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sabato 29 luglio 2017

IL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI DI FRONTE ALLE PROSSIME ELEZIONI POLITICHE



Lo scenario politico italiano si avvicina rapidamente alle prossime elezioni politiche segnato dai perduranti effetti dell'onda lunga del voto del referendum del 4 dicembre e della crisi del renzismo.
Il voto del 4 dicembre ha avuto come prima conseguenza la fine del progetto istituzionale e politico di Renzi; un progetto centrato sulle ambizioni dell'uomo solo al comando, pesantemente reazionario, che è franato sotto il peso delle contraddizioni emerse dalle prove di forza su articolo 18 e Buona Scuola che hanno avuto come conseguenza l'erosione significativa delle basi di consenso iniziali del renzismo. Il governo Renzi ha vinto le proverbiali battaglie, per perdere poi la guerra.

L'effetto politicamente più rilevante del 4 dicembre è la fine di ogni tentativo di costruire nel breve periodo un bipolarismo artificiale, basato sulla tradizionale alternanza di governabilità. L'Italia si trova oggi sprofondata in un quadro tripolare fortemente instabile, in larga misura confermato dal voto delle amministrative di giugno, e caratterizzato dall'assenza congiunta di un baricentro politico affidabile e di un paracadute istituzionale, da cui discende l'aperta possibilità di una crisi politico-istituzionale per il nostro paese. Se l'erosione del consenso dei partiti tradizionali di governo in Europa attraversa in modo trasversale tutta l'Unione, in nessun caso come in Italia la borghesia si trova senza un'ipotesi spendibile di governo che vada oltre il fragile equilibrio che tiene insieme il governo Gentiloni.

Le tre destre che dominano lo scenario politico italiano sono ad oggi attraversate da contraddizioni interne. Il renzismo si arrocca intorno al Capo e alla sua non negoziabile ambizione di riconquistare il governo, da qui il rifiuto di ogni ipotesi di coalizione di centrosinistra nello scenario post-referendum e le nuove frizioni interne con l'area di Orlando e Cuperlo, che potrebbero anche lasciar presagire una nuova spaccatura. Il centrodestra ha tratto nuova linfa vitale dall'affermazione nelle amministrative, ma paradossalmente la vittoria accentua, anziché risolvere, la guerra intestina tra Berlusconi e Salvini, entrambi indisponibili a cedere la leadership della coalizione su cui pesano inoltre le incertezze riguardo alla legge elettorale. Il M5S ha subito una grossa battuta d'arresto alle elezioni amministrative ma malgrado ciò continua a disporre di uno spazio politico considerevole. Si è lanciato in una pesante propaganda reazionaria per tentare di recuperare consensi sulle paure e sui peggiori umori trasversali che attraversano il paese sul tema dell'immigrazione. Contemporaneamente punta alla vittoria alle regionali siciliane da usare come trampolino di lancio per le politiche. Prosegue il proprio lavoro di accreditamento verso la borghesia e il padronato, a cui offre, tra le altre, l'abolizione dell'Irap e la disintermediazione nel rapporto con i lavoratori, ossia in altre parole un attacco esplicito al sindacato in quanto tale. La marcia verso il governo nazionale che il M5S si è dato continua ad alimentare infine il clima da guerra tra bande che ha caratterizzato la vita del movimento in molti dei suoi settori fondamentali, locali e nazionali, e come testimoniato da ultimo dalla vicenda delle comunali di Genova.

Il pasticcio parlamentare che si è consumato sulla legge elettorale è stata una cartina di tornasole delle crisi irrisolte che attraversano i partiti del cosiddetto patto a quattro, e misurano l'assenza di una strategia a breve termine di Renzi, fino all'ultimo indeciso se tentare la carta delle elezioni anticipate. Lo scambio politico organizzato da Renzi e Berlusconi, centrato sul proporzionale e con lo sbarramento al 5%, permetteva ai due di liberarsi da un lato della Lega e dall'altro di MDP, e a Renzi di giocarsi le elezioni senza il peso sulle spalle della legge di stabilità. La convergenza di M5S e Lega Nord sull'ipotesi si misurava sulla necessità dei primi di giocare, in assenza di premio elettorale, la gara col PD sul testa a testa su chi sia il primo partito, mentre per i secondi di capitalizzare l'exploit lepenista alle presidenziali francesi prima che si potesse disperdere.

Ma l'accordo non ha retto alle tensioni e alle frizioni interne a M5S e PD che, unite a sentimenti di contrarietà alle elezioni anticipate e alla legge elettorale in quanto tale in parlamento, hanno prodotto il pasticcio parlamentare sull'emendamento Biancofiore che ha portato il PD a dichiarare immediatamente “morta” la legge e iniziando una gara allo scaricabarile col il M5S.


IL BALLO DELLE SINISTRE RIFORMISTE

Il campo della sinistra riformista è in grande subbuglio negli ultimi mesi. Gli strappi e le dinamiche parlamentari sulle leggi elettorali hanno costretto i vari soggetti in campo a riformulare in continuazione ipotesi di alleanze e di cartelli, caratterizzandosi contemporaneamente per una grande litigiosità e per il più limpido opportunismo.
L'ipotesi della legge elettorale proporzionale con sbarramento al 5% spingeva Campo Progressista, MDP, Sinistra Italiana e persino anche il PRC al tentativo di costruire un accordo di cartello obbligato per superare la fatidica soglia. La stessa iniziativa del Brancaccio promossa da Falcone e Montanari era nata inizialmente con l'intento di spingere per questa soluzione, dando una veste unitaria, civica e popolare all'operazione, capace di tenere dentro tutti. Ma il crollo dell'ipotesi di legge elettorale in parlamento ha fatto esplodere le contraddizioni e rilanciato i lavori di riposizionamento a sinistra, oltre che la caratteristica litigiosità delle varie anime, come testimoniato dalle recentissime bagarre tra Campo Progressista e MDP, con l'annullamento dell'incontro tra Pisapia e Speranza.
Il ritorno al Consultellum col 3% di sbarramento ha riaperto le danze, e il futuro rapporto col PD è uno degli spartiti che i gruppi dirigenti suonano più di frequente. Così si passa da Pisapia e le ambizioni di un progetto di nuovo centrosinistra alle varie ipotesi di una seconda lista “civica e progressista”, promossa dai promotori dell'iniziativa del Brancaccio, che aspira a coinvolgere il PRC e una Sinistra Italiana perennenente in bilico tra l'uno e l'altro campo. Una lista civica che sarebbe una riedizione di liste civiche già sperimentate nel passato con Ingroia e Barbara Spinelli, e che si caratterizzano per la rimozione di ogni orizzonte classista.


PER UN CARTELLO DELLA SINISTRA CLASSISTA

Non sarà l'ennesima illusione riformista a poter portare una parola di verità durante la prossima campagna elettorale. Non lo sarà nella sua forma più marcatamente governista, incarnata da Pisapia e da D'Alema. Non lo sarà nella sua veste civica: in primo luogo perché tutti gli attori e i protagonisti del rinnovato “civismo” sono in realtà uniti principalmente dall'essere stati scaricati dal carro di Pisapia. Più in generale, tutti i gruppi dirigenti coinvolti in questo o quel progetto di lista riformista di sinistra sono stati parte attiva dei governi padronali che hanno contribuito negli anni non solo a colpire duramente i lavoratori, i loro salari e i loro diritti, ma sono anche, come conseguenza di ciò, responsabili di una disfatta di lungo corso della sinistra politica italiana, incapaci di prospettare una soluzione di classe indipendente alla crisi e interessati esclusivamente alla loro salvezza istituzionale. In secondo luogo perché non sarà la rimozione di ogni orizzonte di classe, non sarà l'imboscamento dietro un civismo progressista e democratico che potrà dare prospettiva indipendente agli sfruttati.

