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domenica 28 giugno 2020

VERTENZA ALLA LOGISTICA GDN - SONO A RISCHIO VENTI POSTI DI LAVORO - LO SCIOPERO PROSEGUE

Fonte: La Provincia Pavese - Oliviero Maggi

Si preannuncia un'estate “calda” sul fronte delle logistiche oltrepadane. Dopo l'annuncio della chiusura, a fine anno, del magazzino di Zalando a Stradella, è scoppiato il caso della logistica Gdn di San Cipriano Po PV, dove dal primo luglio scatteranno venti licenziamenti tra gli 80 lavoratori della struttura.MobilitatiDopo lo sciopero, indetto venerdì mattina dalla Filt Cgil di Pavia, ieri è proseguito lo stato di agitazione e i lavoratori saranno ancora domani davanti ai cancelli dell'azienda per protestare contro la decisione; a loro si sono affiancati i colleghi della Gdn di Stradella , che operano nelle stesse condizioni, per sostenere la rivendicazione. «Abbiamo assistito all'ennesimo attacco alla dignità dei lavoratori - affermano Debora Roversi e Sergio Antonini, segretari generali di Cgil Pavia e Filt Cgil Pavia -.
"Da tempo chiediamo che gli 80 lavoratori della Mag Service Società cooperativa, che opera presso la Gdn di San Cipriano Po, vengano confermati sull'appalto e che, per le caratteristiche dell'attività svolta, venga applicato loro un contratto collettivo nazionale di lavoro che assicuri qualificazione del lavoro, tutela e giusta retribuzione. Ma la decisione dell'azienda di licenziare 20 degli 80 lavoratori e di riassumere 50 dei 60 lavoratori che resteranno sull'appalto, a tempo determinato ed attraverso un contratto in somministrazione, ci ha portato ad interrompere la trattativa e a dichiarare l'apertura dello stato di agitazione, pronti a mettere in campo tutti gli strumenti che si renderanno necessari al fine di rivendicare i diritti e la dignità dei lavoratori".

Ma la Cgil è impegnata anche sul fronte di Zalando: il 9 luglio ci sarà un nuovo incontro tra il sindacato e i partner dell'azienda, Fiege e Ucsa, per capire quanti sono i lavoratori disposti a trasferirsi nel nuovo magazzino di Verona e quanti quelli disposti ad essere ricollocati negli altri impianti della cooperativa Ucsa tra Milanese, Lodigiano e la provincia di Piacenza; domani, inoltre, Fiege inizierà i colloqui con i lavoratori pronti al trasferimento per la firma del contratto in modo che da metà luglio siano operativi a Verona.

venerdì 26 giugno 2020

DA MINNEAPOLIS A MILANO, CONTRO RAZZISMO E VIOLENZA DI STATO!

MILANO- Presidio unitario presso il consolato USA di Piazza Stati Uniti d'America, a sostegno di Black Lives Matters e della mobilitazione in corso in America Intervento del compagno Franco Grisolia - Partito Comunista dei Lavoratori

 

giovedì 25 giugno 2020

LE MOBILITAZIONI IN USA E NEL MONDO CONTRO IL RAZZISMO E IL CAPITALISMO

L’omicidio di George Floyd a Minneapolis il 25 maggio è stato l’innesco di una situazione esplosiva che covava da tempo. Le diseguaglianze di classe e razziali, la corruzione, i diritti democratici affossati in molti stati in USA sotto forma di violenta repressione poliziesca e le conseguenze contro i più deboli della pandemia, sono stati la spinta per enormi mobilitazioni di massa in tutto il paese portate avanti con una determinazione che non si era vista nemmeno nelle proteste degli anni '60 e '70. In centinaia di metropoli e centri urbani la risposta contro il governo dello stato capitalista più potente al mondo, gli Stati Uniti, non si ferma da quel giorno. Le settimane di mobilitazioni hanno iniziato a rompere la diga messa come argine dal sistema per impedire che le proteste in difesa degli elementari diritti democratici, si legasse ad una sollevazione sociale anticapitalista. Nei primi giorni, la risposta poliziesca è stata pesantissima. L’uso sistematico della violenza militarizzata della Guardia Nazionale, l’uso di nuove armi anti sommossa contro le manifestazioni di massa anche pacifiche, la minaccia di utilizzare l’esercito, l’utilizzo della sigla ANTIFA come capro espiatorio, hanno gettato altra benzina sul fuoco. Da una parte la sovraesposizione mediatica dei momenti di rabbia della gioventù afroamericana emarginata contro i negozi e supermarket da parte dei mezzi di informazione, e l’inserimento delle provocazioni delle organizzazioni dell’ultra destra dall’altra, non hanno impedito che questa ondata di mobilitazioni si fermasse. Le parole della portavoce di BLACK IS MATTER Tamika Mallory “…enough is enough – quando è troppo è troppo” o slogan come “No justice no peace” utilizzato già nel 1986 quando il giovane afroamericano Michael Griffith venne massacrato a New York da razzisti bianchi sono stati la colonna sonora in ogni corteo. Persino all’interno del Partito democratico si sono alzate voci inneggianti la repressione e il possibile uso dell’esercito contro le mobilitazioni di massa. Ma ben presto l’atteggiamento è parzialmente cambiato. Con le proteste che invece di placarsi si infiammavano in tutti gli stati e nelle metropoli come New York, Los Angeles, Detroit, Chicago, le autorità, alti gradi militari e lo stesso Pentagono hanno per ora scaricato limitatamente le polizie locali promettendo riforme, limitazioni dei budget e dell’uso della forza.

Questa rivolta negli USA è un segnale di una nuova fase storica e non è solo la rabbia nera verso secoli di omicidi razzisti o di poliziotti impuniti per l'assassinio di afroamericani disarmati. È l’espressione della sofferenza sociale di di intere comunità e delle enormi differenze sociali tra ricchi e poveri, di una classe media sempre più in via di proletarizzazione, di decine di milioni di disoccupati, dello sfruttamento capitalistico sempre più pianificato scientificamente dei lavoratori, della disperazione delle popolazioni rurali e native per i territori depredati e desertificati dall’estrazione di fonti energetiche fossili, e infine del dolore e della rabbia per l’emergenza Covid 19 che ha salvaguardato solo la classe dominante. È il segnale di una coscienza di classe che si sta risvegliando lentamente dal suo torpore. È la sempre maggiore consapevolezza che il sogno di un nuovo modello di società, il famoso “sogno” di Martin Luther King può essere raggiunto solo attraverso la lotta di classe.

Questo si è visto molto bene in diverse situazioni dove i lavoratori si sono uniti alle parole d’ordine di BLM condividendo enormi mobilitazioni di massa. Lo sciopero generale del 12 Giugno a Seattle ha visto la partecipazione di studenti e lavoratori con una marcia di protesta di almeno 60.000 persone, nella quale le rivendicazioni anticapitaliste erano chiarissime, come quelle per la difesa di posti di lavoro in tutta l’area industriale e la pesante realtà della disoccupazione.

Anche lo sciopero generale lanciato in diversi stati per il Juneteenth - 19 Giugno storica data dell’abolizione della schiavitù ha avuto una riuscita sbalorditiva. Uno dei maggiori scioperi del Juneteenth è stato indetto dall'International Longshore and Warehouse Union (ILWU), che ha bloccato il lavoro per otto ore in tutti i 29 porti lungo la costa occidentale degli Stati Uniti. Come tutti gli scioperi generali indetti da BLM, coinvolgono i lavoratori di qualsiasi etnia. Dopo 4 settimane di proteste ininterrotte. il 19 Giugno sono scese in piazza in centinaia di migliaia di persone ad Atlanta ed a Oakland, in California, unendo nella lotta la “West and East cost” degli Stati Uniti.


