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mercoledì 30 dicembre 2015

CAMPAGNA DI TESSERAMENTO 2016 DEL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI



Guardiamo in faccia la realtà.
Per trent’anni le classi dirigenti d'Europa hanno imposto ovunque enormi sacrifici sociali , con l'argomento che avrebbero garantito un futuro migliore ai “giovani”. E' accaduto l'opposto. Le nuove generazioni sono state condannate al precariato, i loro diritti negati, le loro future pensioni distrutte, mentre capitalisti e banchieri si sono arricchiti per decenni come mai in precedenza.

Oggi, di fronte alla grande crisi del capitalismo , le stesse classi responsabili della bancarotta chiedono alle proprie vittime sacrifici ancor più pesanti, con l'argomento che assicureranno l' “uscita dalla crisi” e il “futuro dell'Europa”. Accade l'opposto. Dopo anni la crisi permane , l'Unione Europea delle banche si avvita nella recessione, mentre sprofondano le condizioni di vita dei salariati e di larga parte della popolazione.

La verità è che solo una rivoluzione sociale può fare pulizia.

Perché solo una rivoluzione sociale può rovesciare la dittatura degli industriali, delle banche, delle compagnie di assicurazione, con quel groviglio inestricabile di sfruttamento, speculazione, corruzione, che domina la vita sociale in ogni suo aspetto , sotto ogni governo, in ogni paese capitalista.


Aderire al PCL significa rafforzare questo lavoro e prospettiva.

Costruirlo, in ogni lotta, è il nostro impegno. Salvaguardare la sua autonomia, estendere le sue radici sociali, organizzare nelle sue fila i lavoratori e i giovani più coscienti, sviluppare la loro formazione, significa lavorare concretamente per il futuro della rivoluzione. Al fianco dei marxisti rivoluzionari di tutto il mondo, nel lavoro di ricostruzione della Quarta Internazionale.

Partito Comunista dei Lavoratori

COMUNICATO STAMPA Pcl Emilia Romagna



Contro la repressione dei militanti PCL colpiti dai fogli di via della questura e contro i licenziamenti

30 Dicembre 2015

Dopo mesi di lotta allo stabilimento Artoni di Cesena contro il licenziamento in blocco dei facchini della coop Stemi, sono stati colpiti colpiti da fogli di via – emessi dalla questura di Forli' – alcuni militanti del Partito Comunista dei Lavoratori e dei sindacati di base che hanno sostenuto la battaglia dei licenziati.

Sono mesi che i lavoratori dello stabilimento Artoni di Cesena stanno lottando per la difesa del proprio posto di lavoro. Si tratta di una battaglia vera, che vede contrapposta alla volontà padronale la determinazione di decine di lavoratori che si sono mobilitati più volte, attuando il blocco delle merci e dello stabilimento. Altre sedi dell'Artoni sono state coinvolte in scioperi e blocchi in solidarietà con i facchini di Cesena.

Nella loro lotta i facchini della Stemi-Artoni non sono rimasti da soli: al loro fianco si sono schierati altri compagni e compagne che li hanno sostenuti in questa dura vertenza, come nel caso dei militanti del Partito Comunista dei Lavoratori da subito in prima linea con loro.

È di assoluta gravità, quindi, la decisione della questura di Forlì di utilizzare lo strumento repressivo del foglio di via da Cesena per colpire chi si è battuto assieme ai lavoratori Stemi-Artoni. Tali provvedimenti hanno colpito nei giorni scorsi alcuni militanti del Partito Comunista dei Lavoratori, oltre che iscritti e dirigenti dei sindacati di base coinvolti nella vicenda.

La scelta della questura di Forlì non è un fatto isolato: già in molte altre province e regioni si assiste ad un uso frequente degli strumenti repressivi come il foglio di via e il divieto di dimora. Riteniamo che ciò sia il prodotto di determinate scelte governative che negano apertamente ogni dialogo col conflitto sociale e sindacale per affrontare il tutto solo in termini puramente repressivi.

Il governo Renzi, che già con la nuova legislazione del Jobs Act ha dimostrato di avere una concezione servile del lavoro dipendente, passa senza soluzione di continuità dai riflettori e dagli effetti speciali del nuovismo giovanilista della Leopolda alle più becere politiche in stile scelbiano: dal partito della nazione alla DC anni '50, un filo nero nel segno del padronato.

