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martedì 30 aprile 2019

IL 1° MAGGIO: INTERNAZIONALISTA E RIVOLUZIONARIO!


In tutto il mondo il capitalismo è fonte di disastri. Trent’anni fa, dopo il crollo del Muro, avevano annunciato una nuova era di prosperità. Ma la grande crisi del 2008 ha gettato sulla strada decine di milioni di lavoratori. Poi gli stessi sacerdoti del capitale hanno annunciato la buona novella della “ripresa”. Ma la ripresa si è rivelata tale solo per i profitti e i dividendi di Borsa. Per gli operai continua il calvario dei sacrifici, del lavoro precario, della disoccupazione, del supersfruttamento. Ovunque si allunga l'orario di lavoro per ingrassare i grandi azionisti. Ovunque si tagliano le spese su scuola, salute, trasporti, per pagare il debito pubblico alle banche. Ovunque, sotto ogni moneta, sotto ogni governo. Perché il problema non è il conio della moneta o il colore politico di chi amministra. Il problema sta nel sistema capitalista, marcio nelle sue fondamenta, incapace di assicurare il progresso.

Non si tratta solamente della miseria sociale. Il capitalismo sta aggredendo la natura come mai era avvenuto in tutta la storia dell'umanità. Gli accordi tra Stati per la riconversione energetica sono costruiti sulla sabbia. Dove domina il profitto, non può regnare il rispetto della natura. I colossi che investono sulle fonti rinnovabili sono gli stessi che continuano a lucrare su petrolio e carbone. I biocarburanti concorrono alla desertificazione di territori immensi con le monoculture invasive impiantate per la loro produzione. Le batterie per l'auto elettrica sospingono il saccheggio di cobalto e litio nel cuore dell'Africa con effetti ambientali devastanti. Il paese al mondo che investe di più nel fotovoltaico è anche il paese più inquinato al mondo, la Cina.
Altro che accordi di Kyoto o Parigi, peraltro già irrisi o disdetti! Altro che appelli alla buona coscienza degli individui o dei capi di Stato!

La grande crisi spinge le potenze imperialiste, vecchie e nuove, a disputarsi mercati e zone di influenza. La competizione tra Usa e Cina in particolare è la battaglia per l'egemonia sul pianeta nel nuovo secolo. I mari del Pacifico, l'Asia, l'Africa, la stessa America Latina sono il teatro di uno scontro senza risparmio di colpi. Il primato nelle nuove tecnologie è la nuova frontiera di questo scontro. Le guerre commerciali, i protezionismi, i nazionalismi, ne sono effetto e strumento, in America (Trump) e in Europa. La nuova grande corsa agli armamenti accompagna la nuova stagione. Saltano i vecchi accordi sugli equilibri nucleari tra Usa e Russia. La Cina persegue il pareggiamento militare con gli Usa. Il Giappone si riarma. Aumentano i bilanci militari degli stessi imperialismi europei, a partire da quello tedesco e francese.  La prospettiva storica di nuovi conflitti sia locali che su vasta scala rientra fra gli scenari possibili.

L'Europa capitalista è stretta nella morsa tra Usa e Cina. La competizione globale ha spinto gli imperialismi europei (Germania, Francia, Italia, Spagna e Gran Bretagna) a realizzare una concentrazione dei propri sforzi per partecipare alla contesa mondiale. Ma la grande crisi, i venti nazionalisti, le contraddizioni tra gli interessi nazionali hanno provocato una crisi profonda nella UE, paralizzata da tempo tra spinte unioniste e separatiste (Brexit). Le imminenti elezioni europee sono uno dei teatri di questo scontro. La crisi dell'asse franco tedesco, il contenzioso tra Italia e Francia in Nord Africa, il contrasto tra Usa e Germania nel rapporto egemonico con l'Est Europeo, la crisi dei trattati europei sulle politiche di bilancio, i contrasti irrisolti sull'immigrazione, misurano nel loro insieme la crisi della UE. Il nuovo corso nazionalista di Trump investe su questa crisi e la alimenta.

