indicare percorsi alternativi, non allineati. A ricordarcelo, giorno per giorno, ora per ora, ci pensa stampa e tv rigorosamente allineati “all’emergenza del capitale”. 

“Le notizie sono una cosa seria: fidati dei professionisti dell’informazione”: così ripete il nuovo ritornello del “grande fratello”, lo stesso, peraltro, che ha detto, impunemente, che per il Coronavirus “è morto Louis Sepulveda, autore di Cent’anni di Solitudine”. 

Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere.

mercoledì 15 aprile 2020

LE DONNE DENTRO E FUORI DAL LOCKDOWN




Siamo a un passo dalla fine del lockdown, e tutti e tutte dovremo quindi affrontare quella che chiamano la "fase due".
Che si tratti di una fase diversa però non lo dice il numero dei contagi, che pur in calo resta nel paese superiore al migliaio al giorno (dati al 9 di aprile) e neanche il numero dei decessi, anche quello di diverse centinaia al giorno. E sono i numeri "ufficiali", cioè quelli rilasciati giornalmente dalla Protezione Civile, che tanto fanno discutere, messi a confronto con le statistiche sulla mortalità (1) che vedono incrementi dolorosi nelle settimane centrali di marzo.
E in particolare non lo dice la preoccupazione sulla città di Milano, dove i numeri dei contagi cittadini sono a lungo rimasti un mistero, incrociato con la particolarità d'avere in casa il reparto Covid-19 dell'Ospedale Sacco, dove sono affluiti i contagiati anche da fuori città, e col silenzio dell'istituzione comunale.
Quindi si riparte, e sembrava dovessimo ripartire dopo il fine settimana del 1 maggio, ma in realtà fra pochissimo saranno molte le realtà produttive e alcune del commercio che riapriranno i battenti.
E se le guardate bene sono tante le realtà commerciali dove sappiamo bene che il front desk (le casse) sono un luogo fondamentalmente popolato di donne. E sono una magra consolazione le dichiarazioni della virologa Ilaria Capua che ci comunica che le donne sembrano più resistenti agli effetti più gravi della malattia (almeno sembra, in base a studi però su campioni non particolarmente ampi e soprattutto non ancora "armonizzati", cioè efficacemente incrociati e su un più alto livello di campione). Così come non ci convince la formula che i datori di lavoro dovranno fornire guanti monouso e mascherine. In Lombardia trovare una confezione di guanti monouso in un qualsiasi supermercato è impossibile, e se entrate nei supermercati potrete vedere chiaramente che non sempre gli operatori li indossano, così come è ben raro che li indossino gli addetti alla consegna della spesa a casa (altro che la pubblicità dell'Esselunga con il corriere in tuta integrale).
Quindi in questa fiera dell'ipocrisia, ci chiediamo se dovremo appellarci alla bontà della natura o se semplicemente, arrivando al punto in cui gli ospedali "cominciano a respirare" (eufemismo per dire che forse i lavoratori al loro interno sperano di vedere una luce in fondo al tunnel, non avendo più centinaia di casi in arrivo giornalmente), il dato di fatto sarà che ci affideremo alla cosiddetta immunità di gregge, che però purtroppo ci deve preparare a perdere diversi dei nostri cari.
E in tutto questo, come sin dal principio, le donne pagheranno dei prezzi supplementari.
Li hanno pagati in ospedale, dove sono la maggioranza della forza lavoro, medici a parte, soprattutto dirigenti medici a parte; infermiere, operatrici socio-sanitarie, addette alle pulizie sanitarie sono prevalenti rispetto ai loro colleghi maschi, tanto che alcune agenzie di ricerca di lavoro qui e là si lasciano scappare "cercasi addetta alle...", pur precisando di seguito che la richiesta è rivolta ad ambo i sessi. E in questo periodo per aumentare gli organici al massimo possono sperare in "contratti Covid", cioè contratti a termine, mantenendo la logica della precarietà in questo settore martoriato dall'emergenza.
Li hanno pagati nella presenza alle casse nei supermercati, dove sono probabilmente il 95% della forza lavoro, pur non essendo esonerate nei casi di maggior urgenza persino dal riempimento delle scaffalature. Per queste donne il governo ha ben pensato di far trovare loro un coniglio pasquale: l'allungamento degli orari di apertura, quindi ancora più turni disagiati (ma si sa, potrebbero crearsi code troppo lunghe), contratti part time non voluti e sorrisi obbligatori.
Li hanno pagati anche nel lockdown più fortunato (si fa per dire), quello dove il lavoro, e quindi di conseguenza lo stipendio, lo hanno mantenuto con lo smart working, dove in spazi non funzionali, con tempi irregolari, intrecciando il lavoro ai computer con la preparazione degli spezzatini, dovendo alternare i sì e i no all'attenzione di cura per i figli (che anche per modello sociale a loro si rivolgono per prime, avete presente la pubblicità della mamma pinguina?), secondo quanto è necessario per tenere tutto insieme, le donne attuano quella "meravigliosa" attitudine al multitasking che ci ha ossessionato per due decenni a cavallo del volgere del secolo.
Li hanno pagati nella perdita del lavoro irregolare, precario, come nella ristorazione, negli studi professionali, nella cultura, come le educatrici che in grande maggioranza sono ormai tutte lavoratrici precarie, sia nel privato, sia nel pubblico.
Li hanno pagati nella perdita di salario, decurtato dal ricorso agli ammortizzatori sociali senza la copertura del 100%, diventando più vulnerabili e più difficilmente capaci di potere conquistare o mantenere la propria autonomia.