LOTTA DI CLASSE AL RAZZISMO E INTERNAZIONALISMO

Le battaglie negli Stati Uniti contro il razzismo hanno avuto l’appoggio e la solidarietà dei rivoluzionari di tutto il mondo. Le proteste che stanno avvenendo al di fuori degli Stati Uniti dall'Europa all'Australia, dal Giappone all'Africa, dal Messico al Brasile hanno unito le proteste contro l'uccisione di George Floyd alle risposte contro la brutalità razzista delle polizie locali verso le popolazioni native, verso i migranti e verso le minoranze etniche e religiose come in Brasile ed Australia. In Australia, in particolare, enormi marce di protesta hanno attraversato tutto il continente da Perth a Wollongong, da Sydney a Melbourne e in migliaia hanno legato la lotta americana con la difesa dei diritti della popolazione nativa aborigena, ricordando le sofferenze del post-colonialismo britannico e le discriminazioni contro il popolo LGBT. In Australia, la brutalità della polizia e del sistema giudiziario assume forme diverse rispetto agli Stati Uniti, forme che non possono essere facilmente documentate. Ma la violenza è evidente nelle ferite sui loro corpi e nelle loro anime, nelle storie di vita degli aborigeni. "Black Lives Matter" è diventato quindi un richiamo radicale per gli aborigeni e gli abitanti delle isole dello Stretto di Torres e in tutto il paese, ma non è una novità. La novità di queste proteste è quella di molti lavoratori australiani bianchi che hanno deciso di unirsi ai nativi per richiamare l'attenzione su tutta questa violenza. In Europa, l’appello di Black Lives Matter ha percorso con manifestazioni enormi tutte le principali capitali, in particolare Berlino, Londra e Parigi.

I rivoluzionari sanno che la lotta per la democrazia e per la difesa dei diritti marciano insieme con la lotta di classe. Le parole di Malcom X sono chiarissime: “non esiste il capitalismo senza il razzismo”. La lotta contro la violenza degli stati capitalistici e il razzismo possono avere successo solo con un profondo progetto e programma rivoluzionario. I rivoluzionari si stanno battendo contro il capitalismo sempre più in crisi che sta distruggendo il pianeta, discrimina gli esseri umani per genere, razza, orientamento sessuale e identità, che ci sfrutta, e il cui suo unico obiettivo è l'aumento permanente del profitto a scapito delle nostre vite e dei nostri corpi.

Il Partito Comunista dei Lavoratori in queste settimane, in una logica di fronte unico, è impegnato in iniziative di difesa dei lavoratori immigrati, di denuncia della loro condizione e di condanna delle violenze subite, per unire le proprie ragioni con le ragioni della mobilitazione in corso negli USA e nel mondo.


Ruggero Rognoni

IN PIAZZA PER GARANTIRE IL DIRITTO ALLO STUDIO PER TUTTI



Tutti in piazza contro il Governo. 

Migliaia di genitori, insegnanti e studenti  si preparano a scendere in piazza. Da Torino a Palermo, passando per Milano, Genova, Bologna, Firenze, Roma e Napoli: in sessanta città d’Italia, giovedì 25 giugno alle 18, il mondo della scuola si ribella. Pronto a chiedere un rientro sui banchi a settembre in completa sicurezza, senza la didattica a distanza, senza i turni tra gli studenti costretti a stare metà in classe e metà a casa per mancanza di spazi, senza le ore di lezione ridotte a 40 minuti.

A chiamare a raccolta le famiglie di tutta Italia per scendere tutti in piazza è il comitato “PRIORITÀ ALLA SCUOLA” che in pochi mesi, è riuscito a raccogliere migliaia di adesioni.

Il comitato, che vedrà al suo fianco in piazza 48 organizzazioni nazionali e decine di associazioni tra cui Cobas Scuola, Flc Cgil, collettivi studenteschi, docenti precari, Non Una di Meno e universitari, chiede lo stanziamento di fondi extra, un numero adeguato di insegnanti e personale Ata, più spazi per gli istituti, investimenti strutturali per l’edilizia e protocolli di prevenzione sanitaria. Ma non solo, ribadisce un sonoro “no” alla riduzione del tempo scuola, alle lezioni da 40 minuti anziché 60, alla prosecuzione della didattica a distanza e all’esternalizzazione di servizi educativi per completare il tempo scuola.

Infatti quanto delineato dal ministero porterà a una scuola classista, dove aumenteranno le diseguaglianze e dove andranno avanti solo i figli di chi potrà permettersi insegnanti privati a casa per le lezioni di recupero.

Le città

Ecco le sessanta città nelle quali i genitori andranno in piazza: Firenze, Roma, Milano, Faenza, Trento, Ravenna, Genova, Reggio Emilia, Pisa, Livorno, Pontedera, Perugia, Cremona, Lucca, Ancona – Civitanova Marche, Parma, Vicenza, Arezzo, Pistoia, Torino, Padova, Ferrara, Napoli, Collegno (Torino), Vercelli, Brescia, Verona, Prato, Matera, Taranto, Aosta, Bologna, Forlì, Sassari, Sanremo, Potenza, Torre Pellice (Torino), Imola, Palermo, Terni, Cuneo, Cesena, Cosenza, Mantova, Caserta (in piazza venerdì), Benevento, Massa Carrara, Modena, Mondoví (Cuneo), Aci Castello (Catania), Pescara, Catania, Siracusa, Sacile (Pordenone), Salerno, Varese, Pavia, La Spezia.

domenica 21 giugno 2020

DA MINNEAPOLIS A MILANO, CONTRO RAZZISMO E VIOLENZA DI STATO!

Gli avvenimenti in corso negli Usa, con le imponenti manifestazioni che si susseguono oramai da tre settimane nei diversi stati segnano lo sviluppo di un imponente movimento antirazzista contro le violenze della polizia e il retroterra sociale e culturale che le alimenta, mette al centro dell’attenzione di tutta l’opinione pubblica mondiale un possibile cambio epocale.

Il movimento postosi come propulsore di questa mobilitazione ormai mondiale i “Black Lives Matters" oltre a rivendicare bisogni di uguaglianza e democrazia, mette al centro le ragioni sociali degli sfruttati, chiama in causa l'ipocrisia del principale imperialismo oggi esistente al mondo. La politica di potenza, in questi anni interpretata dalla Presidenza Trump  nei confronti di altre nazioni e popoli oppressi è la replica delle politiche di aggressione verso lo stesso popolo americano; manifestato nel suo volto poliziesco sia nei confronti dei lavoratori che dei giovani americani, in particolare della popolazione nera, ispanica, asiatica con  modalità razziste e fasciste.

Perché il movimento “Black Lives Matters” trova consenso anche da noi, nella Unione Europea? Perché milioni di lavoratori e lavoratrici immigrati ogni giorno sperimentano sulla propria pelle la violenza oppressiva del sistema capitalista e il suo profilo razzista.
Le leggi discriminatorie nel nome della “sicurezza”, super sfruttamento, caporalato, soprusi e angherie quotidiane, violenze omicide della malavita, repressione poliziesca delle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici immigrati/e.  Una realtà difesa, in forme diverse, da tutti i diversi governi della U.E..