Come Partito Comunista dei Lavoratori consideriamo da sempre le elezioni un importante momento di propaganda rivoluzionaria. Nella tornata elettorale che ci aspetta, dove tre destre si contenderanno la leadership del paese e dove un arcipelago di piccole sinistre riformiste spargeranno illusioni in un quadro ancora in via di definizione, noi riteniamo cruciale che ci sia lo spazio per una voce apertamente classista e anticapitalista, una voce che non parta dal principio astratto di unità della sinistra pur che sia, ma parta dal principio di realtà che solo una sinistra marcatamente classista, anticapitalista e rivoluzionaria può rispondere alle esigenze e ai bisogni della classe lavoratrice e delle masse operaie.

Le leggi elettorali della democrazia borghese oppongono ingenti ostacoli alla presentazione e alla rappresentanza di formazioni classiste e rivoluzionarie. Sia in termini di sbarramenti, sia in primo luogo in termini di difficoltà burocratiche per costruire una presentazione a carattere nazionale che possa guadagnare la tribuna della più ampia comunicazione di massa. L’enorme mole di firme autenticate necessarie per la presentazione di formazioni non istituzionali a conclusione della legislatura ne è un esempio.

In questa situazione concreta, riteniamo come Partito Comunista dei Lavoratori che sia possibile costruire con Sinistra Anticapitalista e a Sinistra Classe Rivoluzione un cartello elettorale classista e anticapitalista, rispettoso della riconoscibilità di ogni soggetto, che punti a superare gli ostacoli burocratici indicati e dunque a consentire una presenza elettorale classista con una presenza su ampia parte del territorio, e quindi un profilo nazionale. Un cartello elettorale che certo non annulla i diversi percorsi e progetti, ma che punti a valorizzare i riferimenti comuni classisti mettendoli al servizio di una campagna elettorale unitaria. Una campagna mirata alla ricomposizione di una opposizione di classe, unitaria, radicale e di massa. Una campagna che sia capace di parlare alle masse di lavoratori, di migranti, di precari, di disoccupati, al movimento delle donne e delle minoranze oppresse, alla domanda di svolta ambientalista, da una comune angolazione classista, internazionalista e anticapitalista.

Come PCL riteniamo che una presentazione indipendente e con un profilo nazionale della sinistra classista, possibile solo se unita, sia un passaggio centrale oggi per smascherare tutte le illusioni riformiste che vengono seminate sia da chi persegue apertamente un nuovo centrosinistra, sia da chi vuole imboscarsi nel civismo democratico aclassista, sia da chi sbandiera il sovranismo nazionalista di sinistra.

Dentro questo comune quadro generale, come Partito Comunista dei Lavoratori, continueremo la nostra specifica battaglia controcorrente per la costruzione di un autonomo partito marxista rivoluzionario impegnato per la prospettiva di un governo dei lavoratori e della rivoluzione socialista.

Partito Comunista dei Lavoratori

venerdì 28 luglio 2017

L'ARMATA TRICOLORE VERSO LA LIBIA



«Pronta un'armata con navi, aerei e droni per fermare le partenze dei migranti». Così il Corriere della Sera annuncia con squillo di fanfare la nuova impresa di Libia.

I dettagli forniti dalla stampa più accreditata presso il ministero della Difesa sono molto istruttivi. Prevedono l'invio di una flotta militare guidata da una nave comando, seguita da cinque navi leggere, e accompagnata da aerei ed elicotteri, per un totale di mille uomini in divisa. La flotta dovrebbe entrare per la prima volta in acque libiche coordinando l'intervento della guardia costiera locale per intercettare, bloccare, respingere sotto costa i barconi di migranti, prima che entrino nelle acque internazionali. I migranti, letteralmente sequestrati, verrebbero poi “trasferiti a terra” e internati nei campi libici, dove “i richiedenti asilo” dovrebbero inoltrare le proprie richieste.

Il cinismo regna sovrano. Lo scopo evidente della missione militare è impedire con la forza il diritto di fuga dalla fame e dalle guerre provocate dalle rapine imperialistiche, segregando in fetide galere centinaia di migliaia di persone disperate, già provate da violenze indicibili, e ora date nuovamente in pasto a vessazioni, torture e stupri. Il richiamo al controllo dell'ONU è pietoso. È come sempre la coperta diplomatica e rassicurante offerta alla opinione pubblica democratica per coprire le peggiori nefandezze. L'ipocrisia sulla natura “umanitaria” della missione è svelata dalle regole d'ingaggio richieste dal governo italiano. Infatti verrà utilizzato il cosiddetto modello SOFA (Status Of Forces Agreement) della Nato, che ha lo scopo di «concedere ai militari presenti nei Paesi ospiti la massima immunità possibile dalle leggi locali» (Corriere 27/7). Questo significa una cosa sola: il diritto dei militari occupanti a delinquere impunemente, in mare e in terra.

Non è casuale peraltro il modello esemplare indicato: quello della cosiddetta missione Alba del 1997 contro la “invasione albanese". Il Corriere la esalta perché «riuscì a frenare il flusso migratorio dalla Albania alla Puglia». In realtà la fuga dall'Albania continuò sino ai primi anni 2000. In compenso le navi militari tricolori speronarono e affondarono nel Mare di Otranto la barcarola albanese Kater i Rades, assassinando 108 persone. Un crimine tuttora impunito, e persino rimosso a sinistra come non fosse avvenuto. Governava Romano Prodi, con l'appoggio di Bertinotti, Cossutta, Ferrero, Rizzo. Si vuole oggi rinverdire quelle gesta nel mare di Libia?

Il calendario della missione militare non è casuale, e non riguarda solo la partita migranti. La missione italiana è annunciata il giorno dopo l'incontro a Parigi del presidente francese Macron con al-Sarraj e il generale Haftar. Un incontro funzionale a rilanciare l'imperialismo francese quale forza egemone in Nord Africa, a tutela della presenza della Total in Cirenaica, e del controllo sulla fascia del Sahel (Niger, Mali, Ciad). L'imperialismo italiano, già in forte contrasto con gli interessi francesi su altri fronti (cantieristica), non è disposto a subire in silenzio. Dopo essersi accorto di essere salito sul cavallo sbagliato (al-Sarraj), mentre i francesi cavalcavano il vincente Haftar (col sostegno interessato di Egitto e Russia), il governo italiano ora cerca rimedio allestendo una propria diretta presenza militare sul campo a supporto degli interessi di Eni e del proprio ruolo negoziale in Nord Africa e sui confini del Niger: là dove passano le carovane tormentate dei migranti che Minniti vuole bloccare alla partenza. La pioggia di miliardi promessa dalla UE ai diversi governi africani interessati serve non solo a ingrassare le corrotte polizie locali e a dissodare il terreno per nuovi investimenti rapina (sotto la bandiera dell'“aiutiamoli a casa loro”), ma anche a coprire il braccio di ferro tra imperialismo francese e imperialismo italiano per l'egemonia nel Nord Africa.

I migranti e le loro sofferenze sono dunque ostaggio di una partita più grande tra le vecchie potenze coloniali. Anche per questo la mobilitazione contro la missione italiana non può muovere solo da un versante “democratico” a tutela dei migranti e dei loro diritti. Deve muovere anche da un'aperta denuncia degli interessi dell'imperialismo, innanzitutto del nostro imperialismo. Quello che piace a tanti improvvisati sovranisti (magari di sinistra), e che invece resta per noi, come un secolo fa, il nemico principale.


Marco Ferrando

giovedì 27 luglio 2017

IL SUCCESSO DI ALEXIS TSIPRAS: LA FAME DEI LAVORATORI GRECI

Il governo Syriza festeggia il ritorno della Grecia sui mercati



«Un successo assoluto»: così Alexis Tsipras ha salutato il ritorno della Grecia sul mercato dei capitali.

Di cosa si tratta? Si tratta del fatto che il governo greco è tornato a emettere bond sul mercato finanziario. Esattamente bond a cinque anni, che gli hanno fruttato tre miliardi di euro. Più di metà della somma raccolta è giunta dai vecchi creditori della Grecia, cioè dagli Stati e banche imperialiste che hanno affamato quel paese. A vendere i bond (in gergo si chiama “gestire il collocamento”) hanno pensato guarda caso sei grandi banche internazionali appositamente incaricate dal governo ellenico (BNP Paribas, Citigroup Global Markets, Goldman Sachs, Merril Lynch, Deutsche Bank, HSBC), le quali in parte hanno comprato direttamente i titoli greci, in parte li hanno piazzati ad altri acquirenti. Il tutto naturalmente in cambio di un rendimento (interesse sul debito) notevolmente elevato: 4,26 %. Per fare un raffronto i titoli italiani, grazie agli investimenti della BCE, sono oggi scambiati con un rendimento dello 0,80%.

