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mercoledì 28 settembre 2016

Non vogliamo fertilità e procreazione come destino. Il diritto di decidere della nostra vita è nostro

Respingiamo il maschilismo padronale di Renzi e Lorenzin. Per una sessualità libera dai destini ideologici imposti dal patriarcato e dal capitalismo.



Sono molteplici i motivi per cui abbiamo ritenuto ideologico, maschilista e pericoloso il Piano nazionale per la fertilità promosso dal ministro della salute Beatrice Lorenzin (Nuovo Centrodestra). Nelle intenzioni del ministro il Piano avrebbe i seguenti obiettivi:

• Informare i cittadini sul ruolo della fertilità nella loro vita, sulla sua durata e su come proteggerla evitando comportamenti che possono metterla a rischio;
• Fornire assistenza sanitaria qualificata per difendere la fertilità, promuovere interventi di prevenzione e diagnosi precoce al fine di curare le malattie dell'apparato riproduttivo e intervenire, ove possibile, per ripristinare la fertilità naturale;
• Sviluppare nelle persone la conoscenza delle caratteristiche funzionali della loro fertilità per poterla usare scegliendo di avere un figlio consapevolmente ed autonomamente;
• Operare un capovolgimento della mentalità corrente volto a rileggere la fertilità come bisogno essenziale non solo della coppia ma dell’intera società, promuovendo un rinnovamento culturale in tema di procreazione;
• Celebrare questa rivoluzione culturale istituendo il “Fertility day”, giornata nazionale di informazione e formazione sulla fertilità, dove la parola d’ordine sarà scoprire il “prestigio della maternità”. (1)

In queste ultime settimane si sono levate molte voci contrarie alla campagna pro-fertilità che hanno criticato diversi aspetti politici del Piano nonché le discutibili scelte comunicative che avrebbero dovuto pubblicizzare il “Fertility day” (giornata dedicata alla informazione e alla formazione sulla fertilità) del 22 settembre scorso.

La campagna pubblicitaria infatti si è caratterizzata per cialtroneria e ambiguità, tingendosi di toni razzisti (2) e sessisti e rivolgendosi in modo assillante soprattutto alle donne: trattandole alla stregua di egoiste che mettono se stesse davanti al loro “orologio biologico” e al loro dovere nei confronti della comunità e soprattutto al loro ruolo riproduttivo.
Fra le varie contestazioni, la più significativa è probabilmente quella che afferma che se in Italia non si fanno abbastanza figli è colpa della crisi economica, del precariato, della disoccupazione giovanile ecc. In una fase di erosione avanzata di diritti e di attacco ai salari dei lavoratori e delle lavoratrici viene giustamente ricordato a Lorenzin che i figli rappresentano un lusso.

Questa prospettiva è sostanzialmente corretta, e coglie una delle principali contraddizioni di questa campagna; però è anche una critica parziale e deve necessariamente essere integrata per mostrare tutti gli aspetti reazionari del progetto del ministro della salute.

A nostro avviso il Piano pro-fertilità è pericoloso specialmente poiché ripropone con forza e volgarità – basti pensare alle scelte comunicative – l’idea della procreazione come destino biologico e non come libera scelta del soggetto, e tenta di piegare la sessualità, il corpo – in particolar modo quello della donna – e la sua storia alla sola funzione procreativa.

La campagna richiama costantemente e in modo ambiguo al dovere morale – di fascistissima memoria – della coppia eterosessuale (non si accenna infatti a altre possibili famiglie) nei confronti della nazione; infatti, tralasciando completamente l’importante ruolo assunto dalle popolazioni migranti in Italia negli ultimi anni, il Piano celebra il sodalizio fra la natalità ed il mantenimento del welfare: c’è bisogno di fare figli che un giorno vadano a lavorare perché possano garantire il funzionamento del sistema. È solo alla coppia eterosessuale e italiana che spetta l’onere e l’onore di procreare; non si accenna alla possibilità di genitori single e meno che mai a coppie omosessuali. L’essere fertile viene promosso come l’unico modo per avere figli, trascurando altre possibili alternative quali l’adozione, e le tecniche e i progressi della scienza medica, in questa visione distorta, sono piegati esclusivamente alla tutela della fertilità della coppia.

