Mentre Renzi
ha esaurito la spinta propulsiva e vede il suo spazio di manovra restringersi,
il M5S cresce sulle macerie della destra e sul non sfondamento del lepenismo di
Salvini. La crisi della sinistra riformista è aggravata.
Le elezioni
comunali del 5 giugno sono un passaggio importante dello scenario politico
generale. Il quadro complessivo è molto frastagliato, e il risultato dei
ballottaggi del 19 giugno sarà molto importante per valutare il segno politico
complessivo della prova elettorale. Tuttavia già il primo turno fornisce
indicazioni chiare di tendenza.
LA CRISI DEL RENZISMO
Il PD registra una perdita consistente di voti, sia in assoluto, sia in
percentuale, in larga parte d'Italia (210.000 voti in meno nei ventiquattro
capoluoghi) con una flessione più accentuata nelle periferie metropolitane e
nel Mezzogiorno. Il renzismo ha esaurito da tempo la spinta propulsiva di quel
populismo sociale di governo (gli 80 euro) che ne aveva accompagnato la scalata
nelle elezioni europee del 2014 (41%). Già le elezioni regionali di un anno fa
registravano la dispersione del bottino. Le elezioni comunali del 5 giugno
confermano il dato. Il progetto del partito della nazione è al palo.
Ciò non significa che quel progetto sia sconfitto e tanto meno archiviato. Al
contrario. La prospettiva del referendum istituzionale di ottobre, e la ricerca
dell'incoronazione plebiscitaria del Capo, riflettono la volontà di rilancio
del richiamo populista sul terreno politico e istituzionale. Ma il populismo
politico ( «mando a casa un politico su tre», «riduco lo stipendio ai
senatori»…) fatica a nutrirsi del populismo “sociale”. Renzi moltiplica, da
buon imbonitore, annunci e promesse di regalie sociali in vista della prossima
Legge di stabilità (riduzione Irpef, 80 euro alle pensioni minime,
flessibilizzazione delle uscite pensionistiche, abolizione del bollo auto e
tanto altro). Ma la crisi capitalista, i limiti della ripresa, il quadro
negoziale complesso in sede UE, restringono pesantemente lo spazio di manovra
delle politiche di bilancio. Molte promesse sono destinate a restare tali, con
un possibile effetto boomerang. La ragione dell'anticipo del referendum
istituzionale al 2 ottobre sta anche qui: la volontà di anticipare non solo il
responso della Consulta sulla legge elettorale prevista per il 4 ottobre, ma
anche la presentazione della Legge di stabilità. È la confessione di una paura,
che i risultati del 5 giugno non possono che accrescere.
Inoltre proprio quei risultati aggiungono un ulteriore elemento di incertezza.
Il successo politico del M5S, il suo possibile configurarsi come il principale
candidato al ballottaggio contro Renzi alle future elezioni politiche, esaltano
il difetto di sistema della legge elettorale inventata da Renzi. In un quadro
tripolare come l'attuale, un M5S al ballottaggio diventa temibilissimo per il
PD per la sua maggiore capacità di attrazione elettorale trasversale. (Da
questo punto di vista sarà interessante il ballottaggio di Torino, ancor più di
Roma.) Una legge elettorale concepita a misura di un "Renzi al 41%"
rischia di trasformarsi in un cappio al collo per un Renzi al 30%.
È un elemento di preoccupazione per la borghesia italiana. Renzi si è
presentato ai suoi occhi, e agli occhi del capitale finanziario europeo, come
l'argine vincente contro il populismo di opposizione. Anche per questo la
borghesia ha investito su Renzi. Per la stessa ragione, un cedimento
dell'argine PD contro i 5 Stelle investirebbe come un ciclone le relazioni di
potere del renzismo.
LA CRISI POLITICA DEL CENTRODESTRA
Il centrodestra aggrava la propria crisi politica. La competizione interna tra
Forza Italia e il blocco lepenista lo ha frantumato in diverse città, a partire
da Roma e Torino. Al tempo stesso non ha prodotto un vincitore. Il tramonto di
Berlusconi prosegue, assieme al declino elettorale di Forza Italia. Ma il boom
del salvinismo si è esaurito nello stesso centro-nord (Milano), e la speranza
di Salvini di “nazionalizzare” la Lega attraverso una espansione a Roma e nel
Sud è ad oggi fallita. Mentre l'alleato del blocco lepenista (FdI di Meloni),
rafforzatosi a Roma e presente nel Sud, resta debolissimo al Nord. La crisi
manifesta dell'egemonia berlusconiana non è dunque rimpiazzata da un'egemonia
alternativa.