Di sicuro i lavoratori in lotta e il PCL non si faranno intimidire, anzi ritroviamo nei provvedimenti repressivi nuove ragioni per infondere il massimo impegno nel conflitto di classe.


Michele Terra Segr.Nazionale
Leandro Evangelista Coord. PCL Romagna

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

martedì 22 dicembre 2015

LA CRISI POLITICA IN SPAGNA. IL TRASFORMISMO DI PABLO IGLESIAS.



La crisi capitalista, la nuova miseria sociale, i movimenti sociali e di classe che hanno percorso la Spagna negli ultimi anni , hanno destrutturato, nel loro combinarsi, il panorama politico spagnolo, favorendo vasti processi di polarizzazione elettorale : da un lato l'ascesa di Podemos, a scapito prevalentemente del PSOE, dall'altro lo sviluppo del populismo liberista di Ciudadanos a danno prevalentemente del PPE. La risultante è lo scardinamento del sistema bipartitico di governo che ha retto la Spagna post franchista. I due partiti tradizionali dominanti che si sono alternati al governo negli ultimi 30 anni ( PSOE e PPE) avevano ancora complessivamente nel 2008 l'84% dei voti. Oggi raggiungono appena il 50%. Il PPE passa da 186 a 124 seggi. Il PSOE da 110 a 95.
LO STALLO DELLA POLITICA BORGHESE
La quadripartizione del sistema politico mette in crisi la governabilità spagnola.
Il PPE, pur restando il partito più votato ( 29%), non dispone della maggioranza necessaria per governare ( 176 seggi), neppure con l'eventuale lasciapassare di Ciudadanos. Un governo di unità nazionale tra PPE e PSOE è richiesto a viva voce dal capitale finanziario europeo, dal grosso della borghesia spagnola e della sua stampa ( El Pais), da ambienti politici trasversali ai due partiti maggiori, quale “unica possibile garanzia di stabilità”. Ma significherebbe un suicidio politico del PSOE a favore di Podemos, tanto più a ridosso di una campagna elettorale in cui il segretario del PSOE ( Pedro Sanchez) si è presentato in contrapposizione frontale a Rajoy per cercare di frenare l'emorragia a sinistra.
Una maggioranza di governo tra PSOE, Podemos, Izquierda Unida, e partiti “nazionalisti” locali sarebbe formalmente possibile, con uno schema di tipo portoghese . Ma è ostacolata dalla rivendicazione di Podemos di un referendum sull'autodeterminazione catalana, e incontra forti resistenze all'interno del PSOE , in particolare negli ambienti ostili alla sua attuale segreteria (che sono tutt'altro che marginali). Da qui l'apparente vicolo cieco. Che consegna al Re di Spagna una responsabilità non più notarile nella gestione della crisi politica.
IL TRASFORMISMO SPREGIUDICATO DI PODEMOS
Podemos è di fronte alla prova della verità. Nato come proiezione elettorale del movimento di massa degli Indignados nel 2011, su un programma riformista “ sociale e democratico”, attorno alla figura mediatica di Pablo Iglesias, Podemos ha conosciuto nell'ultimo anno una parabola trasformista spregiudicata in direzione di una progressiva “normalizzazione”. Tutta la politica di Iglesias ha mirato sempre più a connotare Podemos come forza “nè di destra né di sinistra”, dominata dall'ansia della propria legittimazione quale “responsabile soggetto di governo” agli occhi
della borghesia spagnola e del suo Stato . Il programma sociale è stato depurato degli aspetti più “radicali” ( sul debito, l'età pensionabile, la riduzione dell'orario..) per essere presentato ufficialmente agli ambienti confindustriali (e persino al FMI !) come garanzia di realismo. La politica estera ha pienamente recuperato l'accettazione dell'Unione Europea e della Nato, sino a ricercare ascolto e attenzioni delle ambasciate straniere a Madrid durante la stessa campagna elettorale.
La politica istituzionale ha abbandonato l'opzione repubblicana, ha ripetutamente lodato la “nuova” monarchia di Re Felipe VI, ed oggi rivendica “un nuovo compromesso storico” tra tutte “le forze sane del Paese” nel solco della continuità del patto della Moncloa del 1978. La candidatura a ministro della Difesa nelle liste di Podemos di un ex capo di stato maggiore dell'esercito spagnolo, e la solenne dichiarazione di “lealtà allo Stato” dopo l'uccisione di un militare spagnolo in Afghanistan , hanno suggellato simbolicamente il nuovo corso. “ Podemos si è
trasformato in una forza matura per guidare il cambiamento” ha dichiarato Iglesias a El Pais ( 18 Dicembre) per rassicurare la borghesia.
Già come forza di opposizione Podemos è dunque dominato dall'ambizione di governare il capitalismo spagnolo. Da qui le aperture alle coalizioni col PSOE nelle amministrazioni locali. Da qui la proposta rivolta al PSOE di un governo comune su scala nazionale. Vedremo se la dinamica politica della crisi spagnola, che si annuncia lunga e complessa, aprirà un varco alle ambizioni governative di Iglesias. Ma quel che è certo è esattamente ciò che rimuove lo sguardo incantato di tanta sinistra italiana: l'accesso di Podemos al governo di Spagna a braccetto col PSOE sarebbe
l'esatto opposto dell'”alternativa” e del “vero cambiamento”. Segnerebbe la sua compromissione nella gestione della quarta potenza capitalistica ( e imperialistica) dell'Europa continentale. E l'inevitabile delusione delle aspettative di svolta raccolte da Podemos in cinque anni. Come con Syriza in Grecia.