Insomma, l’intera operazione è una celebrazione ideologica della famiglia “naturale” di matrice borghese, ed è tanto più pericolosa se si tiene conto del contesto storico in cui si inserisce: viene sancito nuovamente e in modo malcelato quel sodalizio fra governo e Chiesa cattolica che rafforza le varie iniziative a cui abbiamo assistito in questo ultimo periodo quali manifestazioni delle “sentinelle in piedi” e Family day.
Trasformando la fertilità in un “bene comune” e la maternità in un dovere nei confronti della comunità, il Piano promosso dal ministro Lorenzin consolida di fatto le molteplici campagne e movimenti pro-life e antiabortisti, e legittima il privilegio (perché di certo non si tratta di un “diritto”) dei tanti obiettori di coscienza che all’interno di strutture sanitarie pubbliche ostacolano l’accesso delle donne all’interruzione della gravidanza.
È dunque una campagna ideologica di stampo democristiano costruita su ribaltamenti e ambiguità: vi è ad esempio un martellamento costante e dai tratti parossistici, per cui la salute e il mantenimento di uno stile di vita “corretto” non sono finalizzati al benessere del singolo individuo in quanto tale ma alla preservazione del suo potere riproduttivo: il soggetto scompare, viene meno, e ciò che resta di lui è la sua fertilità e la sua preservazione:

«Fin dall’adolescenza la funzione riproduttiva va difesa evitando stili di vita scorretti e cattive abitudini (come ad esempio il fumo di sigaretta e l’alcool), particolarmente dannose per gli spermatozoi e per gli ovociti. È essenziale inoltre evitare, fin dall’infanzia, l’obesità e la magrezza eccessiva e la sedentarietà, oltre a fornire strumenti educativi ed informativi agli adolescenti per evitare abitudini che mettono a rischio di infezioni sessualmente trasmesse o gravidanze indesiderate [ibidem].»

L’obesità e l’anoressia – considerati alla stregua di comportamenti “scorretti” – vanno evitate perché potrebbero mettere a rischio il potere riproduttivo dei soggetti, e non vanno analizzate e trattate come espressioni di disagio sociale. Tutte queste tematiche, che rappresentano aspetti preoccupanti della contemporaneità, vengono rimossi dal ministro della salute (!) che si preoccupa invece di promuovere una campagna da cui l’individuo ne esce espropriato del proprio corpo e limitato nella costruzione di sé, nella libera ricerca del piacere e del piacersi, e piegato al solo compito della procreazione “per il bene della comunità”.
Inoltre l’assillante richiamo del Piano alla salute e alla sua tutela cozza nei fatti con i pesanti tagli alla sanità portati avanti da questo come dai precedenti governi. Senza dimenticare inoltre che proprio questo impianto ideologico rafforza il sostrato culturale dei rapporti patriarcali tra uomini e donne, e dunque, in ultima istanza, legittima la violenza che sulle donne viene scatenata quando non rispondono al modello “di servizio” e si sottraggono al dominio maschile.

A questa logica bigotta, opportunista e complice di un sistema oppressivo e patriarcale noi opponiamo con forza il nostro programma:

- Lavorare meno, lavorare tutti, e redistribuire il lavoro esistente fra tutti e tutte a parità di salario.
L’autonomia economica di ogni individuo rappresenta da un lato la rottura con il sistema capitalista fondato sul profitto e l’espropriazione umana, dall’altro è un principio fondamentale per garantire la costruzione libera della propria soggettività e del proprio percorso di vita, ed è dunque un presupposto indispensabile, specialmente per quanto riguarda le donne, per la liberazione dall’oppressione familiare e dalla dipendenza dal marito.

- La genitorialità deve essere considerata una libera scelta fra altre possibili, e non un destino biologico e morale, un presunto dovere nei confronti della comunità, né tantomeno un privilegio “naturale” della coppia eterosessuale. Con questo spirito di superamento dell’ideologia della famiglia “tradizionale” riconosciamo il diritto alla genitorialità tanto al singolo individuo quanto alla coppia omosessuale.

- Liberazione sessuale significa anche liberare la sessualità dei soggetti dal destino ideologico della procreazione e della maternità. È per questo che l’aborto deve essere libero e gratuito, e deve essere abolita l’obiezione di coscienza. Inoltre, la contraccezione deve essere garantita a prezzi popolari.