I lavoratori e le lavoratrici d'Europa non hanno nulla da spartire con nessuno degli interessi in campo

Le forze borghesi europeiste vogliono subordinare i lavoratori alle ambizioni del capitalismo europeo di gareggiare alla pari con Usa e Cina. Le politiche di saccheggio di salari e diritti praticate per trent’anni nel nome dell'Unione hanno avuto questo fine. Ogni sviluppo della UE in senso federalista avverrebbe sulla pelle dei lavoratori europei. Il campione dell'europeismo borghese Macron è non a caso il principale sostenitore del militarismo europeo. Altro che Europa di pace e di progresso! Ma le forze borghesi nazionaliste non offrono nulla di meglio.  Al contrario. Vogliono utilizzare l'insofferenza popolare contro l'Unione per subordinare i lavoratori all'interesse della propria borghesia contro altre borghesie e altri lavoratori. Vogliono arruolare i salariati in una guerra condotta contro altri salariati, contro gli immigrati, contro i diritti delle donne e degli oppressi. Nel mentre difendono di fatto, al di là delle parole, le vecchie politiche di rapina del capitale finanziario.
Il governo Lega/M5S, le sue politiche di elemosine sociali messe a carico dei destinatari, i suoi progetti di ulteriore detassazione dei capitalisti a spese dei lavoratori, sono un esempio chiarissimo dell'inganno populista.

“Proletari di tutti i paesi, unitevi!” scriveva Marx nel Manifesto. È una parola d'ordine più attuale che mai. È l'unica parola d'ordine che può sancire l'autonomia dei lavoratori da tutti i loro avversari, dai liberali come dai reazionari. È una parola d'ordine rivoluzionaria. Contro l'europeismo borghese, contro i sovranismi nazionalisti, per un’Europa socialista.

Il riformismo è un’illusione senza futuro. Le riforme furono possibili nei trent’anni gloriosi del dopoguerra grazie al boom della ricostruzione capitalista e all'esistenza dell'URSS. Quella stagione è morta da tempo e per sempre. L'epoca nuova che attraversa il mondo pone ovunque all'ordine del giorno la distruzione delle vecchie conquiste sociali e l'attacco ai vecchi diritti democratici. Tutto ciò che era stato conquistato viene messo in discussione. L'alternativa di prospettiva storica è quella tra rivoluzione e reazione. O il movimento operaio rovescia il capitalismo o il capitalismo trascinerà le giovani generazioni verso un futuro di miseria, di crisi ambientali, di guerre.

È falso che la classe operaia non esiste più o non può più lottare. I salariati non sono mai stati così numerosi al mondo. È vero, si trovano da tempo sotto i colpi del capitalismo e della sua crisi. Soprattutto in Europa hanno subito rovesci e sconfitte. Ma il conflitto sociale segna diverse parti del mondo, dalle lotte economiche degli operai cinesi allo sciopero di 200 milioni di operai in India, sino alla ripresa di mobilitazione dei giovani lavoratori americani e al loro nuovo interesse per le idee di “socialismo”. Nella stessa Europa dove maggiore è la ritirata, le lotte recenti dei lavoratori francesi, la fiammata degli operai ungheresi, lo sciopero di massa degli insegnanti polacchi ci dicono che, nonostante tutto, molta brace cova sotto la cenere. Il grande movimento delle donne su scala planetaria, il risveglio della giovane (e giovanissima) generazione contro l'inquinamento e le responsabilità del profitto indicano gli alleati possibili della classe lavoratrice e di un progetto di rivoluzione.

Ciò che è spaventosamente arretrato non è la forza sociale ma la consapevolezza politica. Vi hanno contribuito in modo determinante le vecchie direzioni riformiste politiche e sindacali del movimento operaio. Prima lo stalinismo e la socialdemocrazia che hanno distrutto il patrimonio rivoluzionario di un secolo fa. Poi il coinvolgimento delle direzioni riformiste nelle politiche di austerità degli ultimi decenni, dal sostegno ai Prodi alla capitolazione di Tsipras. Ciò che ha prodotto non solo l'arretramento delle condizioni di vita e di lavoro, ma la retrocessione ulteriore della coscienza di classe e per questa via il suo disarmo di fronte alle suggestioni populiste e reazionarie.

Ricostruire una coscienza classista e rivoluzionaria è oggi il compito dell'avanguardia. In Italia, in Europa, nel mondo. È un lavoro difficile e controcorrente, ma è l'unica via. È possibile condurlo se tutti coloro che condividono questo progetto unificano le proprie energie in una organizzazione, in un partito rivoluzionario d'avanguardia che in ogni lotta e in ogni movimento porti la coscienza e il programma della rivoluzione sociale. Un partito organizzato su scala nazionale e internazionale.

La costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori e la sua lotta per la rifondazione della IV Internazionale vanno ostinatamente in questa direzione. Unisciti a noi!


PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI





domenica 28 aprile 2019

MILANO NON VUOLE UNA GIORNATA NERA MAI PIU’ FASCISMO!

Lunedì, 29 Aprile 2019 alle ore 18.30 - Piazzale Loreto angolo viale Andrea Doria Milano

Manifestazione antifascista



Nei giorni in cui si ricorda la Liberazione dal nazifascismo e la rinascita della nostra democrazia, c’è sempre qualcuno che ancora non ha elaborato la sconfitta e con pretesti diversi intende celebrare il fascismo.