PER LA COSTRUZIONE DI UN PARTITO CLASSISTA, RIVOLUZIONARIO, INDIPENDENTE.
In Spagna, come nel resto d'Europa , la lotta per una vera alternativa è inseparabile dalla prospettiva di un governo dei lavoratori, basato sulla loro forza e la loro organizzazione. La crisi profonda degli equilibri politici e istituzionali del Paeseassieme alla deriva trasformista di Podemos, possono aprire uno spazio nuovo a questa battaglia , dentro le lotte e i movimenti d'opposizione. Non si tratta
di autoconfinarsi in una “corrente d'opinione responsabile” di Podemos come fa “Sinistra Anticapitalista” di Spagna, giunta ad espellere dalla propria organizzazione i settori che rifiutano la capitolazione ad Iglesias. Nè si tratta di esaltare la “dinamica oggettiva” di Podemos, quale portato delle lotte, come hanno fatto ripetutamente i sodali spagnoli di Falce e Martello . Si tratta invece di lavorare in tutte le contraddizioni apertesi, dentro Podemos e fuori da Podemos, per costruire un
partito classista, rivoluzionario, indipendente. Di certo le responsabilità di una sinistra classista e rivoluzionaria in Spagna saranno chiamate in causa dall'intero sviluppo dello scenario politico.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

giovedì 17 dicembre 2015

Armando Cossutta La realpolitik della bandiera



«Cossutta o non Cossutta, l'Ulivo è alla frutta». Così suonavano le conclusioni di un vecchio articolo di Giampaolo Pansa, a commento del naufragio della prima esperienza nazionale della coalizione di centrosinistra, due decenni fa. Correva il movimentato ottobre del 1998, e la (unitarissima) Rifondazione Comunista a salda guida Bertinotti-Cossutta stava per spaccarsi in due come una mela sulla questione del rapporto con il governo Prodi, portato al successo delle urne un paio di anni prima proprio dall'allegra ammucchiata ulivista.
Armando Cossutta - allora presidente di Rifondazione - separandosi in quel momento da Bertinotti fu l'artefice, in buona compagnia di Cossiga e Mastella, del salvataggio in extremis del centrosinistra a trazione PDS. Da allora in avanti, la sua nuova creatura (il Partito dei Comunisti Italiani) continuò invariabilmente ad essere ed a concepirsi come l'appendice organica sinistra dell'area politica di centrosinistra; il suo confine sinistro, responsabile e "di governo", che assicurava stabilità e affidabilità al "campo progressista", opposto alle destre.