Prima domanda: perché i creditori imperialisti sono tornati a comprare i titoli greci? Perché Tsipras si è sufficientemente prostrato in questi due anni a tutte le richieste degli strozzini della troika per guadagnarsi una medaglia di affidabilità. Seconda domanda: perché rendimenti tanto elevati sulle nuove emissioni? Perché il capitale finanziario conosce bene il collasso dell'economia greca (crollo del 25% del pil, debito al 180%) - prodotto della sua stessa rapina - e dunque si cautela (da perfetto strozzino) con alti interessi... a loro volta volàno di nuovo debito, in una spirale senza fine. L'unica cosa chiara è che a pagare il conto sono chiamati come sempre i lavoratori, i disoccupati, la popolazione povera di Grecia. Gli stessi che hanno retto sulle proprie spalle la bancarotta del capitalismo greco e gli effetti della crisi mondiale.

Mentre la sinistra riformista continua a benedire Tsipras, il Sole 24 Ore ha commentato con cinica soddisfazione: «...Un ex giovane comunista come Tsipras si è convertito dalla politica suicida di collisione con la UE alla stagione di austerità e riforme strutturali» (26 luglio). È un bilancio di verità: l'unico assoluto successo di Tsipras è il successo dei creditori imperialisti.

Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 26 luglio 2017

DIETRO SICCITÀ E INCENDI IL FALLIMENTO DEL CAPITALE



Gli intellettuali borghesi accusano i marxisti con bonaria sufficienza di pregiudizio ideologico verso il capitalismo. In realtà manifestano, in forma capovolta, il proprio pregiudizio ideologico. Lo dimostrano i fatti più semplici.

L'Italia (ma non solo, vedi Portogallo e USA) è investita in queste settimane da una straordinaria siccità, un dilagare degli incendi, una gravissima carenza d'acqua. Sono fenomeni non casuali. Le stesse commissioni di studio dell'ONU prevedevano già nel 2007 che “...le emissioni di CO2 e di metano porteranno siccità frequenti e prolungate con rischi d'incendio... Il problema dell'acqua aumenterà nell'Europa centrale e meridionale, dove i flussi estivi potrebbero ridursi dell'80%”. Testuale. Dunque i fenomeni riflettono indirettamente la distorsione di un modello economico fondato sul primato delle energie fossili, a sua volta dettato dalle ragioni di profitto. Di cosa parliamo se non del capitalismo?

Il punto è che il capitale non solo è incapace di intervenire sui problemi a monte che esso stesso crea, ma aggrava i loro effetti anche a valle. Il caso italiano è emblematico. I soli interventi di emergenza per spegnere gli incendi si confrontano col taglio drastico degli investimenti nella protezione civile realizzato da tutte le leggi finanziarie dell'ultimo decennio (dalle finanziarie di Prodi a quelle di Renzi). Parallelamente le aziende dell'acqua sempre più concentrate e privatizzate, e con tariffe sempre più esose, preferiscono distribuire i lauti dividendi agli azionisti piuttosto che investire nella riparazione delle tubature. Il fatto che l'incuria delle tubature disperda il 40% dell'acqua (il 44% a Roma) non è un problema degli azionisti. Che semmai provvederanno a reclamare l'aumento delle bollette per i consumatori. Mentre Stato e comuni (azionisti complici delle SPA dell'acqua) piangono ogni giorno sull'assenza di risorse pubbliche per la rete idrica e la protezione civile, quando pagano complessivamente alle banche quasi cento miliardi l'anno di soli interessi sul debito, e poi destinano altri venti miliardi a favore del “risanamento” di quelle stesse banche.

Questa è la realtà del capitalismo. Un mondo capovolto. Un sistema irrazionale e parassitario, capace di ingrassare il portafoglio degli azionisti ma incapace di risolvere persino il problema dell'acqua e del fuoco. Le sinistre cosiddette realiste che pensano di “riformare” il capitale, e di renderlo umano ed ecologico, vendono truffe, che servono loro unicamente per prenotare assessorati o ministeri al fianco dei partiti borghesi.
L'unica soluzione realista è il rovesciamento del capitalismo e la riorganizzazione della società dalle sue fondamenta. Solo un governo dei lavoratori può espropriare le aziende SPA che sfruttano l'acqua per ragioni di profitto, investire risorse massicce nella riparazione della rete idrica e nel risanamento ambientale, fare del risanamento del territorio la leva di un grande piano di lavori pubblici, capace oltretutto di creare milioni di nuovi posti di lavoro per lavoratori italiani e immigrati. Dove si prendono i soldi? Abolendo il debito pubblico verso le banche e nazionalizzando le banche, senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto il controllo dei lavoratori. Ciò che solo un governo dei lavoratori può fare.

Questa è l'unica soluzione possibile. Il resto è chiacchiera e inganno.


Partito Comunista dei Lavoratori

martedì 25 luglio 2017

ALTRI MILIARDI DELLO STATO PER SALVARE LE BANCHE E GARANTIRE PROFITTI

Concentrazione e centralizzazione di capitali con le tasche dei contribuenti e dei lavoratori


Mentre continuano le politiche di lacrime e sangue per i lavoratori e gli sfruttati, in tutto si regalano alle banche oltre 42 miliardi di euro e si consente di spalmare sulla collettività attraverso i meccanismi finanziari altri 26 miliardi di euro in titoli spazzatura. Questa è la volta di una doppia operazione MPS-banche venete, con il regalo di enormi capitali a Intesa San Paolo e lo scarico su collettività e lavoratori i costi del salvataggio e delle ristrutturazioni
Mentre continuano le politiche di lacrime e sangue per i lavoratori, i precari, i disoccupati e i migranti (causa di ogni male), la parte più consistente dei responsabili di questa crisi gode degli sforzi dello Stato e dei governi per poter forzare le regole europee e strappare la possibilità di salvare le tasche dei capitali finanziari e industriali.
Così, dopo gli oltre 37 miliardi di euro pubblici, tra garanzie, investimenti e acquisti di titoli tossici, per salvare le banche venete e garantire gratuitamente a Intesa San Paolo miliardi e miliardi di profitti e depositi, arriva la formalizzazione dell’operazione di salvataggio pubblico del Monte dei Paschi di Siena.

Altri 5,4 miliardi di euro pubblici per assumersi le perdite e 26,1 miliardi di titoli tossici spalmati sul mercato e su piccoli azionisti, diffusi tramite vari passaggi che prevedono il coinvolgimento del fondo finanziario Atlante2. Quest’ultimo, infatti, mostra come l’operazione banche venete e quella MPS siano strettamente collegate. Le lunghe trattative per cercare di non scontentare nessuna grande cordata di capitali si concludono con la scelta di accollare allo Stato, con una bad bank, i titoli tossici di quelle banche, regalare profitti e capitali a Intesa San Paolo, così Atlante2 - non più costretto ad occuparsi dei titoli tossici delle banche del Nord-est - può investire nella cartolarizzazione delle sofferenze di MPS, permettendo così allo Stato di divenire azionista di maggioranza fino a che tutta l’operazione di ristrutturazione non sarà conclusa. Solo allora verrà il momento per regalare nuovamente ai capitali privati un nuovo gioiellino che ha scaricato i costi del suo salvataggio sulla collettività.

Tra questi costi del programma di ristrutturazione di MPS - e nella stampa borghese vi si accenna sapientemente solo sottovoce – vi sono almeno 5.000 esuberi – posti di lavoro in meno, in qualsiasi modo si ottengano - e il taglio del 30% delle filiali con una bella aggressione al “costo e ai ritmi del lavoro”.