Nella nostra città, Medaglia d’Oro della Resistenza, il 25 aprile non è mai stata una semplice ricorrenza, ma un appuntamento di popolo partecipato, determinato e consapevole nella difesa dei valori antifascisti e nella attualizzazione della Resistenza ai giorni nostri contro ingiustizie, povertà, indifferenza e razzismo.

E’ sempre stata una giornata di festa popolare e di mobilitazione antifascista, specie negli ultimi anni in cui la destra estrema, dopo essere stata politicamente e culturalmente sdoganata, sta tentando di conquistare nuovo spazio in città.

Lo fa il 29 aprile strumentalizzando cinicamente il ricordo di un giovane di destra morto negli anni ‘70, trasformando quel giorno in un momento nazionale di mobilitazione delle formazioni nazifasciste da contrapporre al 25 Aprile, con raduni militareschi, grande sfoggio di saluti romani e di tutta la lugubre retorica scenica del ventennio.

I fascisti stanno segnando la nostra città con provocazioni intollerabili sfregiando ricorrenze storiche e luoghi sensibili della nostra storia come accaduto al Cimitero Maggiore due anni orsono e al cimitero monumentale poche settimane fa per celebrare il centenario della nascita del fascismo.

E’ una vergogna che non possiamo più tollerare.

Vista l’inconsistenza “dell’Antifascismo da dichiarazione” professato dalle Istituzioni che invece di impedire continuano a concedere spazi ai fascisti, è dovere di tutti difendere i luoghi simbolo della città; lì dove sono caduti i partigiani, nelle vie dei caduti della nuova resistenza, nei territori e nei luoghi preposti al ricordo .

Impediamo che il prossimo 29 Aprile si compia l’ennesima provocazione, saremo in Piazzale Loreto per una manifestazione cittadina contro il fascismo con un corteo che attraverserà il quartiere dove i fascisti intendono fare la loro vergognosa parata.

TUTTE E TUTTI IN PIAZZALE LORETO ang. VIA DORIA
AL MONUMENTO DEDICATO AI 15 MARTIRI, 29 APRILE ORE 18,30

MILANO ANTIFASCISTA ANTIRAZZISTA METICCIA SOLIDALE

Il Pcl invita i propri iscritti e simpatizzanti a partecipare.

ORGANIZZA
MILANO ANTIFASCISTA ANTIRAZZISTA METICCIA E SOLIDALE

sabato 20 aprile 2019

FERRUCCIO GHINAGLIA RESTA UN ESEMPIO



Il 21 aprile 1921 Ghinaglia moriva assassinato dai fascisti. Sere prima in Borgo Ticino, il rione popolare "fortilizio dei socialcomunisti" (come dicevano i fascisti) Ghinaglia aveva parlato a una riunione operaia sulla necessità di reagire allo squadrismo. 

Al termine del comizio i borghigiani avevano attaccato e disperso un gruppo di fascisti che sui camion tornavano da una delle loro bravate notturne.
La sera del 21, Ghinaglia e i suoi compagni furono presi a rivoltellate. Colpito alla testa Ghinaglia morì all'istante. Afferma Arturo Bianchi, un fascista della prima ora, che Ghinaglia stava cantando l'Internazionale. Morto Ghinaglia, il gruppo comunista pavese perse in parte slancio, ma proseguì la sua attività fino agli arresti di massa del 1927.

Doveroso ricordare Ferruccio Ghinaglia in una fase come questa dove elementi di disgregazione e crisi sociale e culturale sembrano prevalere. Occorre tenere alta la guardia, oggi, periodo permeabile all'indebolimento progressivo della democrazia e ai suoi riti e alle sue parole d'ordine. Tollerarne o sottovalutarne i sintomi ed i vagiti, più o meno deboli o nascosti dietro una maschera pseudo-culturale, significa aprire un varco al revisionismo, al tentativo di annullare la storia, alla legittimazione di autoritarismi più insidiosi.

La lotta antifascista più coerente è patrimonio di poche forze politiche e ideologiche e non può essere ridotta e riducibile ad un lontano passato ma continua tutt'ora. L'esempio Ferruccio Ghinaglia non solo non deve essere dimenticato ma ripreso per una ferma e decisa opposizione alle nuove guerre dell'imperialismo.


