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venerdì 31 agosto 2018

L’ATTACCO RIGUARDA TUTTI I PROLETARI, NATIVI E IMMIGRATI


Dopo i primi cento giorni il governo M5S/ LEGA continua ad agitare un’emergenza inesistente, per deviare l’attenzione dai problemi economici, far dimenticare le tante promesse fatte e, soprattutto per Salvini, rafforzare il partito in vista delle elezioni europee. 
Infatti , in questi mesi, al centro dell’offensiva politico-mediatica del governo c’è stata la persecuzione sistematica dei migranti, di chi li soccorre, di chi li difende.
Questo è stato il suo principale “impegno”, cioè l’immoralità politico borghese realizzata sulla pelle dei “poveri della terra”, che lo ha caratterizzato e contraddistinto a livello nazionale e internazionale.
La negazione dei diritti umani, sono politiche proprie dell’imperialismo. In questo caso quello italiano, che per lungo tempo si è nascosto dietro l’ipocrisia delle “operazioni umanitarie”.
Il clima di odio razzista istigato dal governo determina anche il continuo tiro al bersaglio ai lavoratori immigrati e ai rom.
L’obiettivo, però, della politica razzista non sono solo i migranti che scappano dalla fame e dalle guerre generate dall’imperialismo.

L’attacco riguarda tutti i proletari, nativi e immigrati.
Domani toccherà a loro subire i colpi del capitalismo che vuole peggiorare le condizioni di vita e di lavoro di tutti i lavoratori. 
Questo governo può  solo creare il terreno su cui si saldano gli elementi borghesi più reazionari e avidi.
Dobbiamo mettere in crisi il governo sovranista lottando per l’occupazione, il salario, la riduzione d’orario, l’abolizione delle controriforme.
Solo i lavoratori, le lavoratrici e tutti gli sfruttati possono seguire questa via attuando l’unità di lotta contro il capitalismo e “vibrando” colpi vigorosi ai suoi servi per impedire che si rafforzino e aprire così la via all’alternativa di potere. 
Ridare un partito a questo programma è il nostro compito.

Mercoledì 5 settembre dalle 9,30 alle 12.30
Pavia Piazza Emanuele Filiberto
In caso di pioggia via Indipendenza (davanti ASL)
INCONTRO CON IL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
Verrà  distribuito materiale informativo e “ UNITÀ DI CLASSE” Giornale Comunista dei Lavoratori

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

   SEZ. DI PAVIA “ Tiziano Bagarolo “

giovedì 30 agosto 2018

LA RICOSTRUZIONE STORICA DEL MOVIMENTO COMUNISTA RIVOLUZIONARIO


Commemorare l’Ottobre sovietico da tempo non è più di moda né politicamente corretto per l’altra “sinistra”. Si preferisce piuttosto tributare onori ad altri “ottobre”: la “caduta del muro di Berlino” nel 1989 o l’insurrezione anticomunista di Budapest nel 1956.
Chi pretende di richiamarsi alla storia delle rivoluzioni comuniste del ‘900 aperta dall’Ottobre sovietico viene etichettato come “nostalgico”, irrimediabilmente incapace di leggere le sfide del tempo presente.
Questa è al momento la tendenza prevalente, salvo meritorie eccezioni, nella cultura politica sempre dell’altra “sinistra”, degli eredi di quel che fu il partito comunista italiano e della «nuova sinistra» sessantottina e post-sessantottina, in Italia e in molti paesi del mondo. Questa situazione è ben presente ai comunisti che resistono, che non accettano la cancellazione di una storia, di un progetto di società, di un’identità che ha segnato profondamente la storia del XX secolo e che ora si vuole condannare al silenzio e all’oblio.
Il giovane Gramsci in uno dei suoi articoli appassionati accusava il partito socialista di aver ridotto Marx ad un’icona, un santo al capezzale, da rispolverare per le occasioni, le commemorazioni, le ricorrenze, per poi lasciarlo marcire in soffitta per tutto il resto dell’anno, evitando scrupolosamente di trasformare in azione politica vivente il suo pensiero critico.
Ricordare, difendere, approfondire la memoria storica è utile e necessario nella misura in cui riusciamo a tradurre questa memoria in azione culturale e politica, in consolidamento e accumulazione delle forze comuniste, in formazione comunista per le nuove generazioni.

Se il 7 novembre 1917 è ancora una data che riteniamo di dover ricordare e onorare non è solo per un doveroso omaggio agli eroici furori di un tempo che fu.
Il comunismo nasce come critica, critica teorica dell’economia politica borghese nel «Capitale» di Marx e critica come prassi , pratica politica per l’abolizione dello stato di cose presente, per il rovesciamento dei rapporti di proprietà borghese nella proprietà comunista.  

È tempo di commemorare l’Ottobre dotando i comunisti degli strumenti adeguati per rispondere all’azione denigratoria e alla demolizione dell’esperienza storica del comunismo del ‘900. 
La storia, in tutti i suoi aspetti, delle rivoluzioni comuniste del ‘900 va studiata e approfondita non solo per battere il “revisionismo storico”, ma perché in essa vi è un bagaglio di esperienze fondamentali per la lotta politica di oggi, per le sue prospettive. Questo grande patrimonio di esperienze, di teoria dell’economia politica del socialismo, di pratiche, non può essere gettato nel dimenticatoio da chi si propone il fine del superamento della proprietà borghese in proprietà socialista.

La tattica quotidiana, in un presente senza storia, senza passato e senza futuro, è diventata il pane di buona parte del personale politico ex comunista o pseudo comunista. 
La grandezza di Lenin, in primo luogo, è stata quella di aver saputo collocare ogni scelta tattica all’interno di una grande prospettiva, ponendo in primo piano la questione strategica. Pensare strategicamente significa costruire le condizioni perché siano i comunisti a determinare il terreno su cui porre le grandi questioni.
Reagire, rispondere agli attacchi e alle provocazioni dell’avversario è doveroso e giusto, ma la sola reazione non ci fa compiere il salto di qualità di cui i comunisti hanno oggi più che mai bisogno. 
Commemorare oggi l’Ottobre significa allora pensare strategicamente per la ricomposizione e il rilancio su scala mondiale del movimento comunista. Non guarderemo allora alla storia del comunismo novecentesco come una testimonianza del passato da salvaguardare dalle intemperie e intemperanze dei nuovi barbari, ma come una miniera preziosa, un tesoro di esperienze da cui apprendere, un patrimonio di inestimabile valore in cui affondano le radici della nostra identità e del nostro futuro.

È questo il senso del saggio di Marco Ferrando che riproponiamo.
La ricostruzione storica del movimento comunista rivoluzionario, che ha le sue radici più lontane nella metà dell'Ottocento: quando Marx ed Engels diedero alle stampe il primo organico e insuperabile programma dei comunisti, quel Manifesto che in un secolo e mezzo è diventato uno dei testi più letti nella storia dell'umanità; ma anche nelle esperienze dirette, come la comune parigina del 1871 e, ovviamente, la rivoluzione bolscevica del 1917.

A volte fischia ancora il vento: ci auguriamo che questo libro contribuisca a dargli altra forza.

domenica 26 agosto 2018

CONTRO LE NUOVE ILLUSIONI



Il capitalismo non è riformabile. O lo rovesci o lo subisci. Lo spazio storico del compromesso riformista è storicamente chiuso. Un partito riformista che accetta, per definizione, il quadro capitalista, si condanna a gestire, prima o poi, le controriforme della borghesia.
La favola bella di una possibile Unione Capitalistica Europea “sociale e democratica”, è stata definitivamente ridicolizzata. L’alternativa non è e non può essere la ricerca di piani B a carattere nazionalista.  Significherebbe alimentare nuove illusioni, per di più a rimorchio di ambienti reazionari.
L’unica alternativa reale alla crisi capitalista, in ogni paese e su scala continentale, è l’alternativa di classe socialista. L’esproprio della borghesia, il potere dei lavoratori, la rifondazione della società su nuove basi: non vi è altra prospettiva storica che questa.
Un programma di potere delle Lavoratrici e di Lavoratori, è più che mai all’ordine del giorno in tutto il vecchio continente. 
Una sinistra che voglia costruire un futuro diverso per gli sfruttati o è anticapitalista o non è.