Ma non finisce qui. Tutte queste operazioni aprono lo scenario di un altro effetto domino. Perché appena si concluderà il cambio del pannolino alle venete e a MPS, si aprirà un nuovo caso di “necessaria ripulitura”. Quello delle Casse di Cesena, Rimini e S. Miniato che devono essere acquisite da Cariparma e Crédit Agricole Italia. Ovviamente i capitalisti coraggiosi si sentono sicuri di acquistare il tutto dopo che altri, principalmente lo Stato, si occupino di eliminare tutti i rischi e i titoli tossici “in eccesso” per altri due miliardi di NPL. L’ipotesi principale e preferita dai capitali finanziari, infatti, rimane quella sperimentata con Intesa San Paolo: una bella bad bank pubblica che si assorba debiti, sofferenze e titoli tossici per garantire profitti e accumulazione di capitali ai nuovi acquirenti.
Insomma, lo Stato mette a nuovo i pacchetti di capitali e mercato finanziario per fornirli senza rischi e complicazioni a cordate di capitali che possono migliorare i propri posizionamenti nelle classifiche del potere economico.
Nel frattempo continua la solfa del debito pubblico e della necessità di tagliare servizi, welfare, assistenza sociale e quant’altro, così come si pone come impensabile nel sistema del “libero mercato” l’intervento dello Stato per far pagare a industriali, banchieri e capitali privati di ogni sorta il costo del sistema che garantisce loro profitti, ricchezze e potere.

Lo Stato come capitalista collettivo e comitato d’affari della borghesia mostra sempre più il suo vero volto, ed è dovere di ogni sfruttato non accettare supinamente simili soprusi, simili dimostrazioni del disinteresse totale verso chi realmente produce e suda con le proprie sofferenze l’intero apparato produttivo, organizzativo e distributivo della società. Solo unendosi in una lotta generale per rivendicare condizioni di vita dignitose, salari adeguati e diritti sociali, economici e politici uguali per tutti si potranno mettere in discussione questi meccanismi. Solo battendosi per la nazionalizzazione di tutte le banche e istituti di credito in un’unica banca pubblica e gestita direttamente dai lavoratori e dall’intera società attraverso il governo dei lavoratori e delle lavoratrici, si potrà dare un indirizzo diverso alle politiche di uscita dalla crisi economica oppure gli sfruttati rimarranno sfruttati e gli sfruttatori sempre più ricchi e potenti.

Partito Comunista dei Lavoratori

domenica 23 luglio 2017

DALLA PARTE DEI PALESTINESI



Il governo Netanyahu, sostenuto dalla peggiore destra sionista, ha aperto il fuoco contro migliaia di palestinesi che manifestavano presso quella spianata delle moschee che era stata loro sbarrata.

Non si tratta di un episodio isolato. Lo Stato sionista sta cercando di capitalizzare a proprio vantaggio la dissoluzione generale dei vecchi equilibri del Medio Oriente per allargare e fortificare le proprie posizioni. Si fa scudo in particolare del nuovo corso ultrasionista di Donald Trump non solo per archiviare la recita delle famigerate “trattative di pace” ma per intraprendere un nuovo piano massiccio di espansione edilizia nella Cisgiordania occupata, tra gli applausi entusiasti dei coloni. Parallelamente Netanyahu fa il giro delle capitali europee per presentare lo stato di Israele come l'unico baluardo di garanzia contro il fondamentalismo musulmano. Da un lato cercando il sostegno dei governi “democratici” imperialisti, che da Macron a Gentiloni sono stati prodighi di riconoscimenti. Dall'altro civettando apertamente coi peggiori ambienti del populismo reazionario e xenofobo europeo, inclusi quelli di orientamento antisemita (Orban). A riprova una volta di più che il sionismo è nemico del popolo ebreo oltre che oppressore del popolo palestinese ed arabo.

Questa politica sionista troverà pane per i suoi denti nella resistenza palestinese. Non nei suoi gruppi dirigenti maggioritari, che o sono compromessi col sionismo (Abu Mazen) o hanno un profilo fondamentalista reazionario (Hamas). Ma nel corpo dei suoi combattenti, nella massa di una giovane generazione palestinese che per quanto in parte demotivata dalle sue direzioni non ha alcuna disponibilità a subordinarsi al tallone di ferro dell'occupazione sionista e della sua polizia.

Di certo i fatti dimostrano una volta di più che non c'è alcuna possibile soluzione della questione palestinese nel quadro della subordinazione all'imperialismo e al sionismo. Tutte le cosiddette soluzioni di pace con lo Stato sionista d'Israele, ogni volta presentate a sinistra come le uniche realiste, si sono dimostrate, oltre che subalterne, del tutto utopiche. Non può esservi alcuna pace giusta e durevole tra gli oppressi e gli oppressori. Solo il rovesciamento della dominazione sionista e imperialista può liberare i palestinesi dalla violenza dell'oppressione, che nega loro quotidianamente i diritti più elementari, e restituirli alla loro terra, che è il fondamento storico del loro pieno diritto alla autodeterminazione. Per una Palestina libera, laica, socialista, in una federazione socialista del Medio Oriente.


Partito Comunista dei Lavoratori

lunedì 17 luglio 2017

L'ULTIMA BATTAGLIA DI LENIN

da Unità di classe “LA RIVOLUZIONE E IL SUO CONTRARIO”
di Piero Nobili




Lenin negli ultimi anni della sua vita accentra la sua attenzione sui pericoli di una possibile degenerazione del partito che aveva fondato e portato alla vittoria. Soprattutto è preoccupato dal peso crescente della burocrazia all'interno dell'apparato.
Pur colpito da una grave malattia invalidante, Lenin concentra i suoi ultimi sforzi nella battaglia politica, torno a tre elementi centrali: difende il diritto di autodeterminazione dei popoli, e contrasta la politica di unione forzata delle nazionalità brutalmente avviata da Stalin; si schiera a favore del mantenimento del monopolio del commercio estero che Stalin  e Bucharin volevano abolire;  propugna il ripristino della democrazia operaia nel partito e nel governo dello Stato sovietico. Infine, in quelle note che vengono considerati il suo testamento, Lenin esprime un giudizio inequivocabile:

“Stalin è troppo brutale, questo difetto, mente tollerabile nel nostro ambiente… non lo è più nelle funzioni di Segretario generale. Propongo dunque ai compagni di studiare un mezzo per dimettere Stalin da questa carica…”

La morte, sopraggiunta all'inizio del 1924, impedirà di intervenire al XIII Congresso del Partito e di approfondire la battaglia politica che aveva iniziato a condurre contro la nascente burocrazia. Successivamente, l’opposizione allo stalinismo, dentro e fuori Unione Sovietica verrà proseguita da Trosky e da quei militanti bolscevichi, che sulla base dei principi leninisti della democrazia operaia e dell’internazionalismo proletario, lotteranno fino alla fine per difendere il programma rivoluzionario dell'ottobre, stravolto e tradito dalla controrivoluzione capeggiata da Stalin e della sua casta parassitaria.

sabato 15 luglio 2017

I CONTI DEL PD CON IL FASCISMO, DALL'AMNISTIA TOGLIATTI ALLA PROPAGANDA DI FIANO



Lo scontro politico tra le destre, il Movimento 5 Stelle ed il PD sul reato di apologia di fascismo è solamente lo spettacolo desolante di una finta battaglia ideologica tra blocchi reazionari, condotta da chi solo qualche mese fa proponeva norme elettorali e istituzionali peggiori di quelle fasciste del 1923

Il 22 giugno 1946 entrava in vigore il “Decreto presidenziale di amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari” avvenuti durante il periodo dell'occupazione nazifascista. La legge è stata proposta e varata dal ministro di Grazia e Giustizia del primo governo De Gasperi, Palmiro Togliatti, segretario del PCI.
Perché il “compagno” Migliore, come lo definivano nel PCI di allora, decise così in tutta fretta questo colpo di spugna?
L'amnistia riguardava il condono della pena per reati comuni e politici per le condanne fino ad un massimo di cinque anni. I reati gravi e gravissimi, come le stragi degli ultimi mesi di guerra, non furono inclusi nel provvedimento, ma dopo l'uscita del PCI dal governo il condono venne ampliato indiscriminatamente, anche a causa della presenza fascista ancora notevole dentro le file della magistratura e negli apparati.
Ma prima di rispondere alla domanda bisogna compiere un balzo in avanti di qualche decennio e precisamente nel 1994.