Li hanno pagati nell'assenza di un qualsiasi supporto se slegate dal mondo del lavoro: non sono infatti previste indennità di alcun tipo per tutte quelle donne che non sono inserite nel mondo del lavoro ufficiale, ma noi sappiamo quante donne traggono la sussistenza delle loro famiglie (prima che la loro) da innumerevoli lavori in nero.

Li hanno pagati nei tentativi di mettere l'aborto tra le attività non necessarie negli ospedali, con la vergognosa vicenda della petizione di Pro Vita e Famiglia, come se la pandemia dovesse diventare per l'appunto una punizione divina per le condotte sessuali non accettate dal bigottismo e dai reazionari.

E li hanno pagati nelle case dove sono rimaste rinchiuse anche con quei famigliari che le vessano, le picchiano e purtroppo, come abbiamo visto, le uccidono, secondo la maggior parte della stampa per l'ennesimo dramma – quello della convivenza forzata, non quello della cultura patriarcale.
Mentre nel frattempo crollano le chiamate ai centri antiviolenza, questo sì dramma della convivenza forzata, dove non ti puoi liberare mai della presenza del tuo aguzzino.

Ebbene non si toglie nulla alle difficoltà affrontate dagli uomini nell'emergenza dovuta all'epidemia di coronavirus, ma, come detto in principio, questi sono prezzi supplementari, che nuovamente le donne sono chiamate a pagare in "virtù" del loro essere donne.

Per questo all'uscita da questo lockdown, ancora più forte sarà l'esigenza di riprendere le lotte per la distruzione della società classista, paradigma di ogni oppressione, contro il patriarcato, modello di prevaricazione.

Saranno i tempi per rivendicare il blocco dei licenziamenti, l'abolizione dei contratti precari, la parità salariale, la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, la regolarizzazione di tutti i rapporti di lavoro in nero, sussidi di disoccupazione per tutte e tutti, il controllo delle lavoratrici e dei lavoratori sulla salute e la sicurezza. Lavoro, indipendenza economica, e non caritatevoli concessioni.
I tempi per rivendicare una sanità pubblica, gratuita e universale. La piena libertà di aborto e di uso delle alternative farmacologiche sicure. Percorsi di sicurezza per tutte le donne sotto lo scacco della violenza maschile, finanziamenti ai centri antiviolenza, apertura di servizi territoriali per l'ascolto e la protezione.