Questa prospettiva è, e resta, la nostra linea di demarcazione dal resto della sinistra politica.

PCL Pavia sezione "Tiziano Bagarolo"

giovedì 23 agosto 2018

COMUNISTI


I marxisti rivoluzionari hanno sempre contrastato le politiche di collaborazione con le classi dominanti collocandosi all'opposizione dei loro governi.
Questo principio di indipendenza della classe lavoratrice dalla borghesia è ancor più attuale nell’odierna situazione storica.
Compito dei Comunisti è organizzare un’opposizione e una tutela alle fasce deboli della popolazione contro un potere costituito sempre più forte completamente soggiogato dal potere economico privato.
Tutto è stato svenduto, dall’acqua, all’energia, al patrimonio immobiliare. Le banche e le multinazionali sono i veri governi che decidono le nostre sorti, chi va al potere deve solo intraprendere percorsi già segnati e far rispettare regole già prestabilite dai cosiddetti poteri del capitale (economici, finanziari e religiosi).
Anche i governi di centrosinistra hanno tutti amministrato e amministrano , in forme diverse, gli interessi della borghesia contro gli interessi dei lavoratori e delle grandi masse ed anzi riflettono una diretta investitura nel centrosinistra dei settori più significativi del grande padronato. 
Gruppi di dirigenti (finti comunisti) sono stati coinvolti in cinque anni di governo (nel primo governo Prodi tra il 1996 e il 1998, e nel secondo governo Prodi tra il 2006 e il 2008) votando Pacchetto Treu, privatizzazioni, il taglio verticale delle tasse sui profitti, l'aumento delle spese militari, le missioni di guerra, i campi di detenzione contro i migranti.
Non è un caso se da molti anni Rifondazione Comunista non si presenta più con la propria faccia alle elezioni. Hanno avuto (e hanno) bisogno di nascondere i disastri compiuti, e le relative responsabilità, sotto diverse sembianze e colori: una volta l'Arcobaleno, poi la Rivoluzione Civile di Ingroia e Di Pietro, poi l'Altra Europa.
C'è un solo elemento costante: la rinuncia a presentarsi col proprio simbolo e la propria riconoscibilità, preferendo imboscarsi sotto mentite spoglie. 
Possono presentarsi nel nome del “nuovo” partiti compromessi nelle vecchie politiche antipopolari?
Possono farlo gruppi dirigenti che hanno varato, votato, difeso attivamente quelle politiche contro l'opposizione interna ai loro stessi partiti per rassicurare i poteri forti e garantire proteste pacifiche, colorate ma inefficaci e legalitarie?
Essere comunisti oggi è mantenere intatti una serie di riferimenti culturali e di prassi consolidate e vincenti.
Sappiamo che le società cambiano travolte da nuovi processi produttivi, plasmate da nuove tecnologie, condizionate dal mondo delle telecomunicazioni.
Essere comunisti oggi significa intraprendere la strada dell’organizzazione del Partito Comunista  e della conflittualità sociale per riappropriarsi di quei diritti erosi negli anni.
Essere comunisti oggi significa organizzare le lotte contro la precarietà sul lavoro legandole ai meccanismi che rendono precaria la vita (costo della casa, intermittenza del reddito, durata del permesso di soggiorno, carovita); creare reti di solidarietà politica e sociale verso tutti quei soggetti che il sistema liberista tende ad escludere (nuovi poveri, giovani precari, migranti); difendere le conquiste del movimento operaio (statuto dei lavoratori, potere d’acquisto, pensioni, scala mobile) e dei movimenti degli anni ’60 e ’70 (legge sull’aborto e sul divorzio, equo canone).
Essere comunisti oggi significa credere che libertà significhi prima di tutto libertà dal bisogno e che democrazia significhi distribuzione delle risorse e dei saperi al contrario di tutti quei pensieri che considerano libertà la facoltà di comprare, licenziare, inquinare, e democrazia l’esercizio del voto e della delega una volta ogni tanto.
Senza la ricostruzione della forza di classe ogni rivendicazione progressiva è destinata a restare una parola vuota.
Solo l’opposizione ai governi della borghesia può preparare le condizioni di una alternativa anticapitalistica. Solo l’opposizione radicale ai governi della borghesia può strappare risultati concreti.

martedì 21 agosto 2018

AUTOSTRADE E NAZIONALIZZAZIONI

Lo Stato, gli affari, la sinistra, i giallo-verdi

Per un'alternativa di classe ad un progetto di regime



«Il potere politico dello Stato moderno è solo un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese». Così affermava Il Manifesto di Marx ed Engels nel 1848.
Quante volte questa concezione è stata respinta, irrisa, denunciata come ideologica o in ogni caso superata! Eppure cosa emerge dall'esperienza concreta della vicenda autostrade? Emerge la conferma clamorosa di questa verità antica del marxismo, contro tutti i suoi detrattori.


IL COMITATO D'AFFARI DEI BENETTON

Al di là delle molte cose da accertare nella tragedia di Genova, alcune verità sono talmente evidenti da non lasciare spazio al minimo dubbio. Una su tutte: Autostrade (per l'Italia) è stato un grande affare garantito dallo Stato. Un grande affare per i Benetton, e per gli altri ventisei concessionari privati. Lo Stato non ha concesso ai capitalisti la sola gestione della rete autostradale, ma tutto quanto poteva loro concedere.

In primo luogo ha affidato interamente ad Autostrade la verifica strutturale delle infrastrutture e della loro condizione, limitando le proprie competenze alla verifica di asfalto, illuminazione, e altre questioni minori. Del monitoraggio e manutenzione delle strutture - cioè dell'essenziale - doveva occuparsi il concessionario. Come? Con l'autocertificazione. In altre parole, pieni poteri ad Autostrade.

In secondo luogo  ha concesso ad Autostrade il diritto di caricare sui pedaggi il “recupero” finanziario di eventuali investimenti futuri. Il risultato è che tra il 2008 e il 2016 le tariffe sono aumentate del 25% (a fronte di una crescita dell' inflazione del 11,5%), mentre gli investimenti sono stati molto meno di quelli previsti (1,3 miliardi invece che 9,8 miliardi). Dunque profitti da favola: 10 miliardi di utili dal '99.

In terzo luogo ha progressivamente esteso i tempi della concessione, prima sino al 2038, poi sino al 2042. Un moltiplicatore dei profitti, tanto più in un quadro di semi-monopolio.

In quarto luogo ha stipulato un contratto che assicurava preventivamente al concessionario un indennizzo enorme in caso di revoca della concessione, anche nel caso di inadempienza del concessionario stesso: precisamente un indennizzo pari alla somma degli utili previsti per tutti gli anni residui della concessione. Per stare all'ipotesi di un indennizzo oggi, in caso di revoca, si tratta - come è noto - di circa 20 miliardi.

In quinto luogo ha allegato alla convenzione con Autostrade ben 25 allegati segreti, concentrati in particolare sugli aspetti finanziari del patto. Formalmente “al fine di garantire gli azionisti da ogni rischio di insider trading”; nei fatti per nascondere all'opinione pubblica il corpo del reato.

In questo quadro generale è facile capire la ragione dello straordinario successo di Borsa del gruppo Atlantia, le cui azioni sono lievitate negli anni sul mercato finanziario come poche altre. Lo Stato ha davvero funzionato come procacciatore e garante dello straordinario affare privato di una delle grandi famiglie del capitalismo italiano, a scapito dell'interesse pubblico. Innanzitutto, come i fatti dimostrano, della sicurezza pubblica più elementare: quella della vita.