- La liberazione delle donne e delle minoranze sessuali e di genere si iscrive in un processo rivoluzionario di rottura con la morale e con l’organizzazione economica e politica della società attuale, e dunque rivendichiamo come passaggio imprescindibile l’abolizione unilaterale del Concordato fra Vaticano e Stato, l’esproprio senza indennizzo di tutte le grandi proprietà immobiliari ecclesiastiche e in definitiva l’abolizione di tutti i privilegi fiscali, giuridici, normativi, assicurati alla Chiesa cattolica, a partire dalla truffa dell’8 per mille e dall’insegnamento religioso confessionale nella scuola pubblica.

Porteremo queste riflessioni e queste rivendicazioni in piazza il 26 novembre alla manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne, appuntamento a cui partecipiamo con le nostre posizioni indipendenti e con la volontà di promuovere la costruzione di un movimento delle donne realmente radicale e di opposizione all’oppressione di genere e sessuale, così come di rottura con la proprietà privata come principio morale e organizzativo della società capitalista-patriarcale.



Note

(1) http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=2083

(2) Emblematica in questo senso la locandina ufficiale della giornata Fertility day, in cui si invitano i cittadini ad evitare i “cattivi compagni” mostrando l’immagine di una famiglia 

mercoledì 14 settembre 2016

NO ALLA RIFORMA COSTITUZIONALE CHE PIACE AI CAPITALISTI



La riforma costituzionale promossa da Renzi ha un solo obiettivo: rafforzare il potere di chi già lo detiene.

Dal punto di vista democratico è un insulto. Nel suo incastro con la legge elettorale, può regalare a chi prende il 20% dei voti ,o poco più,  il 55% dei parlamentari dell'unica Camera su cui si appoggia il governo. Mentre  il Senato ( che resta) non verrebbe neppure eletto pur avendo poteri costituzionali. Sarebbe questa la “democrazia”? Saremmo di fronte alla massima concentrazione dei poteri nelle mani dell'uomo solo al comando. Non  “la riforma istituzionale finalmente realizzata che gli italiani attendono” come recita la propaganda di Renzi. Ma l'opposto: il peggiore completamento di quel corso istituzionale controriformatore che negli ultimi 25 anni ha rafforzato il potere di chi governa, ad ogni livello, nel nome della cosiddetta “governabilità”.

Ma cosa significa concretamente “governabilità”? Significa rendere ancora più forti e più “stabili” i governi che demoliscono  i diritti del lavoro, tagliano sanità e istruzione, alzano l'età pensionabile... E' un caso se Confindustria, le banche, il capitale finanziario europeo, sostengono entusiasti le ragioni del Sì, proprio nel nome della “governabilità”? Perchè i lavoratori, i precari, i disoccupati, dovrebbero sostenere e addirittura rafforzare una “governabilità” diretta contro di loro?

E' necessario che la classe lavoratrice e le sue organizzazioni promuovano una propria autonoma campagna unitaria per il NO al disegno di Renzi, Confindustria e banche.  Non basta il NO sussurrato e imbarazzato della direzione CGIL al solo scopo di salvare l'immagine. Occorre al contrario una battaglia vera che parta dalla denuncia della verità: un governo nemico dei lavoratori e del sindacato vuol dare traduzione istituzionale al proprio corso reazionario con una riforma costituzionale “bonapartista” a uso e consumo dei poteri forti . Per questo è necessaria una campagna capillare a sostegno del NO, che rilanci la battaglia democratica a partire dalla rivendicazione più elementare: una legge elettorale interamente proporzionale, ad ogni livello, che sancisca l'uguaglianza reale di ogni voto, e rappresentanze determinate dal consenso, senza trucchi “maggioritari”di alcun genere.

Ma una campagna chiara a sostegno del NO deve congiungersi al rilancio di una mobilitazione sociale di massa in tutto il paese. Ci sono 12 milioni di lavoratori in attesa di contratto, nel momento stesso in cui Federmeccanica rifiuta di firmare il contratto, e il governo destina spiccioli ai contratti pubblici. Non solo: siamo alla vigilia di una Legge di Stabilità che ancora una volta taglia le tasse ai profitti padronali ( IRES), nel mentre continua la stretta su sanità e pensioni. Cosa deve ancora accadere perchè si prepari finalmente uno sciopero generale vero, attorno ad una piattaforma di rivendicazioni unificanti che risponda unicamente alle ragioni del lavoro?