L’ARMADIO DELLA VERGOGNA E LE STRAGI NAZIFASCISTE

Il procuratore militare Antonio Intelisano, del processo contro l'ex SS Erich Priebke, rinvenne in uno scantinato dimenticato della procura militare nel Palazzo Cesi a Roma un armadio seminascosto con dei documenti archiviati alla rinfusa decine di anni prima. Uno di questi, con il titolo "Atrocities in Italy" attirò subito la sua attenzione. Proveniva dal comando dei servizi segreti militari inglesi e indubbiamente riguardava elementi e testimonianze riguardanti le stragi compiute dalle SS lungo la Linea gotica e le ultime fasi della guerra.
Quelle testimonianze e la descrizione precisa delle stragi mettevano in risalto come la collaborazione tra fascisti e nazisti nelle stragi fosse strettissima. Soprattutto, la direzione logistica “italiana” in molti accadimenti era stata predominante.
Se questi documenti non fossero stati insabbiati, in quel lontano 1946, Palmiro Togliatti non avrebbe avuto nessuna giustificazione politica per il suo colpo di spugna storico.


PERCHÉ L'AMNISTIA IN QUELLA FASE POLITICA?

I dirigenti del PCI del 1946, e in particolare Palmiro Togliatti, avevano una sola preoccupazione, che poi era la stessa di Stalin: eliminare qualsiasi scintilla di lotta di classe che avesse legami con la resistenza partigiana, che in molte sue espressioni proveniva dai lavoratori delle fabbriche del Nord. Se il legame tra le lotte nelle fabbriche e la resistenza si fosse saldato in un progetto rivoluzionario, il PCI, espressione dello stalinismo, sarebbe stato sbalzato via. Un primo colpo contro possibili rivoluzioni sociali Togliatti lo portò due anni prima, nel 1944, dove vergognosamente mise all’ordine del giorno la collaborazione tra le classi proponendo un governo di unità nazionale con la monarchia, i badogliani e le forze cattoliche in quella che venne definita la svolta di Salerno. Poco tempo prima Togliatti si era incontrato con Stalin e Molotov, i quali gli avevano imposto questo piano politico preciso. Stalin voleva mantenere il suo potere politico in URSS inalterato; potere uscito dall’alchimia malsana della divisione del mondo decisa a Yalta con Churchill e Franklin Delano Roosevelt. In parte lo stesso problema si era risolto in Grecia, dove le forze marxiste rivoluzionarie erano state eliminate militarmente con la collaborazione tra esercito inglese e stalinisti. In Italia viceversa la garanzia del progetto di continuità staliniano passava da Togliatti. Se l’Italia fosse stata senza controllo e segnata dalle lotte sociali e di classe, tutto sarebbe stato messo in discussione.


OVRA-SIFAR-SID-GLADIO. TENTATIVI DI GOLPE E STRAGI

Il danno creato dagli interessi stalinisti di Togliatti provocò conseguenze irreversibili, delle quali ancora oggi sentiamo gli effetti nefasti. Una delle conseguenze dell’amnistia togliattiana fu la cooptazione di intere strutture fasciste nelle nuove strutture degli apparati dello Stato.
Funzionari dell’OVRA (il servizio segreto fascista) divennero gli elementi formativi del SIFAR e poi del SID -Servizio Informazioni Forze Armate e Servizio Informazioni Difesa - e di quello che fu il gruppo "di provocazione" clandestino Gladio. Le stragi degli anni '70, i tentativi di golpe e la stessa ricostituzione di gruppi politici di estrema destra hanno tutti un legame con gli effetti generati da quella disgraziata amnistia.


EFFETTI POLITICI E CULTURALI

Nel 2017 qualcuno trasforma tutto questo in una discussione fuorviante, concependo il fascismo solo come un'“opinione”, un “concetto ideologico”, dirottando la discussione sul saluto romano, sui busti di Mussolini, sulle canzoni fasciste, e chiedendosi se questi siano o meno un reato.
Ma Matteo Renzi, dopo la sconfitta al referendum sulla riforma elettorale, dove progettava una riforma istituzionale peggiore della stessa legge fascista Acerbo del 1923, risulta essere un campione di ipocrisia quando lancia il suo partito nell’“aggiornamento” del fascismo come reato di opinione. Il fascismo, al contrario, è uno strumento utilizzato dalla borghesia per contenere la lotta di classe, e lo stalinismo ne è diventato spesso suo complice. Solo lo sviluppo della lotta di classe può fermare e sconfiggere il fascismo in tutte le sue espressioni. Solo una sinistra di classe, e un governo dei lavoratori - che ne è la sua espressione anticapitalista - possono fermare il fascismo, e lo stalinismo complice dei compromessi storici di classe. I militanti del PCL lavorano per rendere possibile questa prospettiva.

Ruggero Rognoni

venerdì 14 luglio 2017

CONTRO LE TRE DESTRE PER UNA PROSPETTIVA DI CLASSE ANTICAPITALISTA










Il  panorama politico  è dominato da tre destre .
La prima è incarnata da Renzi, che ha diretto un'aggressione al lavoro, a partire dalla cancellazione dell'articolo 18 e dai 20 miliardi di decontribuzione ai padroni. Il referendum del 4 Dicembre mirava a concentrare il potere nell'uomo solo al comando. Quel progetto è fallito, ma non è certo cambiata la vocazione del renzismo.
La seconda è quella del Centrodestra. Diviso tra un Berlusconi che vuole governare con Renzi, e un Salvini lepenista. Il loro programma di abbattimento ulteriore delle tasse per i padroni ( la famosa flat tax) è un conto presentato ai salariati che già reggono il grosso del carico fiscale. Una direzione di marcia condivisa col renzismo ma che va oltre il renzismo.
La terza è il M5S. Il loro programma offre al padronato l'abolizione dell'Irap e la “disintermediazione” nel rapporto coi lavoratori. In altri termini un attacco  al sindacato in quanto tale, che il comico milionario Grillo  ha definito “ roba da 800”. Il loro progetto istituzionale blatera di democrazia “diretta” ma ....diretta da Grillo e Casaleggio , che oggi contendono cinicamente a Salvini la campagna anti migranti.

Oggi purtroppo queste tre destre riscuotono il voto di milioni di lavoratori . E' la misura del fallimento dei gruppi dirigenti della sinistra . Tutti i gruppi dirigenti della sinistra ( MDP, SI, PRC) si sono ciclicamente compromessi nelle politiche del capitalismo, per tutelare i capitalisti e pagare il debito pubblico alle banche. Non è che hanno difeso “male” i lavoratori. Hanno gestito gli interessi dei loro avversari. La più grande detassazione dei profitti - con la riduzione dell'Ires dal 34 % al 27%- è' stata realizzata nel 2007 dall'ultimo governo Prodi, dove sedeva il ministro Ferrero (PRC). I governi successivi ( Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni..) hanno proseguito e intensificato questa macelleria spesso col sostegno dell'attuale  gruppo  dirigente di MDP (Bersani) che in Parlamento ha votato tutto, Job Act incluso. Ci si può meravigliare se larghi settori di salariati hanno finito col guardare altrove , spesso purtroppo nelle direzioni peggiori ?