TUTTI I GOVERNI CORRESPONSABILI DI UN CRIMINE.
ED ANCHE LE SINISTRE CHE LI HANNO SOSTENUTI

È importante osservare che tutti i governi italiani degli ultimi vent'anni sono stati compartecipi di questo affare. Tutti, senza eccezione, di centrodestra come di centrosinistra.

Anche il deputato Matteo Salvini - oggi ministro applaudito degli Interni - votò nel 2008, in compagnia di Berlusconi, il cosiddetto decreto salva Benetton, che esentava lo Stato persino dall'obbligo di verifiche periodiche della convenzione appena stipulata. La Lega di governo, nel 2010, votò ulteriori regalie nella medesima direzione.

Ma è indubbio che sono stati i governi di centrosinistra, nel lungo periodo, i principali promotori del grande affare. È stato il primo governo Prodi nel 1996-1998 ad avviare la privatizzazione delle autostrade, dentro il più grande piano di privatizzazioni dell'intera Europa. È stato il successivo governo D'Alema, nel 1999, a vendere le autostrade a Benetton, uno dei principali “capitani coraggiosi" di quel capitalismo italiano emergente di cui il dalemismo si fece interprete (basti pensare al regalo delle telecomunicazioni a Colaninno). Infine è stato il secondo governo Prodi, nel 2007, a stipulare la famigerata convenzione con gli azionisti di Autostrade che garantiva loro pieni poteri in fatto di sicurezza autostradale e vantaggi secretati di natura finanziaria.
Nessuna meraviglia. Il centrosinistra è stato nella Seconda Repubblica l'espressione più diretta del grande capitale, grazie alla contiguità di relazioni organiche con quell'ambiente. Il comitato d'affari è stato innanzitutto il suo.

Va solo aggiunto, per amore di verità, che i gruppi dirigenti della sinistra italiana cosiddetta radicale sono stati una stampella determinante di quel comitato d'affari. I due governi Prodi che affidarono a Benetton le autostrade ebbero il sostegno (il primo) e la diretta compartecipazione (il secondo) dei gruppi dirigenti del Partito della Rifondazione Comunista, da Bertinotti a Ferrero. Il governo D'Alema che siglò la svendita definitiva della rete ebbe i voti di Cossutta, Diliberto, Rizzo. Che nessuno di questi si assuma oggi le proprie responsabilità è onestamente imbarazzante. Che poi il segretario del PRC, Maurizio Acerbo, senta addirittura il bisogno di rivendicare "l'opposizione di sempre del PRC alle privatizzazioni” (testuale, 18 agosto) appare davvero spudorato. Il passato non si può rimuovere, tantomeno capovolgere, perché vive nel presente. E non si parli di “errori”, si tratta di crimini. Se M5S e Lega governano oggi l'Italia è anche e innanzitutto per questo.


GOVERNO GIALLO-VERDE E GRANDE CAPITALE

"Tutto giusto”, dirà qualcuno, “ma ora il nuovo governo M5S-Lega non ha forse rotto quel comitato d'affari, imponendo finalmente la volontà del popolo? Non sono loro forse che revocano e denunciano la concessione ad Autostrade...? Come fate a chiamare comitato d'affari della borghesia un governo giallo-verde che la grande stampa padronale critica e detesta?”.

Questo senso comune si è fatto strada in ampi strati di lavoratori. I fatti di Genova l'hanno sicuramente rafforzato, come dimostrano gli applausi tributati ai nuovi ministri in occasione dei funerali delle vittime. Dal canto loro settori diversi di estrema sinistra, di rito sovranista, vedono nei recenti posizionamenti dell'esecutivo la conferma del proprio sostegno, “critico” o meno, al nuovo governo "del popolo".
In realtà questo senso comune è un riflesso dell'arretramento profondo del movimento operaio, della sua coscienza politica, della sua stessa avanguardia.

È vero, il nuovo governo non è espressione organica e diretta del capitale finanziario, a differenza dei vecchi partiti dell'establishment. Non lo è come non lo sono tutte le forze della nuova destra populista e sovranista emerse in Europa e in America (trumpismo). M5S e Lega esprimono piuttosto l'egemonia di una media borghesia (il capitalismo dei distretti, la Lega; le libere professioni, il M5S) sulla netta maggioranza dei lavoratori salariati e la larga massa dei disoccupati. Una egemonia che ha capitalizzato a destra il suicidio della sinistra, complessivamente intesa, e il discredito profondo dei partiti borghesi liberali. Non sappiamo se questo nuovo governo giallo-verde si consumerà in breve tempo, o si stabilizzerà facendosi regime. Ma un regime piccolo-medio-borghese è impossibile come regime indipendente in un paese imperialista come l'Italia. Può governare solo in rappresentanza del sistema capitalista e del grande capitale finanziario. Questa legge fisica è confermata da tutta la storia del '900, inclusa la vicenda, ovviamente diversa, del fascismo e del nazismo. Non farà certo eccezione, su scala assai più modesta, per Luigi Di Maio e Matteo Salvini.

È vera invece un'altra cosa. Non tutti i comitati d'affari della borghesia hanno lo stesso formato ed equilibri interni. Non tutti rispondono alla stessa composizione e dinamica.
I vecchi partiti borghesi liberali (in primis i Democratici di Sinistra e poi il Partito Democratico) avevano una relazione lineare col capitale finanziario. Ne registravano direttamente gli interessi, ne applicavano in modo diligente le ricette. Anche per questo, negli anni della grande crisi hanno finito col dilapidare il proprio consenso sociale. Il renzismo aveva provato a costruire sulla crisi del vecchio PD un proprio progetto populista bonapartista con l'obiettivo di arginare il nuovo populismo a cinque stelle (vedi operazione 80 euro) e sfondare nell'elettorato della destra (vedi distruzione dell'articolo 18). Era il progetto del "partito della nazione". Ma il fallimento di questo progetto è stato tanto rapido quanto la sua ascesa.

Le nuove forze di M5S e Lega, beneficiarie di quel fallimento, agiscono ora in forma diversa, con un altro codice di condotta.
Da un lato assicurano il grande capitale sul pagamento del debito pubblico alle banche, garantiscono i padroni sull'articolo 18 (a piena tutela del capitale nella lotta di classe contro il lavoro), preservano interamente, al di là delle chiacchiere, il lavoro precario (inclusa l'estensione dei contratti a termine sino al 30% dell'organico aziendale, peggiorando persino il decreto Poletti), offrono alle grandi ricchezze l'eldorado della flat tax. Il comitato d'affari è dunque ben saldo: i ministri Tria e Moavero - in linea diretta con Mattarella - incarnano non a caso in quel comitato la presenza diretta del grande capitale.
Dall'altro lato i partiti populisti vogliono negoziare col capitale finanziario un equilibrio nuovo, in sede nazionale e internazionale. Si presentano nella UE con un piglio contrattuale sulle politiche di bilancio, civettano col trumpismo in funzione di un riequibrio antitedesco e antifrancese (sulla Libia, ad esempio), cercano di assicurarsi in Cina, e persino in Russia, possibili futuri interventi emergenziali a sostegno dei titoli di Stato tricolori. Sul piano interno ostentano posture stataliste, come sul tema Autostrade. Tali posture sono anche un fatto di propaganda a fini di consenso, ma non solo. Riflettono l'aspirazione a centralizzare nelle mani del nuovo governo alcune leve di controllo economico, in funzione del rafforzamento del peso politico dei nuovi parvenu. Vedremo se e in che misura queste posture stataliste si tradurranno in atti concreti, superando le contraddizioni interne alla nuova maggioranza, con la Lega in posizione più prudente, e il M5S che gioca allo scavalco; oppure se arretreranno (rinegoziazione delle concessioni).
Ma chi vedesse in eventuali misure stataliste il segno della natura “progressista” o addirittura di sinistra e anticapitalista del nuovo governo dovrebbe ricordare che nel quadro della società borghese lo statalismo non è affatto di per sé misura di progresso. Bismarck realizzò la nazionalizzazione delle ferrovie negli stessi anni in cui varò le leggi eccezionali antisocialiste. Il regime fascista negli anni '30 istituì l'IRI nel mentre bastonava il movimento operaio e schiacciava nell'illegalità le opposizioni. La natura di ogni scelta economica va dunque collocata nel contesto politico che la trascende. È il contesto che la spiega, non viceversa.