Partito Comunista dei Lavoratori - commissione donne e oppressioni di genere

lunedì 13 aprile 2020

IL PCL DENUNCIA GOVERNO NAZIONALE, REGIONE LOMBARDIA E CONFINDUSTRIA

Il Partito Comunista dei Lavoratori denuncia con un proprio esposto le responsabilità del #governo nazionale, di quello lombardo e della Confindustria nello sviluppo esponenziale del #contagio e delle morti nella regione Lombardia. 

 Intervento di Marco Ferrando



 

venerdì 10 aprile 2020

IL PCL DENUNCIA GOVERNO, REGIONE LOMBARDIA E CONFINDUSTRIA

Il Partito Comunista dei Lavoratori denuncia con un proprio esposto le responsabilità del governo nazionale, di quello lombardo e della Confindustria nello sviluppo esponenziale del contagio e delle morti nella regione Lombardia



Qui di seguito l’esposto presentato dal nostro partito alle procure di Bergamo, Brescia, Milano, Roma nei confronti del governo nazionale (in primis Conte e Speranza) di quello regionale lombardo (in primis Fontana e Gallera) e dei vertici di Confindustria (in primis quella lombarda) relativamente alla mancata creazione di una “zona rossa” almeno nel bergamasco (Alzano Lombardo, Nembro).
Da molti giorni sottolineiamo il ruolo criminale dei padroni lombardi, le cui pressioni a Milano e a Roma, come denunciava il moderato sindaco PD di Brescia in una intervista al Fatto Quotidiano, hanno portato a non aver deciso l'istituzione di zone rosse in Lombardia dopo quella di Codogno.
Ora, senza essere infettivologi, a noi è apparso chiaro, per logica non formale ma dialettica, dall’esperienza cinese e da quella di Codogno, che una quarantena rafforzata in focolai di epidemia particolarmente virulenti riduce l’epidemia sia all’esterno che all’interno della zona in cui viene applicata.
Negli ultimi giorni sono diventati di pubblico dominio alcuni fatti gravi.
Il 2 marzo il comitato tecnico-scientifico nazionale inviava al governo una nota urgente, a firma del suo presidente Brusaferro, chiedendo l'istituzione di una zona rossa a Alzano e Nembro. Invece di applicare questa misura immediatamente, Conte e Speranza prendevano tempo fissando una riunione non immediata, ma due giorni dopo, per verificare "se c'era proprio la necessità”. Nel contempo si interfacciavano con il governo lombardo, il quale aveva, per confessione al sito The Post Internazionale del presidente di Confindustria lombarda Bonometti, un incontro sulla questione con i vertici dell'organizzazione padronale, di cui si può ben immaginare le posizioni sulla questione.
Il problema era ovvio. A Codogno c'è solo una fabbrica chimica medio-grande, la Unilever. In Val Seriana ci sono centinaia di fabbriche metalmeccaniche, di cui decine medie e grandi. È probabile, considerando quello che ha affermato il sindaco di Brescia, che analoghi incontri o colloqui si siano svolti a Roma, o con Roma. Quello che è certo è che, ad ogni modo, il 4 marzo erano già pronte le forze di polizia e dell'esercito per bloccare la zona dall'indomani all'alba. E invece l'ordine non è mai arrivato. Su questo abbiamo assistito al vergognoso rimpallo di responsabilità tra governo nazionale e regionale Lombardia, come tra due complici sorpresi con le mani nel sacco.
Quello che è certo è che migliaia di morti in tutta la Lombardia sono stati il frutto della criminalità dei padroni, che in nome del profitto se ne fregano della vita dei lavoratori e delle lavoratrici, e di quella dei loro servi contenti della politica borghese.
Noi non sappiamo quale futuro avrà questo esposto. Sappiamo che la magistratura è una delle sovrastrutture dello Stato borghese. È difficile che il nostro esposto vada avanti. Speriamo di trovare in almeno una delle quattro procure un giudice democratico (o magari ambizioso) che cerchi di sviluppare una inchiesta. In ogni caso questo esposto e una campagna possibile su di esso serviranno almeno a ricordare la vera natura dei padroni al numero più largo di lavoratori, lavoratrici e giovani. Perché noi siamo perfettamente d'accordo con quello che il grande vecchio filosofo marxista Antonio Labriola scrisse alla fine dell’800 in polemica e contrasto con il riformista gradualista e pacifista Turati (certo in ogni caso più a sinistra di governisti e mutualisti vari della cosiddetta nuova sinistra odierna): «In quanto a me i borghesi li credo buoni soltanto a farsi impiccare. Non avrò la fortuna d’impiccarli io, ma non voglio nemmeno contribuire a dilazionarne l’impiccagione».