Tuttavia, se la crisi politica del centrodestra si aggrava, il suo blocco
sociale ed elettorale tiene. Il renzismo non è riuscito ad aprire brecce
significative in quel mondo, nonostante i suoi sforzi. Il tentativo di usare
(anche) Verdini per aprire quella cassaforte elettorale è fallita (Napoli,
Cosenza). I dati elettorali di Milano, e in termini aggregati di Roma, mostrano
la forza perdurante del blocco sociale ed elettorale del centrodestra, al di là
della sua crisi di direzione politica o della sua frantumazione.
Proprio questo fatto tiene aperto lo spazio in prospettiva di una
ricomposizione della coalizione attorno ad un nuovo equilibrio, non facile ma
possibile. Se questa ricomposizione si realizzerà, il centrodestra può tornare
ad essere assolutamente competitivo.
L'esito del referendum istituzionale di ottobre non sarà indifferente per la
sorte del centrodestra. Un'eventuale vittoria del Sì potrebbe favorire una
scissione di Forza Italia in direzione di una ricomposizione con Renzi,
passando per la riaggregazione con il centro di Alfano-Casini-Verdini (un
partito di centro che si presenta autonomamente al voto, punta a passare la
soglia di sbarramento del 3% prevista dall'Italicum, e poi si allea al governo
con un PD vincente). Una eventuale vittoria del No, che innescherebbe un
terremoto politico, indurrebbe Berlusconi a rilanciare la proposta di un
governo di unità nazionale, con l'intento di spaccare il PD e rilanciare una
propria centralità. Ciò che aprirebbe nuove contraddizioni con la Lega. In
entrambi i casi si preannuncia una fase prolungata di instabilità politica
all'interno del centrodestra.
IL SUCCESSO DEL M5S
Il M5S è il vincitore politico delle elezioni del 5 giugno.
Dal punto di vista elettorale i risultati del M5S sono in realtà molto
disomogenei. Combinano grandi affermazioni (Roma e Torino), stagnazioni
rispetto alle politiche 2013, vistose marginalità e persino crolli. Assieme ad
una assenza da molte competizioni locali, legata a contrasti locali esplosivi e
irrisolti. Tuttavia, la portata della grande vittoria riportata a Roma, e la
forte affermazione conosciuta a Torino, con la seria probabilità (Roma) o
possibilità (Torino) di una clamorosa vittoria ai ballottaggi, hanno consegnato
al M5S l'immagine nazionale del vincitore politico. Come di fatto è stato. Con
ulteriori possibili effetti moltiplicatori.
Il M5S capitalizza diversi elementi della situazione politica, tra loro
connessi: l'appannamento del renzismo, la frantumazione del centrodestra, la
crisi perdurante della sinistra politica, sullo sfondo della crisi sociale e
dell'arretramento della lotta di classe. La prima analisi dei flussi elettorali
mostra non a caso che a Roma e Torino il M5S ha polarizzato elettori di ogni
provenienza. Un forte travaso diretto da elettorato PD “antirenziano”, un
travaso da elettorato reazionario spinto dalla frantumazione del centrodestra a
votare M5S (come voto utile anti-Renzi), un travaso dall'elettorato di sinistra
in crisi di rappresentanza e riferimenti. Oltre ad un recupero, a Roma, sul
bacino tradizionale dell'astensione.
In termini sociali, il M5S ha fatto il pieno a Roma e Torino del voto degli
operai, dei disoccupati, dei giovani. Costruendo attorno a sé un blocco
popolare a egemonia piccolo-borghese reazionaria, come ogni movimento
reazionario di massa. In un quadro di crisi sociale dove milioni di lavoratori
sono stati abbandonati a loro stessi dalla sinistra politica e sindacale, e
condannati ad una disperata solitudine, milioni di operai assumono a
riferimento elettorale un soggetto politico estraneo alle ragioni del lavoro,
nemico del sindacato in quanto tale, segnato da una cultura plebiscitaria. È
effetto e misura della regressione del movimento operaio.