Ma c'è bisogno di definire una prospettiva politica indipendente del movimento operaio . Apertamente contrapposta al disegno bonapartista di Renzi, come al progetto lepenista di Salvini, come alla Repubblica plebiscitaria del milionario Grillo. Tutti progetti che in forme diverse  mirano a  dirottare la rabbia dei lavoratori contro “nemici” immaginari, per impedire che si rivolga contro il padronato. Solo un governo dei lavoratori, basato sulla loro forza e sulla loro organizzazione, può realizzare una vera “repubblica fondata sul lavoro”: rovesciando il potere dei capitalisti e concentrando nelle mani dei lavoratori le leve della produzione della ricchezza.

Il PCL si batte in ogni lotta per questa prospettiva. L'unica vera alternativa.



PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

domenica 11 settembre 2016

A QUARANTATRÉ ANNI DAL GOLPE DI PINOCHET UN 11 SETTEMBRE DIMENTICATO



Quarantatré anni  fa, un colpo di stato militare rovescia il presidente Salvador Allende. La borghesia cilena e l’imperialismo nordamericano pongono così fine al governo di Unidad Popular e istaurano una feroce dittatura militare. La giunta che prende il potere è guidata dal generale Augusto Pinochet che presiede un direttorio formato dai capi di stato maggiore delle diverse forze armate. Dall’11 settembre in poi le esecuzioni sommarie, l’uso sistematico della tortura e l’internamento degli arrestati scandiscono drammaticamente la vita del paese latinoamericano. Il movimento operaio è sradicato, la sua avanguardia annichilita, e ogni espressione di sinistra viene cancellata e duramente repressa. Mentre il terrore si diffonde nel paese andino, i circoli dominanti di Washington, che hanno ispirato e sostenuto il pronunciamento militare, esprimono sollievo per lo scampato pericolo. Spaventati dall’ascesa delle lotte e della combattività operaia temevano che in Cile si sviluppasse una dinamica rivoluzionaria. All’indomani del golpe, la stessa Democrazia cristiana cilena, che per tutta una fase aveva giocato un ruolo ambivalente, fa appello “al patriottico senso di cooperazione di tutti i settori con la giunta”. (1)
L’Unidad Popular
Il governo Allende nasce a seguito della vittoria di stretta misura riportata nelle elezioni del settembre 1970. La coalizione che lo sostiene propugna la “via pacifica al socialismo” e si rifà al modello del fronte popolare, come unione tra forze del movimento operaio e settori della cosiddetta borghesia progressista. Due sono gli intenti che lo muovono: modernizzare il paese e avviare delle profonde riforme nel campo socio-economico. Propone una politica di riformismo radicale: ridurre il potere delle compagnie multinazionali, interrompere il flusso delle ricchezze verso l’esterno, spezzare il monopolio e il latifondo. Da subito deve fare i conti con il fatto che il parlamento, l’apparato giudiziario e buona parte dell’amministrazione dello stato non sono sotto il suo controllo. Ciononostante una parte di questo programma viene realizzato. Istituisce un ampio settore di imprese pubbliche, mentre alcuni importanti comparti (minerario, bancario e telefonico) sono nazionalizzati dietro un congruo indennizzo versato ai proprietari. Nel corso del 1972 si aggravano le tensioni sociali. L’aggressione nordamericana si approfondisce. Nixon pone fine ad ogni assistenza economica e si attiva per far crollare le quotazioni del prezzo mondiale del rame. “Make the economy scream” è l’obiettivo che si pone l’amministrazione repubblicana. In questo quadro la destra cilena soffia sul fuoco organizzando scioperi e proteste contro il governo socialista. Paradossalmente la borghesia utilizza i metodi della classe operaia. Entra in sciopero trascinando con sé una parte consistente dei ceti medi. È uno sciopero guidato dall’alto e finanziato dai dollari nordamericani. Il paese viene bloccato per intere settimane. Prima i camionisti, con una spettacolare serrata, e poi i commercianti, i piloti, gli ingegneri e i medici fanno precipitare il paese nel caos. Mentre Unidad Popular ricerca invano un accordo con la Dc, sono i lavoratori a reagire. Costituiscono strutture di potere popolare - i cordones industriali - che occupano le fabbriche, fanno ripartire la produzione, assicurano i rifornimenti. Questi organismi, basati sulla forza e sull’autorganizzazione dei lavoratori, sono fondamentali nel vanificare il moto reazionario che lo sciopero padronale aveva innescato. Nati come espressione della volontà della base