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venerdì 28 settembre 2018

DOTARSI DI STRUMENTI ADEGUATI PER DIVENTARE PROTAGONISTI DELLA POLITICA



Agosto è stato un mese caldo non solo dal punto di vista climatico. E non è stato di riposo per molti lavoratori. È stato invece caratterizzato da numerose morti sul lavoro; da presidi operai come alla Bakaert di Figline Valdarno, dove 318 operai spremuti come limoni con contratti sempre più al ribasso che hanno permesso all'azienda di realizzare grandi profitti, hanno ricevuto la lettera di licenziamento perché la multinazionale belga, ex Pirelli, ha deciso di delocalizzare in Repubblica ceca dove i profitti aumenteranno ulteriormente.  È continuato il presidio a Piombino degli operai ex Lucchini,I ferrovieri si sono mobilitati contro la firma dello scandaloso contratto che tende a dividere l'unità dei lavoratori tra FS e Italo. In molti hanno passato i mesi estivi con l'incubo della disoccupazione in seguito allo stallo di varie trattative, Ilva in primis.
È morto Marchionne, il nemico degli sfruttati di tutto il mondo, colui che ha incassato i soldi degli ammortizzatori sociali per poi portare le fabbriche in altri paesi.
Il modello industriale Marchionne ha fatto carta straccia dei diritti dei lavoratori, del CCNL e del principio di rappresentanza sindacale all’interno delle fabbriche, esteso sul piano nazionale. L'arroganza padronale di Marchionne ha in gran parte colpito i delegati e i lavoratori più combattivi con l'arma del licenziamento, della cassa integrazione, dei reparti-confino o delle sanzioni disciplinari. Operai oppressi in fabbrica e costretti a condizioni materiali e psicologiche di indigenza, impossibilitati a mantenere la propria famiglia.
Il reazionario Salvini ha mostrato i muscoli contro gli sbarchi degli immigrati, sequestrandoli e respingendoli in quella Libia distrutta dall'imperialismo dove sono torturati e le donne stuprate, monopolizzando l'attenzione sul "prima gli italiani incanalando l'odio verso gli stranieri, compresi quelli che sono super sfruttati da padroni e caporali nelle campagne del sud e che muoiono come nell'incidente del 4 agosto.
La politica del governo Conte-Salvini-Di Maio distrugge le libertà e i diritti conquistati con la Resistenza e le lotte operaie, e si dibatte tra decisioni populiste, ondeggianti e superficiali, retromarce, correzioni delle dichiarazioni e annunci demagogici.
C'è una particolare attenzione verso le forze di polizia, che aumenteranno di numero e di stipendio e saranno munite di nuove armi "innocue" e utili per la sicurezza come vogliono farci credere, ma che saranno utilizzate contro le inevitabili manifestazioni di protesta: politiche, sindacali, studentesche.

E il processo di fascistizzazione si fa ogni più evidente e avanza verso un ulteriore salto qualitativo che aprirà le porte al fascismo.

C'è il costante aumento del costo della vita: dagli alimentari alle bollette, dai servizi ai trasporti, dai carburanti alle tasse. Eppure non se ne sente più parlare, di conseguenza non si sente più parlare neppure della parola d'ordine basata sul fatto che non devono essere gli operai, i cassintegrati, i disoccupati a pagare la crisi insanabile della borghesia.
Questo governo non migliorerà né cambierà la difficile situazione del proletariato e delle masse popolari perché prima di tutti non ci sono gli italiani, ma gli imprenditori e il loro capitale.
C’è un’unica possibilità per liberarci da tutti i pericoli, dall'oppressione, dalla repressione, dalla guerra che ci riguarda sempre più da vicino a causa delle contraddizioni tra le potenze imperialiste nel contesto della crisi mondiale. È la lotta di classe.
Una lotta di unità, di unità di classe tra tutti gli operai delle numerose fabbriche in lotta che mettano fine all’odiosa delega che ha portato al distacco dei vertici sindacali dalle esigenze dei lavoratori. Unità di classe contro le divisioni che indeboliscono il movimento operaio come quelle in occasione degli "scioperi nazionali" indetti dai vertici dei sindacati di base per soddisfare la propria autoferenzialità, limitati perché non in grado di bloccare il paese, ai quali aderiscono solo i militanti (e non sempre tutti) ma che non coinvolgono l'insieme della classe lavoratrice. Scelte che demotivano lo sciopero stesso e che invece di restituire fiducia nella lotta producono disorientamento e demoralizzazione.
È indispensabile dotarsi di strumenti adeguati per diventare protagonisti della politica che liberi dalle catene dello sfruttamento capitalistico e costruisca un futuro basato su un sistema sociale socialista.

giovedì 27 settembre 2018

UN DECRETO CONTRO I POVERI



Il decreto legge su immigrazione e sicurezza, voluto dal ministro Salvini, è promosso all'approvazione definitiva.
La maggioranza di governo è compatta e allineata sui cavalli di battaglia di Salvini.
Il Ministro degli Interni sostiene che farà dell’Italia un paese più sicuro.
Sicuro per chi?
Un decreto che ne accorpa due. Uno sul tema dell’immigrazione e l’altro sul tema sicurezza urbana. Il classico caso in cui si prendono due piccioni con una fava e si scrive una legge, ancora una volta, dichiaratamente contro i subalterni di questo paese, di qualsiasi nazionalità essi siano.
Infatti, la prima parte del decreto  è concentrata tutto sull'obiettivo di rendere la vita più difficile a chi decide di muoversi clandestinamente verso l’Italia.
Cambieranno i requisiti e le procedure per essere considerati richiedenti asilo e di conseguenza verranno potenziati i sistemi di carcerazione preventiva attraverso i CPR e l’allungamento dei tempi di permanenza in attesa di eventuale rimpatrio da 90 a 180 giorni. Verrà messa in discussione la cittadinanza in casi di ipotesi di reato a scopo terroristico e aumentata la lista di motivazioni per cui si può procedere al rimpatrio o alla revoca dello status di rifugiato. Tra questi non a caso violenza o resistenza a pubblico ufficiale. Il tutto, dunque, per limitare al minimo la possibilità che si creino le condizioni di opposizione alla situazione di povertà e sfruttamento in cui i migranti sono costretti.
La musica non cambia per quanto riguarda la sicurezza; controllo, militarizzazione e criminalizzazione. Viene praticamente ufficializzato ed esteso l’uso del taser prima ancora della fine del periodo di sperimentazione di cui tanto si è parlato. Si allarga il raggio di possibilità del Daspo che potrebbe limitare l’accesso a ospedali e presidi sanitari e dalle manifestazioni sportive anche per chi è indiziato di terrorismo. E ancora sanzioni penali e non più solo amministrative per chi partecipa a blocchi stradali. E poi c’è la parte che più preferisce Salvini che è quella che riguarda le occupazioni di edifici o terreni o, più nello specifico, chi si fa promotore e organizzatore del reato di invasione di terreni o edifici.
Poco o niente per quanto  riguarda la lotta alla criminalità organizzata.  Serve solo per non dare troppo l’idea che i primi nemici pubblici in questo paese siano coloro che provano ad organizzarsi per migliorare le proprie condizioni di vita.
Agli sfruttati non è mai stato concesso niente per benevolenza degli Stati e dei Governi. Tutto ciò che hanno conquistato è stato attraverso la lotta.
Ricominciamo a lottare!!

Non è solo una necessità sociale. E’ anche l’unica via per scomporre il blocco (e l’immaginario) populista. 

martedì 25 settembre 2018

IL REDDITO DI CITTADINANZA RAZZIALE




Da “prima gli italiani” a “solo gli italiani”
Del famigerato reddito di cittadinanza sappiamo ancora poco, ma quel che sembra certo è che saranno esclusi gli immigrati. “Solo gli italiani” ha chiesto Salvini. “Solo gli italiani” ha assicurato Di Maio. Il vecchio testo di legge del M5S è stato prontamente adattato alla bisogna.

Non stiamo parlando dei cosiddetti “clandestini”, fiore all'occhiello delle campagne xenofobe. Stiamo parlando di “stranieri”. Saranno infatti esclusi dal reddito di cittadinanza i cittadini comunitari di altri paesi, e a maggior ragione i cittadini extracomunitari. Coloro che hanno un permesso di soggiorno di lungo periodo, o il permesso unico di lavoro (da rinnovare ogni due anni), o il permesso di protezione internazionale. Quasi due milioni di stranieri sotto la soglia della povertà assoluta. Persone che hanno lavorato o che lavorano versando regolarmente i contributi ma che verrebbero discriminate in base a una legge etnica, cioè fondata su una discriminazione di nazionalità.