Il M5S conferma e consolida una propria presenza nazionale, da Nord a Sud (a
differenza della Lega), e una riuscita parziale “degrillizzazione” del proprio
profilo d'immagine (non della sua realtà): attraverso l'affermazione di nuove
giovani figure pubbliche (Di Maio, Di Battista), di ampia riconoscibilità di
massa, quali costruttori di consenso. Una risorsa preziosa, sul terreno
populista, contro il giovanilismo di Renzi.
Un consolidamento dell'immagine nazionale del M5S quale “vero avversario di
Renzi” rappresenterebbe non solo, per le ragioni dette, un problema per Renzi
(trasversalità elettorale del M5S in un ballottaggio politico nazionale), ma
anche per la Lega e il blocco lepenista. Che già oggi si trovano a fronteggiare
una concorrenza diretta sul loro stesso terreno populista, tanto più temibile
nel quadro della frantumazione del centrodestra.
LA SINISTRA AL PALO
Le elezioni del 5 giugno, come già le precedenti elezioni regionali,
fotografano e aggravano la crisi della sinistra politica riformista. Con
l'eccezione parziale di Bologna, i candidati e le liste di Sinistra Italiana -
o in ogni caso di coalizioni comunque nominate della sinistra riformista -
registrano addirittura un arretramento rispetto ai voti riportati dalle liste
Tspiras nelle elezioni europee del 2014 (o rispetto al voto riportato dalle
liste di sinistra nelle successive elezioni regionali). Ciò è in particolare
avvenuto proprio a Roma, Torino, Milano, nelle competizioni elettorali
maggiormente cariche di valenza politica e in presenza di candidati a sindaco
di sicura riconoscibilità nazionale (Fassina a Roma, Airaudo a Torino) o locale
(Basilio Rizzo a Milano).
Il processo costituente del nuovo soggetto della sinistra italiana è dunque
ulteriormente zavorrato dal voto. Persistono tutti i fattori che ostacolano il
suo decollo elettorale: non solo il peso delle disfatte passate e delle
relative responsabilità politiche (di cui nessuno ha tratto bilancio e conseguenze),
ma l'assenza di un progetto nazionale dotato di una ragione sociale
decifrabile, l'assenza di una leadership nazionale riconoscibile a livello
popolare, la crisi dei livelli di mobilitazione sociale e di lotta di classe
cui quella stessa sinistra (politica e sindacale) concorre. In questo quadro,
il rafforzamento del M5S, anche come soggetto attrattivo dell'elettorato in
uscita dal PD, oltre a rappresentare uno degli effetti della crisi della
sinistra concorre ulteriormente ad aggravarla, perché restringe il suo spazio
politico.
A ciò si aggiungono i nodi politici irrisolti di Sinistra Italiana attorno al
proprio rapporto col PD, come si vede nello stesso posizionamento ai
ballottaggi (Fassina è contro l'indicazione di voto a Giacchetti, Airaudo ha teorizzato
il sostegno “da croce rossa” a Fassino), contraddizioni che percorrono
verticalmente SEL sul piano nazionale, e che l'esito del voto obiettivamente
approfondisce. Mentre ciò che resta di Rifondazione Comunista, attorno all'ex
ministro Paolo Ferrero, ha scelto di imboscarsi senza eccezione nelle liste
civiche “progressiste” di Sinistra Italiana, compromettendosi nel loro
pasticcio e cancellando ogni propria presenza elettorale riconoscibile. Gli
stessi gruppi dirigenti della sinistra italiana che hanno organizzato negli
anni la sua disfatta si mostrano incapaci, per le stesse ragioni, di
promuoverne il rilancio.
IL VOTO PER IL PCL
Il PCL ha scelto di presentarsi ovunque possibile alle elezioni comunali, come
in ogni competizione elettorale. Non per una ragione elettoralista, e tanto
meno per una illusione istituzionale, ma per la ragione esattamente opposta:
usare la tribuna elettorale per presentare un programma comunista e
rivoluzionario ai lavoratori e a tutti gli sfruttati. Contrastare la propaganda
borghese, denunciare le mistificazioni populiste, costruire coscienza politica
di classe e anticapitalistica. Un compito tanto più importante in un quadro di
arretramento diffuso della coscienza politica dei lavoratori.