operaia di contrastare l’attacco padronale, questi organismi unitari rappresentano il nucleo costitutivo di una nuova istituzione: quella dei consigli dei lavoratori, che esercitando la democrazia diretta iniziano a costruire una nuova organizzazione del potere politico, alternativo e contrapposto a quello borghese. Il governo di Allende tenta in ogni modo di frenare e controllare il movimento delle masse che si è messo in moto. In alcuni casi lo reprime. Rispetto alla polarizzazione sociale determinata dallo scontro tra borghesia e proletariato, Unidad Popular tenta di salvare capra e cavoli. Non rompe con la propria base sociale ma ricerca con forza un accordo con le classi dominanti. Confidando nella neutralità dell’esercito cileno, consegna ai militari tre importanti ministeri del proprio governo. Agli inizi del 1973 è già chiaro l’epilogo, mentre si rinnovano le manovre reazionarie, segnate dal sabotaggio economico, da nuove serrate corporative e dal sempre più evidente lavorio golpista dei generali; il governo di sinistra è titubante, incerto e arrendevole. Malgrado le minacce sempre più pressanti di un colpo di stato, il governo di Allende si attesta su una linea legalitaria e rinuncia a tentare di golpear el golpe, opponendosi all’ipotesi di armare il popolo, come chiede il Movimento della Sinistra Rivoluzionaria (MIR).
L’eco del golpe in Italia.
Il colpo di stato dell’11 settembre 1973 è quello che più colpisce nel profondo un’intera generazione di militanti della sinistra. Di fronte alla tragedia cilena tutta la sinistra italiana è obbligata a ripensare la propria strategia. Ma la riflessione conduce ad approdi differenti. Il Pci, che attribuisce la sconfitta del governo di Allende ad un insufficiente consenso e a un mancato rapporto unitario tra le forze politiche cilene, vira deciso verso la svolta governativa. Proprio in quel frangente, Berlinguer formula per la prima volta la proposta di un compromesso storico con la Dc. Profonda è la divergenza tra il Pci e le forze si collocano alla sua sinistra. Il Manifesto - allora gruppo politico di una certa consistenza - insiste sul problema della disgregazione dei ceti medi e dell’egemonia su di essi. Evidenziando il legame tra la Dc cilena e quella italiana e indicando nel partito di Fanfani il nemico che la sinistra unita deve battere in Italia, attacca il tatticismo di Berlinguer e la sua strategia compromissoria. Le altre organizzazioni della nuova sinistra (Avanguardia Operaia e Lotta Continua) pur traendo conclusioni differenti sono concordi nel sottolineare i limiti e le ambiguità di Unidad Popular e nel criticare con forza quella via pacifica al socialismo che le forze riformiste propugnano. Soprattutto rimarcano l’incapacità del governo di Allende di affrontare il problema dell’inevitabile reazione violenta dello stato e dei suoi apparati militari, allorquando le classi dominanti si sentono minacciate dalla lotta di classe e temono di venire spodestate.
Il Cile come laboratorio
Negli anni della dittatura il regime attua un programma di trasformazione radicale dell’economia. Garantito dal terrore di Pinochet, il Cile diventa il primo laboratorio delle idee della scuola neoliberista dei Chicago Boys. Abolizione di ogni forma di diritto sindacale, smantellamento delle garanzie di previdenza sociale, messa al bando del codice di regolamentazione del lavoro sono le cifre distintive dell’operato degli allievi di Milton Friedman. Gran parte delle imprese vengono privatizzate mentre le terre distribuite ai contadini dalla riforma agraria sono requisite. Il nuovo dogma diventa il riequilibrio del bilancio statale, mentre la liberalizzazione dei tassi d’interesse e l’apertura delle frontiere favoriscono l’afflusso dei capitali e i prestiti finanziari degli organismi internazionali. Il costo sociale di questa politica è esorbitante: crescita della povertà e disoccupazione di massa. Come ha scritto il sociologo Tomàs Moulian il Cile si è trasformato man mano nel laboratorio sterile e nel paradiso del neoliberismo: paradiso per pochi, limbo consumista e indebitatore per altri, e inferno per buona parte della popolazione. Un paradiso guardato da arcangeli ben armati e senza scrupoli morali”. Per questo il premio Nobel per l’economia assegnato a Friedman nel 1976 rappresenta un presagio che annuncia una nuova era. Infatti, di lì a poco tempo, l’esperimento condotto nel laboratorio cileno verrà in forme diverse gradualmente applicato in tutto il mondo.