Da quel periodo è passata molta acqua sotto i ponti, e ai soggetti politici in questione (PRC e PdCI) nulla rimane dei fasti di allora. La Rifondazione Comunista bertinottiana, che per un tratto sembrò incarnare le aspirazioni di molti ad una vera presenza comunista e antagonista, finalmente slegata dal cappio dell'alleanza con i partiti borghesi, fu ben presto risucchiata, o per meglio dire ricondotta nell'alveo del centrosinistra, e quindi dell'inumazione dei propri stessi principi di esistenza politica. Nelle intenzioni di tutti i gruppi dirigenti della sinistra riformista, di ieri e di oggi, l'Ulivo era ed è tutt'altro che alla frutta.
Dove abbia portato questa storia è, oggi, cosa fin troppo facile a vedersi. Ma i primordi quella stagione, il suo senso politico, pur nell'archiviazione successiva più o meno definitiva dei suoi singoli momenti e delle sue figure di riferimento (lo stesso Armando Cossutta è oggi sconosciuto ai più, e certamente ai militanti più giovani), continuano a riprodursi immodificabili nelle vicende e nelle logiche di quel che resta della sinistra italiana, anche in ambiti apparentemente più distanti da quelli dei diretti eredi dei protagonisti di allora.

Da questo punto di vista, la figura di Cossutta acquista tutta l'emblematicità del caso, rappresentando l'impersonificazione di posizioni politiche i cui peculiari tratti somatici sono appartenuti e appartengono a larga parte della sinistra italiana - e non solo a quella di derivazione PCI - al di là delle sigle e dei contenitori di volta in volta coinvolti.
Cossutta è stato infatti non solo il dirigente più filosovietico del PCI, "l'uomo del Cremlino" in Italia, il custode più strenuo dell'identificazione simbolica e del legame del PCI con l'URSS burocratica brezneviana. È stato allo stesso tempo, ben prima di divenire salvatore dell'Ulivo, l'uomo delle "larghe intese" (non si oppose al compromesso storico, salvo poi concedere, nel 1997: «Quando Togliatti realizzò il suo compromesso c'erano motivazioni storiche vere. Negli anni '70 è stato chiamato compromesso, che di storico non aveva nulla, un'intesa deteriore che ha portato a sostenere il governo Andreotti»), l'uomo delle prime alleanze di governo del PCI con la DC e con gli altri partiti borghesi nei comuni e nelle regioni (da responsabile Enti locali del partito), l'uomo dell'ordine e delle maniere forti contro l'estrema sinistra.

Non può stupire, quindi, che la sua eredità e il richiamo alla sua figura vengano oggi rivendicati trasversalmente dai cattolici del PD fino a Marco Rizzo, passando per Cuperlo e Ferrero. Quello di Cossutta e del cossuttismo è stato il marchio di fabbrica del "grande equivoco" attraverso il quale quella parte della sinistra che più teneva fieramente alzata la propria bandiera "comunista" e ben in vista i propri cimeli di famiglia (contro chi voleva sbarazzarsene) accettava e introiettava le logiche del sistema liberale capitalista e si predisponeva alla sua gestione non diversamente e in misura non minore di quanto facessero i più "spregiudicati" Berlinguer, Napolitano, Occhetto (e magari per qualcuno Togliatti). Sempre tenendo ben alta la bandiera, con la quale si copre la ferrea necessità stringente della collaborazione di classe. Ieri con la DC e i DS, oggi con il PD. Sempre in nome, beninteso, dell'"autonomia", della "indipendenza", della "diversità" e via dicendo dei comunisti.
Il "non c'è alternativa" cossuttiano del 1998 veniva da lontano, molto lontano, e sarebbe risuonato ancora a lungo. Anche in assenza, ormai, di cimeli da esibire.

Infine una nota sulla sorte ingrata della parabola politica di Cossutta. Il suo destino è stato quello di essere divorato ciclicamente dai propri partiti e dalle proprie creature politiche. Così è stato nella storia grande del PCI, dove da numero due del partito dopo Berlinguer subì un progressivo declassamento e marginalizzazione per via della sua relazione diretta col Cremlino. Così è stato nella storia di Rifondazione Comunista, dove da fondatore e presidente del PRC si vide sfilare il partito dalle mani proprio dal segretario da lui prescelto (Bertinotti). Così è stato infine nella piccola storia del Partito dei Comunisti Italiani, dove da fondatore e presidente della nuova formazione subì nuovamente l’onta della propria emarginazione e umiliazione da parte dei suoi prediletti figli politici (Diliberto e Rizzo). Con l’amarezza ogni volta di vedersi tradito da partiti di cui si considerava “proprietario” in quanto custode dell’apparato. Dunque lo stesso stalinismo che lo forgiò e ne formò la cultura lo trasformò ciclicamente nella propria vittima. Lungo una parabola declinante che fu, in definitiva, la metafora personale e biografica del crollo dello stalinismo italiano e mondiale. In questo senso Cossutta è stato a suo modo un’espressione organica della storia del movimento operaio.