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All'Ill.ma Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo
All'Ill.ma Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia
All'Ill.ma Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano
All'Ill.ma Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma



Il sottoscritto Marco Ferrando residente in [...], [...], n. CF. [...], in persona e nella qualità di portavoce nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori,

gravemente allarmato per i fatti avvenuti recentemente nelle province di Bergamo e Brescia, segnatamente per la mancata chiusura e realizzazione della zona rossa per i comuni di Alzano Lombardo e Nembro, poiché dalle notizie riferite dalla stampa e dai telegiornali emergono ictu oculi gravi responsabilità politiche e penali a carico della Regione Lombardia, nonché del Governo della Repubblica, intende sottoporre al vaglio dell'Ill.ma S.V. tali fatti al fine di rilevare condotte illecite e l'esistenza di reati.

In buona sostanza, dall'inchiesta emersa dal Corriere della Sera (cfr Corriere della Sera 6 aprile ultimo scorso) risulta che tra gli ultimi giorni di febbraio e i primi di marzo fosse tutto pronto per erigere una "zona rossa" nei comuni di Alzano, Nembro ed altri, così come giustamente è stato fatto precedentemente per Codogno.

Riferisce il Corriere della Sera che camion della Polizia e dell'Esercito erano già pronti per intervenire, quando inspiegabilmente furono ritirati all'ultimo momento senza alcuna ragione.

Occorre rilevare che i primi due malati di Covid-19 vengono scoperti il 23 febbraio, e che già alla fine di febbraio era chiaro, purtroppo, che nel comune di Alzano e più in generale nella bergamasca fosse esploso un rilevante e violento focolaio di infezione.

Alla luce di codeste considerazioni, vorremmo sottolineare la gravità di questa notizia: chi ha bloccato e impedito il meccanismo di costruzione della zona rossa ad Alzano e Nembro? Perché? Cui prodest?

Chi ha disatteso le indicazioni di costruzione delle zone rosse intorno ai focolai di infezione, richieste dall'Istituto Superiore di Sanità, come risulta chiaramente da tale articolo?

Un ulteriore elemento di abnormità e grave imprudenza è determinato dalla riapertura dell'ospedale di Alzano, solo dopo poche ore dopo la chiusura, nel pomeriggio del 23 febbraio.

Mi sia solo consentito, sommessamente, di rilevare che queste condotte non sembrano ispirate a criteri di prudenza, ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione.

Successivamente, come è noto, vi è stata una polemica non proprio edificante circa le responsabilità, afferenti alla omessa realizzazione delle zone rosse nella bergamasca, tra il governo centrale e regione, vedi in proposito dichiarazioni del Presidente del Consiglio, nonché le risposte del Presidente della Regione Lombardia.