Non a caso, in diversi paesi ( Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia) le manifestazioni di solidarietà con il Black Lives Matters chiamano sul banco degli imputati le violenze di casa propria , la tradizione imperialista e coloniale in cui affondano le proprie radici, le statue che la simboleggiano, contro ogni forma di nazionalismo e sciovinismo.

Mobilitiamoci perché anche in Italia si sviluppi un movimento analogo a quello che si va dispiegando in USA e in altri paesi capitalisti, capace di unire la battaglia contro il razzismo alla battaglia dei lavoratori e delle lavoratrici contro lo sfruttamento, contro le politiche di privatizzazione, il capitalismo, contro ogni discriminazione e violenza poliziesca, che sia nelle strade di Minneapolis o nelle campagne del nostro sud, nelle metropolitane milanesi contro i Riders, nei CPR , nell’ esecuzione degli sfratti in ogni città del nostro Paese,  Milano compresa, o nei magazzini della Logistica.

MILANO - MERCOLEDÌ 24 GIUGNO h 18.00

Presidio unitario presso il consolato USA di Piazza Stati Uniti d'America, a sostegno di Black Lives Matters e della mobilitazione in corso in America.

Aderiscono:
FRONTE POPOLARE                                                                   
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
PARTITO COMUNISTA ITALIANO
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
POTERE AL POPOLO
SINISTRA ANTICAPITALISTA
CONFEDERAZIONE UNITARIA di BASE Milano



giovedì 18 giugno 2020

VIOLENTO ARRESTO DI UN’INFERMIERA IN CAMICE BIANCO DURANTE LA MANIFESTAZIONE DEI SANITARI A PARIGI.

E’ polemica in Francia per il violento arresto di un’infermiera in camice bianco durante la manifestazione dei sanitari a Parigi. Un video, visto già oltre due milioni di volte sui social, mostra poliziotti in assetto antisommossa che tengono la donna bloccata a terra e poi la trascinano con violenza. Una scena che fa discutere, dopo che, sull’onda del caso George Floyd negli Stati Uniti, la polizia francese è recentemente tornata sotto accusa per comportamenti violenti. “Questa donna è mia madre – ha poi twittato la figlia – ha 50 anni, è infermiera, per tre mesi ha lavorato fra le 12 e le 14 ore al giorno. Ha avuto il covid. Manifestava perché rivalutino il suo salario, perché riconoscano il suo lavoro. E’ asmatica. Aveva il camice. E’ alta 1,55 metri”.”

 

LA DEMOCRAZIA DI CARLO BONOMI

Confindustria va all'attacco ma chiede alla CGIL di disarmare le resistenze



In Italia occorre «una democrazia negoziale costruita e radicata su una grande alleanza pubblico-privato su cui il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale, ma con cui esso dialoga incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell'impresa, del lavoro, delle professioni, del terzo settore, della ricerca e della cultura. [...] una solida cornice di impegni decennali.» (Carlo Bonomi, Il Sole 24 Ore, 17 giugno)

Questo concetto della democrazia negoziale è la cifra della nuova politica di Confindustria. A Bonomi non basta la democrazia borghese tradizionale, quella per cui il parlamento “democraticamente eletto” (con leggi elettorali più o meno truffaldine, coi mezzi di informazione in mano ai capitalisti, coi mille strumenti di condizionamento e controllo della classe lavoratrice, dalle burocrazie sindacali al clero sino ai partiti borghesi, che son tutti sul libro paga dei padroni, come rivelano i loro stessi bilanci) esprime a sua volta il governo quale comitato d'affari della borghesia. No, Bonomi non si accontenta di soluzioni ordinarie. Vuole tenere il governo borghese sotto pressione, sottoporlo alla propria vigilanza, costringerlo a un rapporto vincolante e quotidiano con le richieste di Confindustria. Cui non basta un proprio governo, vuole anche dettargli direttamente il passo, i tempi, la direzione di marcia (gli «impegni decennali»), ben oltre i limiti della legislatura. In altri termini, vuole commissariare l'esecutivo. Quello di oggi e di domani.

Non è una petizione casuale. È in arrivo una massa gigantesca di risorse finanziarie di provenienza europea che Confindustria vuole intascare. Ma soprattutto avanza la più grande crisi del dopoguerra che scuote il capitalismo italiano come nessun altro in Europa. E Confindustria chiede infatti misure di guerra.

Confindustria chiede un impegno decennale nella riduzione del debito pubblico (gonfiato dai trasferimenti alle imprese, dalle garanzie statali sui crediti alle imprese, dai continui tagli di tasse ai capitalisti, oltre che dalla profonda recessione), e per questo denuncia una spesa sociale troppo sbilanciata sulla spesa previdenziale. Colpire la spesa per le pensioni è dunque il primo impegno decennale che Confindustria chiede al governo; la condizione per incassare la fiducia di banche e assicurazioni che investono sui titoli pubblici, tenere bassi gli interessi, ottenere finanziamenti a buon mercato.
Confindustria chiede l'abbattimento del costo del lavoro: taglio del cuneo fiscale a vantaggio delle imprese, e a carico della fiscalità generale (dunque dei lavoratori); cancellazione definitiva delle causali sui contratti a termine, visti da ora in poi come unica vera forma contrattuale e la via più agile per i licenziamenti; taglio delle ferie in agosto e massima flessibilità degli orari per recuperare produttività, ordini e commesse; distruzione annunciata di un milione e mezzo di posti di lavoro (secondo cifre confindustriali); ammortizzatori a più basso costo (“basta finanziamenti a pioggia” a sostegno del reddito) per liberare altri miliardi a favore dei profitti. Perché la pioggia di miliardi è produttiva se ingrassa i capitalisti, è assistenziale se sorregge i disoccupati, tra i quali i licenziati dai capitalisti. Questo è il secondo impegno decennale.

Ma Confindustria non si avventura da sola su questa linea d'attacco. Non segue la linea Marchionne del 2010-2011, quella dello scontro frontale con la FIOM e la CGIL. Al contrario. Prova a coinvolgere la CGIL nella «democrazia negoziale», ad assorbirla nella «solida cornice di impegni decennali»: Bonomi offre a Landini un posto al tavolo della concertazione, in cambio della sua funzione di ammortizzatore e controllore delle possibili resistenze della classe al programma confindustriale. “Non è il momento del conflitto, è il momento della mediazione sociale” ha replicato prontamente Landini, mostrando di aver colto e raccolto il segnale. La direzione è chiara: l'emergenza della grande crisi sospinge l'unità nazionale tra padroni e burocrazie, dove i padroni guidano e i burocrati seguono. Come sempre.

Rompere il patto sociale in gestazione, unire l'azione delle forze d'avanguardia attorno a una piattaforma indipendente, portare la piattaforma di lotta tra le masse per costruire un grande fronte unico di mobilitazione e resistenza, costruire nella lotta una direzione alternativa del movimento operaio e sindacale: sono i compiti dell'avanguardia di classe nella prova di forza che si prepara in autunno.