Se. Fe.

venerdì 11 dicembre 2015

Per una soluzione anticapitalista della crisi bancaria



Il salvataggio di quattro banche (Popolare Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti) per mano di un decreto del governo ha riproposto clamorosamente la questione bancaria in Italia.

130.000 risparmiatori lamentano l'esproprio delle proprie ricchezze. L'ABI lamenta gli oneri pagati dalle grandi banche per salvare le piccole, protestando presso Bankitalia. Bankitalia lamenta la preclusione opposta dalla UE al salvataggio delle banche con fondo pubblico. La UE dichiara che la scelta è stata delle “autorità italiane”. Le “autorità italiane”, ossia il governo Renzi, rivendicano la riduzione del danno e il salvataggio dei correntisti, lamentando tuttavia le “rigidità della UE”.
Questa giostra dello scaricabarile lascia sul terreno un solo dato certo: la realtà criminale del capitalismo e la complicità di tutti i suoi gestori.


LA REALTÀ CRIMINALE DEL CAPITALE

È accaduto qualcosa di molto semplice. La crisi capitalista ha pesato sulle banche italiane, creando una massa di 130 miliardi di crediti “deteriorati”, cioè di soldi che non torneranno indietro. Le banche hanno cercato di liberarsi di questa zavorra in mille modi: licenziando i propri dipendenti, chiudendo sportelli e filiali, appesantendo commissioni e mutui, ma anche piazzando titoli e obbligazioni spazzatura presso la propria clientela (propri dipendenti inclusi), col metodo ordinario della truffa. Bankitalia e Consob, le cosiddette strutture della “vigilanza”, hanno coperto l'operazione truffaldina. Ma l'operazione è spesso fallita, in particolare nel caso di diverse banche locali. È il caso delle quattro banche in questione (tosco-emiliane, marchigiane, abruzzesi), ma anche di importantissime banche venete. A questo punto subentra il “salvataggio” delle banche fallite, sotto l'egida del governo, attraverso due leve tra loro combinate. Da un lato interviene il soccorso delle banche maggiori che iniettano 3,6 miliardi nella ricapitalizzazione delle banche fallite, dopo aver ottenuto una adeguata compensazione fiscale dal governo (riduzione dei contributi dovuti, a tutto danno dell'erario pubblico). Dall'altro lato si azzerano due miliardi e mezzo dei piccoli azionisti e creditori delle banche, prima truffati dai banchieri e poi chiamati a risanare il loro crack coi propri fondi. Il risultato è la “salvezza delle banche”, con vanto e gloria del governo Renzi. In realtà si è coperta la loro rapina, usando il portafoglio delle sue vittime.


LA SVOLTA EUROPEA NEI SALVATAGGI BANCARI

Il caso delle quattro banche minaccia di andare ben al di là di un episodio di cronaca. Anticipa e fotografa con cruda efficacia la nuova normativa sui fallimenti bancari concordata tra i governi capitalisti in sede UE, e che entrerà in vigore dal 1 gennaio 2016. I salvataggi delle banche fallite con soldi pubblici non saranno più consentiti. Le banche fallite saranno “salvate” dalle ricchezze dei propri azionisti e correntisti (dai depositi superiori ai 100.000 euro). È una delle forme di tutela del Fiscal Compact. Questo rappresenta una minaccia per centinaia di migliaia di piccoli risparmiatori, soprattutto a fronte delle fragilità del capitale bancario in Italia. Negli anni della grande crisi, i principali governi capitalistici europei hanno salvato le proprie banche con una pioggia gigantesca di risorse pubbliche (altro che liberismo!), a carico dei contribuenti (principalmente i lavoratori) e delle prestazioni sociali. Il capitalismo italiano, già gravato da un abnorme debito pubblico, non ha potuto fare altrettanto. Oggi il carico di una crisi bancaria irrisolta si manifesta in tutta la propria ampiezza proprio nel momento in cui si chiude giuridicamente lo spazio del soccorso pubblico. Da qui la minaccia incombente su significativi settori di piccola borghesia e di popolo risparmiatore.