UN PROGETTO DI REGIME CONTRO I PROLETARI

Il governo giallo-verde è un governo reazionario che dispone di un vasto consenso di massa. Questo consenso di massa è la sua forza, la leva della propria scalata nello Stato borghese e della propria capacità negoziale nel comitato d'affari del grande capitale.

Ma preservare il consenso non sarà facile, perché tenere insieme le garanzie offerte al grande capitale (riduzione del debito e detassazione massiccia) con le promesse sociali ed elettorali (abolizione della legge Fornero, reddito di cittadinanza...) è un'autentica quadratura del cerchio, tanto più in un paese capitalista esposto alla minaccia strutturale della crisi finanziaria per via del suo gigantesco debito pubblico. Da qui il diversivo reazionario contro gli immigrati come le campagne per l'ordine e la sicurezza: solo dirottando contro falsi nemici il malcontento sociale presente e futuro è possibile ammortizzarlo e persino capitalizzarlo, cercando di scavallare contraddizioni altrimenti insolubili.

La politica reazionaria non è dunque un tratto specifico della politica governativa in qualche modo separabile dal resto (“fanno politiche giuste tranne sull'immigrazione”, come recita nel migliore dei casi il sovranismo di sinistra). La politica reazionaria del governo M5S-Lega è la forma costituente di un nuovo possibile regime e del suo blocco sociale interclassista. Non certo un regime fascista (anche se le organizzazioni fasciste appoggiano il nuovo governo), ma certo un regime autoritario di tipo orbaniano o trumpiano. Un caso unico tra i paesi imperialisti dell'Unione Europea.

Salvini e Di Maio offrono questa prospettiva al capitale finanziario come soluzione conveniente per i suoi interessi. Gli offrono in pratica il proprio consenso di massa come elemento di scambio per la tenuta politica del suo dominio: “Nessun'altra forza politica è in grado di portarvi in dote una base di massa così vasta. È in fondo la base di appoggio che vi serve per restare a cavallo, di fronte al rancore, al risentimento, alla disperazione di tanta parte della società italiana dopo gli anni della grande crisi. È soprattutto, per voi, una garanzia contro la possibile ripresa del movimento operaio e della lotta di classe. Ma per nutrire questo consenso dobbiamo recitare la demagogia, ridurre le tasse alla piccola borghesia, concedere qualche piccola elemosina sociale, forzare qualche vecchio vincolo, persino danneggiare, se necessario, qualche vostro interesse particolare (Benetton), rompere insomma il vostro galateo istituzionale. Pensateci. È nel vostro interesse generale che noi riusciamo nell'operazione, dateci fiducia, ne sarete ripagati”. Sono le parole, immaginarie, con cui i ministri giallo-verdi si rivolgono oggi al grande capitale. È il messaggio in codice della loro politica rivolto ai poteri forti.

La grande borghesia, ampiamente scompaginata nei propri assetti interni, non è ancora convinta dell'offerta, non sa prevedere la durata dei nuovi venuti, teme la crisi finanziaria, prende tempo, in uno stato di grande confusione. Tutta la grande stampa borghese testimonia questo disorientamento dell'establishment, politicamente decapitato delle vecchie rappresentanze e privo come non mai di un'alternativa politica.

Ma se l'operazione dovesse riuscire, se il nuovo governo si stabilizzerà, se stabilizzandosi si trasformerà in regime, se il nuovo regime saprà preservare la pace sociale, anche il grande capitale finirà col benedirlo e farlo proprio. Con lo stesso incenso con cui benedì la Prima e la Seconda Repubblica. Naturalmente contro i proletari.

Per questa stessa ragione non è possibile costruire un'opposizione di massa al nuovo governo restando sul puro terreno democratico, ossia brandendo valori progressisti, testimoniando superiorità morale, denunciando persino, in qualche caso, un improbabile fascismo realizzato.
È possibile solo riconducendo le ragioni democratiche (antirazziste, antifasciste, per i diritti civili) alle ragioni sociali di 17 milioni di lavoratori salariati cui il nuovo governo non potrà offrire nulla se non pose demagogiche e promesse truffaldine.
È possibile solo liberando i salariati dal blocco sociale reazionario che oggi li assorbe e che li vuole subalterni.
È possibile solo rompendo con l'opposizione confindustriale del PD, oggi di fatto funzionale alla tenuta di quel blocco sociale reazionario.
È possibile solo combinando il sostegno a ogni lotta sociale di resistenza con una proposta di unificazione e mobilitazione di massa attorno ad una piattaforma indipendente.
È possibile solo riconducendo la mobilitazione di massa alla prospettiva di un'alternativa di sistema, un'alternativa tanto radicale quanto radicale è il nuovo livello dello scontro.
È la prospettiva del governo dei lavoratori.


SOLO I LAVORATORI E LE LAVORATRICI POSSONO RICOSTRUIRE LA SOCIETÀ SU BASI NUOVE

Solo i lavoratori e le lavoratrici possono ricostruire la società su basi nuove. Questo ci dicono la tragedia di Genova e i mille crimini del profitto.

In questi giorni, dopo i fatti di Genova, non ci sono solo gli applausi a Salvini e Di Maio. C'è, nonostante tutto, anche altro. Milioni di persone in tutta Italia hanno percepito in forme nuove la propria insicurezza sociale, la fragilità generale delle infrastrutture, il rischio connesso per la propria vita. Le responsabilità sono attribuite per lo più ai politici del passato, o generalmente ai “politici”, non al sistema capitalista. È il riflesso dell'attuale senso comune di massa. E tuttavia l'intreccio tra lo Stato, le ragioni del profitto, l'intero corso politico di vent'anni di privatizzazioni, è emerso prepotentemente in tutta la sua evidenza con una identificazione emotiva elevatissima. Non a caso, ovunque si moltiplicano denunce sulla pericolosità di ponti e viadotti del proprio specifico territorio, appelli, petizioni, persino comitati. In tutto questo confluiscono inevitabilmente interessi localisti o ingenuità, ma si esprime anche, in forma confusa, la diffidenza verso il profitto nel nome dell'interesse pubblico.

Salvini e Di Maio lavorano a dirottare questo sentimento contro il PD e a subordinarlo al proprio corso politico reazionario. Occorre dare a questo sentimento una traduzione opposta, in direzione apertamente anticapitalista: “I Benetton sono solo la punta dell'iceberg. Un'intera classe capitalista ha fatto affari sulla pelle della sicurezza pubblica. Sono gli stessi che hanno saccheggiato lavoro e pensioni. Cambiare "i politici” per mantenere in piedi questa classe di criminali e di strozzini significa cambiare tutto per non cambiare nulla. Se ne devono andare i grandi azionisti, i banchieri, i costruttori. Solo i lavoratori possono ricostruire la società su basi nuove. Ripartiamo da un grande piano nazionale di nuovo lavoro, territorio per territorio, per rifare l'Italia dalle sue fondamenta sulla base della ricognizione dei bisogni e necessità sociali”.

Le parole d'ordine del momento sulla questione autostrade debbono introdurre questa prospettiva generale:

Via, immediatamente, tutti i segreti degli accordi pattuiti con Autostrade e con ogni altra concessionaria pubblica. Per l'abolizione più generale del segreto commerciale.