Si dirà che sono cose del passato, ma è sbagliato.  Basta guardare alla scena dell'ultimo mese.
L'ex sindaco Giuliano Pisapia , già testimonial del Sì al progetto istituzionale del renzismo, ha inseguito ( e insegue) una coalizione col PD , salvo essere scaricato da Renzi. MDP si è aggrappato a Pisapia. Sinistra Italiana (Fratoianni) si aggrappa a MDP , per paura di essere scaricata. Il PRC ( Ferrero ), scaricato da tutti, cerca l'ennesima “lista civica” in cui imboscarsi. La verità è che l'unica preoccupazione di questi gruppi dirigenti è tornare, in un modo o nell'altro, nel gioco politico istituzionale del governo del capitalismo. Lo stesso che ha spianato la via alle tre destre. C'è più che mai bisogno di una sinistra diversa, che abbia come proprio riferimento la difesa dei lavoratori contro il capitalismo. Il governo del capitalismo, in ogni sua forma, non ha nulla da offrire ma solo da togliere. L'esperienza di Tsipras lo conferma nel modo più chiaro.
Occorre costruire una prospettiva di rottura con un sistema fallito. E' la sola prospettiva che può liberare oggi una opposizione sociale vera. E' la prospettiva di un governo dei lavoratori : il solo che possa ridurre l'orario di lavoro a parità di paga, nazionalizzare senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori le aziende che licenziano o inquinano, abolire il debito pubblico verso le banche e nazionalizzarle.

Solo una rivoluzione sociale può realizzare questo programma.
Costruire il partito rivoluzionario della classe lavoratrice è l'unico vero investimento nuovo a sinistra.

mercoledì 12 luglio 2017

LA PERICOLOSA CRESCITA DI CASAPOUND L'EMERSIONE DI UNA FORZA REAZIONARIA NELLA CRISI DELLA COSCIENZA DI CLASSE




Nel contesto di sempre maggior crisi politica degli apparati tradizionali della borghesia nazionale, in un brodo generale di clamoroso crollo e disgregazione della coscienza di classe, si sviluppano in maniera sempre più massiccia i populismi in grado di mascherare da riscossa bonapartistica una fase di aggressione reazionaria alle condizioni degli sfruttati. Così si rafforzano i tre principali populismi (renziano, salviniano e grillino) proprio mentre si consuma la depoliticizzazione delle masse e della politica istituzionale stessa.
In un contesto come questo, un’avanguardia militante reazionaria e neofascista come CasaPound, cavalcando proprio il leitmotiv di questa fase storica, ossia l’invasione dei migranti unito alla crisi delle masse proletarie autoctone, riesce a capitalizzare una parte del dissenso più radicale all’establishment politico, raccogliendo consensi tanto tra la piccola-borghesia quanto tra il proletariato e il sottoproletariato, soprattutto nella sua componente più giovanile.

Ordine, disciplina, pulizia, cameratismo, identità nazionale e razziale, contrapposizione al capitale finanziario e all’Europa “cosmopolita” in quanto sua espressione e programma, nazionalismo e intervento dello Stato per garantire agli italiani un welfare selettivo. Questi i cavalli di battaglia di un’organizzazione che serve tanto nella militarizzazione dello scontro con le sempre più isolate organizzazioni della sinistra - militante e rivoluzionaria o più genericamente antagonista - quanto nella canalizzazione della rabbia popolare in una guerra tra poveri utile a dividere ulteriormente la classe di fronte al padronato.

E’ così che questa organizzazione, a questa tornata elettorale amministrativa, può permettersi di rivendicare un intervento diffuso ed un consenso in netta crescita: la lista della Tartaruga ha presentato un proprio candidato autonomo in oltre 13 comuni oltre i 1.500 abitanti confermando nuovi ingressi in consigli comunali oltre ai già ottenuti seggi a Bolzano, Isernia, Lamezia Terme, Grosseto e Cologno Monzese. Il dato politico si aggira sempre al di sopra dell’un per cento dei consensi confermando una propria quota di rappresentatività: 1,79% a Parma; 1,72% a Frosinone (2,02% al candidato); 1,47% per il candidato a Gaeta; 1,34% a Pistoia; 1,21% per la candidata a L’Aquila; 1,21% a LaSpezia; 1,15% a Cuneo; 1,02% per il candidato a Lecce, 1,03% a Verona. A questi vanno aggiunti i due notevoli risultati: il 4,81% dei voti a Todi, in provincia di Perugia, e lo strabiliante risultato del 4,92% della lista e del 7,84 per il candidato a Lucca, raggiungendo il terzo posizionamento dopo le coalizioni di centrodestra e centrosinistra e sopra al Movimento5Stelle.

Questo segnale non deve cogliere impreparati i rivoluzionari e i comunisti, così come tutti i proletari, e di conseguenza non va sottovalutato. La fase di rafforzamento di queste organizzazioni non può che essere un segnale negativo, soprattutto quando riescono a radicarsi e legittimarsi nello scenario politico nazionale mettendo piede anche nelle città che hanno sempre vissuto di una certa rendita sull’ antifascismo. Oggi, nonostante non rappresentino ancora una minaccia per il movimento operaio, sicuramente non più del generico populismo reazionario e xenofobo, sono il germoglio di un’arma sempre pronta a riaffacciarsi e a svolgere il suo ruolo antioperaio, di braccio armato informale della borghesia, protetto e coperto dalle istituzioni repressive dello Stato – le forze dell’ordine e la magistratura – e spesso in affari con branche della criminalità organizzata di stampo mafioso, sempre grate alla propaganda razzista che garantisce il mantenimento di un’enorme massa di migranti in uno status di umani privi di diritti e tutele, quindi facilmente reclutabili dalla malavita o utilizzabili come fonte di guadagno e merce-lavoro a basso costo.

Solo con una politica di classe, rivoluzionaria e anticapitalista, in grado di rimettere al centro gli interessi di tutta la classe lavoratrice e di tutti gli emarginati e gli oppressi, ci si potrà contrapporre a queste organizzazioni reazionarie, impedendogli di far leva sulle divisioni nazionali, etniche e razziali per indebolirci contro il capitale e la borghesia. Solo l’unità di tutti gli sfruttati contro gli sfruttatori può contrastare l’ondata populistica, reazionaria e barbarica che soffia in tutta Europa.


Partito Comunista dei Lavoratori

ADERISCI AL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI


sabato 8 luglio 2017

È USCITO IL NUOVO NUMERO DI “UNITÀ DI CLASSE” GIORNALE COMUNISTA DEI LAVORATORI


Dall’editoriale di Marco Ferrando

…PER UN PARTITO INDIPENDENTE DEI LAVORATORI

Ora il fallimento del patto tra Renzi e Berlusconi sulla legge elettorale concordata, può disfare la tela del grande accordo a sinistra. E magari diversi attori in commedia riprenderanno ognuno la propria maschera.
Ma non si può rimuovere la lezione di fondo dell’esperienza awenuta. Non siamo in presenza di “politiche sbagliate” (per quanto recidive) e di “errori” (per quanto ripetuti). Siamo in presenza di gruppi dirigenti della sinistra italiana la cui unica vera ambizione e la propria salvezza o ricollocazione istituzionale, nel grande gioco della democrazia borghese, nella prospettiva del governo del capitalismo.

La classe lavoratrice, a partire dalla sua avanguardia, ha bisogno di costruire il proprio partito indipendente. Sul solo terreno possibile: quello anticapitalista e rivoluzionario.

mercoledì 5 luglio 2017

PRESIDIO ANTIFASCISTA E ANTIPOLIZIESCO DAVANTI ALLA PREFETTURA DOPO I FATTI DI PALAZZO MARINO



Nel pomeriggio di lunedì 3 luglio una cinquantina di persone, militanti dell'Unione Sindacale di Base, del centro sociale Cantiere, del Partito Comunista dei Lavoratori e di Sinistra Anticapitalista hanno manifestato per circa due ore nei pressi della Prefettura di Milano, in corso Monforte. Obiettivo del presidio ottenere delle spiegazioni dal Prefetto riguardo al comportamento tenuto giovedì scorso dalla polizia, la quale ha caricato un presidio antirazzista nei pressi di Piazza della Scala e non aver impedito in alcuna maniera l'aggressione da parte degli squadristi di Casapound di una delegazione della rete "Nessuna persona è illegale" nei corridoi di palazzo Marino, sede della giunta comunale ambrosiana. La solidarietà continua: nel pomeriggio di giovedì si terrà un presidio nuovamente in Piazza della Scala, per ribadire la solidarietà con i compagni aggrediti e per portare avanti la richiesta della residenza per tutti gli immigrati che vivono e lavorano nel comune di Milano


Vincenzo Cimmino Partito Comunista dei Lavoratori sez. Milano

martedì 4 luglio 2017

Milano. Casapound aggredisce, la polizia anche

Intervista a Riccardo Germani, dirigente dell’Unione Sindacale di Base



Nel pomeriggio di giovedì scorso la città di Milano ha assistito ad un esempio di doppia prevaricazione. Gli squadristi di Casapound, nota formazione di stampo neofascista, hanno aggredito una delegazione della rete “Nessuna persona è illegale” all’interno dei corridoi di Palazzo Marino, sede della giunta e del consiglio comunale ambrosiano. Pronta però è stata la reazione degli altri membri della rete, i quali hanno bloccato tutte le uscite di Palazzo Marino per impedire la fuga ai neofascisti. A consentirla però è subito intervenuto un reparto di polizia in assetto antisommossa, che ha caricato i compagni nel piazzale antistante il palazzo, tra cui non mancavano donne e bambini.
Nel pomeriggio di oggi ho avuto modo di fare quattro chiacchiere con Riccardo, dirigente dell’Usb di Milano, il quale giovedì pomeriggio era lì in piazza della Scala ed ha subito in prima persona l’aggressione poliziesca.