Naturalmente siamo sempre ben consapevoli delle difficoltà proprie del terreno
elettorale.
Sullo sfondo di una situazione politica generale complessivamente negativa
(crisi della mobilitazione sociale, arretramento dei livelli di coscienza della
classe, crisi cronicizzata della sinistra politica sotto il peso dei disastri
prodotti dai suoi gruppi dirigenti, politici e sindacali) e sulla base dei
rapporti di forza reali con i soggetti concorrenti, prima e durante la campagna
elettorale (in ordine agli spazi reali della comunicazione pubblica, alle
risorse disponibili...), la presenza elettorale di un piccolo partito,
comunista e rivoluzionario, non può che marciare controcorrente. Ma rinunciare
ad usare la tribuna elettorale per presentare un programma comunista in ragione
delle difficili condizioni sarebbe ben poco comunista. I comunisti non si
nascondono mai, anche nelle situazioni più sfavorevoli. Ma lottano sempre su
ogni terreno, anche su quello elettorale, per sviluppare la coscienza dei
lavoratori. È l'insegnamento della tradizione leninista.
Il PCL è riuscito a presentare proprie liste a Torino, Milano, Bologna, Napoli,
Savona, e in alcuni centri minori (Portofino, Trecate, Oderzo, Triggiano), con
un lavoro ammirevole dei nostri militanti, cui va il ringraziamento di tutto il
partito. I risultati elettorali sono tra loro difformi. Certo modesti, com'è
inevitabile nelle condizioni date, ma complessivamente non negativi.
Negativo il risultato di Napoli, che segna un arretramento rispetto al
risultato riportato dal PCL nel 2011. L'atipico fenomeno populista “peronista”
di De Magistris, che ha caricato sul proprio carro elettorale l'intera sinistra
partenopea (da SEL ai CARC) assieme a liste massoniche, ex candidati di Forza
Italia, settori neoborbonici, trasformismi clientelari di varia natura - ha
coinvolto ambienti sociali e popolari di estrema sinistra e di movimento
(centri sociali) alla ricerca di favori istituzionali. Tutto ciò ha limitato lo
spazio di consenso del PCL. A ciò si è aggiunta la concorrenza del PC stalinista
di Marco Rizzo. Oltre a quasi due settimane di campagna elettorale (e spazi
mediatici) in meno, a causa dell'iniziale respingimento delle nostre liste, un
abuso intollerabile. L'arretramento subito è la risultante di tutti questi
fattori. E tuttavia il nostro partito a Napoli è orgoglioso della campagna di
verità condotta contro il peronismo trasformista, per l'indipendenza di classe
degli sfruttati. Altri hanno capitolato a De Magistris. Noi no. Anche per
questo abbiamo le carte in regola, con una riconoscibilità in ogni caso
accresciuta, per costruire l'opposizione di classe al peronismo cittadino.
Negativo il risultato a Torino, dove il PCL ha confermato in voti e percentuale
il risultato del 2011. E dove la presenza del PC di Marco Rizzo - sicuramente
maggiore della nostra nella città natale e che lo ha visto segretario del PRC
di massa nei primi anni '90, consigliere comunale, deputato per due
legislature, deputato europeo - ha bloccato le potenzialità di crescita
elettorale del PCL attorno alla positiva candidatura di Alessio Ariotto.
Anch'esso peraltro penalizzato da una settimana di campagna elettorale
abusivamente sottratta dalla contestazione della lista. Anche in questo caso la
nostra sezione, sempre presente nelle lotte operaie della città, a partire
dalla FIAT, si impegnerà in tutte le lotte di opposizione alla futura giunta
cittadina. Sia essa a guida Fassino, in rappresentanza dei poteri forti della
città, sia essa a guida della bocconiana pentastellata Appendino, alfiere della
media impresa di cui è diretta espressione, estranea alle ragioni sociali degli
operai che la votano. Un M5S torinese, oltretutto, particolarmente intriso di
presenze reazionarie e xenofobe (Bertola) che il PCL, spesso da solo a
sinistra, ha coerentemente denunciato.