Revoca immediata di tutte le concessioni pubbliche ai 27 gestori privati della rete autostradale. Annullamento di tutti gli accordi pattuiti e delle loro clausole truffaldine. Rifiuto di ogni indennizzo come risarcimento della revoca.

Nazionalizzazione dell'intera rete autostradale. Esproprio di Autostrade senza indennizzo per i grandi azionisti e sotto controllo dei lavoratori; passaggio dei 10.000 dipendenti di Autostrade alle dipendenze della nuova società statale, con piene garanzie contrattuali. Annullamento dei debiti contratti dalle aziende espropriate verso le banche. Investimento delle risorse finanziarie, patrimoniali, tecniche e professionali ricavate dall'esproprio, nell'azione di risarcimento dei danni prodotti e delle famiglie colpite, come nell'azione di monitoraggio e manutenzione delle infrastrutture.

Controllo sociale da parte dei lavoratori, e di tecnici di loro fiducia, sullo stato di sicurezza della viabilità su scala nazionale.

Un vasto piano di investimenti pubblici per la manutenzione e la ricostruzione della rete autostradale, per la dotazione antisismica delle abitazioni ed edifici pubblici, per il riassetto idrogeologico del territorio (per complessivi 400 miliardi attualmente stimati come necessari) finanziati dalle uniche misure capaci di liberare le risorse richieste: l'abolizione del debito pubblico verso le banche (con la loro nazionalizzazione senza indennizzo per i grandi azionisti) e una tassazione progressiva sui grandi patrimoni, profitti, rendite.

Nessuna di queste misure è rinunciabile senza rinunciare ad un'alternativa vera. Nel loro insieme comportano una rottura drastica con le regole del gioco della società borghese: economiche, politiche, giuridiche, su scala nazionale ed europea; comportano il rovesciamento di quel comitato d'affari che si chiama Stato borghese; comportano un cambio di guida alla testa della società, l'organizzazione del potere di una nuova classe sociale. Comportano una soluzione rivoluzionaria: una Repubblica dei lavoratori per i lavoratori, basata sull'organizzazione della loro forza.

Partito Comunista dei Lavoratori

A PALERMO STRISCIONI CONTRO BENETTON: "BASTA PROFITTI SULLE NOSTRE VITE"



A pochi giorni dal dramma di Genova, in attesa di accertare le responsabilità tecniche e penali del crollo, a Palermo, davanti al negozio Benetton di via Ruggero Settimo, lontani dai riflettori mediatici, militanti dei centri sociali hanno esposto uno striscione con scritto "BENETTON: INTRALLAZZI, AFFARI, STRAGI. BASTA PROFITTI SULLE NOSTRE VITE".

La protesta, denunciano i militanti, è contro una gestione della “cosa pubblica”  dove ha più importanza la costruzione di grandi opere inutili, rispetto alla manutenzione e al potenziamento delle infrastrutture esistenti. Una gestione che impone, in Sicilia, il pagamento del pedaggio autostradale al Consorzio per le Autostrade Siciliane. Un pedaggio che garantisce alla Regione incassi milionari. Soldi che non vengono utilizzati in investimenti per la messa in sicurezza delle strade. 


L’iniziativa ha un messaggio chiaro: i colpevoli sono da ricercare nei privati (Benetton, Autostrade per l’Italia) e nella politica, colpevole  in primo luogo per il selvaggio processo di privatizzazione che ha regalato miliardi di profitti

giovedì 16 agosto 2018

GENOVA. LA VITA E IL PROFITTO

DI COSA CI PARLA IL CROLLO DEL PONTE


Il crollo del ponte di Genova non è un disgraziato incidente. L'unica cattiva sorte è quella che riguarda ogni vittima di questa tragedia. Il crollo di Genova è la cartina di tornasole del degrado generale delle opere pubbliche in Italia (e non solo) ad affidamento privato. È uno dei riflessi della società capitalista, dove domina il profitto, non la vita.

Ventisette concessionari, con in testa Autostrade per l'Italia (Aspi), gestiscono la rete autostradale. La grande famiglia dei Benetton, attraverso il controllo di Atlantia, ha il controllo di Aspi. I suoi profitti sono saliti verticalmente in questi anni, anche grazie all'aumento dei pedaggi: nel solo 2017 un utile di 2,4 miliardi su un ricavo complessivo di 3,9 miliardi. Un tasso di profitto superiore al 50%! In compenso, nello stesso arco di tempo, gli investimenti di Aspi in Italia sono crollati (da 718 milioni a 556 milioni), e migliaia di posti di lavoro (casellanti) sono stati distrutti. Però il gruppo Atlantia ha fatto affari in giro per il mondo: con gli stessi soldi risparmiati sulla manutenzione e accumulati coi pedaggi ha comprato l'aeroporto di Nizza, la società di controllo delle autostrade spagnole (Abertis), parte del gruppo societario che gestisce l'Eurotunnel. Ottimi affari privati, concessi dai poteri pubblici.
Concessi. Lo Stato potrebbe ricavare dalla gestione pubblica delle autostrade importanti risorse da investire ad esempio in manutenzione; invece ha privatizzato la rete autostradale vent'anni fa per offrire ai privati una ricca torta. Il centrosinistra di governo fu regista dell'operazione; la famiglia Benetton era ed è non a caso tra i suoi tradizionali supporter.

Ma non solo. Lo Stato ha assicurato ai Benetton e a tutti i concessionari privati accordi segreti, cioè accordi sottratti all'opinione pubblica e al suo controllo, senza che nessuno muovesse scandalo. Ha rinunciato a gestire in proprio l'intera attività di monitoraggio sulla tenuta della rete autostradale, affidandola in toto ai privati, che l'hanno pretesa come parte integrante della concessione. Infatti né gli enti locali né lo Stato intervengono in questo campo con propri tecnici e specialisti, gli unici tecnici sono quelli pagati da Autostrade per l'Italia. Dunque lo Stato ha messo la vita nelle mani del profitto in termini strettamente tecnici, non solo economici. Il crollo di Genova ci parla anche di questo.

Dopo la tragedia, l'intera stampa nazionale si straccia come sempre le vesti. Corriere, Repubblica, La Stampa, persino Il Sole 24 ore, tutti i campioni delle privatizzazioni nel nome del libero mercato e del progresso piangono lacrime di coccodrillo. “Tutti sapevano” (Corriere), “Stato di degrado delle nostre opere pubbliche” (La Repubblica), “Urgente piano di monitoraggio nazionale” (Il Sole). Ma dove stavano tutti questi soloni del pubblico interesse quando i governi da loro sostenuti affidavano ai Benetton le autostrade? Dalla parte dei Benetton, naturalmente, come di tutti i grandi azionisti. Se oggi recitano commozione e sdegno è solo perché devono vendere copie, in concorrenza tra loro, sul mercato dell'informazione. Perché anche l'informazione, come tutto, è mercato nella società borghese.

Non meno ipocriti sono i vertici del nuovo governo giallo-verde.
Salvini, Toninelli, Conte hanno fatto a gara nel promettere la punizione dei colpevoli, la revoca delle concessioni ad Autostrade, «un grande piano di monitoraggio e manutenzione dell'intero patrimonio pubblico nazionale» (Toninelli). Bene, bravi, bis. Lo stesso M5S che nel 2013 difendeva le rassicurazioni della società Autostrade sul fatto che “il ponte Morandi durerà altri cento anni” ora revoca la concessione ad Autostrade perché inaffidabile? Possibile. Tutto e il contrario di tutto pur di incassare voti, questa è da sempre la cifra del grillismo. A proposito di inaffidabilità.
Ma per il “grande piano” di Toninelli? Per un grande piano come quello promesso occorrono diverse centinaia di miliardi. Li possono trovare quelli che si impegnano a concedere alle grandi ricchezze il più grande regalo fiscale del dopoguerra, cioè flat tax più condono?