In buona sostanza governo e regione, scaricandosi addosso la responsabilità politica per la colposa condotta omissiva, affermavano e convenivano sul fatto che poiché era stata dichiarata in data otto marzo la zona rossa in tutta la Lombardia, e in generale in tutta Italia, venivano meno le ragioni di esecuzione di un’area di sicurezza ad Alzano e Nembro. Tale giustificazione non ha, a mio giudizio, alcuna validità, perché quello che veniva decretato per tutta la Lombardia e tutta Italia non era l’istituzione di una cosiddetta zona rossa, ma di quella che è stata a volte definita "zona arancione”. Se così non fosse, non potrebbe intendersi perché alcune regioni (ad esempio Campania e Lazio) sottoposte alle stesse regole di quarantena del resto d’Italia, hanno istituito, su decisione dei propri presidenti, “zone rosse” in alcuni comuni del proprio territorio; ciò perché, all’evidenza e come si è visto nel caso di Codogno, “zona rossa” implica una quarantena rafforzata rispetto a quella vigente nel resto del paese, incluso la Lombardia.

Ci sia consentito rilevare che così come richiesto dall'Istituto Superiore di Sanità, considerata la virulenza e l'aggressività del contagio, sarebbe stato opportuno e prudente prendere opportune e specifiche misure di sicurezza in alcuni comuni della bergamasca e del bresciano, istituendo appunto in essi uno o più zone rosse.

Ma in ogni caso, nella denegata ipotesi che si volesse aderire alla semplicistica e tautologica tesi del Presidente del Consiglio, rimangono scoperti sette/otto giorni, tra la grave esplosione del contagio in quelle aree e la proclamazione della zona rossa in Lombardia.

Settimana in cui il contagio ha avuto modo di esplodere incontrollato (dati ISTAT rilevano che nella bergamasca il contagio in tale settimana è cresciuto di oltre il 1000%).

Circa le ragioni di tale comportamento scellerato ed inopportuno non si può non considerare le pressioni fatte da Confindustria lombarda per non creare zone rosse nella bresciana e bergamasca, vista l'alta concentrazione industriale, (cfr intervista sul sito tpi.it al presidente Confindustria lombarda in data 7 aprile ultimo scorso in cui, tra l’altro, si parla di un incontro svoltosi ai primi di marzo in regione Lombardia, evidentemente allo scopo di bloccare la istituzione della zona rossa nella bergamasca).

Ulteriore conferma a tale sospetto si ha leggendo le dichiarazioni del sindaco di Brescia Emilio Del Bono (intervista su Il Fatto Quotidiano del 17 marzo ultimo scorso) in cui si afferma «Il peso del mondo industriale sia a Roma che a Milano si è fatto sentire», e prosegue affermando che con un comportamento più cauto sarebbe stato minore e più diluito nel tempo.

Tutto ciò premesso, il sottoscritto Marco Ferrando chiede all'Ill.ma S.V., accertati i fatti della narrazione de quo, ove ritenuto, di voler accertare la penale rilevanza delle condotte innanzi evidenziate del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, del Ministro della salute pro tempore, del Presidente della Regione Lombardia pro tempore, dell’assessore alla salute pro tempore, di persone aventi ruoli dirigenti in Confindustria lombarda o nelle sue strutture, e di ogni altro soggetto ritenuto responsabile, per i reati di contagio colposo, omissione e abuso in atti di ufficio, ed ogni reato che la Ill.ma S.V. intenderà ravvisare.

Con ossequio ed osservanze,


firmato

(Marco Ferrando)


9 aprile 2020

Partito Comunista dei Lavoratori

giovedì 9 aprile 2020

MAURIZIO LANDINI PER LA LIQUIDITÀ ALLE IMPRESE

La burocrazia sindacale ai tempi del coronavirus



La burocrazia sindacale ai tempi del coronavirus
«Va assicurata subito la liquidità alle imprese [...] È importante prevedere forme di prestito agevolato e misure fiscali che tutelino le imprese, anche il sistema bancario può svolgere un importante ruolo sociale. Ma le imprese non devono chiudere, né delocalizzare...»