Dovendo trovare la quadra dei conti, dovendo pagare il debito alle banche, dovendo detassare i ricchi, i giallo-verdi hanno trovato la prima voce facile su cui risparmiare: gli immigrati. Scavalcando la stessa Costituzione borghese e persino la normativa della UE.

I tanti sovranisti di sinistra avranno la loro soddisfazione.
Per noi è una ragione in più per l'opposizione a un governo reazionario senza pudore.


Partito Comunista dei Lavoratori

sabato 22 settembre 2018

TUTTO CAMBIA PERCHE' NULLA CAMBI?


Il governo SalviMaio è visto da molti lavoratori come un governo di svolta. Le porcherie combinate dai governi precedenti di ogni colore contro la classe lavoratrice alimentano le aspettative nel “nuovo”. Ma non è tutto oro ciò che brilla. Neppure quello che brilla di più. La vicenda del Ponte Morandi e la questione Ilva sono a dimostrarlo.

ILVA: UN CONTRATTO DI SVOLTA?

L'Ilva è stata venduta al grande capitalista Acelor Mittal, proprio come voleva Calenda. I nuovi acquirenti hanno imposto le loro condizioni: riduzione dell'occupazione a regime da 14000 dipendenti a 8500, spalmati sul territorio nazionale; obbligo dei lavoratori a licenziarsi per essere poi riassunti, con la rinuncia formalizzata dei riassunti a chiedere la garanzia dei crediti pregressi presso Mittal; immunità giudiziaria della nuova proprietà sotto il profilo ambientale; sottoscrizione dell'accordo da parte dei sindacati. Risultato: i lavoratori saranno di meno e staranno peggio. Invece di essere sfruttati (e assassinati)dai Riva, lo saranno per mano di Mittal. Sarebbe questa la svolta tanto strombazzata da Di Maio? Le burocrazie sindacali hanno semplicemente regalato al governo un successo d'immagine che si basa su un falso, tutelando l'interesse della proprietà.

IL PONTE DI GENOVA: LE PAROLE E I FATTI

Il  crollo del ponte Morandi è un crimine del profitto. Per salvaguardare l'interesse dei Benetton si è distrutta  la vita di 43 persone e si è colpita un'intera città. Tutti i governi degli ultimi 25 anni, in primis i governi Prodi e D'Alema, sono corresponsabili di questo crimine, assieme alle sinistre cosiddette “radicali” che li hanno sostenuti. Ma non si tratta solo dei Benetton e di Autostrade. I fatti di Genova alzano il coperchio su tutte le privatizzazioni compiute in decenni. Bene, cosa fa il governo Giallo verde? A parole denuncia i Benetton, chiama in causa le responsabilità passate, promette ( Di Maio) la “nazionalizzazione” di Autostrade. Nei fatti prende tempo e cincischia, perchè non sa che fare: se mantiene la promessa nel rispetto della legge (borghese) rischia di pagare la sola revoca della concessione con 20 miliardi di euro e la nazionalizzazione di Atlantia con altri 7 miliardi di debito che dovrebbe accollarsi. I lavoratori dovrebbero insomma pagare di tasca loro l'indennizzo e i debiti di un gruppo criminale. Se invece il governo fa retromarcia, Autostrade non solo resta ma magari ricostruisce il ponte crollato, magari in sinergia con Fincantieri: un altro grande gruppo capitalista che fa affari in giro per il mondo sfruttando i propri operai, e che ora sembra ricevere in mano dal governo un nuovo grande business. Sarebbe questa la svolta?
Certo, il nuovo governo è diverso da quelli di prima perchè non prende ordini diretti dai gruppi dominanti. Ma i fatti dimostrano che continua a governare con loro, salvaguarda i loro interessi di fondo, si muove nel recinto delle loro leggi. In altri termini resta un governo dei capitalisti. La vera differenza è che porta loro in dote un vasto consenso di milioni di sfruttati, nauseati dal passato e ingannati dal presente.

PER UNA SVOLTA VERA. PER UN GOVERNO DEI LAVORATORI

Occorre invece una svolta vera. Un intera classe di capitalisti va chiamata alla sbarra. I Benetton sono solo la punta dell'iceberg. Tutte le concessioni dei beni pubblici ai gruppi privati vanno revocate, senza pagar loro nulla. Autostrade e i Benetton vanno espropriati, senza indennizzo per i grandi azionisti. Tutte le aziende privatizzate negli ultimi 30 anni vanno rinazionalizzate, sotto il controllo dei lavoratori, assieme alle aziende che licenziano, delocalizzano, inquinano ( Ilva). Nessun indennizzo va corrisposto ( tranne che ai piccoli risparmiatori) perchè non si può chiedere alle vittime di pagare i saccheggiatori. A chi dice che “ tutto ciò non si può fare in base alla legge” rispondiamo che non rispettiamo la legge del capitale, ma vogliamo scrivere quella dei lavoratori: quella che dice che i lavoratori, e la maggioranza della società, hanno diritto a decidere del proprio futuro, senza doversi affidare a sfruttatori, speculatori, parassiti.

Un governo dei lavoratori e delle lavoratrici è l'unico governo che può assumere queste misure. Per questo è l'unica vera alternativa.


venerdì 21 settembre 2018

IL GOVERNO SALVIMAIO SI RAFFORZA. COSTRUIRE L'OPPOSIZIONE DI CLASSE E DI MASSA!



Il governo SalviMaio si è rafforzato in questi mesi. La sua base di consenso si è allargata, anche tra i lavoratori. M5S e Lega avevano un consenso complessivo del 50% il 4 marzo, oggi i sondaggi assegnano loro oltre il 60%, con uno sfondamento impressionante della Lega. Le campagne d'ordine contro i migranti, la gestione pubblica della tragedia di Genova, il successo d'immagine dell'accordo Ilva hanno rafforzato la percezione diffusa di un governo di svolta presso ampi strati popolari. In ogni caso hanno alimentato una aspettativa positiva. Il governo non cresce solamente o prevalentemente per quello che fa o per quello che promette, cresce innanzitutto perché appare contro “quelli di prima”. Per questo l'opposizione liberale del PD, dal versante degli interessi delle imprese, come gli ammonimenti di provenienza UE su immigrazione e conti pubblici, sono oggi un fattore di rafforzamento del governo SalviMaio.

Inoltre il governo capitalizza la crisi verticale delle opposizioni liberali. PD e Forza Italia vedono precipitare ulteriormente le proprie fortune, sotto ogni aspetto. Il loro consenso sociale cala (PD) o crolla (FI). I loro assetti interni sono scompaginati dal tramonto delle vecchie leadership (Renzi e Berlusconi) e dalla estrema difficoltà a trovarne di nuove. Le loro prospettive politiche sono buie: il PD è orfano del centrosinistra e lontano mille miglia da un possibile ritorno al governo, che è la sua stessa ragione di vita; Forza Italia vede dileguarsi il miraggio di una possibile ricomposizione di governo con Salvini, a fronte dello sfondamento della Lega e di un riequilibrio irreversibile dei rapporti di forza. Il risultato d'insieme di questi fattori è l'assenza di ogni soluzione di ricambio politico del governo in carica, nell'immediato e per la prossima fase; ciò che può allargare le disponibilità di dialogo dell'establishment col governo in carica, al di là delle contraddizioni esistenti.

Ma soprattutto pesa l'assenza di una opposizione sociale al nuovo governo dal versante di classe.
La CGIL è del tutto paralizzata dalla preoccupazione di salvaguardare e sviluppare il patto col padronato e dalla lotta interna per la successione alla Camusso. Mentre il candidato emergente, Maurizio Landini, è più aperto al dialogo col governo giallo-verde della destra interna filo-PD (Colla). L'USB, che pure ha avuto un ruolo positivo nella lotta dei braccianti di Rosarno e Foggia, continua ad essere segnata da una ambiguità di fondo verso il M5S che condiziona il suo rapporto col governo. L'esaltazione dell'accordo Ilva da parte di FIOM e USB ha rappresentato non solo un falso sotto il profilo sindacale, ma un'insperata sponda politica al governo - in particolare a Di Maio - e alla sua presa tra i lavoratori.