Di più. Nello stesso giorno in cui l'ex carabiniere Toninelli proclama il suo piano a reti unificate, il sottosegretario a Palazzo Chigi Stefano Buffagni, grande emergente del M5S, promette solennemente, sul quotidiano di Confindustria, che “l'Italia non tradirà i creditori”. «Questo governo non ha alcuna intenzione di disattendere gli impegni presi coi creditori del Paese», dichiara Buffagni (Il Sole 24 ore, 15 agosto). Inoltre rivendica come medaglia nazionale l'avanzo primario migliore d'Europa. Ma l'avanzo primario migliore d'Europa è solo la misura dei risparmi pubblici (manutenzione inclusa) al netto del pagamento degli interessi sul debito. E gli impegni presi coi creditori sono l'impegno a continuare a pagare alle banche il debito pubblico con tanto di interessi (70-80 miliardi annui, oltretutto in crescita) e la riduzione progressiva del debito attraverso il suo pagamento. Come? Anche con «nuove privatizzazioni», assicura l'ultima nota congiunta fra Tria, Di Maio e Salvini, per rassicurare i mercati.
Sarebbe questo il governo del cambiamento? Da un lato promette la revoca della concessione ai Benetton - con l'occhio al pallottoliere elettorale, dall'altro assicura nuove privatizzazioni per pagare il debito alle banche e detassare i profitti?

La verità è che tutti i governi borghesi, giallo-verde incluso, amministrano le regole del gioco dettate dal profitto; e le regole del profitto sono quelle che producono il crollo di opere pubbliche, che trasformano i terremoti in ecatombi, che causano il dissesto idrogeologico di gran parte del territorio.

Per realizzare una svolta vera occorre rovesciare la dittatura del profitto.
Recuperare il controllo pubblico sulle opere sociali, sulla viabilità, sui mezzi di trasporto. Revocare tutte le concessioni ai privati (non solo ai Benetton) in fatto di autostrade e strade. Nazionalizzare la grande industria edilizia e del cemento, senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori, a garanzia della sicurezza pubblica. Investire un grande volume di risorse pubbliche per monitoraggio, manutenzione, ricostruzione di buona parte della rete autostradale e non, ricavando tali risorse nell'unico modo possibile: abolendo il debito pubblico verso le banche, e dunque nazionalizzandole sotto controllo sociale; e imponendo una tassazione progressiva sui grandi patrimoni, profitti, rendite, che hanno lucrato per decenni sullo sfruttamento dei salariati e sul saccheggio del territorio.

È un programma esattamente opposto a quello di Salvini e Di Maio, come a quello di tutti i governi precedenti. È un programma che solo un governo dei lavoratori, basato sulla loro forza e sulla loro organizzazione, potrà realizzare.
Fuori da questa prospettiva, c'è spazio solo per l'inganno. E per i morti.

Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 15 agosto 2018

LA SPIAGGE SICURE DI SALVINI



A volte piccole osservazioni di vita quotidiana ci raccontano la miseria della società borghese più efficacemente di lunghe analisi.

Il ministro degli Interni ha emesso oggi il quotidiano bollettino di vittoria: “Centinaia di interventi della polizia urbana sulle spiagge italiane, per stroncare la piaga dell'abusivismo e assicurare la tranquillità dei bagnanti, 93.000 beni sequestrati per un valore di 600.000 euro, 15.000 contestazioni, centinaia di ore di straordinario, 54 Comuni coinvolti... Questa volta si fa sul serio!”

Riassumendo: milioni di euro sottratti ai servizi sociali per dare la caccia agli ambulanti di colore e privarli di beni sudati con giornate di lavoro sotto il sole cocente... Una vittoria militare davvero eroica per lo Stato. Cosa non si fa per dare la pace ai bagnanti!

Peccato che nelle stesse ore in cui Salvini celebra su Facebook le proprie gesta Legambiente ci parla della condizione reale dei bagnanti. Il 60% delle spiagge italiane è occupato dai privati (il 90% in Liguria e Romagna), lo Stato incassa dalle concessioni poco più di 100 milioni di euro, mentre la gestione privata delle spiagge coinvolge un giro di affari di 15 miliardi. Le poche spiagge libere sono per lo più riservate alle zone contigue agli scarichi di fogna, senza manutenzione ed assistenza, spesso addirittura inaccessibili.

Sarebbe questa la tranquillità dei bagnanti?

Ma per nascondere ai bagnanti la loro condizione reale, Salvini li vuole arruolare contro il nemico immaginario degli ambulanti. Non gli basta il loro raggiro, vuole anche il loro consenso. Così come cerca il voto degli operai mentre promette l'evasione fiscale ai loro padroni.

Una società fondata sul profitto contro ogni ragione è costretta a ricorrere quotidianamente alla truffa per nascondere agli sfruttati la propria realtà, e per questa via perpetuarsi.
Fino a quando? Fino a quando gli sfruttati lo consentiranno, facendosi abbindolare dai cinici di turno. Ma quando il loro consenso verrà meno, tutto diventerà possibile. Persino una rivoluzione.


Partito Comunista dei Lavoratori

martedì 14 agosto 2018

LA LOTTA DEI BRACCIANTI IMMIGRATI

ASSUMERE LE RIVENDICAZIONI DEGLI IMMIGRATI COME PARTE DI UNA PIATTAFORMA DI MOBILITAZIONE!



La morte di sedici lavoratori immigrati nelle campagne di Foggia ha alzato il coperchio sullo sfruttamento di centinaia di migliaia di proletari nelle campagne italiane. Proletari per di più di colore, spesso privati del permesso di soggiorno, obbligati a piegare la schiena sino a 12 ore al giorno al prezzo di due euro all'ora, ammassati in baraccopoli fatiscenti senza acqua e senza servizi, costretti a pagare il pizzo ai caporali che li reclutano e li trasportano sul luogo di lavoro, e nel caso delle donne persino favori sessuali.
Un'infamia.

Un'infamia non meno grande è il circo dell'ipocrisia che si è levato sul “caso”.
Lo stesso ministro degli Interni che vuole cacciare 500.000 “clandestini” recita improvvisamente il proprio “disgusto” per la condizione loro imposta dalle... proprie leggi (Bossi-Fini), quelle che Salvini vuole non solo preservare ma inasprire.
Il PD trova il coraggio di vantare la legge sul caporalato dell'ex ministro Martina, che come i fatti dimostrano vale zero.
I prefetti annunciano per l'ennesima volta i “severi controlli” dello Stato, in realtà inesistenti e in ogni caso pura foglia di fico dell'omertà istituzionale.
La verità è che tutti gli amministratori della società borghese e del suo Stato - passati e presenti - sono complici consapevoli del supersfruttamento nelle campagne. Tutti conoscono la condizione quotidiana dei braccianti, altro che clandestinità! Tutti sanno che le aziende della grande distribuzione alimentare e le imprese di trasformazione impongono prezzi stracciati agli agricoltori, che a loro volta si rifanno sui braccianti. Le doppie aste al massimo ribasso, improvvisamente scoperte dalla grande stampa, sono pratica corrente da almeno dieci anni. Le condizioni di schiavitù dei salariati di colore (e non) sono solo la base d'appoggio di questa piramide sociale che fa capo al grande capitale. Quello che tutti i governi, nazionali e locali, tutelano quotidianamente e da sempre. La competitività del made in Italy in campo alimentare non è forse il fiore all'occhiello dell'attuale governo sovranista?

Ma la vicenda di Foggia, come già di Rosarno, dimostra che gli sfruttati si possono ribellare e organizzare. Gli scioperi e le manifestazioni che hanno visto sfilare migliaia di braccianti immigrati confermano che la questione dell'immigrazione non è solo un terreno di scontro culturale tra razzismo e solidarietà, come vorrebbe l'opinione borghese progressista. Può e deve essere anche terreno di lotta e autorganizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici direttamente coinvolti e in contrapposizione frontale ai padroni e al governo. Può e deve essere anche terreno di mobilitazione generale del movimento operaio su scala nazionale (e internazionale) attorno a rivendicazioni di rottura.