Partito Comunista dei Lavoratori

martedì 16 giugno 2020

RASSEGNA STAMPA – LA PROVINCIA PAVESE DEL 15 GIUNO 2020

Pavia Politica
FLOYD E LE COLPE DEL CAPITALISMO



La sezione di Pavia del Partito Comunista dei Lavoratori ha sostenuto l'iniziativa di ieri indetta dalla Rete Antifascista sul caso della morte di George Floyd, il 25 maggio scorso, per mano di un poliziotto, ennesimo atto di repressione nei confronti di un afroamericano, atto di razzismo istituzionale che si combina con il disagio sociale dovuto alla pandemia Covid-19.La retorica della sinistra borghese vuole farci credere che la polizia sia neutrale e che si tratti di "poche mele marce". Sappiamo che in realtà alcuni settori delle forze di polizia in America (e non solo) fraternizzano con gruppi di estrema destra e reprimono qualsiasi protesta, sciopero o manifestazione che metta in discussione il potere politico. Come marxisti sappiamo perfettamente che lo Stato non è un organismo neutro al di sopra delle parti sociali ma è il prodotto della società in un determinato periodo storico e rappresenta la classe dominante, è il "comitato d'affari" della borghesia. Come partito portiamo nell'ambito di questa mobilitazione una prospettiva anticapitalista, perché il razzismo si intreccia con lo sfruttamento e l'oppressione di classe: negli Stati Uniti questa è una peculiarità legata alla questione della segregazione razziale e prima ancora dello schiavismo. Il proletariato afroamericano è sempre stato represso e addomesticato per gli interessi del profitto. Non molto diversa è la situazione in altri paesi del mondo. In Italia, ad esempio, una buona parte della manodopera straniera viene impiegata nei lavori stagionali agricoli e in settori come la logistica, dove lo sfruttamento oltrepassa spesso i limiti di legge. Si vergognino coloro che si sono ipocritamente inginocchiati in Parlamento!

Francesco Anfossi
Elena Felicetti

Partito Comunista dei Lavoratori. sezione di Pavia




FORMAZIONE :INIZIATIVA DI FORMAZIONE INTERNA DEL PCL, TENUTASI IL 14 GIUGNO

Relazione del compagno Franco Grisolia sulla (tragica) natura dei "fronti popolari" nella storia del movimento operaio e comunista e la posizione dei marxisti rivoluzionari in merito a queste esperienze

 

giovedì 11 giugno 2020

LA MANCATA ZONA ROSSA AD ALZANO E NEMBRO

Comunicato del Partito Comunista dei Lavoratori sull’inchiesta per la mancata “zona rossa” ad Alzano e Nembro denunciata dallo stesso PCL il 9 aprile



Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime la propria soddisfazione per la scelta della procura di Bergamo di interrogare il Presidente del Consiglio e i ministri degli interni e della salute in merito alla mancata istituzione della "zona rossa" nei comuni di Alzano e Nembro. E non potrebbe essere altrimenti: è stato il PCL infatti, tramite il suo portavoce nazionale Marco Ferrando, a presentare per primo (alle procure di Bergamo, Brescia, Milano e Roma) denuncia contro il governo, nonché contro la Regione Lombardia e Confindustria. E lo ha fatto in tempi certamente non sospetti: il 9 aprile scorso, quando tutti facevano muro minimizzando ciò che accadeva e rimpallandosi le responsabilità. A cominciare dalla Lega di Salvini, che oggi sostiene «finalmente si fa giustizia», ma allora difendeva a spada tratta la politica delle fabbriche aperte a tutti i costi. I costi di migliaia di morti.

Nel nostro esposto abbiamo sottolineato come la mancata zona rossa non era frutto di un semplice “errore di valutazione” del rischio, ma era stata il risultato di un cinico calcolo economico: “costava troppo” chiudere una zona ad alta concentrazione industriale. Era la tesi di Confindustria Lombardia, e sia la Regione che il governo l’hanno fatta propria. Adesso assistiamo allo squallido palleggiamento di responsabilità su chi poteva e doveva decidere. Potevano e dovevano sia la Regione che il Governo. Ma hanno lasciato che, nei fatti, decidessero gli industriali. E il risultato sono stati i cortei dei camion militari pieni di bare.

Questo dimostra la vera natura di questo governo, che qualcuno si illude sia progressista. Pur sapendo che solo le mobilitazioni di massa di lavoratori e giovani – e un governo che riflette i loro interessi – possono cambiare le cose, ci auguriamo che tutti i responsabili di questo massacro ne rispondano davanti alla giustizia.

Partito Comunista dei Lavoratori

CONTRO OGNI AUTONOMIA, CONTRO OGNI PATTO SOCIALE: UN ANNO CRUCIALE

Intervento di Luca Scacchi al direttivo nazionale FLC del 10 giugno 2020



 

martedì 9 giugno 2020

GIÙ LE MANI DAI PRECARI DELLA SCUOLA



Nella giornata di sabato , alla Camera dei Deputati, si è discusso e votato il Decreto Scuola 22/2020 nonostante le polemiche e l'indignazione di decine di migliaia di insegnanti precari contro l'ostinazione della Ministra Azzolina e del Presidente Conte di continuare sulla strada di un concorso iniquo, parziale e divisivo.


BRICIOLE E FUMO NEGLI OCCHI

Il Decreto Rilancio, che ha riservato alla scuola la misera cifra di 1,5 miliardi di euro, cifra ridicola rispetto alle decine di miliardi di euro tagliati negli ultimi anni, ha aggiunto al concorso straordinario altri 8000 posti. La matematica non è un'opinione. Pur portando il concorso a 32000 cattedre, non garantirebbe l'assunzione nemmeno alla metà degli insegnanti che da anni coprono una cospicua parte delle migliaia di cattedre vuote. Queste ultime a settembre saranno oltre 200000. L'ostinazione dei governi che si sono sinora succeduti a non voler risolvere la problematica del precariato scolastico ci conferma che questo sia tenuto ad arte come un vero esercito di riserva per dividere i lavoratori della scuola dinnanzi ai costanti attacchi e tagli dei governi.


UNO SCIOPERO IN RITARDO

Il Partito Comunista dei Lavoratori anche in questa occasione è al fianco dei lavoratori e delle lavoratrici in lotta. Lo sciopero proclamato per la giornata di oggi, a decreto approvato, si dimostra tardivo e subordinato ai giochi parlamentari e senatoriali, soprattutto della maggioranza di governo. Un governo che, non dimentichiamolo, ha goduto dell'appoggio e della copertura delle burocrazie confederali sin dall'inizio anche per quanto riguarda la scuola. Non possiamo dimenticare che fino a poche settimane fa le dirigenze dei principali sindacati sono state le principali fautrici del concorso "straordinario". Sin dagli ultimi giorni di dicembre hanno propagandato a tamburo battente corsi di preparazione a questo concorso, rivendicando per bocca dei loro dirigenti la necessità di una selezione all'ingresso nel mondo della scuola. Non sono stati esenti da ciò gli apparati della FLC-CGIL, che nonostante la serrata opposizione dell'area Riconquistiamo Tutto, hanno perorato fino a poche settimane fa la causa del concorso, senza ascoltare il parere dei lavoratori e delle RSU, e convocando il Forum dei lavoratori precari soltanto meno di due settimane fa. Poi, d'un tratto, dichiarazioni contrarie al concorso e favorevoli all'assunzione dei docenti precari con almeno 36 mesi di servizio attraverso una graduatoria per titoli e servizi. La stessa proposta che ha portato migliaia di lavoratori e lavoratrici precarie della scuola in piazza in questi mesi attraverso mobilitazioni dal basso, non a caso boicottate e ignorate dalle burocrazie confederali. I fatti però hanno la testa dura, e non possiamo non pensare che questa "svolta", finora nell'ambito delle mere dichiarazioni, sia dettata dalla progressiva perdita di potere contrattuale e dalla paura di perdere quel briciolo di credibilità rimasta loro tra i precari della scuola, già seriamente compromessa dai due stati di agitazione proclamati, e interrotti da mere promesse e prese di tempo dei ministri Bussetti e Fioramonti.