UN GOVERNO PER TUTTO IL PADRONATO

Contrariamente al suo successo d'immagine tra i salariati, il governo giallo-verde non ha nulla a che spartire coi loro interessi. È vero, non prende ordini direttamente dalle grandi famiglie del capitale (Benetton) come i governi precedenti (inclusi quelli appoggiati da Rifondazione Comunista). Esso cerca di costruire un nuovo equilibrio politico col capitale finanziari: allargamento delle partecipazioni statali, promozione di propri fiduciari ai vertici delle istituzioni finanziarie (Consob) e dell'amministrazione pubblica, negoziazione delle politiche di bilancio. Ma il suo fine preminente è la protezione e rappresentanza della piccola e media impresa, cui vuole estendere i privilegi di cui gode la grande: riduzione ulteriore e massiccia della tassazione sui profitti (Ires), estensione del super-ammortamento, flat tax prioritaria al 15% per le partite Iva e le libere professioni, condono fiscale rivolto principalmente ai piccoli e medi imprenditori (con un tetto al milione?). Lega e M5S sgomitano tra loro per la rappresentanza di questi interessi sociali. La Lega con l'occhio al capitalismo dei distretti, il M5S con l'occhio alle libere professioni. Entrambi alla ricerca di una propria solida radice nella società del capitale, comunque dominata dal capitale finanziario, quello che compra i titoli di Stato, quello che incassa gli interessi sul debito, quello che si proietta su scala europea e mondiale. Quello dei grandi gruppi capitalistici cui in questi giorni Di Maio sta procurando lucrosi affari in Cina.

Al capitale finanziario il governo SalviMaio offre un accordo vantaggioso: “Noi rispettiamo i vincoli di fondo del debito pubblico e del fiscal compact, le leggi antioperaie dei precedenti governi, incluso la distruzione dell'articolo 18 che è la principale vittoria vostra nella guerra contro il lavoro. Tutto questo non lo tocchiamo. Voi lasciateci uno spazio di manovra per soddisfare la piccola e media borghesia, e ingannare salariati e disoccupati. Perché solo così potremo portarvi in dote il loro consenso, che è la garanzia della vostra stabilità”.

Tutta la bagarre che oggi attraversa il governo sulla prossima legge di bilancio ruota attorno alla ricerca di questo accordo. Di Maio e Salvini battono cassa, il ministro dell'economia Tria tiene il freno, a garanzia di Bankitalia e d'intesa con Mattarella. Vedremo quale sarà la risultante.


LE PROMESSE SOCIALI ALLA PROVA

Ma se si garantisce al capitale il pagamento del debito pubblico e dei suoi interessi (in crescita), e insieme una riduzione ulteriore del prelievo fiscale sui profitti, cosa resterà delle promesse sociali su Fornero e reddito di cittadinanza? Qualcosa di sicuro resterà, perché Salvini e Di Maio non sono votati al suicidio. Ma cosa? L'abolizione della Fornero è già diventata la sua riforma, e la sua riforma sembra combinare un anticipo dell'età pensionabile con la riduzione degli assegni per via del ricalcolo contributivo. Il reddito di cittadinanza - condizionato all'accettazione di lavoro precario - sembra ridursi alla sola povertà assoluta, dimezzando il proprio bacino di riferimento.

Ma soprattutto chi paga il conto? Se si finanzia l'operazione col deficit si finisce col pagarlo con gli interessi alle banche, attingendo prima o poi al portafoglio dei salariati. Se la si finanzia col taglio delle spese, si finisce col comprimere, al di là delle chiacchiere, le prestazioni sociali. Se la si finanzia con l'aumento delle imposte, si riduce a una partita di giro in cui pagano sempre i soliti noti. Intanto si tagliano i fondi alle periferie, si ipotizza un aumento selettivo dell'Iva, si discute persino del taglio (improbabile) degli 80 euro. L'unica cosa certa è che i lavoratori salariati continuano a reggere sulle proprie spalle l'80% del carico fiscale, l'articolo 18 resta distrutto, i contratti a termine sono portati dal 20% dell'organico aziendale (Poletti) al 30% (Di Maio). A proposito di lotta al precariato! Mentre centinaia di migliaia di lavoratori immigrati, forzatamente “clandestini” per le leggi infami che li vogliono tali, saranno più vessati e sfruttati di prima, e dunque usati come arma di ricatto contro i salariati italiani per nutrire le campagne xenofobe.
Sarebbe questo un governo di svolta per la classe operaia? Non prendiamoci in giro.


PER UN'OPPOSIZIONE DI CLASSE AL GOVERNO DELLE DESTRE

Il problema allora è entrare nella contraddizione tra le aspettative e la realtà. Lo può fare solo un'opposizione di classe, che punti a liberare i salariati da un blocco sociale costruito contro di loro. Che fa di loro i portatori d'acqua, e la borghesia (grande, media, piccola) la beneficiaria dell'incasso.

Un'opposizione di classe richiede tre cose.

La prima è la nettezza dell'opposizione a un governo reazionario. Tutte le posizioni di stampo sovranista, che in forme diverse aprono brecce a sinistra, vanno denunciate per quello che sono: un cedimento alla pressione reazionaria, alle sue ideologie e alle sue suggestioni. Non siamo in presenza di un governo da “incalzare con una politica di pressione”, critica. Siamo in presenza di un governo da combattere. Senza ambiguità.

La seconda è che un'opposizione di classe è tale se muove da un'angolazione opposta a quella liberale del PD. Tutte le posizioni neofrontiste che teorizzano il blocco democratico col PD contro le destre, sono oggi di fatto un aiuto alle destre e alla tenuta del loro blocco sociale. L'autonomia dal PD è la condizione stessa della ricostruzione di una opposizione classista credibile.

La terza è la costruzione di un fronte unitario di massa che punti a unire nell'azione tutte le forze disponibili all'opposizione di classe. Tutte le posizioni autocentrate, che in campo sindacale o politico mirano unicamente a preservare il proprio spazio a scapito dell'unità d'azione ed anzi contro di essa, rappresentano oggi, ancor più di ieri, un fattore di disorientamento e dispersione.

La prossima legge di stabilità può e deve essere l'occasione di un'azione generale di contrasto delle misure filopadronali, a partire da quelle fiscali.

Ma non basta l'azione di contrasto, c'è bisogno di una piattaforma generale del mondo del lavoro che tracci una linea di demarcazione verso il governo e indichi una prospettiva di mobilitazione. Senza una piattaforma autonoma, i lavoratori vengono abbandonati a corpo morto al martello della demagogia della destra, riducendosi a discutere e a commentare le sue promesse o le sue misure, magari accontentandosi del cambio di registro della propaganda, o di qualche elemosina sociale. In ogni caso, restando in una posizione subalterna, che gioca di rimessa, a tutto vantaggio dei propri avversari.

Per il recupero dell'articolo 18 e la sua estensione a tutti i lavoratori e lavoratrici

Per la cancellazione di tutte le le leggi di precarizzazione del lavoro e l'assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori precari

Per la piena uguaglianza di diritti tra lavoratori italiani e immigrati

Per la riduzione generale dell'orario a 32 ore, pagate 40

Per la reale abolizione della legge Fornero, età pensionabile a 60 anni o 35 di lavoro, finanziata dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, profitti, rendite

Per un salario dignitoso ai disoccupati che cercano lavoro, finanziato dall'abolizione dei trasferimenti pubblici alle imprese

Per la nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio si tutte le aziende che delocalizzano o licenziano o inquinano

Per la nazionalizzazione di tutte le aziende e servizi privatizzati negli ultimi venticinque anni, senza indennizzo e sotto controllo sociale, a partire dai beni comuni (autostrade, servizi idrici, trasporti...)

Una piattaforma generale di questo tipo mira a unire tutto ciò che il capitale e il governo vogliono dividere, e al tempo stesso disegna una linea di frontiera che separa chi sta di qua e chi sta di là. Chi sta col padronato, chi sta col lavoro salariato. Una linea di frontiera che punta al recupero di quella grande massa di lavoratori oggi irretita dal governo giallo-verde anche perché priva di una prospettiva propria, di una ragione sociale indipendente in cui credere e per cui battersi.