La parola d'ordine del permesso di soggiorno per tutti i lavoratori migranti - centrale nelle lotte in corso - deve diventare una parola d'ordine dell'intero movimento operaio e sindacale: a pari lavoro, pari diritti; piena tutela contrattuale per tutti; requisizione immediata e senza indennizzo delle proprietà di chi usa il caporalato; reato penale per lo sfruttamento del lavoro nero. Il controllo sul territorio non può essere affidato a ispettori della Stato e prefetture, ma a comitati dei braccianti: sono loro a conoscere chi li sfrutta, sono loro che li possono denunciare. Così va avanzata la rivendicazione dell'esproprio sotto il controllo dei lavoratori della grande produzione e distribuzione alimentare, l'unica misura che può troncare alla radice la catena dello sfruttamento e il caporalato di ogni natura. Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, che rompa con il capitalismo, potrà realizzare queste misure elementari.

In ogni caso, non c'è ripresa di una opposizione di classe e di massa senza coinvolgere l'organizzazione di classe dei proletari immigrati, senza assumere le rivendicazioni di classe degli immigrati come parte di una piattaforma generale di mobilitazione.
Il PCL porterà questa istanza elementare in tutte le manifestazioni antirazziste, in contrapposizione al governo Salvini-Di Maio, e alla passività della burocrazia sindacale.

Partito Comunista dei Lavoratori

domenica 5 agosto 2018

PER UNA ALTERNATIVA ALLE TRUFFE DEI GOVERNI BORGHESI E PADRONALI DI OGNI COLORE. ADERISCI AL PCL



La grande crisi del capitalismo che investe il mondo, che distrugge milioni in posti di lavoro, che sbugiarda l’ipocrisia di vent'anni, è anche la crisi di quelle sinistre che in Italia, in Europa, in cambio di ministri, hanno portato in questi anni le peggiori politiche antipopolari con il risultato di determinare la propria rovina e di contribuire a spianare la strada al M5S e alla Lega di Salvini.
C'è bisogno di un'altra sinistra, una sinistra che non tradisca, di una sinistra che in ogni lotta sociale sviluppi un'alternativa di società.
Le classi dirigenti dell'Italia, d'Europa, del mondo, hanno fallito.
Solo un governo dei Lavoratori può realizzare una nuova organizzazione della società. In questa prospettiva è necessario costruire un'opposizione continuativa ai governi borghesi, che unisca tutte le forze del lavoro,  giovani,  studenti, donne e sfruttati attorno ad un programma di obiettivi comuni che risponde esclusivamente alle loro esigenze:
 • Cancellazione del Job Act e di tutte le leggi di precarietà, ritorno dell'articolo 18 e sua estensione a tutti i lavoratori e le lavoratrici
• Redistribuzione generale dell'orario di lavoro a 32 ore per tutti, pagate 40, con l'introduzione di un salario minimo intercategoriale di 1500 euro.
• Parità di diritti tra lavoratori italiani e lavoratori immigrati
• Un vero salario sociale ai disoccupati e ai giovani in cerca di prima occupazione, pagato dalla cancellazione dei trasferimenti pubblici alle imprese private
• Abolizione della legge Fornero, in pensione a 60 anni o con 35 anni di lavoro, pagata dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, profitti, rendite.
• Nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori di tutte le aziende che delocalizzano o licenziano.
Un programma finanziato dall'abbattimento delle spese militari, dai privilegi del Vaticano, dalla tassazione delle grandi ricchezze delle banche e delle assicurazioni che, sia i governi di centro-sinistra e di centro-destra, hanno tutelato e ingrassato in tanti anni.
Questa piattaforma può unire la maggioranza della società contro la piccola minoranza di grandi azionisti e banchieri che oggi detta legge.
Occorre un governo della maggioranza, quello dei lavoratori e delle lavoratrici: l'unico governo che rompendo col capitalismo può restituire al lavoro la sua dignità. Perché la vera dignità del lavoro è questa: il diritto e il potere di chi lavora a decidere gli indirizzi della società, a partire dal proprio controllo sulle leve della economia.

Questa è l'unica vera alternativa alle truffe dei governi borghesi e padronali di ogni colore.

venerdì 3 agosto 2018

CONTRADDIZIONI IRRISOLTE

Marco Ferrando – Unità di  Classe estate 2018




Al di là della sua natura reazionaria il governo è segnato dalle contraddizioni irrisolte.
Le sue ambizioni si proiettano sulla legislatura, la sua durata prevedibile è un'incognita. I blocchi sociali di riferimento saranno messi a dura prova dalla esperienza pratica del governo.
La mancanza di coperture economiche costringerà l'esecutivo a inevitabile scelte, ben più complicate della sommatoria delle promesse. Ogni scelta metterà sotto pressione i delicati equilibri tra M5S e Lega, a partire dalle loro rappresentanze territoriali.
Non a caso il contratto prevede un comitato di conciliazione dei prevedibili contrasti, e un impegno centralizzato a comportamenti parlamentari conformi. Ma non si tratta solo di numeri parlamentari.
Il governo Di Maio/Salvini ha incrinato gli equilibri del centro-destra, aprendo la via a nuovi scenari imprevedibili. Per avviare la ricomposizione di governo con il M5S Salvini aveva chiesto e ottenuto il benestare di Berlusconi, nel tentativo di usare la coalizione di centro-destra come leva negoziale, e di preservare lo spazio di una possibile via d'uscita e alternativa politica.
Ma questo equilibrio è saltato. E non semplicemente per le disposizioni il contratto in materia di giustizia e conflitto di interesse (in realtà blande e generiche), quanto per il fatto che il nuovo governo materializza il rischio in prospettiva di un asse politico populista tra Lega e M5S: Un blocco populista a gestione condominiale contrapposto a un blocco borghese liberale a egemonia PD.
Un nuovo bipolarismo italiano sulle macerie del centro-destra e di FI.
Da qui l'opposizione di Berlusconi e della sua stampa al nuovo governo.

mercoledì 1 agosto 2018

I FASCISTI SCAVALCANO SALVINI. FERMARE LE RONDE NERE!



Ad Aprilia un giovane marocchino è stato inseguito, malmenato, assassinato. L'ennesimo episodio di odio razzista, ma non solo. La specificità del caso sta nel fatto che l'assassinio è opera di un gruppo di “cittadini volontari”, una “ronda”, un “presidio dissuasivo”, come si è aulicamente definito. Poco importa il nome, si tratta di una forma di autorganizzazione reazionaria.

“È finita la pacchia” significa anche questo. In tutta Italia nascono e si riproducono iniziative di azione diretta contro gli immigrati, al di fuori delle strutture ordinarie dello Stato borghese.

Intendiamoci, lo Stato dà il la. In questi giorni, in tutta Italia, le strutture territoriali di polizia e vigili vengono sguinzagliate lungo le spiagge affollate e sui lungomari per “cacciare gli abusivi”, sequestrare i loro averi, punire con multe salatissime gli incauti acquirenti delle merci contraffatte. Le lobby dei commercianti applaudono entusiaste. Mentre uomini e donne di colore, alla ricerca quotidiana della sopravvivenza, fuggono nel migliore dei casi coi loro fagotti di fortuna, per riprendere il giorno dopo la stessa vita. Il ministro degli Interni si intesta il tutto all'insegna dell'ordine e del decoro. Di più. Incoraggia pubblicamente le “passeggiate della legalità”: iniziative volontarie di perlustrazione da parte dei “cittadini” che fiancheggiano vigili e polizia a caccia di “clandestini” e “abusivi”. Lo Stato diventa dunque promotore di strutture parallele, preposte all'ordine costituito. La Lega dirige, il M5S avalla e segue.