Ciao Riccardo, per cominciare, ribadendoti la solidarietà mia e degli altri compagni del Pcl, ti chiederei perché giovedì pomeriggio eravate al Comune di Milano.

Come Usb, parte della rete “Nessuna persona è illegale” eravamo in piazza per un presidio, nel quale presentavamo la richiesta di apertura di un tavolo istituzionale per la concessione della residenza anagrafica a tutti gli immigrati che vivono nel territorio del comune di Milano.

Da quali realtà è composta la rete “Nessuna persona è illegale”?

La rete ha una composizione molto varia. Ne fanno parte infatti diversi centri sociali e sindacati di base, oltre a molte associazioni, le quali hanno avuto un importante ruolo nella manifestazione antirazzista del 20 maggio a Milano, che ha visto una partecipazione di più di centomila persone.

Qual è stato il ruolo della polizia giovedì pomeriggio?

La polizia ci deve dare assolutamente delle spiegazioni. Chiederemo le dimissioni del questore di Milano per essere stato a conoscenza della presenza dei fascisti di Casapound all’interno di Palazzo Marino e non aver impedito che si incontrassero con i nostri compagni. A nostro avviso tale episodio è stato creato ad arte per screditare i movimenti di lotta che lavorano sul territorio. Questi soprusi sono degni di una dittatura di stampo sudamericano, non di un paese democratico.

Alla luce degli ultimi avvenimenti, quale sarà la vostra reazione? Come lavorerete nelle prossime settimane?

Come Usb facciamo appello a tutte le realtà antifasciste di Milano per chiedere ed avere dalla Questura delle spiegazioni a riguardo dei fatti di giovedì, al fine di verificare una loro possibile estraneità ai fatti.
Da un punto di vista politico invece, oltre ad aver convocato un presidio alla Prefettura in Corso Monforte per lunedì pomeriggio per avere chiarimenti dal prefetto, continueremo nella nostra battaglia per la concessione della residenza e di una regolare assistenza sanitaria agli immigrati, con un’attenzione anche alla questione casa, per la regolarizzazione delle case occupate e degli allacci della luce e del gas.
Auspichiamo che questa battaglia porti in futuro anche alla creazione a livello nazionale di un tavolo per la residenza ed il diritto alla salute degli immigrati.

La città di Milano, negli ultimi mesi, ha assistito a svariati episodi relativi ad un rafforzamento della presenza neofascista in città, su tutti valga l’esempio della presenza di Stefano Pavesi, esponente di Lealtà e Azione, tra i banchi del consiglio di Zona 8 nelle fila della Lega.

Dietro l’incremento dei neofascisti a Milano non ci può non essere un piano politico, non si potrebbe spiegare altrimenti la presenza di oltre 2000 militanti di Casapound e Lealtà e Azione il 29 aprile al Cimitero Maggiore di Milano per commemorare Sergio Ramelli. Tali episodi non possono non avere la copertura da parte delle istituzioni.
L’antifascismo nella nostra città dev’essere un minimo comun denominatore per un lavoro comune sui territori, volto alla costruzione di un blocco sociale nella lotta per i diritti, a partire da iniziative di lotta come il presidio della rete “Nessuna persona è illegale” che terremo giovedì prossimo dalle 16.30 in poi in piazza della Scala a Milano.

a cura di Vincenzo Cimmino

domenica 2 luglio 2017

100 ANNI DALLA RIVOLUZIONE RUSSA, STORIA, ATTUALITÀ E ALTERNATIVE

Intervista a Marco Ferrando pubblicata sul blog del Corriere della Sera "Poche Storie" di Silvia Morosi e Paolo Rastelli