PER UN PUNTO DI VISTA DI CLASSE E ANTICAPITALISTA SULLO STESSO TERRENO DEMOCRATICO

Non si tratta di confinare l'opposizione al governo entro il perimetro economico sociale. Tanto più in presenza di un governo reazionario, l'esigenza di un'opposizione sul terreno democratico non può essere né rimossa né sottovalutata.
È il caso del rilancio dell'iniziativa antifascista in aperto contrasto delle iniziative squadriste che si vanno moltiplicando sulla scia del salvinismo.
È il caso della mobilitazione contro le campagne xenofobe e a difesa dei diritti dei migranti, a partire dal diritto a corridoi sicuri e a un'accoglienza dignitosa. È il caso della mobilitazione a difesa dei diritti delle donne e di tutte le minoranze oppresse contro l'orientamento particolarmente misogino e reazionario del nuovo ministro della famiglia. Del resto, l'esperienza delle mobilitazioni del movimento LGBT nello scorso giugno, ma anche le manifestazioni antirazziste, come quella di Milano, hanno misurato l'esistenza nonostante tutto di una disponibilità all'opposizione democratica contro la reazione a volte persino sorprendente, dati i tempi. Lo stesso successo di partecipazione alle proiezioni del film sul caso Cucchi negli ultimi giorni testimonia l'esistenza di questa risorsa.

E tuttavia occorre essere chiari. Nessuna opposizione di tipo esclusivamente democratico è oggi in grado di smuovere il blocco sociale reazionario se non si collega a ragioni sociali riconoscibili a livello di larghe masse. Di più. Una mobilitazione di tipo esclusivamente democratico, confinata nel proprio recinto, per quanto importante e necessaria, rischia di essere usata dal governo in carica come strumento di consolidamento del proprio blocco nazional-popolare contro “il democraticismo delle élite”, come recita la propaganda delle destre. Per questo è necessario portare anche sul terreno democratico la necessità di un punto di vista di classe.

A chi dice “non c'è lavoro, casa, asili per noi italiani, come fa ad esservi per i migranti?” non puoi rispondere solo col giusto richiamo alla difesa dei loro diritti. Devi indicare una alternativa di società capace di ripartire il lavoro tra tutti, di assicurare a tutti una casa, di sviluppare un grande piano di nuovo lavoro in fatto di risanamento ambientale, sicurezza antisismica, sicurezza della viabilità: ciò che implica una prospettiva di rottura anticapitalista (riduzione generale dell'orario, esproprio delle grandi proprietà immobiliari, abolizione del debito pubblico verso le banche e loro nazionalizzazione senza indennizzo...) e dunque la lotta per un governo dei lavoratori e delle lavoratrici.

Non si può contrastare la polarizzazione reazionaria oggi in atto se non con un lavoro di polarizzazione classista e anticapitalista. Non si può contrastare il programma della reazione se non con un programma di rivoluzione.


Partito Comunista dei Lavoratori

giovedì 20 settembre 2018

“ABBA VIVE” DA DIECI ANNI



Sabato, 22 Settembre 2018 alle ore 15,30 - Via Palestro Milano

Manifestazione per il decimo anniversario dell'uccisione di Abba






Abdoul Salam Guiebre, per tutti “Abba”, 19enne originario del Burkina Faso residente a Cernusco, è stato ucciso a sprangate il 14 settembre 2008 in via Zuretti a Milano. “Ad ucciderlo è stato il razzismo”, continuano a ripetere gli amici fin dai giorni successivi alla tragedia, quando furono organizzati cortei ed eventi sia a Cernusco sia a Milano. “Abba vive” è il nome del comitato creato per non dimenticarlo.

Il Partito Comunista del Lavoratori aderisce alla manifestazione ed invita iscritti e simpatizzanti a partecipare.



PER UN ANTIFASCISMO DI CLASSE - APPUNTAMENTO A MARZABOTTO IL 22 SETTEMBRE



È necessario riprendere, oggi come non mai, il filo dell’antifascismo come lotta di classe del mondo del lavoro contro il padronato.
Appello per una campagna antifascista dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori
Sono ormai anni che in Italia si assiste ad una ripresa impetuosa di manifestazioni politiche e organizzazioni fasciste, mentre il razzismo e una cultura di destra radicale hanno fatto una breccia enorme nelle classi lavoratrici e in quello che era il blocco sociale di riferimento della sinistra.
Il governo "del cambiamento” di Salvini e 5 Stelle ha fatto sue le parole d’ordine dell’estrema destra, dal razzismo istituzionale contro i migranti che fuggono da guerre e miserie all’omofobia integralista del ministro Lorenzo Fontana, alla sempreverde campagna “antizingaro”.
Ancora una volta razzismo e fascismo vengono utilizzati dalle destre per dividere la classe lavoratrice; ponendo da una parte i cosiddetti lavoratori autoctoni e dall’altra i migranti, si crea un falso nemico contro cui scatenare le proprie frustrazioni e sofferenze. I poveri e i poverissimi diventano i nemici di Stato, mentre il padronato continua indisturbato nei suoi affari.
Esemplare di ciò è la questione dei venditori ambulanti sulle spiagge – in stragrande maggioranza stranieri – attaccati oggi sia dalla destra al governo che dalle bande neofasciste, come fosse questo uno dei “mali” principali per gli “italiani”, a ripetere per l’ennesima volta il copione che vede i fascisti forti coi deboli e deboli coi forti.

Nell’ultimo trentennio la sinistra istituzionale (e i vari centrosinistra) ha contribuito in maniera determinate alla demolizione della coscienza di classe in Italia, alla legittimazione storica e politica del fascismo e delle politiche di destra, a partire dall’inizio degli anni ’90 del secolo scorso col riconoscimento reciproco del diritto a governare tra gli eredi del PCI e del MSI. Le stesse politiche securitarie in fatto di migranti corrono lungo tutta la storia dei governi di centrosinistra: dai primi centri di detenzione istituiti con la legge Turco-Napolitano durante il primo governo Prodi (1996-1998) fino alle recentissime “alleanze libiche” di Minnitti.

Oggi non può bastare un antifascismo di maniera, retorico, delle feste comandate, senza un ritorno alle mobilitazioni di classe.

Così come sono superflue le richieste di applicazione delle leggi Scelba e Mancino contro le organizzazioni neofasciste, che oggi come ieri godono di sostegni e coperture a livello istituzionale. Non si può non vedere che le leggi contro la ricostruzione del partito fascista sono disapplicate, mentre grandi parti delle stesse forze dell’ordine sono egemonizzate dalla destra, a volte dichiaratamente fascista. La stessa magistratura, nelle sue componenti maggioritarie, si è sempre voltata dall’altra parte. E non sarà certo un appello a questo Parlamento e all’attuale governo a cambiare la direzione, quando proprio il ministro leghista Fontana, per legittimare definitivamente i fascisti, chiede l'abrogazione in toto delle su citate leggi. Lo stesso Movimento 5 Stelle si è definito sempre in maniera ambigua rispetto ai temi dell’antifascismo e dell’antirazzismo; definendosi sempre come né di destra né di sinistra, ha nei fatti rivendicato uno degli slogan di sempre dell’estrema destra europea postbellica. Indimenticabile un video del 2013 in cui Beppe Grillo dichiara che l'antifascismo «non gli compete».

È necessario riprendere, oggi come non mai, il filo dell’antifascismo come lotta di classe del mondo del lavoro contro il padronato. In primo luogo recuperandone storia e coscienza. Per questo proponiamo un appuntamento per il 22 settembre a Marzabotto, un momento di incontro e riflessione, aperto a tutti e tutte coloro si vogliano ancora porre sul terreno di un antifascismo di classe. Un appuntamento per ricordare le storie di questa terra, oltre la strage del 1944. Una storia di lotte di classe che comincia prima dell’avvento del regime mussoliniano, fatta di partiti, sindacati e cooperative. Le vicende “normalmente eroiche” di una sinistra di classe che stravinse le ultime elezioni comunali prima della dittatura e che vide l’ultimo sindaco morire nella guerra di Spagna nelle file delle brigate antifasciste. Una lotta che riprende nella Resistenza con la nascita dell’autonoma e autoctona Brigata Stella Rossa e del distaccamento locale della Settima GAP.

Un'iniziativa per segnare la possibilità di una coerente opposizione a ogni destra, di governo o meno, che non deleghi la propria azione a istituzioni screditate nei fatti di oggi come nella storia di ieri. Un punto di partenza, non una commemorazione retorica.


Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 19 settembre 2018

O DI QUA O DI LÀ: IN MEZZO NON SI PUÒ STARE


Oggi è necessario ricostruire una coscienza di classe ed è urgente la costruzione di una piattaforma in grado di unificare, in un fronte unico di lotta, i lavoratori delle industrie e dei servizi, del commercio e del pubblico impiego, i pensionati, i disoccupati e i lavoratori precari, i lavoratori italiani e immigrati. Una piattaforma contro i programmi di austerità e le politiche che scaricano la crisi economica  del capitalismo sulla classe lavoratrice.
Le nostre rivendicazioni programmatiche sono dichiaratamente “di parte”.
Rifiutano di recitare il mantra ipocrita dell'”interesse generale del Paese”.
Sposano dichiaratamente una parte contro l'altra: la parte del lavoro, dei giovani precari, dei disoccupati, degli anziani, dei migranti, la larga maggioranza della popolazione, contro la parte dei salotti, della borghesia benpensante, dei poteri forti , la piccola minoranza di banchieri , finanzieri, industriali, costruttori, Curia, e dei loro ambienti ramificati.

O di qua o di là: in mezzo non si può stare. E noi stiamo senza riserve da una parte sola.

Proprio per questo rifiutiamo apertamente la logica apparentemente “realista” delle cosiddette “compatibilità di sistema”.
A chi ci dice che la svolta che ci vorrebbe “non è possibile”, “perché non si può che obbedire alle leggi esistenti” ecc, ecc, rispondiamo che proprio la subordinazione a questa cultura , ad ogni livello, ha accompagnato negli ultimi  anni la sconfitta drammatica del mondo del lavoro.
La nostra logica non è quella di gestire l'esistente, ma di rompere con le sue leggi. Non è quella della rassegnazione e della resa, è quella della rivolta.

L'unica via per ritornare a vincere.

Le politiche di attacco al lavoro, di privatizzazione, di tagli sociali, continueranno  sia con governi di centrodestra, sia con governi di centrosinistra.
Noi ci opporremo con tutte le nostre forze a queste politiche, chiunque le gestisca.

Partito Comunista dei Lavoratori
Pavia sez. “Tiziano Bagarolo”

domenica 16 settembre 2018

“INDIVIDUI CULTURALMENTE SEMILAVORATI SONO PEGGIORI DI QUELLI TOTALMENTE ANALFABETI”



I risultati delle elezioni del 4 marzo scorso evidenziano un Paese profondamente arretrato, con poca memoria, per colpa di chi ha governato, della scuola, che non trasmette più i saperi fondamentali, dell’università, che considera il sapere come un fatto strettamente “tecnico”.
Le istituzioni scolastiche, di ogni ordine e grado, offrono quel minimo di formazione culturale che serve a recepire i messaggi fortemente condizionanti lanciati in mezzo alla massa “amorfa” dal sistema informativo, in tutte le sue articolazioni, avente le caratteristiche di persuasione occulta.
È questo il nuovo fascismo, il “fascismo della società dei consumi”, con l’aggravante dell’informatizzazione massiccia. Un fascismo addirittura più pericoloso, untuoso, di quello del ventennio, perché allora la maggior parte degli italiani non riusciva neanche a recepire i messaggi provenienti dal potere.
“Individui culturalmente semilavorati sono peggiori di quelli totalmente analfabeti”.
Esiste un abisso rispetto all’Italia uscita dalla Resistenza e dalla lotta di Liberazione, che si ispirava a valori di solidarietà, di uguaglianza, di giustizia. Tutti questi valori emergono chiaramente dalla letteratura che è stata definita, per l’appunto, “resistenziale”, che ha costituito, per circa un decennio dopo la fine della seconda guerra mondiale, uno dei filoni più fecondi della letteratura neorealista, assieme a quello operaista e a quello meridionalista.  
Oggi non emerge, per così dire, nel nostro Paese, una letteratura e lettura “impegnata”. Le statistiche ci dicono, da parecchi lustri ormai, che due terzi degli italiani non leggono neanche un libro l’anno.

OGGI L’ANTIFASCISMO È PIÙ ATTUALE CHE MAI.

Il nuovo governo della destra, a partire da Matteo Salvini, sta “tirando la volata” ai nuovi fascisti, cosi come Marco Minniti ha aperto la strada a Salvini.
L’elemento più preoccupante è che tutto questo ha un bacino di consenso, implicito o esplicito, anche in settori popolari, settori proletari che sono stati abbandonati ai colpi della crisi, che sono stati privati di un riferimento.
Possiamo concludere, allora, che è necessaria quella «riforma intellettuale e morale» del Paese che Gramsci, nei Quaderni del carcere, considerò condizione preliminare per un cambiamento radicale della società, senza il quale i mutamenti marginali all’interno dello stesso sistema capitalistico servono a ben poco.

Partito Comunista dei Lavoratori
Pavia sez. “Tiziano Bagarolo”


venerdì 14 settembre 2018

VIDEO: INTERVENTO DI MARCO FERRANDO AL CORTEO ANTIFASCISTA DELL'OTTO SETTEMBRE A GROSSETO

L'antifascismo è più attuale che mai. A mettere fuori legge le organizzazioni fasciste non saranno le eterne petizioni istituzionali e costituzionali presentate da 70 anni a questa parte al presidente della Repubblica o al parlamento o ai partiti borghesi, tanto meno sarà il governo Salvini che dice "tanti nemici, tanto onore". A mettere fuori legge le organizzazioni fasciste o è l'azione indipendente del movimento operaio, dei giovani, degli antifascisti, o non è niente e nessuno".


 

giovedì 13 settembre 2018

ILVA: UN ACCORDO CHE SI REGGE SUL FALSO



L'accordo siglato sull'Ilva di Taranto si regge sulle balle clamorose raccontate a destra e a manca da Di Maio e dai media compiacenti, oltre che sulla complicità dei vertici sindacali. Per la città di Taranto resterà tutto come prima, salvo che gli inquinatori non si chiameranno più Riva ma Arcelor Mittal

L'accordo raggiunto sulla sorte dei lavoratori Ilva di Taranto assomiglia molto ad un gioco delle parti di pirandelliana memoria: ogni attore ha avuto un suo ruolo, intrecciandosi con la parte degli altri.
Naturalmente comprendiamo perfettamente l'interesse del ministro Di Maio ad ergersi a mediatore tra le parti, cercando di apparire come il deus ex machina dell'accordo, riuscendo là dove non erano riusciti Calenda e il PD, giocando in casa, come si suol dire, visto che a Taranto il M5S il 4 marzo ha spopolato, prendendo oltre il 50% dei voti.
Chiaro era anche l'interesse delle burocrazie sindacali a firmare un accordo non troppo penalizzante, volto a far credere ai lavoratori che pur in condizioni sfavorevoli si può riuscire a raggiungere un accordo che salvaguardi in gran parte il lavoro e i posti di lavoro, vecchio refrain utilizzato dai burocrati ogni volta che firmano un cedimento.
L'interesse dei rappresentanti della multinazionale franco-indiana Arcelor Mittal era quello di ridurre il costo del lavoro e al contempo di non sborsare troppi soldi per riparare ai disastri ambientali provocati dai Riva.


I PUNTI PRINCIPALI DELL'ACCORDO

- Arcelor Mittal darà lavoro a 10.700 lavoratori Ilva "spalmati" su tutto il territorio nazionale (tranne lo stabilimento di Genova, per il quale ci sarà una trattativa a parte), 8.200 dei quali a Taranto. Prima di ricevere la proposta di assunzione dovranno sottoscrivere le "dimissioni consensuali" da Ilva, rinunciando quindi alla continuità lavorativa garantita dall'art. 2112 del Cod. civile (cessione di ramo d'azienda) che prevede stesso inquadramento, stessa retribuzione e stesso luogo di lavoro. Dovranno invece accettare lo spostamento eventuale in altro stabilimento del gruppo, livello ed inquadramento diverso.

- Gli esuberi sono 3.100, ai quali verrà fatta una proposta di esodo incentivato (da 15 mila a 100 mila euro lordi) a seconda della data nella quale se ne andranno.

- Il lavoratore, accettando la nuova assunzione, dovrà rinunciare ad intentare qualsiasi causa per eventuali malattie o danni personali derivanti da mancanza di misure necessarie a tutelare l'integrità fisica che il datore di lavoro avrebbe potuto adottare (art.2087 Cod. civ.). Questa clausola è valida anche per chi accetta l'incentivo per l'esodo anticipato.

- Chi non verrà assunto, subito potrà usufruire della cassa integrazione a salario ridotto per un periodo massimo di 7 anni.

- Entro otto mesi l'azienda dovrà coprire il 50% della zona del parco minerario più vicina al quartiere Tamburi, il più esposto all'inquinamento.