LE RIVENDICAZIONI DEL PCL PER LA SCUOLA

Per risolvere il problema del precariato e contrastare l'oramai palese progetto di privatizzazione della scuola, portato avanti indistintamente dai governi di centrodestra e centrosinistra a favore di multinazionali e Chiesa (in una modalità estremamente simile a ciò che è stato fatto nel settore sanitario, con le conseguenze che l'epidemia di Covid-19 ci sta mostrando in tutta la sua drammaticità) e di attacco costante ai diritti delle sue lavoratrici e lavoratori, il Partito Comunista dei Lavoratori è presente nelle lotte della scuola con queste rivendicazioni:

- la stabilizzazione di tutti gli insegnanti della scuola.
Siamo per un piano di assunzioni che parta dalla trasformazione dell'organico di fatto in organico di diritto, e l'ingresso di tutti gli insegnanti con tre anni di servizio in un processo di formazione e stabilizzazione che non sia diviso, a differenza di come hanno sinora fatto i governi, con il risultato che migliaia di insegnanti abilitati sono ancora senza ruolo (basti pensare ai 2000 vincitori del concorso 2016 ed ai 5000 vincitori del concorso 2018, abilitati con le SSIS ed i PAS).

- un grande piano di lavori pubblici per la scuola.
È urgente provvedere al risanamento degli oltre 2400 siti scolastici nei quali è stata accertata la presenza di amianto, e alla messa in sicurezza di tutte le scuole i cui plessi non sono a norma di criteri antisismici. Si trovano in questa condizione ben 44.486 scuole pubbliche, su un totale di 50.804 censite.

- no al blocco per i neoassunti, sia esso quinquennale che triennale.
Ogni lavoratore deve avere il diritto di poter lavorare vicino alla propria famiglia. Con ciò condanniamo fermamente il progetto avanzato dal ministro Azzolina di deportare letteralmente, in cambio del ruolo, migliaia di docenti dalle regioni meridionali costringendoli per cinque anni a vivere in altre regioni o province.

- internalizzare tutti gli educatori.
Il settore delle cooperative sociali è una vera giungla dove migliaia di educatori, soprattutto giovani e donne, sono sfruttati con salari minimi. In queste settimane moltissimi sono gli educatori che, non potendo lavorare essendo chiuse le scuole ed i centri diurni, hanno assistito ad una forte riduzione del salario. Chiediamo l'assunzione di tutti gli educatori con lo stesso profilo negli enti locali.

- no ad ogni proposta di autonomia differenziata.
L'esempio dei docenti del Trentino-Alto Adige è a portata di mano. Alle 18 ore settimanali si sono aggiunte due ore in più da prestare eventualmente per supplenze. Inoltre, tutti i docenti altoatesini devono prestare ben 220 ore annue come attività funzionali all'insegnamento, a differenza del resto del paese, in cui si svolgono 40+40 ore. In queste 220 ore ricadono consigli di classe, consigli di plesso, collegi docenti, programmazioni settimanali di dipartimento, le ore annuali dei corsi di aggiornamento obbligatorie, le udienze dei genitori. Il tutto in cambio di un aumento lordo di poche centinaia di euro.

Con queste rivendicazioni il Partito Comunista dei Lavoratori ha sostenuto lo sciopero dei lavoratori e delle lavoratrici della scuola e del 14 febbraio, e resta a fianco dei docenti e degli Ata precari per bloccare ogni scellerato progetto di privatizzazione e divisione della scuola e degli insegnanti.

Mandiamo a casa la ministra Azzolina, esponente di punta di un governo nemico dei lavoratori e servo di Confindustria, come i casi di Alzano Lombardo e Nembro ci hanno dimostrato, e che come PCL anche giudiziariamente abbiamo denunciato.

Solo con la lotta questo governo nemico dei lavoratori e dei precari potrà essere cacciato, contro ogni compromesso con i partiti nemici delle lavoratrici e dei lavoratori, per la sconfitta delle burocrazie sindacali complici di governo e padronato che, burocrazia CGIL e Landini in primis, hanno firmato protocolli su protocolli bloccando sul nascere le decine di scioperi che ci sono stati in queste settimane nelle fabbriche e sui luoghi di lavoro. Ma anche e soprattutto contro ogni logica corporativistica e di intermediazione politica tramite parlamentari e senatori di maggioranza o di opposizione. Solo l'unità delle lotte può realmente portare ad un governo dei lavoratori, l'unico che possa realmente difendere gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici, della scuola e non solo.


Partito Comunista dei Lavoratori

lunedì 8 giugno 2020

PCL ALLA MANIFESTAZIONE DI BOLOGNA DEL PATTO D'AZIONE PER UN FRONTE UNICO ANTICAPITALISTA

Non c’è programma di rivoluzione senza un’organizzazione politica di rivoluzionari coscienti che miri a raggruppare attorno ad esso la parte più avanzata dei lavoratori e dei giovani, e che persegua quel programma in forma coordinata su tutti i terreni della lotta: nella lotta di classe quotidiana, nei sindacati, nella gioventù, sul terreno elettorale, in ambito nazionale e internazionale, sul terreno della battaglia ideologica e culturale, ovunque subordinando le stesse scelte della tattica al primato della prospettiva rivoluzionaria.


 

domenica 7 giugno 2020

6 GIUGNO 2020: IL PATTO D'AZIONE ALLA SUA PRIMA PROVA DI PIAZZA



Torino, Genova, Milano, Venezia-Mestre, Bologna, Firenze, Pisa, Piacenza, Roma, Napoli, Palermo, Messina, Catania, Olbia. In queste piazze il “Patto d'azione per il fronte unico anticapitalista” ha fatto il suo esordio, presentando la proposta del fronte unico e la comune piattaforma. È stato un esordio positivo.

In particolare a Roma, con una manifestazione combattiva di più di 300 giovani, di cui larga parte i militanti del Fronte della Gioventù Comunista (un titolo della Repubblica che presentava il sit-in come “il sit-in del PCL” era privo di fondamento, e contraddiceva oltretutto il contenuto corretto dell'articolo stesso). Il PCL è stato presente in forma organizzata in tutte le piazze (con l'eccezione di Olbia e Piacenza), seconda organizzazione dopo il FGC su scala generale, con un ruolo promotore in diverse situazioni come a Milano, Venezia-Mestre, Genova, ma anche a Palermo dove si è costituita in questo mese una nuova sezione del partito.