Il punto è che le organizzazioni fasciste entrano in questo varco aperto dal Viminale per giocare allo scavalco. CasaPound, Forza Nuova, Lealtà Azione lanciano ovunque possono proprie iniziative di vigilanza squadrista. CasaPound apre la campagna contro i parcheggiatori abusivi, da Cagliari a Ostia, cacciandoli a suon di sganassoni. Forza Nuova sale sui vagoni dei treni, sui bus, in metro, per ripulirli dagli immigrati. Entrambi, in concorrenza tra loro, rivendicano la liberazione del territorio dagli "invasori”, spaziando dai centri storici ai quartieri metropolitani. La parola d'ordine è: “lo Stato non ci va? Ci andiamo noi”. Se gli immigrati vanno cacciati, occorre passare dalle parole ai fatti. I fascisti si sostituiscono allo Stato, stando nella scia dell'iniziativa dello Stato. Se Minniti ha concimato il terreno di Salvini, Salvini concima il terreno dei fascisti.


LA “CASA DEI PATRIOTI” A BRESCIA

Esemplare il caso di Brescia. Forza Nuova apre a Brescia, città operaia, la "Casa dei Patrioti”, un avamposto fascista impegnato a «pattugliare i quartieri della vergogna», cioè quelli in cui vivono gli operai di colore, già supersfruttati nelle fabbriche del circondario, e poi relegati all'abbandono e al degrado. Lo schema di Brescia viene proiettato su scala nazionale. In tutta Italia vengono lanciate le cosiddette “no go area”, aree in cui si proibisce la presenza migrante attraverso iniziative di espulsione diretta. Iniziative che intruppano la peggiore marmaglia, squadristi patentati, ambienti delle curve ultras, vecchi arnesi della malavita locale, in qualche caso persino fascisti stranieri, come a Rimini, dove Forza Nuova ha potuto contare sulla collaborazione dell'ONR polacca.
Il segno comune è il salto di qualità dell'iniziativa fascista sul terreno dell'azione diretta. Oggi essenzialmente contro gli immigrati, ma domani? Gli attacchi ripetuti a sedi sindacali o a picchetti di lavoratori in lotta (logistica) sono episodi sintomatici.

È necessaria un'azione di contrasto, non si può voltare la testa da un'altra parte o minimizzare il problema. Certo, i fascisti sono oggi ancora una presenza marginale come forza organizzata. Ma questa forza si sta allargando. Estende il proprio reclutamento, rafforza la propria organizzazione paramilitare, e soprattutto gode di un retroterra di legittimazione strisciante sempre più ampio a livello di senso comune in significativi settori di massa. L'arretramento profondo della coscienza politica di milioni di proletari diventa il terreno di pascolo della peggiore demagogia reazionaria. Se un ministro degli Interni può tranquillamente ostentare i motti del Duce (“molti nemici, molto onore”) senza che si produca una reazione di scandalo, lo stesso vale in misura diversa per le iniziative fasciste. Il dirottamento della rabbia sociale contro gli immigrati - asse centrale del salvinismo - diventa sdoganamento di CasaPound e Forza Nuova. Non conta i voti che prendono, sicuramente ancora pochi (per quanto in crescita), conta il bacino potenziale molto più ampio di cui dispongono, e soprattutto l'assenza di ogni seria barriera.


RICOSTRUIRE UN FRONTE DI MASSA

Non si può rimontare la china e ricostruire una barriera senza recuperare una opposizione di classe e di massa che ricostruisca coscienza tra gli sfruttati. Se l'humus dei fascisti è l'arretramento profondo del movimento operaio, solo una sua ripresa può alzare un argine contro la reazione.
Ma una ripresa del movimento operaio esige qualcosa di più di un semplice approccio democratico alla questione dell'immigrazione.

La reazione fa leva non solo su disvalori ideologici regressivi, ma soprattutto sull'insicurezza sociale, sulla miseria, sulla disperazione: “Come fa ad esservi lavoro, casa, asili, per gli immigrati se non ci sono neppure per noi?”. Occorre rispondere a questa domanda rovesciando il senso comune: “lavoro, casa, servizi, non ci sono per noi per la stessa ragione per cui non ci sono per gli immigrati. È la legge del profitto la radice del problema”. Da qui l'esigenza di intrecciare il sostegno ad ogni singola lotta di resistenza sociale (tanto più oggi preziosa) con la proposta di ricomposizione di un fronte generale di massa cementato da rivendicazioni unificanti. Ripartire il lavoro tra tutti, attraverso una riduzione generale dell'orario a parità di paga; un grande piano di nuovo lavoro in opere sociali di pubblica utilità, finanziato dalla tassazione dei grandi patrimoni, rendite e profitti; uguali diritti per lavoratori italiani e immigrati, con la cancellazione di ogni legge discriminatoria, sono rivendicazioni che parlano all'interesse comune dei salariati e lo contrappongono al capitale. Possono unire lavoratori italiani e immigrati, pubblici e privati, del Nord e del Sud.
Non c'è lotta possibile alla xenofobia fuori dalla ricomposizione di questo fronte di lotta.
Per la stessa ragione, l'attuale passività della burocrazia CGIL di fronte al governo giallo-verde, come già prima verso i governi PD, è oggi come ieri un aiuto obiettivo alla reazione.


STRUTTURE AUTORGANIZZATE DI VIGILANZA CLASSISTA

Ma la svolta di lotta non basta. Occorre combinarla da subito con l'azione di contrasto diretto delle iniziative reazionarie e fasciste.

In risposta alla provocazione di Forza Nuova, la CGIL di Brescia ha dichiarato: “Fermiamo i fomentatori d'odio, le ronde razziste, le ronde nere”. Bene. Ma le parole non servono a nulla se non si traducono in azione. Tanto più se servono a salvarsi l'anima e a restare passivi. Magari appellandosi, come avviene ogni volta, alla Costituzione e alla Repubblica democratica. C'è qualcuno che può seriamente pensare che le famose leggi antifasciste di marca costituzionale, rimaste carta straccia per settant'anni, sotto i governi borghesi di ogni colore, possano trovare oggi applicazione per mano... del governo Salvini-Di Maio?
Nessuna fiducia può essere riposta nello Stato. Tanto più oggi, solo l'azione diretta del movimento operaio può mettere i fascisti nell'impossibilità di nuocere. Ad ogni iniziativa fascista va contrapposta una iniziativa unitaria del movimento operaio e sindacale, capace di aggregare in un unico fronte tutte le forze disponibili. Un'azione di controvigilanza organizzata e promossa unitariamente dalle Camere del lavoro, da tutti i sindacati classisti, da tutte le organizzazioni della sinistra e antifasciste. Un'azione mirata espressamente a bloccare, impedire, disperdere l'iniziativa fascista. Le ronde nere non sono una fatalità da commentare, sono un pericolo da estirpare alla radice, per impedire ogni effetto di imitazione e propagazione. Se i fascisti si sostituiscono allo Stato (in realtà fiancheggiandolo), lo stesso possono fare i lavoratori e le organizzazioni antifasciste, tanto più a fronte oggi del ministero Salvini.
I fascisti contano sul successo propagandistico delle proprie azioni squadriste per suscitare fascinazione militare e attrarre consenso. Ogni gruppo di immigrati allontanati dalla loro azione è esibito sui loro siti come trofeo di vittoria. È la spazzatura con cui i fascisti nutrono il proprio immaginario. Per la stessa ragione ogni successo di un'azione di massa antifascista nel disarmare e sbaragliare l'iniziativa dei fascisti può minare il loro prestigio e demoralizzare le loro fila, incoraggiando al tempo stesso una volontà di riscossa sul nostro fronte.

Il movimento operaio pagò a caro prezzo nei primi anni '20 l'appello di Turati al “coraggio di essere vili”, cioè a non rispondere alla forza dello squadrismo con la propria forza organizzata.
Cento anni dopo, è una lezione da ricordare.


Partito Comunista dei Lavoratori