1) Sulla vicenda cilena si rimanda al saggio di Tiziano Bagarolo pubblicato sul secondo numero della rivista Marxismo Rivoluzionario e oggi disponibile in opuscolo presso le sedi del PCL.


Piero Nobili
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

venerdì 9 settembre 2016

Solidarietà ai compagni del CSA Vittoria ed in particolare ai compagni condannati per la loro attività antifascista.



La repressione che sta colpendo molte situazioni di lotta, col tentativo di rappresentarle come "situazioni devianti" e di contrastare un loro possibile allargamento, è dimostrata esattamente dalla pretesa di affidare il compagno sottoposto a regime di misure cautelari per essere "reinserito nella società civile". Tutto questo non è che conferma della realtà: non esiste democrazia in regime di dittatura della borghesia, della dittatura del profitto e del capitale. La lotta per difendere le condizioni di vita e di lavoro è per loro un "reato".
Nessuna illusione quindi nel confronto con questo stato che ci troverà sempre nemici del sistema di sfruttamento che garantisce."

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Partito Comunista dei Lavoratori
Sezione di Milano

domenica 4 settembre 2016

A 10 ANNI DALLA FONDAZIONE DEL PCL MEETING NAZIONALE – FIRENZE 3 SETTEMBRE





“SE NE VADANO TUTTI. GOVERNINO I LAVORATORI”