Naturalmente abbiamo il senso delle proporzioni reali. La giornata nazionale del patto d'azione ha coinvolto, com'era prevedibile, un bacino limitato di avanguardia. È sempre bene avere la misura delle proprie forze reali, senza forzature propagandistiche o sovrarappresentazioni. Tuttavia, si tratta di una presenza preziosa per numerose ragioni. Come il coordinamento nazionale delle sinistre di opposizione nato a dicembre, anche il patto d'azione si muove in controtendenza rispetto alla dinamica di frammentazione e dispersione dell'avanguardia di classe, che resta il tratto dominante di questa fase. Ha messo insieme attorno ad una piattaforma comune soggetti di provenienza diversa: il Fronte della Gioventù Comunista e il PCL sul piano politico, SI Cobas, SLAI Cobas e altre soggettività minori sul piano sindacale. Ha prodotto una piattaforma avanzata su un terreno apertamente classista e internazionalista, in contrapposizione a ogni pulsione sovranista. Ha raccolto forze giovani, arricchendosi in particolare dell'apporto importante del Fronte della Gioventù Comunista, e della sua combattività, come ieri mostrava la piazza di Roma.

Ora abbiamo tutti la responsabilità di investire il nostro esordio nello sviluppo e costruzione di una iniziativa più ampia, che abbia l'ambizione di allargare il patto d'azione coinvolgendo ogni soggetto disponibile fuori da ogni logica pregiudiziale, e che al tempo stesso lavori in una logica di massa attorno alla proposta di un fronte unico di classe, che è altra cosa dal patto d'azione di una piccola avanguardia.
In questo senso attribuiamo molta importanza alla costruzione di un'assemblea nazionale per delegati di tutto il sindacalismo di classe e combattivo, ovunque collocato, fuori da ogni logica di preclusioni o veti incrociati, capace di far emergere un punto di riferimento alternativo alla burocrazia sindacale nella battaglia di autunno, quando la crisi sociale può precipitare e può diventare decisivo per un'avanguardia sapersi assumere la responsabilità di direzione di massa, in funzione dell'unificazione delle lotte e della qualificazione classista delle loro rivendicazioni.

Il PCL è presente in tutti i crocevia delle relazioni unitarie dell’avanguardia in Italia e continuerà a lavorare in questa direzione del fronte unico di classe in modo leale e determinato, come sempre.

Partito Comunista dei Lavoratori

venerdì 5 giugno 2020

IL TAVOLO ANNUNCIATO DEL PATTO SOCIALE

Bonomi abbaia, Landini sussurra



Di fronte alla più grande crisi sociale del dopoguerra e a un attacco frontale dei padroni, il capo del più grande sindacato italiano non propone nessuna mobilitazione, nessuna piattaforma di rivendicazioni, persino nessuna contestazione verbale



Il governo annuncia con squillo di trombe l'avvio del Patto per la rinascita. Tutti gli “attori sociali e istituzionali”, governo e opposizioni, padroni e sindacati, governatori e sindaci, saranno chiamati al tavolo per concertare la gestione di una crisi drammatica.

Il nuovo Presidente di Confindustria si candida a ricomporre attorno a sé la grande borghesia italiana su un programma di sfondamento: mano libera sulla forza lavoro, cancellazione del contratto nazionale, liberalizzazione totale degli appalti, cancellazione totale dell'IRAP. C'è in questo posizionamento la volontà di massimizzare la propria pressione sul governo per incassare tutto ciò che si può. Ma c'è anche e soprattutto il peso di una catastrofe economica reale: calo dei profitti del 60% sul 2020 tra le società quotate, impossibilità di rilanciare sulle esportazioni per via della recessione mondiale, collasso dei consumi interni con 7 milioni di lavoratori in cassa integrazione. C'è una sola via per tamponare la crisi: comprimere i cosiddetti costi del lavoro, incrementare il tasso di sfruttamento, ottenere nuovi sgravi fiscali. La “rinascita”, per i padroni, è sempre quella dei propri profitti.

Il governo asseconda il programma padronale. La sua maggioranza parlamentare è gracile, tanto più a fronte dell'enormità della crisi. Le contraddizioni attraversano i partiti che lo compongono, tra un M5S in cerca d'autore e un PD privo di baricentro. L'unica stella polare comune è la salvezza del capitalismo italiano.
La crisi italiana è talmente profonda che la Germania e la Francia acconsentono di destinare all'Italia una straordinaria pioggia di miliardi per evitarne il tracollo, e con esso il disfacimento dell'UE. Negoziare l'importo e la ripartizione delle risorse annunciate è ormai la principale ragione di sopravvivenza del governo e della sua capacità contrattuale anche sul fronte interno.

Non è semplice, perché i tempi pressano. I fondi per la cassa integrazione stanno finendo. Gli aiuti del recovery fund attendono il 2021, mentre il MES è un calice troppo amaro per i pentastellati. In mezzo cade la fine del blocco dei licenziamenti, a partire da agosto. Il governo dovrà chiedere al Parlamento un nuovo scostamento di bilancio (cioè nuovo deficit) negoziandolo con le opposizioni e con la benedizione di Mattarella. Ma per gestire l'operazione ha bisogno di appoggiarsi alle parti sociali disinnescando ogni ostilità e atteggiandosi a indispensabile mediatore.

Il padronato denuncia formalmente l'irresolutezza del governo nel mentre ne ottiene i servigi e ne usa la fragilità.
Ha ottenuto la copertura dei crediti bancari con gigantesche garanzie pubbliche e la cancellazione di 4 miliardi di IRAP. Ora chiede di completare la detassazione delle imprese, di capitalizzare il grosso delle risorse europee, di disporre la libertà dei subappalti nel nome del “modello Genova”. Ma al tempo stesso Bonomi si dichiara insoddisfatto, per tenere il governo sotto schiaffo e segnare il campo negoziale. E intanto minaccia un milione e duecentomila licenziamenti per strappare una copertura di cassa integrazione per due anni, con salari taglieggiati a carico della Stato e a beneficio delle imprese. Il tavolo del patto sociale ha già il suo terreno di gioco, quale che sia il punto di mediazione.

E il sindacato? Già, il sindacato. Intervistato dal Manifesto, che gli chiede semplicemente un giudizio sul piano Bonomi e sulla cancellazione dell'IRAP, Maurizio Landini riesce a non dir nulla, ma proprio nulla, se non il fatto che... così si rischia il conflitto. E che invece lavoro e imprese hanno oggi davanti a sé «l'obiettivo comune da assumere: quello di migliorare contemporaneamente le condizioni di vita e di lavoro dei dipendenti e la capacita competitività e di innovazione delle imprese».
Un ecumenismo commovente. Di fronte alla più grande crisi sociale del dopoguerra e a un attacco frontale dei padroni al lavoro, nessuna mobilitazione, nessuna piattaforma di riferimento, persino nessuna chiara contestazione verbale, neppure sul Manifesto: solo la paura del conflitto e la prenotazione del tavolo istituzionale.
Chi si può seriamente stupire se Confindustria procede a testa bassa, alzando ogni volta la posta? Chi pecora si fa il lupo se la mangia, dice un vecchio adagio popolare. In questo caso, fuor di metafora, Bonomi non vuole mangiare (distruggere) la burocrazia sindacale, perché sa bene che può funzionare come ammortizzatore del conflitto. Ciò che vuole distruggere è quel che resta dei diritti del lavoro. Tanto meglio con la complicità della burocrazia.
“Quando è ora in piazza si va” conclude Landini. Ma se non ora, quando?
Il capo della CGIL, ex avversario di Marchionne, ha appena benedetto i 6,5 miliardi di copertura pubblica ai crediti bancari per FCA, senza neppure uno straccio di garanzia sui post di lavoro, né ovviamente sulla sede fiscale. Non può essere questa una direzione fiduciaria per il movimento operaio di fronte alla prova di uno scontro sociale drammatico. Con questi dirigenti si va a sbattere, esattamente come dieci anni fa.