Partito Comunista dei Lavoratori - Pavia


mercoledì 10 aprile 2019

CONFINDUSTRIA E LANDINI A BRACCETTO A SOSTEGNO DELL'UNIONE EUROPEA




La nuova segreteria Landini in CGIL era stata presentata come garanzia di svolta della confederazione. Nonostante il nuovo segretario portasse in dote il peggior contratto della storia dei metalmeccanici pur di accreditarsi agli occhi dell'apparato, questa illusione è stata ampiamente condivisa in ambienti diversa della sinistra, con la immancabile benedizione de Il Manifesto.

Ora parlano i fatti.

L'appello unitario di Confindustria e CGIL, CISL, UIL a sostegno dell'Unione Europea non è un innocuo pezzo di carta, ma un fatto politico di prima grandezza. L'organizzazione dei padroni e le burocrazie sindacali si tengono a braccetto alla vigilia delle elezioni europee. Firmano insieme un appello che esalta «la funzione sociale di progresso dell'Unione» (salari e pensioni ringraziano), loda la UE come «garanzia di pace» (e i bombardamenti su Belgrado? E il sostegno al governo di guerra in Ucraina?), e soprattutto rivendica lo sviluppo competitivo delle aziende europee, la massima concentrazione delle imprese europee per consentire loro di «raggiungere dimensioni comparabili a quelle USA», il ruolo di possibile potenza economica della UE per «rispondere alla concorrenza degli altri player mondiali». Per questo invoca «una politica estera europea proporzionale al Pil continentale». In altri termini invoca la UE come polo imperialista continentale capace di contendere a USA e Cina fette crescenti del mercato mondiale.

Inutile dire che l'appello ignora inevitabilmente ogni rivendicazione elementare dei lavoratori europei in contrapposizione ai propri padroni. Nulla sull'abbassamento dell'età pensionabile, nulla sulla riduzione dell'orario di lavoro, nulla sugli aumenti salariali, nulla di nulla che possa disturbare Confindustria. L'appello è di fatto un appello di Confindustria firmato da Landini, Furlan e Barbagallo. I lavoratori e le lavoratrici vengono offerti ai padroni non solo sul piano nazionale ma anche sul terreno europeo.
Non si dica che l'appello serve a contrastare le destre nazionaliste nel nome dell'europeismo. Perché è vero l'opposto. Proprio le destre sono le prime beneficiarie dell'appello. Per avvalorare la demagogia reazionaria contro “i sindacati incapaci di proteggere il popolo” cosa c'era di meglio che firmare un appello comune con i padroni che tagliano i salari, allungano l'orario, delocalizzano gli investimenti, chiedono rigore contro pensioni e sanità, lodano la santità della UE? Salvini e Di Maio non potevano sperare in un regalo più generoso.

Europeismo? Certo. Ma a favore di quale classe e contro quale classe? L'Unione Europea non è l'Europa. È l'unione delle classi capitalistiche di tutta Europa contro i salariati di tutta Europa. È l'unione che taglia servizi sociali per pagare il debito al capitale finanziario, che riduce le tasse ai capitalisti per attirare gli investimenti esteri, che aumenta lo sfruttamento dei propri operai per meglio competere, che saccheggia ambiente e territorio per ingrassare i profitti. Questa Unione per sua natura è nemica dei lavoratori e non è riformabile. Il nostro europeismo contro ogni sovranismo nazionalista muove da una angolazione di classe esattamente opposta. Rivendica l'unità di lotta dei lavoratori salariati di tutta Europa contro l'Unione Europea dei capitalisti, e l'unità di lotta dei lavoratori europei coi lavoratori americani e cinesi contro il capitalismo mondiale. Ci battiamo per una Europa socialista: gli unici Stati Uniti d'Europa che abbiano una valenza storica progressiva.

“Proletari di tutti i paesi unitevi” è più attuale che mai. Ma solo se è in contrapposizione ai padroni. Se invece è al loro servizio, nulla di nuovo all'orizzonte. È il film continentale degli ultimi quarant'anni. Maurizio Landini ha semplicemente scelto (e non da oggi) di figurare nella compagnia dei suoi attori. Evidentemente la segreteria CGIL val pure una messa... confindustriale.

Partito Comunista dei Lavoratori

giovedì 4 aprile 2019

IL SOVRANISMO DI SINISTRA È UNA DERIVA, RILANCIAMO LA LOTTA PER UN'EUROPA SOCIALISTA

Intervista a Marco Ferrando

Dal sito: il Pane e le rose




Lontano da qualsiasi illusione circa la riformabilità dell'UE, il sito Il Pane e le rose non ha però mai sostenuto chi ne propugna il superamento per vie nazionaliste. Lo stesso fenomeno, attualmente in auge, del "sovranismo di sinistra", ci sembra foriero di pericolosi sbandamenti, a partire dal fatto che, richiamandosi a una sorta di "nuovo riscatto" dell'Italia o di altri paesi, pone in second'ordine - o cancella del tutto - il conflitto di classe. Per questo abbiamo intervistato Marco Ferrando, portavoce nazionale di quel Partito Comunista dei Lavoratori che da tempo è impegnato in una battaglia politica contro la suddetta tendenza. Uno sforzo evidentemente sostenuto da solide basi culturali, visto il carattere della conversazione che qui proponiamo, in cui il significato complessivo di falsa alternativa del "sovranismo di sinistra" viene evidenziato con dovizia di argomentazioni.