Queste sono le parole che Maurizio Landini ha voluto riservare al quotidiano di Confindustria in una lunga intervista di domenica 5 aprile, alla vigilia del Consiglio dei ministri che avrebbe varato 400 miliardi di garanzie pubbliche a favore delle banche perché facciano prestiti alle imprese.
Il significato dell'intervista non sta negli appelli platonici ai padroni perché non chiudano. Sta nella pubblica perorazione della richiesta centrale di Confindustria: “dateci soldi e datecene tanti”. Non a caso Il Sole 24 Ore ha incorniciato l'intervista col titolo “Urgente la liquidità alle imprese”. Come dire: messaggio ricevuto e rilanciato.

Il gioco è trasparente. Confindustria cerca tutte le sponde possibili per difendere gli interessi dei propri associati. Assolve in definitiva il proprio ruolo. La sponda sindacale, se è disponibile, è di prim'ordine per i padroni. Ma in questo caso la sponda della burocrazia CGIL non è servita loro per (cercare di) rimuovere gli scioperi di fabbrica, come in occasione del protocollo d'intesa sulla sicurezza. No. È servita solamente per battere cassa, con un'eco più forte, presso il Consiglio dei ministri. Così come i padroni usarono a fine febbraio un comunicato congiunto Confindustria/sindacati contro gli eccessivi “allarmismi” sul coronavirus nel nome de “L'Italia non si ferma”. Anche allora gli industriali si fecero forti nel rapporto col governo della complicità sindacale. Purtroppo erano gli stessi giorni in cui Confindustria lombarda poneva il veto (criminale) alla soluzione Codogno per Bergamo e Brescia.

Ma la funzione di un segretario della CGIL è quella di sostenere le cause degli industriali presso il governo? Qualcuno dirà che quella di Landini è una tattica intelligente per ottenere contropartite vantaggiose sul terreno sindacale. Ma di quali contropartite stiamo parlando? I padroni stanno forzando ovunque per riaprire le fabbriche attraverso la pressione sulle prefetture mettendo in gioco la salute dei lavoratori. E ora, dopo aver beneficiato, col plauso CGIL, dei 400 miliardi di garanzie pubbliche a favore dei prestiti bancari, chiedono di “non sperperare denaro pubblico” per dare reddito a chi finisce su una strada (magari dopo essere stato usato come lavoratore in nero da un padrone evasore). Di più: chiedono liberi voucher in agricoltura, “assoluta e totale libertà di deroga negli appalti” (Bonomi), nuova flessibilità in fabbrica per “ritrovare la produttività” (Bazoli), e naturalmente un progetto di rientro prima o poi dal nuovo debito accumulato dallo Stato. Tradotto in prosa: nuovi sacrifici per gli operai.

Sarebbero queste le contropartite della disponibilità mostrata da Landini?
Il paradosso è che oggi la concertazione sindacale, in buona parte, è praticata solo dalle direzioni sindacali, non dai padroni. È una concertazione... unilaterale, se così si può dire. Ma ugualmente vantaggiosa per lor signori. Perché i padroni sanno, col loro fiuto di classe, qual è il vero rischio. Leonardo del Vecchio, fondatore di Luxottica, lo ha esplicitato chiaramente: «Ho vissuto le bombe e la guerra, la fame e la povertà. Da tutto questo ne potremo uscire solo in due modi: con la rabbia lasciata correre per le strade, o puntando sul sacrificio e sulle energie di tutti» (La Repubblica, 4 aprile). E per i sacrifici di «tutti» (?), e soprattutto per contenere «la rabbia», la burocrazia sindacale è uno strumento sperimentato.

Partito Comunista dei Lavoratori

domenica 5 aprile 2020

NON STA A NOI RISOLVERE I PROBLEMI DEL CAPITALE, DA CHI CI SFRUTTA È MEGLIO DIVIDERSI



La necessità di un coordinamento tra tutte le forze antifasciste e anticapitaliste è quanto mai urgente. Quando finalmente ci lasceranno uscire di casa la rabbia popolare divamperà in ogni direzione e quello che assolutamente serve è una guida politica capace e credibile in grado di indirizzare questa rabbia in senso rivoluzionario.
Mai nella storia del capitalismo si è verificato un blocco della produzione generalizzato  e basta conoscere l’abc dell’economia per sapere che la produzione non potrà ripartire subito e che si verificheranno fallimenti a catena nell'economia reale e nella sfera finanziaria.