Partito Comunista dei Lavoratori

FACCIAMO PAGARE LA CRISI AI PADRONI!

PER IL FRONTE UNICO DI CLASSE LE PIAZZE UNITARIE DEL 6 GIUGNO



mercoledì 3 giugno 2020

UNIFICARE E GENERALIZZARE LE LOTTE PER L'AMBIENTE!

Verso il 5 giugno, a un anno dagli scioperi mondiali per il clima




È passato più di un anno dal primo sciopero mondiale per il clima, e sono stati milioni gli studenti che sono scesi nelle piazze italiane e nel mondo. Sorge quindi la necessità di definire con chiarezza quale prospettiva dare alle mobilitazioni. È un’esigenza pratica e immediata.


NESSUNA FIDUCIA VERSO I GOVERNI DELLA BORGHESIA

Alle promesse dei politici non sono seguiti i fatti. In ogni Paese i governi e lo Stato tutelano gli interessi dei veri responsabili della crisi climatica, ovvero i capitalisti. I politici non attuano le politiche ambientali necessarie. È un forse un caso? No, ma non è una questione di volontà dei gruppi dirigenti che ci governano, è invece la necessità del sistema di produzione capitalistico a richiedere una continuità irrazionale nelle scelte politiche, volte soltanto alla massimizzazione del profitto. Se in altri Paesi, nell’ambito parlamentare, si trova un maggior successo della “politica ambientale”, non dobbiamo avere nessuna illusione verso le concessioni pseudoambientaliste del capitale. Queste “svolte” politiche vengono costruite ad arte soltanto per disinnescare l’esplosività di un movimento di massa, e non colpiscono minimamente le fondamenta del sistema di produzione, la vera radice di tutti i problemi.


PER UN FRONTE UNICO DI CLASSE E DI MASSA

La crisi sanitaria esplosa in questo periodo di epidemia dimostra come questo sistema sociale ed economico di organizzazione della società è fallito e non ha più nulla da dare alla maggioranza della popolazione. È giunto il momento di rovesciarlo in una prospettiva che possa rispondere alle esigenze della battaglia ambientalista ed alle rivendicazioni sociali del mondo del lavoro.
Una riconversione ecologica dell'economia creerebbe una mole immensa di nuovo lavoro socialmente utile, ma solo il rovesciamento della dittatura dei capitalisti, in ogni paese e in una prospettiva mondiale, potrà aprire la via a questa riorganizzazione razionale dell'economia. Una riorganizzazione ecosocialista, nella quale sarà la maggioranza della società a decidere finalmente come, cosa, per chi produrre, e non un pugno di miliardari.
È urgente più che mai mobilitare il movimento operaio, il solo che, in alleanza con gli studenti, può dare una prospettiva concreta alla battaglia per l’ambiente, in un'ottica rivoluzionaria e anticapitalista.
Quindi bisogna unificare e sostenere le mobilitazioni, a partire dallo sciopero generale dell’istruzione del 5 giugno, promosso da ADL Cobas e sostenuto dal Coordinamento precari della scuola autoconvocati, e dalla mobilitazione nazionale del 6 giugno, promossa dall’appello “Facciamo pagare la crisi ai padroni e ai loro governi!”, nato dal patto unitario d'azione per un fronte anticapitalista, cui il nostro partito aderisce insieme a diversi soggetti politici e sindacali.


UNA PROSPETTIVA SOCIALISTA ANCHE PER L’AMBIENTE

Ora acquistano incredibile importanza le parole d’ordine come la nazionalizzazione, senza indennizzi alla proprietà, delle aziende che inquinano, della sanità e dell’industria farmaceutica e la loro immediata riconversione ecologica sotto il controllo dei lavoratori. Tuttavia, una prospettiva socialista non può limitarsi alla riconversione ecologica delle industrie e relativa cessazione delle tecnologie ad alto tasso entropico. Perché sarà necessario elaborare un bilancio energetico: ovvero un varo del piano energetico nazionale (calcolo dell’energia e della materia consumata in un anno, e bilancio preventivo) relativamente ai beni prodotti. È necessario programmare la quantità di energia utilizzabile per le nuove produzioni rivolte a rispondere ai bisogni reali della maggioranza della popolazione, e non a garantire i profitti di un pugno di capitalisti; definire un tasso programmato di entropia basato sull’impronta ecologica nazionale in rapporto con l’impronta ecologica mondiale.

I militanti del PCL sono impegnati nella costruzione di un partito, in Italia e nel mondo, che lotti per elevare la coscienza politica delle masse alla comprensione della necessità dell’alternativa anticapitalistica e del socialismo. Una società in cui l’umanità possa finalmente prendersi cura della salute propria e del mondo intero.
Lotta con noi!

Partito Comunista dei Lavoratori - Commissione ambiente

martedì 2 giugno 2020

MUMIA ABU-JAMAL: NON RIESCO A RESPIRARE, PARTE SECONDA



Il seguente commento del prigioniero politico Mumia Abu-Jamal, "Non riesco a respirare, parte seconda", è stato registrato da Prison Radio il 30 maggio.


La battaglia furiosa per ottenere giustizia per il defunto Eric Garner (1) ha richiesto anni, lunghi difficili anni. Ma la sua famiglia e i suoi amici si trovano davanti alla misera elemosina concessa con la decisione tardiva di licenziare il poliziotto che lo ha ucciso soffocandolo. Senza incriminazioni, aggiungerei. Il nome Eric Garner è il nome della condizione in cui si trova l'America nera da decenni, da secoli; la condizione di chi riesce a malapena a respirare aria libera.

Il cellulare che ha registrato l'uccisione di George Floyd nelle strade di Minneapolis, in Minnesota, da parte di un poliziotto muscoloso che gli ha messo il ginocchio sul collo, ci ha fatto sentire un'inquietante eco delle ultime parole di Garner, che riecheggiano da cinque anni. «Non riesco a respirare». Floyd, con il suo respiro interrotto, piange per la persona che gli ha dato la vita, sua madre. In pochi minuti Floyd se n'è andato.

Eric Garner venne avvicinato da una squadra di polizia dopo che un commerciante si era lamentato del fatto che egli stava vendendo merce sfusa e sigarette. George Floyd è stato avvicinato da alcuni poliziotti dopo che un commerciante ha affermato di aver ricevuto una banconota da 20 dollari falsa. Rifletteteci. Due uomini, due padri, soffocati a morte per lamentele di commercianti su sigarette sfuse e su 20 dollari probabilmente falsi. Questa è l'attestazione di quanto in una società capitalista la merce sia più importante della vita dei neri.

George Floyd si è aggiunto a una comunità alla quale non si sarebbe mai voluto aggiungere, e forse non si sarebbe mai aspettato di aggiungersi. È l'appello dei morti causati dallo Stato e dall'onnipervasivo sistema di repressione.

Le vite dei neri importano? [Does black life matter?] Non ancora.