I CIARLATANI BORGHESI NON SANNO CHE PESCI PRENDERE

Ma qual è la possibile soluzione alternativa?
I partiti di governo del capitalismo non sanno che pesci prendere. Ed è spassoso constatare che i più severi fustigatori degli “eccessi e sprechi della spesa pubblica” (quando si tratta di pensioni, sanità, scuola, contratti pubblici) si riscoprono improvvisamente nostalgici delle statalismo quando si tratta del soccorso pubblico alle banche. «La Merkel ha speso 247 miliardi a sostegno delle proprie banche, i precedenti governi italiani hanno preferito non intervenire, e ora la situazione è questa» ha testualmente dichiarato il capo del governo al Corriere della Sera (6 dicembre). «La Germania ha soccorso le proprie banche con risorse pubbliche, perché non dovrebbe essere possibile un intervento analogo per salvare Banco Veneto e la Banca Popolare di Vicenza?» dichiara Luca Zaia, governatore leghista del Veneto, sulle compiacenti pagine di Libero (8 dicembre). I partiti borghesi di governo e di opposizione sognano la possibilità di scaricare sul portafoglio dei lavoratori il salvataggio congiunto dei banchieri e dei piccoli risparmiatori loro elettori. Ma non potendo salvare entrambi salvano i banchieri e il loro sistema, sempre a carico dei lavoratori (esenzioni fiscali per le banche soccorritrici), con qualche salvagente “umanitario” (bucato) per una piccola minoranza di risparmiatori truffati.
Il M5S che strilla contro il governo non va oltre la rivendicazione della liberazione delle banche “dai politici” e la richiesta di una “vera vigilanza di Bankitalia”: riproponendo l'eterna illusione piccolo-borghese in un possibile capitalismo etico e sano; in realtà cercando di organizzare la piccola borghesia contro il PD per farne sgabello del proprio progetto reazionario e plebiscitario contro il lavoro.
Quanto alle sinistre riformiste, interamente impegnate nella tela di Penelope della propria unificazione alla vigilia delle elezioni amministrative, è troppo attendersi una qualsivoglia proposta alternativa al ricettario delle “soluzioni” borghesi. La bussola strategica di un nuovo centrosinistra la esclude pregiudizialmente dal loro orizzonte.


LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE BANCHE: UNICA SOLUZIONE A VANTAGGIO DEI LAVORATORI E DEL PICCOLO RISPARMIO

La verità è che l'unica soluzione alternativa seria della crisi bancaria italiana passa più che mai attraverso drastiche misure anticapitaliste. Ogni salvataggio delle banche nell'attuale economia di mercato comporta il sacrificio, comunque distribuito, di lavoratori e piccoli risparmiatori. Cioè delle vittime della rapina bancaria. Solo la nazionalizzazione delle banche, senza indennizzo per i grandi azionisti, e sotto il controllo dei lavoratori; solo la concentrazione delle banche in una unica banca pubblica, possono spezzare alla radice la dittatura del capitale finanziario, a tutela dei lavoratori e dello stesso piccolo risparmio.

Il PCL è l'unico partito della sinistra che dagli anni della grande crisi ha fatto della rivendicazione della nazionalizzazione delle banche un asse centrale della propria proposta. Perché è l'unico partito a battersi per un governo dei lavoratori, basato sulla loro organizzazione e la loro forza. Lo svolgimento della crisi bancaria in Italia ripropone in tutta la sua attualità questa rivendicazione fondamentale.

Partito Comunista dei Lavoratori

giovedì 3 dicembre 2015

Manifestazione in occasione dell'anniversario della strage di Piazza Fontana

Sabato, 12 Dicembre 2015 alle ore 15,30 - Porta Venezia Milano

Il Pcl promuove unitamente al Coordinamento delle forze 
antifasciste la manifestazione in occasione della ricorrenza 
della strage di piazza Fontana ed invita tutti i militanti e 
simpatizzanti a parteciparvi.