Dopo mesi di inattività, in un contesto che non era certo roseo prima dell’emergenza coronavirus, nemmeno le imprese più solide potranno riprendere subito la produzione. Dovranno fare i conti con fornitori che non ci sono più e vecchi acquirenti che non hanno più un euro in cassa.

I tempi sono stretti e il capitale finanziario lo sa. Se non si interviene in fretta salta tutto in pochi mesi. Per questo super Mario Draghi scende in campo in prima persona: dopo aver dedicato la vita ad imporci il rigore di bilancio, ci propone oggi di rilanciare il debito pubblico come strumento per accollare allo stato l’onere dei salvataggi, sapendo bene che questo manderà in crisi il bilancio stesso dello stato, rendendo insostenibile il debito pubblico, e creerà le condizioni materiali per completare il trasferimento del comando dell’economia alle istituzioni finanziarie sovranazionali che detteranno autoritariamente le misure di tritacarne sociale necessarie a ripristinare le condizioni affinché il capitale possa riprendere a macinare profitti.

Ci aspettano quattro giri di vite sulle condizioni di lavoro e di sfruttamento in tutti i settori dell’economia con l’azzeramento dei diritti dei lavoratori e dei servizi ai cittadini.
Insomma, questa crisi sanitaria non fa che mostrare i limiti di un modello economico che se ne frega della nostra salute semplicemente perché se ne frega della nostra vita.
Siamo solo strumenti di valorizzazione del capitale, sistema che per continuare a produrre ricchezza deve produrre sempre più miseria.

Siamo di fronte a una biforcazione della storia e mai come oggi il problema si presenta come socialismo o barbarie. Se vincono loro, dimentichiamoci non solo il diritto alla salute ma i diritti in genere.
In nome della salvaguardia dei risparmiatori e della difesa dell’occupazione, oggi vorrebbero di nuovo imporci di salvare le loro banche e le loro imprese.
Non sta a noi risolvere i problemi del capitale e non abbiamo tempo per discutere con i vecchi e i nuovi salvatori del sistema. L’urgenza ora è creare un fronte unico rivoluzionario, unito e deciso.

Dobbiamo organizzarci. Non è il momento dei personalismi e delle ripicche tra partiti, né tra sindacati. L’obiettivo oggi è creare un’avanguardia politico-sindacale che sappia lanciare le parole d’ordine opportune al momento giusto.

Costruire un sistema sanitario in cui non si muore per un virus e un sistema economico che risponda alle esigenze di chi lavora invece che a quelle dei banchieri.

No alla logica dell’emergenza e all’unità nazionale. L’emergenza è la loro, non la nostra. E da chi ci sfrutta è meglio dividersi.

mercoledì 1 aprile 2020

È USCITO IL NUOVO NUMERO DI UNITÀ DI CLASSE

Questo numero di Unità di Classe esce in formato digitale  a causa dell’emergenza coronavirus. Ma l'attività del PCL continua più intensa che mai!

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In questo numero:

Dall'emergenza sanitaria alla tragedia del capitalismo - Federico Bacchiocchi

Il cambio di scenario - Marco Ferrando

La nostra proposta nell'emergenza

La fabbrica e il coronavirus: intervista a un operaio di FCA- Juan Catracho Malverde

Morire di Posta ai tempi del coronavirus - Cristian Briozzo

La crisi dei migranti tra Grecia e Turchia - comunicato di OKDE-Spartakos

Il proibizionismo ha fallito - Attilio Armando Tronca

Togliatti e l'amnistia ai fascisti - Piero Nobili





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