Nel complesso, a noi sembra che l'accordo rappresenti un ulteriore cedimento sindacale sul piano dei diritti dei lavoratori. Il ministro Di Maio ha sbandierato come una sua vittoria personale la non applicazione del Jobs act ed il ripristino dell'art.18, ma ha potuto farlo sulla base di un falso. Se Arcelor Mittal non rispetterà l'accordo, il sindacato potrà denunciare il comportamento antisindacale, ma il giudice non sarà vincolato ad esprimersi. Dobbiamo anche dire che alcuni articoli dell'accordo, in particolare quelli sulla sicurezza del lavoro, peccano di anticostituzionalità. In ogni caso, è assolutamente falso che non ci siano esuberi. Le misure degli incentivi (fino a 100 mila euro) sembrano enormi, ma bisogna considerare che sono cifre lorde, e che nel meridione d'Italia (ma ormai dappertutto) è molto difficile trovare un lavoro stabile. Neanche l'ambiente, argomento sul quale il M5S aveva capitalizzato alle elezioni del 4 marzo a Taranto, promettendo prima la riconversione dell'Ilva, poi la sua chiusura, è stato salvaguardato. Le dimissioni di alcuni consiglieri comunali tarantini, in disaccordo con Di Maio, la dicono lunga sulle lacerazioni tra vertici nazionali e militanti locali del M5S.

Per quanto riguarda le burocrazie sindacali di FIOM-FIM-UILM, alle quali si è aggiunta USB, ormai da alcuni anni questo è il modello di accordo che viene sottoscritto: esodi incentivati per i lavoratori in esubero (ai quali non si propone più neanche la difesa del posto di lavoro) in cambio di erosione di diritti, anche quelli fondamentali - come la salvaguardia della sicurezza e della salute - per chi resta a lavorare.
Avrebbero potuto battersi per la nazionalizzazione, ma nei mesi scorsi, prima delle elezioni, la FIOM avrebbe disturbato troppo il governo PD, e neanche il M5S, al di là della propaganda, aveva voglia di imbarcarsi in una operazione del genere. L'USB l'ha timidamente proposta, ma senza mobilitazione dei lavoratori non è stata nemmeno presa in considerazione.

In definitiva, questo accordo si regge sulle balle clamorose raccontate a destra e a manca da Di Maio e dai media compiacenti, oltre che sulla complicità dei vertici sindacali. Per la città di Taranto resterà tutto come prima, salvo che gli inquinatori non si chiameranno più Riva, ma Arcelor Mittal. Della serie: cambiano i suonatori, ma la musica resta sempre la stessa. A meno che non entri in gioco finalmente l'autorganizzazione dei lavoratori che, nel quadro di una ripresa più generale del movimento operaio, spazzi via i burocrati sindacali.


Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 12 settembre 2018

LA PATRIA DI CHI? DA TOGLIATTI A... FASSINA

Sul lancio della associazione "Patria e Costituzione"



Marx scriveva che “non si può giudicare qualcuno in base a ciò che pensa di sé, ma solo in base a ciò che oggettivamente rappresenta”. La nascita a Roma dell'associazione “Patria e Costituzione” per iniziativa di Stefano Fassina conferma questo concetto.

L'iniziativa rivendica la necessità di marciare «controvento» per rifondare una «sinistra di popolo». Come si può rifondare una sinistra di popolo? Recuperando il valore della Patria e della Nazione, sacrificato nel nome dell'Unione Europea e dei suoi trattati, dichiara solennemente Fassina. Ma il ritorno del nazionalismo sciovinista non è forse il nuovo vento emergente a tutte le latitudini del mondo, nel suo multiforme impasto coi populismi reazionari di ogni specie? Forse, ammette Fassina, ma è questa una ragione in più per «non lasciare alla destra» la bandiera della Nazione e della Patria, per «recuperare la tradizione nazionale della sinistra italiana», per rilanciare il «patriottismo nazionale di Palmiro Togliatti» e della stessa Costituzione. «L'articolo 52 della Costituzione non dichiara forse che la difesa della patria è sacro dovere di ogni cittadino? Perché dunque l'immotivata ritrosia a sventolare la bandiera tricolore?». Solo recuperando la sovranità nazionale si può applicare la Costituzione e sviluppare politiche sociali e di progresso, solo così si può fare argine alla destra: questa è la summa del pensiero di Fassina.


LA MISTIFICAZIONE DEL SOVRANISMO DI SINISTRA

Se dovessimo limitarci a esaminare il contenuto ideologico intrinseco di questo pensiero, potremmo semplicemente rilevare la mistificazione di fondo su cui si appoggia. Le politiche sociali controriformatrici e reazionarie non sono nate con l'Unione Europea. Si sono dispiegate a partire dalla seconda metà degli anni '70 e si sono sviluppate su scala mondiale nel corso degli anni '80 (Reagan, Thatcher), quando la UE e tanto più l'euro non si erano ancora delineati. Inoltre esse prosperano tranquillamente ben al di là dei confini dell'Unione Europea, sotto le più diverse monete e bandiere nazionali. Trump taglia la spesa sanitaria, colpisce l'istruzione pubblica, allude all'aumento dell'età pensionabile, per finanziare la detassazione dei capitalisti stelle a strisce e i bilanci militari. Putin prolunga l'età pensionabile e affronta le prime serie resistenze sociali perché impegnato a finanziare le proprie ambizioni sovraniste. Teresa May non solo non allarga la spesa sociale come la campagna pro-Brexit aveva promesso, ma la sottopone a una nuova drammatica stretta. Le politiche di rapina sociale a vantaggio dei profitti sono dunque un ricorso universale del capitale nella stagione storica della sua crisi, non un parto maligno dell'Unione Europea. Sono invocate nel nome della "Nazione" non meno che nel nome dell'Unione Europea. L'Unione Europea ha semplicemente rappresentato un quadro concertato di gestione di queste politiche di rapina, a vantaggio delle grandi borghesie continentali.

Siamo dunque rigorosamente contro l'Unione Europea, e contro la truffa di una sua possibile riforma (Tsipras) proprio perché siamo anticapitalisti; non siamo anticapitalisti perché siamo contro l'Unione Europea. Come non lo sono infatti i sovranisti delle più diverse declinazioni. La carriera del patriota Stefano Fassina, già viceministro all'Economia del governo Letta, già sostenitore del pareggio di bilancio in Costituzione, non lascia dubbi al riguardo. Come conferma peraltro la sua contorsione attuale: Fassina contesta la UE nel nome della Patria, ma non rivendica affatto, guarda caso, la rottura con la UE. La sua neonata associazione nazionalista chiede semplicemente una rivisitazione dei trattati tra gli Stati capitalisti (e imperialisti) dell'Unione, per rinnovare il patto tra i diversi interessi nazionali. Evidentemente l'interesse nazionale del capitalismo italiano, seconda manifattura d'Europa, ha consigliato all'ex viceministro di moderare il proprio ardore patriottico.


LA SINISTRA NAZIONALISTA A RIMORCHIO DELLA REAZIONE

Ma il contenuto dell'iniziativa di Patria e Costituzione non sta nel suo dettato ideologico, sta nel contesto politico che lo sospinge. Altro che iniziativa controvento! L'iniziativa di Patria e Costituzione ha alzato le proprie vele in sintonia col nuovo vento mondiale. Non il vento unionista, che ha già cessato di spirare da un pezzo, ma il vento del nazionalismo e del protezionismo, col suo portato di militarismo e xenofobia. È il vento dell'”America first!”, del nazionalismo cinese, del nuovo militarismo giapponese, del rilancio sciovinista grande russo, del nazionalismo reazionario indù. È il vento che percorre la stessa Europa, con l'ascesa prepotente dei populismi reazionari, l'esplodere delle contraddizioni nazionali (Francia e Italia che si contendono il Nord Africa), l'espansione dei bilanci militari (persino in Germania). In ultima analisi, è l'onda lunga della grande crisi capitalista dell'ultimo decennio.

Questo vento apre varchi anche a sinistra. Cattura settori proletari e popolari colpiti dalle politiche di austerità "nel nome dell'Europa”, e dunque portate a vedere nella UE la causa della propria sofferenza, e cattura a rimorchio settori dei gruppi dirigenti riformisti, sino a ieri paladini dell'UE e dei sacrifici, e oggi improvvisati esegeti del nuovo verbo patriottico. Mélenchon, già ministro dell'austerità di Jospin, ha sentito il bisogno di impugnare la spada contro «il veleno tedesco» (testuale), a difesa dell'onore francese. Il suo emulo Fassina, già viceministro di Letta, rispolvera la sacralità dell'Italia. Dirigenti rotti ad ogni avventura cercano la propria salvezza (Fassina) o la propria gloria (Mélenchon) nella spazzatura ideologica della reazione. Via la bandiera rossa, meglio sventolare il tricolore di Francia, proclama Mélenchon ad ogni comizio della sua France Insoumise. Meglio affiancare al rosso il tricolore, suggerisce più prudentemente Fassina.