In questa intervista ci concentreremo sulla sempre maggiore diffusione, in ambiti un tempo alternativi, del verbo sovranista. Precisando, però, che non si tratta dell'unica catastrofe che investe la sinistra europea...
È indubbio. Oggi, la sinistra europea di matrice riformista appare divaricata tra due forme di subalternità, la prima delle quali è la subalternità al quadro della concertazione imperialistica europea, che passa attraverso il mito di una riforma sociale e democratica dell'UE. Per questa via, ciclicamente ci si genuflette alle politiche controriformatrici, volte a demolire i diritti sociali, com'è accaduto a Rifondazione Comunista con gli esecutivi Prodi, al PCF con il governo Jospin e, in tempi più recenti, a Tsipras in Grecia e, per un breve periodo, a Podemos in relazione al governo con il socialista Sanchez. Quel che non si capisce o si finge di non capire è che le politiche di austerità sono connaturate alla fisionomia stessa dell'UE. Vi è poi un secondo filone che ha reagito all'inevitabile crisi del riformismo europeista proponendo una forma di riformismo nazionalista o sovranista: questa tendenza fa capo a Mélenchon e alla sua France Insoumise nonché, in Germania, a un movimento fondato da Sahra Wagenknecht: Aufstehen. In forma mediata, in Italia, ritroviamo questo discorso anche in settori di Potere al Popolo. Si cerca di capitalizzare il fallimento del riformismo europeista, però senza mettere in discussione il capitalismo e palesando subalternità alle tendenze ideologico-culturali delle destre scioviniste.

Ecco, questo ci interessa: il fatto che i sovranisti di qualsiasi tipo non svolgono un discorso anticapitalistico...
A ben vedere, il sovranismo di sinistra non fa che riproporre, sul piano nazionale, l'illusione circa un possibile compromesso di tipo progressista tra capitale e lavoro. Quel che non sarebbe ipotizzabile nel contesto dell'UE e della moneta unica, acquisirebbe concretezza con il recupero della sovranità nazionale, base per un nuovo intervento dello Stato nei meccanismi del mercato. Si tratta di un'ipotesi infondata, che rimuove il fatto che, sul piano mondiale, lo spazio del riformismo si è esaurito da tempo, in conseguenza di due fattori: la fine del boom economico post-bellico e il crollo dell'URSS. L'agenda dell'austerità non è dominante solo in Europa ma in tutto il pianeta. Essa si è imposta dopo la prima crisi strutturale del '74-'75, anche se, ovviamente, l'euro e i suoi meccanismi strutturali l'hanno rilanciata. In sostanza, quando Vladimiro Giacché, in un'intervista rilasciata a Fulvio Grimaldi (1), asserisce che l'euro sarebbe la base della svalutazione del lavoro, dimentica che questa precarizzazione avviene ovunque, anche sotto il sovranissimo dollaro o sotto la sovranissima sterlina. La stessa cosa vale per l'innalzamento dell'età pensionabile, che non è un fenomeno esclusivo dell'Europa unita: in Russia, il proposito di Putin di muoversi in questa direzione lo sta esponendo a un calo di popolarità. Così come generalizzata è la riduzione progressiva delle tasse alle imprese, col suo portato di tagli alla spesa sociale. Insomma, è il capitalismo la base delle politiche di austerità. Dunque, per superarle la rottura con l'UE può essere una condizione decisiva, ma a patto che essa si collochi in una prospettiva anticapitalistica. Oggi tale rottura è sostenuta anche da reazionari, come dimostra la Brexit, preceduta da una campagna incentrata sul ritorno del Regno Unito alla sua "antica grandezza". Chi ha assimilato la Brexit all'Oxi, ossia alla prevalenza del no nel referendum del 2015 sul piano della Trojka per la Grecia, ha preso una cantonata incredibile. Con l'Oxi si è manifestata una rottura verso l'UE incentrata sulle istanze di cambiamento e di rifiuto dell'austerità espresse da ampi settori giovanili e del mondo del lavoro. Tsipras, dunque, ha tradito una dinamica di tipo progressivo.