(1) Morto il 17 luglio 2014 a New York. Anche lui, come George Floyd, nero. Anche lui, come George Floyd, strangolato. Anche lui, come George Floyd, dicendo "I can't breathe" (Non riesco a respirare).




da Socialist Resurgence


Mumia Abu-Jamal

lunedì 1 giugno 2020

NON SI FERMA LA RIVOLTA ANTIRAZZISTA NELLE CITTÀ AMERICANE

L'avanguardia della gioventù USA, nera e bianca, si ribella alla polizia e al governo




Saint Paul, Chicago, Detroit, Washington, New York, Atlanta, Houston, Denver, San Francisco... Il grosso degli Stati americani e tutte le grandi città degli USA sono investiti da una mobilitazione radicale di decine di migliaia di giovani, per protestare contro l'assassinio a Minneapolis di George Floyd, uomo di pelle nera, da parte di un poliziotto bianco, e chiedere l'arresto dei quattro agenti corresponsabili dell'omicidio.

Non è una sollevazione dalle proporzioni di massa, ma neppure un'ordinaria protesta antirazzista. Non ha le dimensioni della grande rivolta nera del 1967, ma è molto più estesa di quella di Los Angeles del 1992. Di certo è assai più ampia e radicale di quella che nel 2014 investì la città di Ferguson per un omicidio simile. Nel 2014 si mobilitò essenzialmente il movimento del Black Lives Matter, un movimento importante di pelle nera. Oggi la rivolta ha tutti i colori: afroamericani, bianchi, ispanici, in larghissima maggioranza giovani, in buona parte donne. È la rivolta del popolo della sinistra americano, quello forgiatosi in Occupy Wall Street e poi sviluppatosi contro il trumpismo.

L'elemento antirazzista è centrale, ma si intreccia con ragioni di classe. La grande crisi del 2008 ha accresciuto tutte le disuguaglianze della società americana. La lunga ripresa del decennio successivo, costruita su precarizzazione e supersfruttamento, le ha paradossalmente approfondite. È stata la ripresa di Wall Street, non certo degli operai americani con diritti tagliati o di studenti impiccati a una montagna di debiti. Questo divario a sua volta ha spesso un colore. Una famiglia nera di Minneapolis guadagna in media 36000 dollari l'anno, il 44% di una bianca. Solo una famiglia nera su quattro possiede una casa, a fronte del 76% dei bianchi. La divaricazione sociale si sovrappone a quella razziale e la sospinge.

La pandemia ha fatto il resto. L'esplosione del contagio negli USA ha colpito la comunità nera più di ogni altra. Nel Kentucky solo l'8% della popolazione è di colore, ma lo sono quasi un quinto dei morti di Covid. I lavoratori più a rischio, meno protetti e meno pagati, dagli infermieri ai dipendenti dei supermercati, sono in larga parte neri o latini. Diverse inchieste e denunce parlano di numerose discriminazioni nei tempi di soccorso dei malati di colore, mentre oggi milioni di neri sono in prima fila nel nuovo esercito di licenziati e disoccupati. George Floyd è diventato il simbolo di tutte queste ragioni. Nere, ma non solo nere. La composizione sociale dei manifestanti – studenti, precari, disoccupati – ne è un riflesso.

La polizia americana, lo Stato americano, sono il bersaglio centrale della protesta. La polizia è il concentrato peggiore e più odiato del razzismo USA. Una polizia largamente bianca, guidata da ufficiali bianchi, abituata a esercitare violenza ordinaria contro i neri. Il fatto che degrado ed emarginazione metropolitane si addensino innanzitutto tra i neri fortifica a sua volta il pregiudizio razziale tra le forze dell'ordine. Soprusi, umiliazioni, violenze poliziesche sono pane quotidiano nelle grandi periferie americane, segnando l'esperienza di vita di milioni di giovani. L'omicidio razziale, spesso impunito, ne è solo il risvolto più tragico. Per questo la rivolta oggi si scaglia contro la polizia, le sue macchine, i suoi edifici, sino a dare alle fiamme il commissariato dei quattro agenti assassini.

A tutto questo si aggiunge il fattore politico. Trump ha investito sin dall'inizio nella divisione razziale per capitalizzare il consenso bianco e dividere la classe operaia americana. L'operazione è in parte riuscita con la conquista di un settore importante del proletariato bianco della grande industria. Il nuovo corso protezionista anticinese all'insegna dell'America first mira a consolidare questo blocco sociale. Ma ora la pandemia e la nuova grande crisi capitalista mettono Trump in difficoltà. La sua gestione dell'emergenza sanitaria, concausa della tragedia, è stata rovinosa.
Il sistema sanitario privato, nel quale Trump più di ogni altro si è identificato, è stato un moltiplicatore criminale, non solo nei fatti ma agli occhi di larga parte della società americana, inclusi tanti proletari bianchi. Ora il Presidente USA cerca di risolvere il problema dell'ordine pubblico minacciando di sparare o di scatenare cani feroci (ricorso tragico dell'Alabama schiavista), e mobilitando le truppe federali a sostegno della polizia, come non accadeva dal 1992. Ma la radicalità della risposta d'ordine a difesa della polizia, nel momento in cui proprio la polizia è sotto accusa, rischia di ampliare il fossato. Nel mentre, la pandemia è ben lungi dall'essere liquidata, e la nuova recessione è ormai in pieno corso.

Il Partito Democratico degli USA , a partire dal candidato Joe Biden e dal suo sponsor Obama, criticano naturalmente l'assassinio poliziesco, ma lavorano al riflusso della protesta di piazza, una protesta che non controllano e in larga parte subiscono. L'unico loro timore è che Trump possa recuperare nei sondaggi come uomo d'ordine contro "le violenze" dei manifestanti. Non si distingue in questo la cosiddetta ala “socialista” del Partito Democratico, che ha visto scendere in piazza il suo stesso popolo e non sa bene come riportarlo all'ovile.
L'evocazione di (fantasiose) presunte infiltrazioni di suprematisti bianchi nelle manifestazioni da parte di questo ambiente mira a boicottare il movimento, provocare defezioni, riportare la calma. Il commentario delle sinistre riformiste italiane avalla, in varie forme, l'operazione. Così come ha avallato il ritiro di Sanders dalla competizione elettorale in obbedienza allo stato maggiore democratico, in omaggio all'eterno bipolarismo USA.

Noi stiamo, da marxisti rivoluzionari, su un altro binario, quello della costruzione di un movimento di classe e di massa indipendente negli USA, e in esso di una egemonia anticapitalista.
Per questo salutiamo la ribellione dell'avanguardia della gioventù americana, bianca e nera, e ne rivendichiamo senza riserve la radicalità antipoliziesca e antigovernativa. Per questo diciamo che il futuro della ribellione e delle sue ragioni è affidato all'incontro col più vasto proletariato americano.
Decine di milioni di lavoratori e di lavoratrici sono e saranno investiti da una nuova gigantesca crisi sociale, che colpirà nuovamente lavoro, salari, diritti. Una irruzione sulla scena della lotta di classe di questa immensa massa di salariati è il fattore che potrebbe fare la differenza e segnare davvero una svolta.
In questi anni di Trump, contro tante previsioni disfattiste, si sono sviluppate lotte importanti dei salariati USA, dal movimento nazionale dei fazzoletti rossi nella scuola alle lotte operaie, radicali e prolungate, della General Motors. Vedremo quale sarà l'impatto della crisi su queste dinamiche sociali. Di certo la ribellione in corso dell'avanguardia della gioventù parla anche e soprattutto a loro.

Partito Comunista dei Lavoratori

COORDINAMENTO DELLE SINISTRE DI OPPOSIZIONE - MILANO




iNTERVENTO DI NATALE AZZARETTO PCL - AUDIO