Corriere:
Nel 2017 l’orologio della Storia segna un passaggio epocale. Nel mese di ottobre, infatti, sarà passato un secolo da quando, nell’ex impero zarista, un’incredibile forza popolare riuscì a trasformare in realtà quella che sembrava un’impresa impossibile: prendere il Palazzo d’Inverno e portare a compimento il sogno di una rivoluzione comunista. Nel secolo trascorso da quel momento, tutto sembra cambiato, fuorché la necessità delle masse di tornare a recitare un ruolo di primo piano sul palcoscenico degli eventi mondiali, rovesciando il capitalismo. Noi di Poche Storie abbiamo provato a interrogare, con l’aiuto di Marco Ferrando, autore de “Cento anni. Storia e attualità della rivoluzione comunista”, i cento anni che separano l’oggi dai fatti del 1917. Per capire cosa di quel passato che sembra lontano, appartenendo a un altro secolo, in realtà resti vivo nel presente. Raccontando quindi una storia a ritroso. La rivoluzione d’Ottobre ha segnato l’intero corso del Novecento ben al di là della vicenda russa. Cento anni dopo si ripropongono intatte tutte le ragioni storiche di quell’evento.
Ferrando:
Oggi la categoria della rivoluzione appare certo desueta. L’ideologia dominante l’ha rimossa nel nome del “superamento delle ideologie”. La stessa sinistra internazionale, nelle sue correnti maggioritarie, l’ha esplicitamente rinnegata o la considera materia d’archivio, magari utile per qualche ricorrenza, ma estranea ad ogni prospettiva reale. Eppure è forse utile ricordare che anche cento anni fa la rivoluzione era considerata “impossibile”, visto che dal 1848 non si era più affacciata in Europa (con l’unica eccezione del 1905 russo), spiega Ferrando, professore di filosofia impegnato da sempre all’interno del movimento dei lavoratori.
Corriere:
L’attualità delle idee della Rivoluzione e del marxismo è testimoniata dalla crisi del capitalismo mondiale. Il rovesciamento del capitalismo in Russia aprì per la prima volta il varco a imponenti processi di emancipazione. L’intero corso dei movimenti nazionali anticoloniali in Asia (innanzitutto in Cina), in Medio Oriente, in Africa, nella stessa America Latina (Cuba), sarebbero stati impensabili senza la sponda economica, politica, militare dell’Unione Sovietica.
Ferrando:
La stessa avanzata delle conquiste sociali in Occidente (welfare state) fu possibile non solo in ragione dei trenta anni gloriosi del boom capitalistico postbellico (costruito sui 50 milioni di morti della Seconda Guerra), ma anche in presenza di un rapporto di forze su scala mondiale segnato dall’eredità della rivoluzione russa. Non a caso Keynes raccomandava a Roosevelt le riforme sociali in America per scongiurare quello che definiva “il pericolo del bolscevismo”. La stagione delle riforme sociali nell’Europa del secondo dopoguerra – solitamente attribuite alle virtù del capitalismo o della socialdemocrazia – fu in realtà un sottoprodotto della Rivoluzione d’Ottobre.
Corriere:
All’origine della rivoluzione nel 1917 ci fu la pesante crisi bellica e una profonda crisi economica. L’industria russa sostenne molti sforzi negli anni precedenti, ma non fu capace di tenere il passo con le questioni derivanti dalla guerra. La Rivoluzione è stata davvero uno spartiacque nella storia mondiale, sconvolgendo il mondo, per citare John Reed?
Ferrando:
Nel 1989, dopo il crollo del muro di Berlino, l’ideologia dominante presentò il capitalismo come il miglior mondo possibile e “fine della storia”, preannunciando una nuova era di progresso sociale e di pace . Le giovani generazioni - allora si disse - saranno le grandi beneficiarie della nuova epoca. È passato da allora più di un quarto di secolo. Non solo quella grande promessa non si è avverata, ma lo scenario del mondo ha un segno capovolto. Il “migliore dei mondi possibili” è stato colpito dalla più grande crisi degli ultimi 80 anni. Le conquiste sociali strappate da più generazioni vengono smantellate, una dopo l’altra, sotto governi di ogni colore, (entro l’euro e fuori dall’euro), a partire dalla precarizzazione del lavoro. La ripresa del militarismo e delle guerre pervade in forme diverse buona parte del globo. Xenofobia e sciovinismi nazionalisti si riaffacciano in Europa e negli USA con una massa critica sconosciuta nell’intera storia del secondo dopoguerra.
Corriere:
Oggi in Russia valutare il ruolo e il significato della Grande Rivoluzione Socialista varia dal “colpo di Stato” al “più grande evento del ventesimo secolo”.
Ferrando:
Rappresentare la rivoluzione d’Ottobre come “colpo di Stato” significa farne una caricatura. Significa leggere le grandi vicende storiche con la lente deformata dell’ideologia e del complottismo. La rivoluzione d’Ottobre fu in realtà il completamento della rivoluzione russa del febbraio 1917, che aveva rovesciato la monarchia zarista con una immensa (e imprevista) sollevazione di popolo. Da quella sollevazione – sospinta dalla fame, dalla guerra, dall’aspirazione alla terra delle grandi masse contadine – nacquero grandi organizzazioni di massa (soviet) che rapidamente pervasero l’intera Russia, basate sulla partecipazione diretta di milioni di operai e di contadini. Ma la rivoluzione sarebbe stata impossibile senza la forza d’urto della classe operaia – base sociale del bolscevismo – e senza il sostegno di grandi masse contadine. Ciò che peraltro consentì alla rivoluzione di reggere nei terribili anni successivi nonostante l’attacco di 14 eserciti stranieri e i tentativi di controrivoluzione zaristi (Kolcak, Denikin).
Corriere:
Lo stalinismo non fu la continuità del bolscevismo ma la sua tragica negazione e distruzione. La rivoluzione bolscevica si era concepita come inizio della rivoluzione socialista mondiale, innanzitutto in Europa.
Ferrando:
I grandi processi rivoluzionari che si svilupparono in Europa proprio su spinta della rivoluzione russa – la rivoluzione tedesca del 1918/19, il biennio rosso in Italia del 1919/20, la rivoluzione ungherese del 1919 – sembravano incoraggiare questa prospettiva. Ma la mancanza di una direzione politica sperimentata condannò quelle rivoluzioni alla sconfitta. L’isolamento internazionale della rivoluzione russa, per di più in un paese arretrato economicamente e culturalmente, segnato da anni di guerra, di boicottaggio economico internazionale, di guerra civile (1918/21), creò le condizioni storiche della degenerazione burocratica. Lo stalinismo ne fu l’espressione. Preservò i rapporti economici scaturiti dalla rivoluzione (economia pianificata) ma ne distrusse tutte le conquiste politiche: soppresse la democrazia nel partito bolscevico, nei soviet, nei sindacati, concentrò tutto il potere nella frazione dominante, eresse progressivamente attorno ad essa un regime totalitario. Lo sterminio dei bolscevichi, a partire da tutti i dirigenti della Rivoluzione d’Ottobre (coi processi di Mosca dal '36 al '38, e con l’assassinio di Trotsky nel '40) fu il risvolto di questa controrivoluzione politica. Stalin fu indubbiamente il più grande assassino di comunisti del '900: più di un milione di comunisti fu passato per le armi tra il 1927 e il 1937. Per non parlare dei campi di lavoro schiavile, dell’uso pianificato della tortura, della montagna di false “confessioni” estorte nei sottoscala della Ghepeù. Il fatto che in Russia (e in Cina) i burocrati stalinisti di ieri siano spesso diventati i maggiori capitalisti di oggi dà la misura retrospettiva della natura controrivoluzionaria della burocrazia stalinista. Ma come la dittatura napoleonica (seguita dalla restaurazione del 1815), non cancellò il grande valore storico della rivoluzione borghese giacobina, così la dittatura criminale di Stalin (seguita dalla restaurazione capitalista) non può cancellare il valore storico progressivo della rivoluzione d’Ottobre.
Corriere:
Lenin è ancora attuale perché il presente parla di diritti negati e cancellati, perché parla di diseguaglianze sempre più enormi. La Rivoluzione, abbattendo la dittatura degli zar, ha dimostrato nei fatti che una alternativa di sistema politico ed economico è stata possibile. Come spesso accade, però, questo episodio e la figura di Lenin trovano poco spazio sui manuali di storia utilizzati nelle scuole.
Ferrando:
Lenin e la rivoluzione russa sono stati rimossi dalla cultura dominante perché evocano la possibilità di un’altra organizzazione della società umana. Non una società fondata sulla dittatura di una piccola minoranza che concentra nelle proprie mani tutte le leve del potere economico (industria, banche, grande commercio) e che di conseguenza domina un potere politico costruito a propria immagine e somiglianza. Ma una società in cui la maggioranza, a partire dalla classe lavoratrice, possa decidere realmente cosa produrre, come, per chi, in relazione ai bisogni di tutti e non al profitto di pochi. Una economia democraticamente pianificata che possa capovolgere il segno sociale della globalizzazione capitalista mettendo al servizio della società le immense potenzialità della scienza e della tecnica.
Corriere:
Cento anni dopo ricordare la Rivoluzione significa cercare di guardarne a tutto campo le conseguenze, le lezioni da trarne e l’attualità. Oggi si stanno manifestando le medesime esigenze di lotta per la sopravvivenza che possono trasformarsi in emancipazione sociale.
Ferrando:
Anche oggi come un secolo fa l’irrompere di una nuova grande crisi ripropone l’umanità di fronte a un bivio storico: o una prospettiva di rivoluzione o la continuità della regressione storica che sta investendo il mondo. Il libro “Cento anni: storia e attualità della rivoluzione comunista” vuole proporre e argomentare questa lettura. La vuole proporre innanzitutto ai giovani, a partire dai giovani sfruttati nelle fabbriche, negli uffici, nei trasporti, nei supermercati, magari costretti a turni massacranti, senza tutele, precari a vita o licenziabili senza giusta causa. Ma anche ai giovani che studiano e vogliono capire il mondo reale in cui vivono. A quelli che non vogliono rassegnarsi a perdere i diritti conquistati dai loro padri, o che magari vorrebbero lottare per riconquistarli. Ai giovani militanti e attivisti di una sinistra perduta, che magari credevano in Tsipras e poi lo ritrovano al servizio della Troika. La classe dei lavoratori salariati ammonta nel mondo a quasi tre miliardi di esseri umani. La sola Corea del Sud conta oggi più salariati dell’intera Europa dei tempi di Marx. Contro tutti i luoghi comuni, la potenza sociale della classe lavoratrice mondiale non è mai stata tanto grande.
Corriere:
Il fallimento del capitalismo riapre, controcorrente, nuovi varchi.
Ferrando:
Corbyn in GB e Sanders in USA sono campioni di un riformismo illusorio. Ma i milioni di giovani proletari che seguono Corbyn e Sanders cercano l’idea di una alternativa al capitalismo, e dunque a modo loro una idea di rivoluzione. Cercano una sinistra autentica. Cercano in fondo una sinistra anticapitalista e rivoluzionaria, l’unica sinistra capace di futuro in questo nostro tempo. Il libro si rivolge dunque ai ribelli, a quelli che già lo sono e a quelli che possono diventarlo. A loro parla, cento anni dopo, la rivoluzione d’Ottobre.

Partito Comunista dei Lavoratori