Queste forzature sono strettamente legate all'idea che l'Europa sia dominata da un solo paese: la Germania...
Un'altra idea sganciata dalla realtà e che si può spiegare, in fondo, con la rimozione della categoria di imperialismo, sia in generale sia, in particolare, come comprensione dell'imperialismo di casa propria. Nella rappresentazione di Giacché l'UE coinciderebbe con l'euro e con una conseguente politica economica sbagliata, ma in realtà l'UE non può ridursi a espressione giuridica di una moneta, essendo il risultato di una concertazione tra imperialismi. L'Unione nasce da una comune volontà di intervenire contro il proletariato continentale e dalla spinta capitalistica ad espandersi verso l'est Europa dopo la caduta del muro di Berlino. Indubbiamente, in questo patto interimperialistico i rapporti di forza pesano: l'imperialismo tedesco risulta il più potente e ciò emerge chiaramente nei Trattati. Ma contrariamente alla narrazione diffusa non è stata la Germania il primo paese ispiratore dell'Unione, bensì la Francia che - a partire da Mitterand - ha spinto verso la moneta unica continentale per imbrigliare il Marco tedesco, accettando come contropartita l'unificazione tedesca. Parigi si illudeva di poter essere egemone in virtù della sua superiorità politico-militare, ma tale ambizione non ha trovato corrispondenza nei fatti. Ad ogni modo, in questa continua contrattazione, la Germania ha dovuto accettare, per dire, che la BCE adottasse il quantitative easing, un meccanismo di politica monetaria espansiva che è andato a vantaggio di paesi come l'Italia. Dunque, parliamo di compromessi tra imperialismi sovrani, da cui ognuno trae vantaggio in relazione alla forza che può esercitare. Il discorso sulla burocrazia tecnocratica distaccata da tutto, che decide in barba agli Stati o magari ascoltando solo l'opinione tedesca, è un'altra bufala. Sin qui, tutte le scelte sono state concertate, anche con il contributo dell'imperialismo italiano.

Una nozione, quella di imperialismo italiano, che per i soggetti politici e culturali di cui parliamo è quasi un tabù...
Sì, la natura dell'imperialismo italiano è oggetto di una totale rimozione da parte della cultura sovranista. Eppure Lenin indicava l'Italia come imperialismo già nel primo '900, aggiungendo l'aggettivo "straccione", allora opportuno. Poi, lo sviluppo capitalistico degli anni '30 e, ancor di più, dei '60 ha portato questo paese a un rango da grande potenza economica. Ancor oggi, pur avendo perso pezzi del proprio apparato produttivo, l'Italia risulta essere la seconda manifattura industriale d'Europa. Ma non è solo questo a smentire l'assimilazione dell'Italia alla Grecia, proposta da Giacché. Il debito pubblico greco è posseduto dai capitali finanziari tedesco, francese, italiano ecc. Il che conferma il carattere semicoloniale di quel paese. Il debito pubblico italiano è detenuto principalmente da banche italiane, il che dà la misura di una persistente autonomia finanziaria. Non parliamo, poi, della proiezione internazionale del nostro paese, sempre più forte, e non solo in termini di missioni militari. In alcuni paesi balcanici (Albania, Romania, Serbia) l'Italia è la prima presenza imperialista, risultando seconda in Croazia. L'area balcanica, ricordiamolo, è un terreno competitivo tutt'altro che secondario. Così come centrale è oggi l'Africa, dove l'ENI è la prima grande azienda imperialistica in assoluto, superando persino i colossi cinesi. Peraltro, lo stesso recente Memorandum d'Intesa con la Cina sulla Nuova Via della Seta non mira solo - come contropartita per l'apertura dei porti italiani - a un ampliamento delle esportazioni sul mercato cinese. Legarsi alla filiera delle aziende cinesi può agevolare l'ulteriore espansione economica in Africa. Lo scontro con la Francia rinvia a questo: oltralpe vogliono mantenere le proprie posizioni in Africa. Laddove le critiche tedesche rimandano alla volontà di Berlino di consolidare le quote di mercato conquistate negli ultimi anni in Asia, senza esser turbati da temibili concorrenti.

Questo ci richiama alla mente il plauso di certi sovranisti di sinistra a Di Battista, in relazione alle sue invettive contro la politica francese in Africa. Come a dire che, se occasionalmente si torna a parlare di imperialismo, è solo per puntare l'indice contro quello degli altri paesi...
È tipico della storia patria: nei primi decenni del '900, la retorica del colonialismo italiano si alimentava attraverso la denuncia del colonialismo altrui, che impediva al nostro paese di "conquistare un posto al sole". Gli intellettuali che denunciano solo l'imperialismo francese potranno pure autodefinirsi marxisti ma non fanno che palesare la propria subalternità all'imperialismo di casa propria. Di più, poiché per il "rilancio" dell'Italia si vede come necessario il rapporto con la Cina, si sconfina anche nella subalternità all'imperialismo cinese.