mercoledì 2 dicembre 2015

COP21: LA CONFERENZA MONDIALE DELL’ IPOCRISIA CAPITALISTA



Domenica 29 Novembre a Parigi in Piazza della Repubblica il governo Hollande ha dato ordine di reprimere e spazzare via ogni dissenso alla grande farsesca rappresentazione delle potenze mondiali in difesa del clima (COP21). In nome della “finta” sicurezza per tutta la giornata si sonno succedute cariche e centinaia di arresti. Le mobilitazioni sostenute in particolare dalle organizzazioni di sinistra, tra le quali NPA e Alternative Libertaire, hanno cercato di portare un forte segnale di lotta anticapitalista al grande processo di restaurazione mondiale dove il clima fa da cornice teatrale.
Il messaggio che questa conferenza vuole imporre al consenso universale sarebbe quello che il capitalismo è l’ unico mezzo e l’ unico percorso possibile per fermare la catastrofe ambientale che esso stesso ha generato e che sta perseguendo. La causa diventa anche la mitologica e falsa soluzione.
Un recente studio della banca mondiale è sfacciatamente agghiacciante nella sua stessa crudezza. Il senso è questo: è improrogabile gestire l'impatto del cambiamento climatico sulla povertà, dove sono a rischio le comunità più povere del mondo. Secondo questo rapporto, se non si interviene subito in un supporto alla difesa ambientale sul controllo climatico più di 100 milioni di esseri umani saranno gettati dal benessere alla povertà estrema entro il 2030 e le comunità oggi più povere verranno cancellate per sempre. Si parla di grandi numeri che sfiorano il miliardo di persone.
Questo studio arriva in sintonia con un piano dell’ ONU in 17 punti tanto propagandato anche dai maggiori media vicini agli interessi dei principali colossi finanziari prima dell’ apertura dei lavori del COP21 di Parigi. Il primo degli obiettivi di sviluppo concordati dalle Nazioni Unite è quello di "porre fine alla povertà in tutte le sue forme in tutto il mondo".
La tappa intermedia nell'ambito del presente obiettivo è quello di dimezzare il numero di persone che vivono in condizioni di povertà e sradicare la povertà più estrema entro il 2030.
Il termine di estrema povertà è definito per quegli individui che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno. Attualmente è stimato 1 miliardo di persone in questa categoria.

Il messaggio tanto strombazzato dalla Banca Mondiale è questo: se continuiamo sul nostro attuale percorso di riscaldamento rapido e la conseguente disuguaglianza crescente gli obiettivi di ambiziosi come quello indicato saranno impossibili da raggiungere.
La realtà è molto peggiore di quella descritta.
L’ impatto più grave verrà attraverso la picchiata dei rendimenti in agricoltura. Secondo studi macroeconomici i raccolti potrebbero diminuire a livello mondiale fino al 5% entro il 2030 e 30% entro il 2080.
Il calo dei rendimenti hanno la conseguenza di generare un rapido aumento dei prezzi dei prodotti alimentari che, (nel 2008 avevano spinto spinto tra l’ altro circa 100 milioni di persone nella povertà più nera). Un altro studio citato nella relazione della Banca Mondiale rivela che in molte parti dell'Africa e dell'Asia l’ adeguamento dei prezzi legati al clima potrebbe aumentare i tassi di povertà per le famiglie non agricole del 20-50%. Questa situazione sarà aggravata Questa fosca previsione aggravata dall'impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi.
Il rapporto non tenta lo stesso tipo di quantificazione degli effetti in questo settore, e non è preso in considerazione in cifre importanti sulla povertà. Tuttavia, si osserva che l'impatto potrebbe essere catastrofico per le piccole nazioni insulari o le zone costiere a livello delle acque oceaniche che saranno rese completamente inabitabili a più lungo termine.
La crescente frequenza di eventi meteorologici estremi e le catastrofi naturali come la siccità, inondazioni e incendi è un altro ambito di fortissima preoccupazione. La relazione sottolinea che in lo scenario di alte temperature al suolo (l'ondata di caldo in Europa nel 2003 stima che abbia ucciso più di 70.000 persone) sarà costante fino alla fine del XXI secolo .

Secondo il rapporto, il numero di giorni di siccità potrebbe aumentare di oltre il 20% nella maggior parte del mondo entro il 2080. Ci sono poi le possibili devastanti inondazioni con il numero di persone esposte in aumento fino al 15% entro il 2030 e 29% entro il 2080.