Entrambi aprono alle campagne anti-immigrati. Non siamo “no border”, esclama Mélenchon, "dobbiamo essere noi a rivendicare la certezza dei confini della Nazione!” Non a caso Mélenchon difende orgoglioso la Guyana "francese”. “Gli immigrati sono un problema, inutile nasconderlo, non possiamo certo accogliere tutti”, gli fa eco Fassina, che per questo chiede la regolamentazione degli ingressi. La ragione esibita da entrambi è che la concorrenza degli immigrati schiaccia i salari degli italiani e dei francesi. Ma invece di battersi per l'uguaglianza dei diritti dei lavoratori immigrati nell'interesse degli stessi lavoratori europei, si contrappone questi ultimi ai primi, naturalmente nel nome della Patria. Questi vecchi (o giovani) arnesi del riformismo sperano con questo di legittimarsi agli occhi del senso comune reazionario di ampi strati di massa, di ricavarne qualche utile elettorale, di ricongiungere la sinistra col “popolo”. In realtà si prostrano al corso politico reazionario che oggi pervade l'Italia e il mondo, lo stesso corso politico cui le loro politiche ministeriali hanno spianato la strada.


L'ALBERO GENEALOGICO DELLO SCIOVINISMO

È molto significativo che la radice di questa nuova impostazione sia ricercata in Italia nella politica e cultura di Palmiro Togliatti. È in questo caso un rivestimento ideologico appropriato. È vero: «Togliatti sempre rivendicò la sacralità dell'Italia e della nostra Nazione», «la stessa resistenza partigiana fu concepita come resistenza nazionale dai nostri padri costituenti» (Fassina). Per una volta è la verità. Salvo uno spiacevole dettaglio. Proprio nel nome della Patria e della Nazione, Togliatti, su mandato di Stalin e con la piena collaborazione di Secchia, subordinò la resistenza antifascista alla ricostruzione del capitalismo italiano e del suo Stato: restituì ai prefetti il loro posto di comando, riportò Valletta sul trono della FIAT, disarmò i partigiani, decretò l'infame amnistia per gli aguzzini fascisti, calunniò le forze rivoluzionarie della resistenza come nemiche del popolo e dell'Italia. La bandiera della Patria fu il cappio al collo delle potenzialità rivoluzionarie dell'immediato dopoguerra. Le camionette di Scelba contro i lavoratori, i reparti confino contro i comunisti nelle fabbriche furono negli anni '50 il prezzo drammatico della capitolazione togliattiana.

Ognuno alla fine ritrova le proprie radici. Non a caso il fior fiore dell'intellettualità stalinista e togliattiana (Giacché, Santomassimo...) si è affrettato a benedire l'iniziativa di Fassina, ricoprendola di elogi. Il sovranismo di sinistra ha trovato il proprio albero genealogico. “L'Italia proletaria si è mossa” del primo socialismo sciovinista, l'appello ai fratelli italiani in camicia nera di Palmiro Togliatti nel 1936, il tradimento patriottico della rivoluzione partigiana da parte dello stalinismo: il nazionalismo di sinistra ha un lungo solco. La celebrazione dell'8 settembre e del governo Badoglio (!) da parte di Stefano Fassina è solo l'ultima nota senile formato bonsai di una tradizione antica.

Noi stiamo come sempre dall'altra parte della barricata. Quella classista e internazionalista. Quella di Marx, oggi più attuale che mai: "Gli operai non hanno patria” (Il Manifesto del partito comunista, 1848).

Partito Comunista dei Lavoratori

martedì 11 settembre 2018

1991-2018: 17 ANNI DI CRIMINI DELLA NATO (E SUOI VASSALLI) IN UNICO DOCUMENTARIO


Un gruppo di attivisti contro le guerre di aggressione ha realizzato in modo collettivo il video Tutto sarà dimenticato?, nel quadro del progetto “Verità contro le guerre”, in occasione del centesimo anniversario della fine della Prima guerra mondiale. 
Intanto la tragica situazione in Libia mette sotto gli occhi di tutti l’effetto standard degli interventi armati imperialisti, avviati e portati avanti grazie anche al carburante delle fake news: circoli viziosi di menzogne e omissioni che hanno coinvolto attori svariati.
Tutto sarà dimenticato?” si riferisce alla storia recente, alle ultime aggressioni internazionali a partire dal 1991, provocate da fake news di guerra e causa di immani tragedie, rapidamente dimenticate.
L’Asse delle guerre (i paesi della Nato e i suoi stretti alleati mediorientali) è riuscito a neutralizzare gli sforzi di altri paesi e del movimento pacifista – negli ultimi anni decisamente minoritario quando non incapace di comprendere gli accadimenti -, e a procurarsi una durevole immunità, l’altro nome dell’impunità.
Le aggressioni belliche sulle quali è stata concentrata l’attenzione si riferiscono ai seguenti paesi: Libia, Iraq, Siria, Afghanistan, Yemen, Jugoslavia.
Ma non vengono dimenticate le destabilizzazioni, quelle tentate e quelle riuscite.

Buona visione





lunedì 10 settembre 2018

UNA MARTELLANTE MANIPOLAZIONE DELLE COSCIENZE



La globalizzazione, soprattutto dopo il 1989, si è venuta configurando come un'aggressione sempre più evidente al mondo del lavoro, al contrario di chi la presenta  come libertà per le sue chance di competitività, per la sua libera circolazione delle merci e delle persone.

Di fatto ha introdotto un principio ben diverso rispetto a quello teorizzato da i suoi sostenitori: un regime concorrenziale in forza del quale lavoratori tutelati, sia pure in misura decrescente,  si trovano a dover competere su scala mondiale con lavoratori sparsi per il pianeta e non tutelati da alcun diritto  come ad esempio in Cina.  Tutto questo implica il rinunciare ai diritti per risultare meglio competitivi.

Questo è il grande dramma della mondializzazione.

Ecco perché oggi stiamo assistendo alla distruzione organizzata non solo del sindacato, ma anche della famiglia, della scuola e della sanità pubblica.

Assistiamo ad una martellante manipolazione delle coscienze tesa far sì che, come sempre avviene, gli schiavi amino le loro catene in difesa dei loro padroni e così via.

La verità è che, come sempre, si ripropone con più forza il nodo di fondo: o il movimento operaio imporrà la propria soluzione della crisi con un'azione rivoluzionaria di massa, o la profondità della crisi capitalista trascinerà contro il movimento operaio tutte le barbarie sociali.

La costruzione di partiti rivoluzionari in tutto il continente è l'unica risposta vera alla disperazione sociale che percorre non solo l'Europa.
Solo l’opposizione ai governi della borghesia può preparare le condizioni di una alternativa anticapitalistica. Solo l’opposizione radicale ai governi della borghesia può strappare risultati concreti.

Vogliamo dunque batterci per l’ unità di lotta di tutte le espressioni del movimento operaio e dei movimenti di massa attorno ad un autonomo polo di classe anticapitalistico.
È l'unica risposta di fondo alla stessa minaccia reazionaria.

Partito Comunista dei Lavoratori
Pavia sez. “Tiziano Bagarolo”


giovedì 6 settembre 2018

IL CAPITALISMO USA IL RAZZISMO PER COLPIRE LA CLASSE LAVORATRICE


Da sempre il modo di produzione capitalistico costituisce una potente leva per fare profitti e per dividere le classi lavoratrici.
Da sempre il capitalismo usa il razzismo per colpire la classe lavoratrice. Per combatterlo non basta l’atteggiamento umanitario ma serve la coscienza di classe che individui il vero nemico.
Le migrazioni provocate dalle “guerre umanitarie”, dalla rapina coloniale e post coloniale e la messa in schiavitù di donne e uomini africani per farli lavorare fino allo stremo e senza alcun diritto necessita del razzismo quale sovrastruttura ideologica ideale.
La costrizione ad accettare qualsiasi condizione di lavorativa comporta, specialmente in questo periodo di sottoccupazione, la concorrenza fra lavoratori e di conseguenza una riduzione generalizzata del costo del lavoro. I conseguenti contrasti fra la forza-lavoro autoctona e quella immigrata, abilmente enfatizzati dai media, determina una divisione del proletariato e il suo indebolimento, oltre a un diversivo per far perdere di vista la circostanza che il nemico comune è la classe che sfrutta entrambi.
Questo fenomeno non è una novità e bisognerebbe averne consapevolezza per poterlo gestire.
È necessario promuovere la maturazione complessiva e l’unificazione delle classi sfruttate a qualsiasi etnia appartengano.
La forte ascesa in tutta Europa delle forze xenofobe e neofasciste, se da un lato sancisce il fallimento della “sinistra collaborativa”, impone ai comunisti di non limitarsi ai pur necessari antirazzismo e antifascismo militanti, ma di spendersi in un faticoso lavoro internazionalista per sconfiggere l’imperialismo e riaggregare la dispersa classe lavoratrice.
Ridare un partito a questa prospettiva è il nostro compito.