A tuo avviso, esiste un nesso tra questo approccio al tema dell'imperialismo e le posizioni sull'immigrazione, che in alcuni casi si approssimano a quelle delle destre?
Certamente, le posizioni sull'immigrazione sono un'altra espressione di subalternità. Nel caso di Giacché, la rappresentazione della destra viene assunta al 100%: egli parla in sostanza di un'invasione. Inoltre, nella già citata intervista, Grimaldi introduce pure un elemento complottistico che conferisce al discorso un sapore ancor più reazionario. Sul piano analitico, ciò è incredibile! Si rimuovono le ragioni materiali dei processi migratori, riconducibili al dominio imperialistico. Dominio che, come si diceva, vede in prima fila la stessa Italia, attualmente impegnata pure nella corsa alle miniere di litio e di cobalto, utili per nuove produzioni come l'auto elettrica. La stessa sollevazione algerina, in atto da settimane, non si limita a contestare l'autoritarismo del "sistema Bouteflika", rivolgendosi anche contro le ricadute materiali della dominazione straniera. Ossia, contro le politiche di austerità imposte, per conto delle potenze imperialiste, dagli organismi finanziari sovranazionali. Questi aspetti non si possono rimuovere. Noi non amiamo la retorica sull'immigrazione come espressione di libertà, che è l'opposto speculare del vade retro degli sciovinisti. Il punto è che l'immigrazione è un dramma causato dall'imperialismo. Le politiche incentrate sui respingimenti e sul restringimento dei diritti non sono solo ingiustificabili, dato che questi processi sono stati innescati dai paesi respingenti, ma producono un allargamento dell'immigrazione irregolare, priva di qualsivoglia tutela e dunque tale da poter essere supersfruttata da imprenditori come, poniamo, quelli rappresentati dalla Lega di Salvini. Quindi, con l'immigrazione parliamo di un altro tassello di una deriva che, a ben vedere, è complessiva, consistendo nella tendenza, tipica di diversi intellettuali, a legittimare il peggio del peggio sulla base di una fraseologia marxisteggiante. L'esempio più eclatante è quello di Diego Fusaro, che probabilmente ha scelto di esprimersi in questi termini per ottenere visibilità mediatica. Ma anche uno studioso di maggior levatura come Carlo Formenti, in alcuni dei suoi ultimi testi (La variante populista e Il socialismo è morto, viva il socialismo! Dalla disfatta della sinistra al momento populista) sposa senza indugio le tesi sovraniste, abbandonando una lettura classista della realtà e facendosi coinvolgere nelle molte rimozioni qui citate, come quella relativa all'imperialismo italiano.

Hai appena nominato Fusaro, il sovranista più spregiudicato. Che ne pensi della sua condanna in blocco delle lotte per i diritti civili?
Alla base vi è una contrapposizione tra diritti civili e diritti sociali che va respinta. Secondo i sovranisti, il femminismo, le mobilitazioni lgbt e, in generale, le ideologie libertarie, rientrerebbero totalmente nell'alveo del capitale globale transnazionale, che se ne farebbe scudo contro gli interessi nazionali. Si tratta di una lettura delirante, che si pone in un orizzonte culturale ultraconservatore. La logica da seguire è un'altra e rinvia a un'egemonia proletaria nei movimenti per i diritti civili, anche perché la piena realizzazione degli stessi è incompatibile con la salvaguardia del capitale. Le ideologie liberalprogressiste, relegando i diritti civili nel quadro delle compatibilità vigenti, non possono che portare a risultati modestissimi, come dimostrano le unioni civili approvate in Italia dal centrosinistra. Ma chi separa gli interessi sociali dai diritti civili non fa che regalare l'egemonia su questo tema a forze come il PD e i suoi affini. Penso, ad esempio, a Marco Rizzo, che propone di continuo questo cliché: "la sinistra dei salotti si occupa dei diritti civili, mentre noi ci concentriamo sui proletari". Noi rifiutiamo questa cesura, così come quella tra oppressione di genere e movimento operaio, che non a caso la Rivoluzione d'Ottobre concepì in stretta connessione, tanto da portare con sé conquiste come la legalizzazione dell'aborto, poi venuta meno in seguito alla controrivoluzione stalinista.