L'ultimo aspetto preso in esame nella relazione è la salute. Le malattie che colpiscono in modo sproporzionato le comunità più povere, come la malaria e la diarrea, dovrebbero aumentare con il riscaldamento globale . Secondo il rapporto, l’ aumento di 2 ° C o 3 ° C potrebbe accrescere il numero di persone a rischio per la malaria del 5% che in termini assoluti sarebbero150 milioni di persone".
I morti per l'inquinamento sono in decisa crescita. Il rapporto cita uno studio che dimostra che il cambiamento climatico potrebbe causare in un solo anno 100.000 morti premature associate all'esposizione alle micro particelle e morti premature associati all'esposizione all'ozono in più di 6000.
Inoltre le deforestazioni in nome del profitto come per le immense aree dell’ Indonesia depredate per la produzione dell’ olio di palma o dell’ Amazzonia destinate all’ allevamento di bestiame, le intere aree nordamericane devastate dalla produzione dello Shale gas sono solo la punta dell’ iceberg della rapida diminuzione del polmone di ossigeno delle grandi foreste.

Questo è il futuro ci aspetta in un mondo di rischi ambientali e il riscaldamento globale.
I paesi più ricchi quelli appunto le cui attività economiche hanno contribuito di più al cambiamento climatico saranno in grado di scongiurare gli effetti peggiori. I paesi poveri già in precaria esistenza saranno sempre più minacciati: le catastrofi naturali, fame e malattie diventeranno la normalità da cui ci sono poche possibilità di uscita.
La Banca Mondiale indica ai governi di trovare rapidamente soluzioni per costruire strutture di sostegno, infrastrutture, sanità, benessere e quant’altro possa aiutare le comunità povere ad adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici . Accanto a questo, si sostengono misure, quali gli investimenti nelle energie rinnovabili e dei trasporti pubblici, che possono aiutare a raggiungere l'obiettivo di limitare il riscaldamento a lungo termine tra 2 e 3 gradi Celsius.
Obbiettivi assolutamente logici ma decisamente falsi perché di fronte alla crisi climatica ed ambientale il sistema capitalistico non arretrerà di un centimetro per limitare il profitto delle imprese, delle multinazionali, le sue bolle speculative e gli immensi paradisi fiscali.
Perché la richiesta di andare verso un sistema energetico fatto di energie rinnovabili è una pura chimera? La risposta la da la stessa Banca Mondiale quando palesa smentendo se stessa, che tutti questi investimenti, risorse e progetti sono più convenienti se utilizzati nelle comunità e nei paesi più ricchi piuttosto che in quelli poveri e lasciando quindi questi ultimi al loro destino.
Questo è il cuore del problema. Il capitalismo è centrato sul profitto e quindi la sua priorità si dirige dove questo è più alto, più rapido e più replicabile. Le potenze economiche continueranno a seguire gli stessi percorsi senza avere nessun riguardo verso l’ ambiente e la salvaguardia delle popolazioni più povere e del loro territorio. L’ analisi della banca mondiale però può fornire qualche informazione sulle minacce economiche che il cambiamento climatico rappresenta per il mondo più povero.
Ma le prescrizioni “bancarie” contenute nella relazione, come la costruzione di nuove infrastrutture per la mobilitazione di risorse private coinvolge implicitamente i soliti attori con i soliti metodi: neocolonialismo, guerre e territori depredati.
Hollande, Obama e perfino reazionari come Erdogan riciclano la loro immagine a Parigi diventando improvvisamente paladini dei poveri. La grande farsa sta proprio in questa grottesca immagine.
Solo il cambiamento del modello di società in senso socialista può fermare la barbarie e raggiungere l’ equilibrio tra i bisogni umani e l’ambiente. Solo l’ abbattimento del capitalismo e del dominio della classe borghese può salvarci dalla catastrofe.
(Quel che ora si deve fare è di dirigere con piena coscienza tutta la forza del proletariato contro le principali fortezze della società capitalistica. In basso, dove ciascun imprenditore ha di fronte a sé i suoi schiavi salariati, in basso dove tutti gli organi esecutivi del dominio politico di classe si trovano di fronte all'oggetto del loro dominio, alle masse, là dobbiamo passo passo strappare dalle mani dei nostri dominatori i loro strumenti di potere e porli nelle nostre mani.

Ruggero Rognoni