Positivo invece il risultato riportato dal nostro partito a Milano, che
accresce considerevolmente voti e percentuali (particolarmente negative) del
2011, e registra il dato migliore sinora riportato dal PCL in città, a ridosso
di una campagna elettorale molto attiva che ha trascinato un salto di
riconoscibilità pubblica del partito. Nel 2011 il PCL milanese aveva pagato
elettoralmente il fatto di essersi presentato al primo turno - unico partito a
sinistra - contro l'astro nascente Pisapia, che allora tutta la sinistra a
partire dal PRC assumeva ad icona religiosa del cambiamento. Oggi il PCL
capitalizza a Milano proprio il coraggio e la coerenza mostrata allora, a
fronte di una giunta arancione che ha fatto, come avevamo previsto, il comitato
d'affari di Expo e della borghesia cittadina.
Molto positivi inoltre i risultati del PCL a Bologna e Savona, dove il PCL
supera nettamente in voti e percentuali ogni risultato precedente, travalicando
la soglia dell'1% (1,3% a Bologna, 1,2% a Savona). Un risultato in particolare
molto significativo a Bologna, perché accompagnato dallo sviluppo di nuove
relazioni con ambienti sindacali classisti (SGB) e dalla marcata polarizzazione
dell'elettorato di Rifondazione. Un risultato ugualmente positivo a Savona,
dove si accompagna allo sviluppo del partito in città, tra i lavoratori
(Tirreno Power) e gli studenti. Sia a Bologna che a Savona il nostro partito ha
capitalizzato la coerenza della propria opposizione alle giunte locali di
centrosinistra, a fronte della compromissione storica decennale delle
cosiddette sinistre radicali. Oggi, in entrambi i casi, in fase di dissoluzione
Infine sono moderatamente positivi i risultati riportati dal PCL nei centri
minori: 0,70 a Trecate nel novarese; 0,72% a Oderzo (dove in terra leghista
superiamo con una candidatura operaia voti e percentuale della lista di SEL e
Rifondazione); 0,84% a Triggiano (dove la sezione PCL, da poco costituita, ha
presentato il candidato sindaco più giovane d'Italia, che ha raggruppato
attorno a sé un'area di studenti); oltre il 3% a Portofino (dove la nostra
sezione del Tigullio ha fatto una campagna di denuncia antiborghese di forte
impatto mediatico locale mancando l'eletto per un solo voto).
Il PC di Rizzo, là dove presente (Torino, Napoli, Roma) ha potuto mettere a
frutto la relativa continuità dell'esposizione mediatica del suo leader (coi
relativi effetti di "legittimazione" e riconoscibilità) che a noi
oggi è negata. Ed anche un volume di risorse finanziarie incomparabilmente
maggiore da investire nelle campagne elettorali (ad esempio in spot e
manifesti). Tuttavia proprio per questo il risultato riportato da Rizzo a
Torino (0,8%) è una clamorosa sconfitta politica. Che smentisce brutalmente la
grande aspettativa (politica e personale) alimentata dal capo nel proprio
ambiente, e sgonfia la bolla d'immagine creata. Quella di un “partito
comunista” presente in TV ma privo di reali radici nel mondo del lavoro e nei
sindacati di classe; che si presenta classista e anticapitalista nel proprio
frasario solo per far dimenticare il voto favorevole di Marco Rizzo ai
bombardamenti di D'Alema su Belgrado (1999), alla precarizzazione del lavoro
(Pacchetto Treu, 1997) e alle privatizzazioni di Prodi. Crimini politici che
hanno sempre convissuto felicemente col culto ideologico di Stalin e del regime
dinastico nordcoreano, fondato sulla schiavitù degli operai.
Il PCL - l'unico partito della sinistra a non aver mai tradito gli operai - è
ora impegnato a investire la campagna elettorale condotta nel processo della
propria costruzione, la costruzione controcorrente di una sinistra classista e
rivoluzionaria. Nelle diverse situazioni coinvolte dal voto, le nostre sezioni
sono impegnate a promuovere, oltre a un bilancio della campagna condotta e ad
un'analisi attenta del voto ottenuto, un'azione di capitalizzazione politica e
organizzativa di quanto si è seminato (contatti, nuove relazioni d'ambiente,
salto di riconoscibilità pubblica tra i lavoratori e i giovani). Un patrimonio,
maggiore o minore, da investire nel radicamento sociale del partito, a partire
dalla classe lavoratrice, e dalle sue lotte di ogni giorno.
Partito
Comunista dei Lavoratori