È tutto molto chiaro. Ma c'è chi indica nel PCL l'alfiere di un internazionalismo astratto e perciò, in ultima analisi, incapace di scalfire le culture dominanti nel capitalismo globale...
Respingiamo con risolutezza queste critiche. Per 15 anni, come opposizione interna di Rifondazione Comunista, e poi per 12 come PCL abbiamo svolto una lineare battaglia classista contro l'europeismo riformista, denunciandone l'appiattimento sulle politiche di austerità. Mentre noi eravamo impegnati in tal senso, i vari Ugo Boghetta e Marco Rizzo, oggi campioni verbali dell'attacco all'UE, partecipavano acriticamente alle illusioni riformiste. Il secondo in particolare, era dirigente di Rifondazione nel '97-'98, quando il governo di centrosinistra gettava le basi per entrare nell'euro e varava il Pacchetto Treu; poi, in seguito alla rottura con Bertinotti, ha sostenuto il governo D'Alema che bombardava la Serbia. Per non dire del fatto che, al Parlamento europeo nel 2005, arrivò a votare i Trattati Europei. Noi, invece, siamo sempre stati per la rottura con l'UE però su una base di indipendenza proletaria. Un ipotetico governo dei lavoratori, così come lo concepiamo noi, partirebbe anche da questi atti: 1) l'abolizione del debito pubblico verso il capitale finanziario; 2) la nazionalizzazione delle banche, unificate in un solo istituto centrale; 3) la cancellazione di tutti i trattati firmati con gli altri imperialismi in seno all'UE. In sostanza, abbiamo sempre proposto una rottura diversa da quella legata agli interessi capitalistici nazionali, rivendicata da settori della piccola e media borghesia di casa nostra. L'idea che qualsiasi rottura con l'UE sia in sé positiva è profondamente sbagliata. Non si può prescindere dalla dinamica di classe che la produce. Il momento dell'Oxi, per dire, non era egemonizzato dal marxismo rivoluzionario, ma si basava su elementi progressivi: nel sentimento popolare di protesta pesavano le istanze giovanili e proletarie. Un altro conto sarebbe una rottura subalterna al Front National, alla Lega o all'AfD tedesca.

Bene, ma oggi questa battaglia di lunga data come intendete proseguirla? Come si può lavorare per una rottura con l'UE che non si confonda con quella agitata dai sovranisti?
Va puntualizzato che, proprio perché siamo per l'indipendenza di classe, intendiamo svolgere una duplice azione: contro l'UE, ma anche contro l'imperialismo italiano, al quale nei prossimi tempi dedicheremo sempre più attenzione. Oggi, oltre alla persistenza dell'UE c'è una tendenza a sgomitare delle diverse potenze nazionali che va registrata e denunciata. Fatta questa precisazione, va detto che è nostro obiettivo sviluppare un lavoro comprendente almeno due livelli. Il primo riguarda la definizione di una politica classista in senso generale, tale da cementare la solidarietà tra i proletariati europei. È un piano, questo, che concerne le rivendicazioni materiali e dovrebbe tradursi in una piattaforma unificante nei singoli paesi e a livello continentale. Tra i suoi punti qualificanti: quel salario minimo europeo che non andrebbe lasciato ai populisti (noi pensiamo a un salario minimo intercategoriale di 1500 euro); la ripresa della battaglia per la riduzione dell'orario di lavoro, che oggi dovrebbe coincidere con le 30 ore a parità salariale o, per meglio dire, in un quadro di aumenti salariali; la già citata abolizione del debito pubblico per reperire le risorse atte a rilanciare le politiche sociali. Ecco, questo è, se vogliamo, il nostro "europeismo". Carlo Formenti arriva a negare l'esistenza dell'Europa in quanto categoria politica, ma noi gli ricordiamo che, nel 1923, quando c'era tensione tra Francia e Germania per il controllo della Ruhr, l'Internazionale Comunista di Lenin e Trotsky lanciò con vigore la parola d'ordine dell'Unione degli Stati Socialisti d'Europa. Memori di questo esempio, riteniamo sia necessario creare le basi per unire il proletariato su scala continentale. Per quanto riguarda il secondo livello, esso rimanda a un serrato confronto strategico e lavoro comune con tutti i settori dell'avanguardia proletaria con cui vi siano affinità programmatiche e di principio. Non solo, quindi, con le realtà del trotskismo con cui siamo già in contatto (vedi Anticapitalisme et Revolution, in seno al Nouveau Parti Anticapitaliste francese). Alla Terza Internazionale aderirono correnti di orientamento ideologico assai differente da quello dei bolscevichi, perché ne condividevano gli obiettivi di fondo. Ora, questa ricomposizione delle avanguardie europee potrebbe portare, in prospettiva, proprio alla ricostruzione della IV Internazionale.