Noi ci battiamo per un altro Stato. Perché ci battiamo per il potere reale dei lavoratori e delle lavoratrici.
Naturalmente lavoriamo per la difesa di tutti i diritti e gli spazi democratici che la classe operaia e le masse popolari hanno conquistato e strappato con durissime lotte. Ed anzi lottiamo per ampliare (o recuperare) questi diritti contro l’involuzione in corso, rivendicando il ritorno a una legge elettorale pienamente proporzionale, la difesa e sviluppo delle libertà sindacali (dei singoli e delle organizzazioni), la difesa dei diritti e delle libertà delle donne, la parità di diritti tra lavoratori italiani e immigrati, contro ogni forma di xenofobia, la parità dei diritti degli omosessuali e di tutte le minoranze oppresse, contro ogni cultura e discriminazione omofobica. Rivendichiamo in fondo la democrazia reale: quella in cui la maggioranza della società non ha solo il diritto di votare ogni 5 anni chi la trufferà in Parlamento, ma ha il potere di decidere le condizioni della propria vita e del proprio futuro.
Per questo rivendichiamo una democrazia fondata sull’autorganizzazione democratica dei lavoratori stessi e delle larghe masse popolari, con rappresentanti eletti direttamente nei luoghi di lavoro e sul territorio; con il più ampio e libero confronto tra diverse proposte, candidature, organizzazioni , partiti, sulla base del principio proporzionale e del comune riconoscimento del potere popolare; dove tutte le articolazioni del potere e gli stessi strumenti di difesa del nuovo ordine sociale sono basati sulla forza organizzata dai lavoratori stessi e sono posti sotto il loro controllo.
A chi obietta che è una proposta arcaica, rispondiamo che è l’unica risposta progressiva, reale, straordinariamente attuale, alle stesse istanze di moralità pubblica, trasparenza, efficienza, economicità che la propaganda dominante oggi solleva in modo ipocrita e distorto, e spesso reazionario. Nessuna soluzione è più efficiente di quella che smantella l’enorme parassitismo dell’attuale burocrazia dello Stato, che affida alla forza organizzata dei lavoratori la repressione della mafia e della grande criminalità organizzata.
Nessuna soluzione è più trasparente di quella che cancella ogni forma di segreto di Stato; E nessuna soluzione è più igienica e morale di quella che, abolendo il potere della borghesia e il cinismo del profitto, estirpa alla radice il fondamento stesso della corruzione e del malaffare.
La borghesia ha fatto della sua politica un costoso strumento di raggiro e di privilegio. Solo il potere dei lavoratori può edificare uno Stato trasparente e a buon mercato, rifondando la natura stessa della politica e trasformandola in strumento di gestione collettiva e libera del bene comune.
Dopo la rottura con il PRC, abbiamo sviluppato il movimento costitutivo del PCL aggregando, su chiari principi, compagni e compagne di diversa provenienza, ed estendendo la nostra presenza organizzata in tutte le regioni e nella quasi totalità delle province. Ci siamo battuti, anche come partito, nella campagna per il no all' accordo del 23 luglio, costruendo e prendendo parte ai comitati per il no, promuovendo comizi davanti ai cancelli delle fabbriche, estendendo anche per questa via la nostra presenza e radicamento nei luoghi di lavoro.
Dieci anni fa il congresso nazionale del PCL, portando così a compimento la prima fase di aggregazione delle forze.
Questo progetto è tanto più attuale, qui e ora, di fronte ai processi di segno opposto che oggi investono la cosiddetta sinistra italiana che promuove una ulteriore unificazione  per continuare a governare col Partito Democratico e i poteri forti. Intransigenti sui principi, ci rivolgiamo nel modo più aperto, a tutti coloro che vogliono ridare una prospettiva alla classe operaia e ai movimenti di lotta di questo paese: ai lavoratori che cercano una loro autonoma rappresentanza contro una politica dominante che li colpisce;
agli attivisti sindacali, ovunque collocati, che vogliono un sindacato che stia dalla parte dei lavoratori e non del padronato e del governo;
a tutti i protagonisti di una stagione di lotte (operaie, no-global, antimperialiste) che ha investito l’Italia negli anni passati e che è stata tradita;
ai tanti iscritti e militanti delusi delle attuali sinistre di governo e agli elettori allo sbando di un popolo di sinistra che si sentono orfani di riferimenti credibili. Senza altro interesse che non sia l’emancipazione e la liberazione di tutti gli oppressi, in Italia e nel mondo.

giovedì 1 settembre 2016

GIOVANI: DISOCCUPAZIONE GLOBALE



La disoccupazione giovanile rimane alta a livello globale e i dati sembrano indicare che sia destinata a crescere ulteriormente.

Lo dice un rapporto recentemente pubblicato dall'International Labour Organization (ILO), che mette anche in guardia sul fatto che pure i giovani che lavorano si trovano spesso in situazioni di semi-povertà a causa di lavori precari e malpagati e che la percentuale di giovani che vogliono emigrare per sempre dal proprio paese è in costante crescita.

I dati dell'ILO ci dicono che a livello globale il tasso di disoccupazione dei giovani fra i 15 i 24 anni è salito dal 12.9 al 13.1 per cento, molto vicino quindi al picco toccato nel 2013 (13.2 per cento). Si noti che l'Italia è ben sopra questa media, visto che il suo tasso è attorno al 40 per cento (dati Istat).

Un risultato trainato dal brusco arresto della crescita del fenomeno nei paesi emergenti come Russia, Brasile e Argentina, ma anche i paesi occidentali non vanno tanto meglio, visto che ci si aspetta che la disoccupazione cresca nel 2016 per poi diminuire solo dello 0.2 per cento nel 2017.

Il rapporto sottolinea poi che anche per i giovani che lavorano la situazione non è molto migliore. Secondo uno studio dell'Università di Milano, l'Italia con il suo 26 per cento si trova al primo posto in Europa.


Gli ennesimi segnali di un'economia globale che ormai si trova in una situazione permanente di stagnazione, e di come uno degli aspetti di questa crisi sia stato un attacco globale senza precedenti alle fasce giovanili della società.