MERCOLEDÌ 12 SETTEMBRE  DALLE ORE 9,30 ALLE ORE 12,30
PAVIA- Viale Camillo Golgi (difronte al Policlinico San Matteo lato edicola)
in caso di pioggia  via Indipendenza (davanti alla A.S.L)

INCONTRO CON IL
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
Verrà distribuito materiale informativo e
UNITÀ DI CLASSE” il Giornale Comunista dei Lavoratori

Partito Comunista dei lavoratori

  Pavia sez. “ Tiziano Bagarolo “

mercoledì 5 settembre 2018

IL PIANO SGOMBERI DI SALVINI E DI MAIO



«La proprietà è sacra», ha esclamato compunto ad uso telecamere il ministro degli Interni.
È questa la bandiera del nuovo piano nazionale di sgomberi di case ed edifici occupati sull'intero territorio nazionale. Minniti si era coperto dietro la foglia di fico di una raccomandazione alle prefetture perché cercassero “abitazioni alternative”: era l'ipocrita ricerca di un ammortizzatore sociale capace di reggere il piano di sgomberi. Salvini fa a meno di ogni finzione: dirama l'ordine di sgombero come atto prioritario e incondizionato. È l'ordine di gettare in mezzo a una strada decine di migliaia di famiglie povere, italiane e immigrate. Persone magari in attesa (vana) di una casa popolare da molti anni, o sfrattate per morosità incolpevole, o impedite ad accendere un mutuo o a pagare un affitto dalla propria condizione precaria o perché licenziate, o lavoratori immigrati costretti alla “clandestinità” da leggi infami nonostante sgobbino spesso per 12 ore al giorno in cambio di un salario da fame. Per tutti costoro la proprietà non è sacra, ma proibita, al pari del diritto di disporre di un tetto. La proprietà sacra è solo quella delle grandi società immobiliari, interessate a mantenere appartamenti sfitti da far lievitare sul mercato, o di banche e assicurazioni detentrici di un patrimonio immobiliare enorme e passivo come pura voce di bilancio, o anche dello Stato e di enti pubblici che hanno abbandonato al degrado centinaia di strutture perché impegnati a tagliare servizi e spesa sociale. Per non parlare delle immense proprietà immobiliari di Chiesa e Vaticano. Questa è oggi la proprietà interessata a gettare in mezzo a una strada quella stessa popolazione povera cui ha negato il diritto alla casa.

Questa campagna di sgomberi, già operativa, non riguarda la sola questione abitativa. È parte di una campagna "legge e ordine" che il governo delle nuove destre vuole imporre nelle relazioni pubbliche, nelle politiche migratorie, nell'ordinamento giudiziario, nel rapporto di forza con ogni soggetto perturbatore dell'ordine costituito. È la stessa campagna che minaccia i centri sociali, arma di nuove pistole elettriche le forze di polizia, liberalizza la facoltà di sparare a chiunque violi la “sacra” proprietà. È una campagna che cerca il consenso tra le sue stesse vittime dirottando le frustrazioni sociali contro un nemico invisibile, ogni volta diverso e ogni volta uguale: il nemico della “sicurezza”. Ma l'unica sicurezza che in realtà si protegge è quella di chi ha tutto contro chi non ha nulla: è la sicurezza dello sfruttamento, della speculazione, dell'abuso. L'insicurezza del lavoro e della casa per ampie masse è il prezzo della sicurezza per speculatori e parassiti.

Contro questa campagna poliziesca di sgomberi è necessario costruire una resistenza diffusa, capace di coinvolgere nel più ampio fronte unitario tutte le organizzazioni impegnate sul fronte della lotta per la casa, ma anche le forze del movimento operaio e sindacale. Il diritto alla casa è un diritto universale come il diritto al lavoro. Gli sgomberi della forza pubblica devono trovare ovunque una resistenza organizzata e di massa.
In Italia vi sono milioni di persone senza casa, e milioni di case vuote, per un'unica e sola ragione, la ragione del profitto. La rivendicazione dell'esproprio delle grandi proprietà immobiliari e la loro destinazione a fini abitativi deve divenire ovunque una parola d'ordine unificante. Risolvere la questione della casa è possibile. Ma per dare sicurezza sociale a chi non ha casa e lavoro occorre violare la sicurezza del capitale. Solo un governo dei lavoratori, rompendo con la società capitalista, può dare la casa a chi non l'ha.


Partito Comunista dei Lavoratori

domenica 2 settembre 2018

IL DINAMISMO SBIADITO DEL GOVERNO GIALLO/VERDE



Le elezioni del 4 Marzo sono state vinte dal Centro Destra e dal M5S sulle promesse della Flat Tax, reddito di cittadinanza, abolizione della legge Fornero e contro  “sull’invasione dei migranti”.
Emergono, però, già le prevedibili contraddizioni profonde tra le due componenti (M5S – LEGA) che hanno dato “vita” al contratto del nuovo governo.
Queste contraddizioni si possono descrivere con le difficoltà future nell'affrontare in maniera comune le problematiche concrete sulle quali il governo misurerà la propria tenuta.
Attualmente la luna di miele del 'governo del cambiamento' è ancora in corso, e i dati sulla percezione del consenso popolare la dicono lunga  nel determinare le percezioni sociali. Di contro nessun segnale da parte delle “opposizioni” che possa colpire il governo, sia in Parlamento che nelle piazze prese a contare “il mazzo di carte” in cerca del “jolly in  bianco e nero”.
Al momento l'unico scontro sembra essere quello interno tra poteri con l'inchiesta aperta dalla Magistratura sul caso  della nave Diciotti. 
La ragione è che i disastri politici precedenti hanno lasciato un segno profondo: PD e “derivati” ed esponenti del vecchio establishment, sono stati giustamente ritenuti responsabili delle politiche antisociali.
Dunque, il dibattito sulla legge finanziaria potrebbe essere il primo momento in cui il governo giallo/verde può andare in difficoltà nella sua tenuta, di fronte al misurabile dato tra quanto promesso e quanto verrà effettivamente fatto.
Il governo, molto probabilmente, si scaglierà contro i diktat violenti dell'Unione Europea, costruendo l'ennesimo nemico pubblico a sostegno della propria incapacità.
Anche la scadenza europea avrà senza dubbio un peso sui mesi a venire di politica interna, e i due temi, legandosi tra loro, chiameranno in causa le piazze.
In tutta la UE la campagna elettorale si farà cercando di polarizzare il corpo elettorale ancora sul tema migranti, in modo da ottenere una possibile maggioranza di forze anti immigrazione.
L'estrema destra, di piazza e in doppio petto, si prepara con passerelle e comizi, a mettersi in marcia in tutta Europa.
Su un altro versante, anche in ambiti della “sinistra radicale” e delle varie sigle sindacali, opera uno spirito di routine, che fa della contestazione del potere uno spazio di propria caratterizzazione più che un investimento nella prospettiva di rivoluzione:
Questo retroterra culturale, sempre distorto, rischia di diventare tanto più conservatore nei momenti straordinari della vita politica e sociale.
La “catastrofe” italiana, dentro la più grande crisi dell'Europa capitalista, è esattamente uno di questi momenti. 
Insomma, molto probabilmente, assisteremo ad una campagna elettorale lunga e piena di “ingannevoli promesse”.
La verità è che, come sempre, si ripropone con più forza il nodo di fondo: o il movimento operaio imporrà la propria soluzione della crisi con un'azione rivoluzionaria di massa, o la profondità della crisi capitalista trascinerà contro il movimento operaio tutte le barbarie sociali.
La costruzione di partiti rivoluzionari in tutto il continente è l'unica risposta vera alla disperazione sociale che percorre l'Europa.
È l'unica risposta di fondo alla stessa minaccia reazionaria.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

Pavia sez. “Tiziano Bagarolo”